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Paulo Coelho - Monte Cinque
La donna estrasse dalla manica una tavoletta di creta, con qualcosa scritto sopra.
"Che cosa significa?" domandò Elia.
"È la parola amore."
Elia trattenne la tavoletta fra le mani, senza avere il coraggio di domandarle perché mai lei gliela avesse data. Su quel pezzo di argilla, quei pochi tratti riassumevano il motivo per cui le stelle erano ancora nel
cielo e gli uomini sulla terra.
Fece per restituirgliela, ma lei la respinse.
"L'ho scritto per te. Sono consapevole della tua responsabilità. So che un giorno dovrai partire, e che ti trasformerai in un nemico del mio paese, giacché vuoi annientare Gezabele. Quel giorno, può darsi che io sarò al tuo fianco, dandoti sostegno e appoggio perché tu riesca al meglio nel tuo compito. O può darsi che lotti contro di te, perché il sangue di Gezabele è il
sangue del mio paese. Questa parola, che adesso hai fra le mani, è densa di misteri. Nessuno può sapere ciò che risveglia nel Cuore di una donna, neanche i profeti che parlano con Dio."
"Conosco la parola che hai scritto," disse Elia, serbando la tavoletta sotto il mantello. "Ho lottato contro di lei giorno e notte, perché, sebbene io non sappia ciò che risveglia nel cuore di una donna, so che cosa può fare a un uomo. Ho abbastanza coraggio per affrontare il re di Israele, la principessa di Sidone, il Consiglio di Akbar, ma quest'unica parola, amore, suscita in me un profondo terrore. Prima che la disegnassi su questa tavoletta, i tuoi occhi l'avevano già scritta nel mio cuore."
Rimasero tutti e due in silenzio. C'era la morte dell'assiro, il clima di tensione in città, la chiamata del Signore che poteva avvenire da un momento all'altro:
ma la parola che lei aveva scritto era più potente di tutto questo.
Elia le tese la mano e lei gliela strinse. E rimasero così finché il sole si nascose dietro il Monte Cinque.
Elia si svegliò di soprassalto e guardò il firmamento. Era questa la storia che mancava!
Molto tempo addietro, il patriarca Giacobbe si era accampato e, durante la notte, qualcuno entrò nella sua tenda e lottò con lui fino allo spuntare dell'aurora. Giacobbe accettò il combattimento, pur sapendo che l'avversario era il Signore. All'alba, non era ancora stato vinto: e cessò il combattimento soltanto quando Dio acconsentì a benedirlo.
La storia era stata tramandata di generazione in generazione perché nessuno la dimenticasse mai: a volte era necessario lottare con Dio. Ogni essere umano, a un certo momento, vedeva una tragedia attraversare la propria vita: poteva essere la distruzione di una città, la morte di un figlio, un'accusa senza prove, una malattia che lasciava invalidi per sempre. In quel momento Dio lo sfidava ad affrontarLo, e a rispondere alla Sua domanda: "Perché ti aggrappi tanto a un'esistenza così breve e così piena di sofferenza? Qual è il significato della tua lotta?"
Allora l'uomo che non sapeva rispondere a questa domanda si rassegnava. Mentre l'altro, quello che cercava un significato all'esistenza, pensava che Dio fosse stato ingiusto, e si accingeva a sfidare lo stesso destino. Era proprio in quel momento che un altro fuoco
dei cieli scendeva: non il fuoco che uccide, ma quello che distrugge le antiche mura e concede a ogni essere umano le sue vere possibilità. I codardi non lasciano mai che il proprio cuore sia incendiato da questo fuoco: tutto ciò che essi desiderano è che la nuova situazione torni rapidamente a essere quella di prima, per poter continuare a vivere e a pensare nel modo in cui erano soliti. I valorosi, invece, appiccano il fuoco a ciò che era vecchio, e, sia pure a costo di grande sofferenza interiore, abbandonano tutto, compreso Dio, e vanno avanti.
"I valorosi sono sempre tenaci."
Dal cielo, il Signore sorride contento, perché era ciò che Egli voleva: che ciascuno avesse nelle proprie mani la responsabilità della propria vita. In fin dei conti aveva dato ai propri figli il più grande di tutti i doni: la capacità di scegliere e decidere i propri atti.
Soltanto gli uomini e le donne segnati nel cuore dalla fiamma sacra avevano il coraggio di affrontarlo. E soltanto questi conoscevano il cammino per tornare al Suo amore, giacché capivano finalmente che la tragedia non era una punizione, ma una sfida.
Elia rivide a uno a uno tutti i suoi passi: dal momento in cui aveva lasciato la falegnameria, aveva accettato la propria missione senza discutere. Anche se fosse stata vera, e lui pensava che lo fosse, Elia non aveva mai avuto l'opportunità di vedere che cosa accadeva nei cammini che aveva rifiutato di percorrere. Perché aveva paura di perdere la fede, la dedizione, la volontà. Riteneva che fosse molto rischioso sperimentare il cammino delle persone comuni: alla fine avrebbe potuto anche abituarvisi e amare ciò che vedeva. Non capiva che anche lui era una persona come
tutte le altre, anche se udiva gli angeli e riceveva di tanto in tanto qualche ordine da Dio: era talmente
convinto di sapere ciò che voleva da essersi
comportato proprio come coloro che non avevano mai preso una decisione importante nella vita.
Era sfuggito al dubbio. Alla sconfitta. Ai momenti di indecisione. Ma il Signore era generoso, e lo aveva! condotto sull'abisso dell'inevitabile per dimostrargli
che l'uomo deve scegliere, e non accettare, il proprio destino.
Molti e molti anni addietro, in una notte come
quella, Giacobbe non aveva permesso che Dio se ne andasse prima di averlo benedetto. Allora il Signore
gli aveva domandato: "Come ti chiami?"
Era questo il problema: avere un nome. Quando Giacobbe aveva risposto, Dio lo aveva battezzato Israele. Ciascuno ha un nome fin dalla nascita, ma deve apprendere a battezzare la propria vita con la parola che ha scelto per dare alla vita stessa un significato.
"Io sono Akbar," aveva detto lei.
Erano state necessarie la distruzione della città e la perdita della donna amata perché Elia capisse che aveva bisogno di un nome. E in quell'istante chiamò
la propria vita Liberazione.
Brani tratti da "Monte Cinque" di Paulo Coelho - Bompiani
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