Michael Ende - La Storia Infinita

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Questa scritta stava sulla porta a vetri di una botteguccia, ma naturalmente così la si vedeva solo guardando attraverso il vetro dall'interno del locale in penombra.
Fuori era una fredda, grigia giornata novembrina e pioveva a catinelle. Le gocce di pioggia correvano giù lungo il vetro, sopra gli svolazzi delle lettere. Tutto ciò che si riusciva a vedere attraverso il cristallo era un muro macchiato di pioggia dall'altro lato della strada.
D'improvviso la porta venne spalancata con tanta violenza che un piccolo grappolo di campanellini d'ottone sospeso sul battente cominciò a tintinnare tutto eccitato e ci volle un bel po' prima che si rimettesse tranquillo. Causa di quello scompiglio era un ragazzino piccolo e grassoccio, di forse dieci, undici anni. I capelli scuri gli ricadevano bagnati sul viso, il cappotto era molle di pioggia e tutto gocciolante; sul fianco, pendente da una cinghia a tracolla, portava una cartella di scuola.
Era piuttosto pallido e senza fiato ma, in contrasto con l'affanno che lo aveva condotto fin lì, ora se ne stava sulla porta, immobile, come se avesse messo radici.
Davanti a lui si apriva una stanza lunga e stretta che si perdeva verso il fondo nella penombra. Alle pareti c'erano scaffali che arrivavano fino al soffitto, zeppi di libri d'ogni formato e dimensione. Sul pavimento stavano accatastati mucchi di volumoni « in-folio », su alcune tavole erano ammassate montagne di libri più piccoli, rilegati in pelle e dal brillante taglio dorato. Da dietro un muro di libri, alto quanto un uomo, che si levava all'estremità opposta della stanza, veniva il bagliore di una lampada. In quella luce si levava di tanto in tanto un anello di fumo che s'ingrandiva salendo per poi andare a dissolversi in alto, nel buio. Pareva uno di quei segnali che usano gli indiani per mandarsi notizie da una montagna all'altra. Evidentemente laggiù c'era qualcuno e in effetti il ragazzo udì ora una voce piuttosto brusca che dietro la parete di libri diceva:
" Si meravigli dentro o fuori, ma chiuda la porta. C'è corrente ".
Il ragazzo ubbidì e chiuse piano la porta. Poi si accostò alla parete di libri e gettò cauto un'occhiatina oltre l'angolo: lì, in una grande poltrona di cuoio consunto, con lo schienale alto e orecchiuto, stava seduto un ometto grosso e tarchiato. Indossava un vestito nero tutto spiegazzato che aveva l'aria di essere molto vecchio e piuttosto polveroso. La pancia era tenuta su da un panciotto a fiori. L'uomo aveva una bella pelata, solo sopra le orecchie si drizzavano verso l'alto due cespuglietti di capelli bianchi. Aveva una faccia arrossata che faceva pensare al muso di un bulldog incattivito. Sul gran naso a patata troneggiavano gli occhiali cerchiati d'oro. Una gran pipa ricurva gli pendeva all'angolo della bocca che ricadeva tutta storta da una parte. Sulle ginocchia teneva un libro che evidentemente stava leggendo, perché, richiudendolo di colpo, aveva lasciato fra le pagine l'indice grasso della mano sinistra, come segnalibro, per così dire.
Ora con la destra si tolse gli occhiali, osservò il ragazzino grassoccio che gli stava davanti gocciolante, strinse gli occhi, cosa che aumentò l'espressione malevola, e borbottò soltanto: " Oh buon Dio del cielo! " Poi riaprì il libro e riprese a leggere.
Il bambino non sapeva bene che cosa fare, così, restò semplicemente lì senza muoversi, fissando l'uomo con grandi occhi spalancati.
Alla fine l'altro richiuse di nuovo il libro, mettendo come prima l'indice fra le pagine a mo' di segnalibro, e borbottò: " Stammi bene a sentire, ragazzo mio. lo non posso soffrire i bambini. Lo so, lo so che al giorno d'oggi è di gran moda fare un sacco di storie a proposito dei bambini, ma io no! lo non sono proprio per niente amico dei bambini. Per me sono soltanto degli sciocchi piagnoni, fastidiosissimi, che rompono tutto, sporcano i libri di marmellata e ne strappano le pagine, e poi magari se ne lanno un baffo quando i grandi hanno i loro guai e dispiaceri. l'e lo dico soltanto perché tu ti sappia regolare. Inoltre io non tengo libri per bambini e altri libri non te ne vendo. Ecco, spero che ci siamo capiti! "
Tutto questo lo aveva detto senza togliersi la pipa di bocca. Ora riaprì di nuovo il libro e riprese la lettura.
Il ragazzino annuì senza parlare, ma in un certo senso non gli pareva giusto accettare, senza controbatterlo, un discorso come quello, perciò si volse ancora una volta e disse piano:
" Però non sono tutti così! "
L'uomo alzò lentamente gli occhi e si tolse di nuovo gli occhiali. " Sei ancora qui? Ma che cosa si deve fare per liberarsi di un tipo come te, me lo spieghi? Che cosa volevi dire di tanto importante? "
" Niente d'importante ", rispose il ragazzo a voce ancora più bassa, " volevo soltanto... non tutti i bambini sono come dice lei. "
" Ah ah! L'uomo rialzò le sopracciglia con finto stupore. " E probabilmente tu in persona sei la grande eccezione, vero? "
Il ragazzino grassoccio non seppe che cosa rispondere. Alzò un po' le spalle e si volse di nuovo per andarsene.
" E in quanto a buone maniere ", sentì alle sue spalle la voce brontolona, " non ne hai neppure per cinque lire. Altrimenti ti saresti per lo meno presentato. "
" Mi chiamo Bastiano ", disse il bambino, " Bastiano Baldassarre Bucci. "
" Nome piuttosto curioso ", borbottò l'uomo, " con quelle tre B. Ma già, questa dopotutto non è colpa tua, il nome non te lo sei dato da te. Io mi chiamo Carlo Corrado Coriandoli. "
" E queste sono tre C ", ribatté il ragazzino serio.
" Hmm ", brontolò il vecchio, " già, è vero! "
Sbuffò dalla sua pipa un po' di nuvolette. " Be', dopotutto non ha nessuna importanza come ci chiamiamo, dal momento che non ci rivedremo. Adesso però c'è ancora una cosa che vorrei sapere da te, e cioè come mai ti sei precipitato nel mio negozio facendo tutto quel baccano. Mi fa tutta l'impressione che tu stessi scappando. È così?"
Bastiano assentì. La sua faccetta tonda pareva d'un tratto ancora un po' più pallida di prima e gli occhi ancora più grandi.
" Probabilmente avrai svaligiato la cassa di un negozio ", immaginò il signor Coriandoli, " oppure hai sbattuto per terra una vecchietta o fatto qualcun'altra delle cose che fanno di questi tempi i tipi come te. Hai la polizia alle calcagna, figliolo? "
Bastiano scosse la testa.
" Fuori il rospo ", esclamò il signor Coriandoli, "da chi scappavi? "
" Dagli altri. "
" Quali altri? "
" I miei compagni di scuola"
" Perché? "
" Loro... non mi lasciano mai in pace"
" Che cosa ti fanno? "
" Mi aspettano sempre fuori della scuola "
" E poi? "
"Poi mi gridano dietro delle cose.. Mi danno degli spintoni e ridono di me. "
" E tu li lasci fare? "
Il signor Coriandoli osservò un momento il ragazzo con aria di riprovazione e infine domandò: " Perché non rispondi loro con un bel pugno sul naso? "
Bastiano lo guardò a occhi sbarrati. " No, questo non mi piace. E poi... non sono bravo a fare a pugni. "
" E come stiamo con la lotta? " volle sapere il signor Coriandoli. " E correre, nuotare, giocare al pallone, far ginnastica? Non sai far nulla di tutto questo? "
Il ragazzo scosse la testa.
" In altre parole ", decretò il signor Coriandoli, " sei un po' un pappa molla, eh? "
Bastiano alzò le spalle.
" Ma di parlare però sei capace ", fece l'uomo. " Perché non dici loro in faccia quel che meritano, quando ti prendono in giro? "
" Una volta l'ho fatto… "
" E allora? "
" Mi hanno buttato in un bidone della spazzatura e l'hanno richiuso col coperchio. Ho dovuto chiamare per due ore prima che qualcuno mi sentisse. "
" Hmm ", brontolò il signor Coriandoli, " e adesso non ti arrischi più."
Bastiano annuì.
" Dunque ", concluse il signor Coriandoli, " per di più sei anche un bel coniglio. "
Bastiano abbassò la testa.
" Probabilmente sei un vero secchione, eh? Il primo della classe, quello che prende sempre dieci ed è il prediletto di tutti gli insegnanti, non è vero? "
" No ", fece Bastiano sempre a testa bassa, " l'anno scorso sono stato bocciato. "
" Dio del cielo! " esclamò il signor Coriandoli. " Ma allora sei un disastro su tutta la linea. "
Bastiano non rispose. Se ne stava lì, le braccia penzoloni, il cappotto che sgocciolava.
" Ma che cosa ti dicono quando ti prendono in giro? " volle sapere il signor Coriandoli. " Oh, un po' di tutto. "
" Per esempio? "
" Maiale, maiale! Seduto sul pitale! Il pitale si rompe e il maiale risponde: ecco il mastodonte! "
" Non molto spiritoso, per la verità ", commentò il signor Coriandoli, " e poi, che altro? "
Bastiano esitò prima di enumerare tutti gli epiteti che si prendeva:
" Matto, svitato, minchione, fanfarone, imbroglione... "
" Matto? Perché? "
" Qualche volta parlo da solo. "
" E che cosa dici, per esempio? "
" Mi racconto delle storie, invento nomi e parole che non esistono e roba del genere. "
" E queste cose te le racconti da solo? Perché? "
" Ma... perché non c'è nessuno che si interessi di starle a sentire. "
Il signor Coriandoli tacque un momento, pensieroso. " E i tuoi genitori che cosa ne pensano? "
Bastiano non rispose subito. Solo dopo un bel po' mormorò:
" II papà non dice niente. Non dice mai niente. A lui non imporla di nulla ".
" E la mamma? "
" La mamma... non c'è più. "
" I tuoi genitori sono separati? "
" No ", rispose Bastiano, " lei è morta. "
In quel momento suonò il telefono. Il signor Coriandoli si alzò con una certa difficoltà dalla sua poltrona e si trascinò ciabattando in uno studiolo che stava dietro al negozio. Sollevò il ricevitore e Bastiano udì poco distintamente che diceva il proprio nome. Poi la porta si richiuse alle spalle del signor Coriandoli e da quel momento non si poté udire altro che un borbottio sommesso e confuso.
Bastiano stava lì e non sapeva bene come gli fosse accaduto di mettersi a raccontare tutte quelle cose e perché mai lo avesse fatto. Detestava di essere interrogato in quel modo. Improvvisamente, con una gran vampata di calore, gli venne in mente che sarebbe arrivato troppo tardi a scuola, sicuro, certo, doveva affrettarsi, doveva mettersi a correre; invece restò impalato dov'era, senza riuscire a decidersi. Qualcosa lo teneva inchiodato lì, non sapeva che cosa.
Dalla stanza accanto veniva sempre la voce in sordina. Era una lunga telefonata.
Bastiano si rese conto d'un tratto che in tutto quel tempo aveva tenuto lo sguardo continuamente fisso sul libro che il signor Coriandoli aveva avuto in mano prima, quando sedeva in poltrona. Non riusciva a staccarne gli occhi. Era come se da quel libro emanasse qualche straordinaria forza magnetica che lo attirava irresistibilmente.
Si avvicinò alla poltrona, allungò lentamente la mano, toccò il libro, e in quello stesso istante dentro di lui qualcosa fece " clic! " come se una trappola si fosse serrata. Bastiano ebbe l'oscura sensazione che con quel breve contatto avesse avuto inizio qualcosa di irrevocabile, che ora avrebbe proseguito il suo corso.
Sollevò il libro e lo osservò da tutte le parti. La copertina era di seta color rubino cupo e luccicava mentre la rigirava di qua e di là. Sfogliandolo fuggevolmente vide che i fogli erano stampati in due colori diversi. Illustrazioni pareva non ce ne fossero, ma in compenso vi erano meravigliosi capilettera figurati.
Quando tornò a osservare la copertina, ci scoprì sopra due serpenti, uno scuro e l'altro chiaro, che si mordevano la coda, orinando così un ovale. E in questo ovale c'era il titolo, in strani Caratteri:

La Storia Infinita

Le passioni umane sono una cosa molto misteriosa e per i bambini le cose non stanno diversamente che per i grandi. Coloro che ne vengono colpiti non le sanno spiegare, e coloro che non hanno mai provato nulla di simile non le possono comprendere. Ci sono persone che mettono in gioco la loro esistenza per raggiungere la vetta di una montagna. A nessuno, neppure a se stessi, potrebbero realmente spiegare perché lo fanno. Altri si rovinano per conquistare il cuore di una persona che non ne vuole sapere di loro. E altri ancora vanno in rovina perché non sanno resistere ai piaceri della gola, o a quelli della bottiglia. Alcuni buttano tutti i loto beni nel gioco, oppure sacrificano ogni cosa per un'idea fissa, che mai potrà diventare realtà. Altri credono di poter essere felici soltanto in un luogo diverso da quello dove si trovano e così pisano la vita girando il mondo. E altri ancora non trovano pace fino a quando non hanno ottenuto il potere. Insomma, ci sono (mite e diverse passioni, quante e diverse sono le persone.
Per Bastiano Baldassarre Bucci la passione erano i libri.
Chi non ha mai passato interi pomeriggi con le orecchie in fiamme e i capelli ritti in testa chino su un libro, dimenticando atto il resto del mondo intorno a sé, senza più accorgersi di aver fame o freddo; chi non ha mai letto sotto le coperte, al debole bagliore di una minuscola lampadina tascabile, perché altrimenti il papà o la mamma o qualche altra persona si sarebbero preoccupati di spegnere il lume per la buona ragione ch'era ora di dormire, dal momento che l'indomani mattina bisognava alzarsi presto; chi non ha mai versato, apertamente o in segreto, amare lacrime perché una storia meravigliosa era finita ed era venuto il momento di dire addio a tanti personaggi con i quali si erano vissute tante straordinarie avvrnture, a creature che si era imparato ad amare e ammirare, per le quali si era temuto e sperato e senza le quale d'improvviso la vita pareva così vuota e priva di interesse; chi non conosce tutto questo per sua personale esperienza, costui molto probabilmente non potrà comprendere ciò che fece allora Bastiano
Fissava il titolo dei libro e si sentiva percorrere da vampate di Caldo e di freddo. Questo, ecco, proprio questo era ciò che lui aveva sognato tanto spesso e che sempre aveva desiderato da quando era caduto in preda alla sua passione: una storia che non dovesse mai avere fine. Il libro di tutti i libri.
Doveva avere quel libro, a ogni costo!
A ogni costo? Era facile a dirsi! Anche se avesse potuto offrire più delle duemila lire che portava con sé, quel poco gentile signor Coriandoli aveva anche troppo chiaramente fatto capire che non gli avrebbe venduto alcun libro. E tanto meno glielo avrebbe regalato. No, la cosa non aveva soluzione, era un vero caso disperato.
Eppure Bastiano sapeva che non sarebbe mai potuto andarsene senza quel libro. Adesso gli era chiaro che proprio a causa di quel libro era venuto qui, era stato il libro a chiamarlo in quella sua misteriosa maniera, perché voleva andare da lui, perché in fondo era già suo, gli apparteneva da sempre!
Bastiano restò in ascolto del mormorio che continuava a venire dallo studio dov'era il telefono.
Prima ancora di accorgersene si era d'improvviso nascosto il libro sotto il cappotto e se lo premeva contro il petto con entrambe le braccia. Senza far rumore camminò a ritroso fino alla porta, tenendo ansiosamente d'occhio l'altra porta, quella che dava nello studiolo. Premette cauto la maniglia. Voleva a tutti i costi evitare che i campanellini d'ottone si mettessero a cantare, perciò aprì la porta a vetri solo quel tanto che gli bastava per sgusciar fuori. Poi, lento e cauto, la richiuse dall'esterno.
Solo allora cominciò a correre.
I quaderni, i libri di scuola, l'astuccio portapenne, tutto saltellava e ticchettava nella cartella al ritmo del suo passo. Si sentì delle fitte nel fianco, ma continuò a correre.
La pioggia gli cadeva sul viso e gli scendeva dentro il colletto.
Freddo e umidità gli penetravano nel cappotto, ma Bastiano non li sentiva. Lui aveva caldo, ma non per la corsa.
La sua coscienza, che prima nel negozio del libraio non aveva dato segni di vita, s'era improvvisamente risvegliata. Tutte le ragioni che prima erano state così convincenti gli apparvero d'un tratto totalmente inaccettabili. Si scioglievano come pupazzi di neve al fiato di un drago, sputafuoco.
Aveva rubato. Era un ladro!
Quel che aveva fatto era ancor peggio di un furto comune. Questo libro era certamente unico al mondo e insostituibile. Sicuramente era il più gran tesoro del signor Coriandoli. Rubare a un violinista un violino unico al mondo, o a un re la sua corona, era ben diverso che rubar soldi da una cassa.
E mentre correva così, si premeva il libro sotto il cappotto. Non lo voleva perdere, per quanto caro quel gesto potesse mai venirgli a costare. Era tutto ciò che possedeva ancora al mondo.
Perché a casa adesso naturalmente non poteva più tornare.
Tentò di immaginare suo padre seduto nella grande stanza che aveva attrezzato a laboratorio, intento a lavorare. Intorno a lui c'erano dozzine di calchi di gesso di dentature umane, perché suo padre faceva l'odontotecnico. Bastiano non si era mai dato pena di pensare se suo padre facesse davvero volentieri il suo lavoro. Gli venne in mente in quel momento per la prima volta, ora che non avrebbe mai più potuto domandarglielo.
Se adesso fosse andato a casa, suo padre sarebbe uscito dal laboratorio nel suo camice bianco, forse con una dentiera di gesso in mano e avrebbe domandato: " Già di ritorno? "
" Sì ", avrebbe risposto Bastiano.
" Niente scuola, oggi? " Vedeva davanti a sé il volto immobile e triste di suo padre e sapeva che gli sarebbe stato impossibile mentire. Ma ancor meno poteva dirgli la verità. No, l'unica cosa che poteva fare era andarsene, non sapeva dove, lontano, lontano. Il papà non doveva mai venire a sapere che suo figlio era diventato un ladro. E forse non si sarebbe neppure accorto che Bastiano non c'era. Questo pensiero stavolta aveva persino qualcosa di confortante.
Bastiano aveva smesso di correre. Ora camminava lentamente e all'estremità della via vide l'edificio della scuola. Senza accorgersene aveva preso la strada di tutti i giorni. Ora però questa gli parve addirittura deserta, sebbene qua e là si vedesse qualche passante.
Ma per uno che arriva con troppo ritardo, il mondo intorno alla scuola sembra sempre come morto. E Bastiano sentiva la paura crescergli dentro a ogni passo. Aveva comunque sempre paura della scuola, il luogo delle sue quotidiane sconfitte, paura dei maestri che si rivolgevano benevoli alla sua coscienza, o che invece gli rovesciavano addosso le loro arrabbiature, paura dei compagni che si prendevano gioco di lui e che non perdevano mai un'occasione per dimostrargli quanto fosse maldestro e indifeso.
La scuola gli era sempre apparsa come una prigione, una punizione interminabile, che sarebbe finita solo quando fosse stato grande, una penitenza che doveva semplicemente subire, muto e rassegnato.
Ma quando ora si ritrovò a passare per i rimbombanti corridoi, dove si sentiva odor di cera da pavimenti e di cappotti bagnati, quando il silenzio in agguato gli colmò le orecchie come un tampone di ovatta e finalmente si trovò davanti la porta della sua classe, dipinta dello stesso color spinaci vecchi dei muri e delle porte, allora gli fu chiaro che d'ora in poi anche qui non c'era più posto per lui. Doveva andar via. Quindi tanto valeva che se ne andasse subito.
Ma dove?
Nei suoi libri Bastiano aveva letto storie di ragazzi che s'imbarcavano su una nave e se ne andavano per il vasto mondo in cerca di fortuna. Qualcuno diventava anche un eroe o un pirata, altri ritornavano dopo molti anni in patria, ricchissimi, e nessuno scopriva chi fossero.
Ma per questo Bastiano non si sentiva all'altezza. Non riusciva neppure a immaginarsi che lo prendessero come mozzo su una nave. Inoltre non aveva la più pallida idea su come arrivare in una città di mare, in un porto dove ci fosse una nave adatta per un'impresa così audace.
E dove andare, allora?
All'improvviso gli, venne in mente il posto giusto, l'unico posto dove, almeno per il momento, nessuno sarebbe andato a cercarlo a trovarlo.
La soffitta era grande e buia. Odorava di polvere e di naftalina. All'infuori del tambureggiare leggero della pioggia sulle lastre di tane del gran tetto, non si sentiva volare una mosca. Travi possenti, nere di vecchiaia, si levavano a intervalli regolari dal pavimento, si incontravano più in alto con altre travi del tetto, per perdersi poi da qualche parte nel buio. Qua e là pendevano ragnatele grandi come amache, che si muovevano avanti e indietro nella corrente d'aria, lievi e silenziose come spiriti. Dall'alto di un finestrino che si apriva nel tetto scendeva un lattiginoso raggio di luce. l'unico essere vivente, in quel luogo dove il tempo pareva essersi fermato, era un topolino che saltellava sul pavimento, lasciando sulla polvere le minuscole impronte delle minuscolissime zampe. Là dove strisciava per terra il codino, fra le impronte delle zampe, correva un segno lungo e sottile. Improvvisamente la bestiola si arrestò e rimase in ascolto. E poi, psst! con un guizzo sparì in un buco dell'assito.
Si udì il rumore di una chiave che girava in una grossa serratura, la porta si aprì lenta e cigolante e per un attimo nella soffitta cadde una lunga striscia di luce. Bastiano scivolò dentro, poi la porta si richiuse con rumore.
II ragazzo infilò la grossa chiave nella serratura dall'interno e la girò. Poi tirò persino un catenaccio e infine emise un gran sospiro di sollievo. Ora era davvero introvabile. Qui nessuno sarebbe venuto a cercarlo. Ben di rado qualcuno capitava quassù, questo lo sapeva con una certa sicurezza, e anche se il caso avesse voluto che proprio oggi o l'indomani qualcuno fosse dovuto venire a cercarvi qualcosa, la persona in questione avrebbe trovato la porta chiusa. E la chiave non c'era più. E nel caso che in qualche maniera riuscissero a trovare il modo di aprire la porta, Bastiano aveva tutto il tempo per trovarsi un nascondiglio in mezzo a tutto quel ciarpame.
A poco a poco i suoi occhi si abituarono alla penombra. Conosceva quella soffitta. Circa sei mesi prima il bidello lo aveva chia-mato, un giorno, per farsi aiutare a trasportare una gran cesta del bucato piena di vecchi questionari e incartamenti che dovevano essere depositati in soffitta. In quell'occasione aveva visto anche dove veniva tenuta la chiave: in un armadietto a muro presso l'ultimo pianerottolo. Da allora non ci aveva più pensato. Ma adesso gli era tornato alla mente, giusto in tempo.
Bastiano cominciò a tremare dal freddo, il cappotto era fradicio di pioggia e lo stanzone era gelido. Per prima cosa doveva trovare un posto dove potersi sistemare un po' più comodamente. Dopotutto qui sarebbe dovuto rimanere per molto tempo. Quanto? A questo per il momento non aveva ancora pensato e neppure al fatto che ben presto avrebbe avuto fame e sete.
Si guardò un po' intorno.
Nella soffitta era sparsa un po' dappertutto ogni sorta di ciarpame, c'erano scaffali pieni di raccoglitori e di cartelle, pacchi di incartamenti che non servivano più a nessuno, banchi di scuola accatastati gli uni sugli altri con i ripiani macchiati di inchiostro, un cavalletto dal quale pendevano una dozzina di vecchissime carte geografiche, parecchie lavagne con il nero che si sbrecciava, vecchie stufe di ghisa arrugginite, attrezzi ginnici in disuso, come ad esempio un cavallo, con la copertura di cuoio così malandata che ne spuntava fuori l'imbottitura, palloni scoppiati, una pila di vecchie e macchiate stuoie da ginnastica, inoltre qualche animale impagliato mangiato dalle tarme, fra cui un grosso gufo, un'aquila reale e una volpe, e poi ogni sorta di alambicchi, storte e flaconi di vetro incrinati, una macchina elettrostatica, uno scheletro umano appeso a un attaccapanni e molte casse e scatole piene di vecchi quaderni e testi scolastici. Bastiano alla fine decise di eleggere a sua dimora le stuoie da ginnastica. Se ci si stendeva sopra all'intera pila, pareva di essere su un sofà. Le trascinò sotto il finestrino del tetto, nel punto in cui arrivava più luce. Lì vicino c'erano, ammonticchiate, alcune vecchie coperte militari grigie, molto polverose e malconce, ma che facevano ottimamente al caso suo. Bastiano le andò a prendere. Si tolse il cappotto e lo appese al portabiti, accanto allo scheletro, che dondolò un momento su e giù; ma Bastiano di lui non aveva paura, forse perché a casa sua era abituato a vedere cose del genere. Si tolse anche le scarpe, molli d'acqua, e in calzini di lana si lasciò cadere alla turca sulla pila delle stuoie, avvolgendosi le coperte grigie intorno alle spalle. Accanto a sé aveva la sua cartella, e il libro color rame.
Pensò che, di sotto, i suoi compagni avevano adesso giusto la lezione d'italiano. Forse dovevano fare un tema su qualche argomento noioso da morire.
Bastiano guardò il libro.
"Mi piacerebbe sapere ", mormorò fra sé, " che diavolo c'è in un libro fintanto che è chiuso. Naturalmente ci sono dentro soltanto le lettere stampate sulla carta, però qualche cosa ci deve pur essere dentro, perché nel momento in cui si comincia a sfogliarlo, subito c'è lì di colpo una storia tutta intera. Ci sono personaggi che io non conosco ancora e ci sono tutte le possibili avventure e gesta e battaglie, e qualche volta ci sono delle tempeste di mare oppure si arriva in paesi e città lontani. Tutte queste cose in qualche modo sono già nel libro. Per viverle bisogna leggerlo, questo è chiaro. Ma dentro ci sono fin da prima. Vorrei proprio sapere come. "
E d'improvviso si sentì avvolgere da un'atmosfera quasi solenne.
Si sistemo comodamente, afferrò il libro, aprì la prima pagina e cominciò a leggere.


La Storia Infinita


Brano tratto da "La Storia Infinita" di Michael Ende - Corbaccio