Rosa Dai Petali Azzurri    

 

 

 "Mio padre, come un ragno tesse le sue tele. Lancia i suoi fili, con cui manovrerà le persone come fossero stupide marionette... e non ha risparmiato nemmeno la carne della sua carne, anzi, con me sembra essersi accanito..."

"In prigione mi tiene uno strano destino, che altri hanno scelto per me"

 

 "Il mare: mia casa, mia via di fuga; mia prigione,mia libertà; mia culla, mia tomba. Un giorno l'oceano accoglierà nel suo abisso le mie spoglie mortali e le onde saranno la lapide del mio sacrario"

"Avete mai provato la sensazione di sentirvi straniero in ogni luogo? Ebbene a me capita spesso di sentirmi fuori posto, ovunque io sia. Nè carne nè pesce... nè bene nè male... sono tutto e niente... in me convivono diverse nature in conflitto tra loro e questo conflitto mi sta dilaniando "

"In natura le rose hanno diversi colori: arancio, rosa, rosso, giallo, bianco,  ma l'azzurro manca! L' unico modo per dare alle loro corolle tale sfumatura è colorarle con l'inchiostro. A lungo andare però l'acidità e il veleno contenuti nell'inchiostro stesso finiscono per danneggiare i petali, corrodendoli lentamente. Mio padre ebbe in dono una rosa bianca e volle dipingerla d'azzurro... E ora l'inchiostro da lui usato mi corrode lentamente"

 Nacqui il 13 di Gennaio, in una fredda notte invernale. Su Plymouth, nella contea del Devon, la neve cadeva fitta giù dal cielo. 

 

Per mio padre, Sir James Christian Lowe, anziano ed  importante Ammiraglio della Royal Navy, la mia nascita non fu certo una benedizione.

Mia madre, Margherita Sofia Ruzzi Belmoro, una nobildonna di origine italiana ancora nel fiore degli anni, morì di parto, e il mio gemello la seguì nel "Regno dei più" nel giro di poche ore. Il mio attempato genitore dovette pensare che era sopravvissuto il figlio sbagliato.

   

Io ero solo una bambina e mio padre, invece, desiderava ardentemente un secondo figlio maschio che continuasse a mantenere alto il nome dei Lowe nella Marina Militare

Egli, infatti, aveva già un figlio, Maximilian August, nato da un precedente matrimonio, che però, a causa di una grave malattia avuta all’età di quattro anni, presentava seri problemi alle gambe ed era  inadatto ad intraprendere la carriera militare. Essendo il primogenito, Maximilian era, comunque, destinato ad occuparsi dei beni di famiglia, che un giorno, alla morte di nostro padre, avrebbe ereditato assieme al titolo di barone.

Da uomo arrogante e superbo qual'era, Lord James Christian Lowe ebbe la presunzione di correggere quello che, secondo lui, era stato un errore o una beffa del Fato.

 

 Temendo che non avrebbe più avuto altri figli, considerata la sua età avanzata, egli decise che sarei stata io il figlio cadetto tanto desiderato e negatogli dal Destino. Nessuno riuscì ad opporsi a questa sua idea.

Mi diede così un nome maschile, battezzandomi Francis James, nome destinato in realtà al mio defunto gemello, e volle che fossi educata e cresciuta come un ragazzo.

 

 Mi circondò inoltre, fin dalla più tenera infanzia, di cannocchiali, bussole, sestanti e modellini di navi. Quei balocchi inusuali dovevano servire a farmi prendere confidenza e familiarità con quel mondo in cui voleva a tutti i costi inserirmi.

L'unico bel ricordo che ho di mio padre, risale a moltissimo tempo fa.

  

 Potevo avere quattro o cinque anni. Giocavo presso la fontana nel cortile. Facevo galleggiare sull'acqua delle barchette ricavate con dei gusci di noce. Lui, impeccabile nella sua divisa, che indossava con orgoglio, si avvicinò e mi chiese cosa stessi facendo. Gli risposi che stavo dando gli ordini alla mia flotta.  Non disse nulla, ma mi sorrise e mi prese in braccio: fu la prima e unica volta. 

Gli unici ricordi che ho di mia madre, invece, sono legati ad un suo ritratto, appeso ad una parete di quello che tutti, in casa Lowe, chiamavamo il salotto azzurro

 

e alla lapide sul suo sepolcro. Quante volte, da bambina, ho pianto fino allo sfinimento abbracciando quella fredda pietra tombale.

 

   Mi recavo al cimitero ogni volta che sentivo di aver bisogno dell'affetto materno e ogni volta che Nancy, la mia balia, e  Mariah, la mia tutrice, mi rimproveravano. Dentro di me cominciai a nutrire un profondo senso di colpa: nascendo avevo ucciso chi mi aveva dato la vita.

Ero cresciuta tra le menzogne ordite, per me, da mio padre e avevo maturato l'assurda convinzione di essere un bambino. Fino agli undici anni credevo che l'unica distinzione esistente tra uomini e donne fosse nei vestiti da loro indossati. 

 

Quando compii 12 anni, mio padre ritenne arrivato il momento opportuno per farmi entrare in Marina e, usando tutta la sua influenza, riuscì a farmi imbarcare come Midshipman su un vascello di terzo rango da 74 cannoni: il "Northern Star".

 

Il Capitano e il medico di bordo del "Northern Star" dovevano molti favori a mio padre, quindi accettarono di buon grado la mia presenza sulla nave e si impegnarono a mantenere il segreto sulla mia vera identità. I sei anni passati come Allievo Ufficiale, furono forse i più brutti della mia vita. L'impatto con la nuova realtà e il nuovo ambiente, dove la disciplina era impartita anche a suon di sberle e punizioni corporali, fu durissimo. Ben presto, tuttavia, scoprii di amare il mare e le navi e questo mi aiutò a tollerare un genere di vita che mi era stato imposto.

L’imbarco sul “Northern Star” per me ebbe anche altri risvolti: ero passata dal dorato isolamento nella villa di famiglia al sovraffollato e variegato microcosmo delle navi; questo mi permise di  mettermi a confronto con altre persone. Fu allora che capii per la prima volta che non ero uguale agli uomini, anche se, tuttavia, mi sentivo estremamente differente dalle donne. 

Costretta a nascondere la mia vera identità, crebbi divenendo, negli atteggiamenti e nelle inclinazioni, simile agli uomini 

A 18 anni sostenni l'esame per diventare "Tenente di Vascello" e lo superai con il massimo dei voti. A dire il vero entrai nella sala dove mi attendevano i miei esaminatori con la ferma convinzione di fare scena muta.

 

  Desideravo essere cacciata a pedate dalla Royal Navy, da quel mondo che non sentivo mio. Invece... Quando il Commodoro mi fece la prima domanda, il mio orgoglio mi sciolse la lingua. Non sopportavo l'idea che gli altri mi reputassero uno "sciocco buono a nulla".

Con il grado di Tenente di Vascello, presi servizio, come quinto ufficiale,  sul H.M.S. White Albatross, una nave di linea di terzo rango da 74 cannoni.

 Il Capitano del White Albatross era Raymond Aaron Kelly. Zio Ray, come ero solita chiamarlo nel periodo della mia infanzia. Il capitano Kelly  era solito frequentare la nostra casa; egli era il fratello di Elizabeth, la prima moglie di mio padre.  Tra noi non c'erano legami di sangue, ma lui s'era affezionato sinceramente a me  e io gli volevo bene come fosse stato davvero mio zio.

Fu sull'Albatross che incontrai il Tenente Douglas Archer. Era un uomo sulla trentina. Alto, prestante e vigoroso. Sul suo volto, dai lineamenti decisi e dalla carnagione abbronzata, cominciavano a comparire le prime rughe, che, tuttavia, non l’imbruttivano, anzi lo rendevano più interessante. 

Sulla testa aveva una selva indisciplinata di capelli bruni e ricci: alcune ciocche ribelli riuscivano a sfuggire alla lenta prigionia del nastro di seta blu. Sotto le sue sopracciglia scure e folte, ma ben delineate, risaltavano due occhi azzurri, magnetici, intensi e fortemente espressivi. Era impossibile non notarli. Mi innamorai di lui.  Purtroppo un terribile incidente me lo portò via:  durante  una notte di tempesta il mare lo rapì.

Quando tornai a Plymouth, mio padre stava organizzando una festa per il fidanzamento del mio fratellastro. Lui. Maximilian August, zoppo e antipatico;  lei altezzosa, smorfiosa  e anche poco intelligente, ma tanto ricca: un matrimonio di interessi.

 Partecipai contro voglia ai festeggiamenti, con indosso la mia uniforme migliore. Quella sera fui l'oggetto dell'attenzione di tante ragazzine, che ancora innocenti, sognano ed idealizzano il primo amore. Una di loro, secondo me non era neanche quindicenne, fu particolarmente audace, dandomi l'assedio nel vero senso della parola. Io non sapevo cosa fare.  Avrei voluto dirle che in realtà ero una donna e che stava sbagliando le sue mire, ma sapevo che non dovevo rivelare la mia vera identità, per non scatenare le ire di mio padre.

Cercai di evitarla. Feci finta di ignorarla. Mi misi persino a suonare la spinetta, intrattenendo un gruppo di Capitani di Vascello con le loro  rispettive consorti in una saletta del palazzo, ma questa ragazzina mi seguì ovunque mi portavano i miei passi.

 Si poggiò con aria estasiata alla spinetta, alternando lo sguardo sulle mie mani e poi sul mio volto. Anche se facevo finta di ignorarla, sentivo che le sue attenzioni mi gratificavano. Ad un tratto mi accorsi che anche Sir James era nella stanza. Allora per provocarlo, smisi di suonare e dissi alla ragazzina che mi sarebbe piaciuto ballare e che se lei non aveva altri cavalieri, l'avrei invitata volentieri a ballare con me. Alla ragazzina si illuminò lo sguardo e accettò. Le porsi quindi il braccio e l'accompagnai nell'altra sala, passando davanti a mio padre, che, a dispetto delle mie aspettative, non fece nemmeno una piega.

Ballammo. Un minuetto, poi un valzer, poi ci ritrovammo a passeggiare in giardino, mano nella mano. Come fossimo finite lì non saprei dirlo. So solo che quando ci ritrovammo in un angolino appartato, le nostre labbra si sfiorarono.

 La baciai e fu bellissimo, ma ben presto subentrarono i sensi di colpa per quello che avevo fatto. Sapevo che quello era un reato contro natura. Finsi un mal di testa e scappai a rifugiarmi in camera mia.

L'Ammiragliato mi assegnò ai Servizi Costieri. Questo mi permetteva di tornare a Plymouth con maggiore frequenza. 

Non volendo condividere la casa con  mio padre e con la famiglia del mio caro fratellastro, decisi di prendere una camera in affitto in qualche locanda. Fu così che stabilii il mio domicilio alla "Fisher King's Inn". 

 

In quel periodo prestavo servizio sul brigantino "Sea Hunter" ed ero agli ordini del signor Finney, un capitano di corvetta non più giovane, ma abbastanza giovanile e dall'aspetto piacente. Finney era stato un ufficiale di mio padre e conosceva tutta la verità sul mio conto. 

Una sera mi fece chiamare nella sua cabina e dopo aver prestato ascolto ai miei rapporti mi invitò a bere del vino assieme a lui. Accettai e cominciammo a parlare di cose che non riguardavano il servizio. Ad un certo punto lui mi confessò di provare un certo tipo di sentimenti per me e voleva sapere se per caso anche io ricambiavo. Gli risposi di sì. Volevo provare a me stessa di non essere contro natura. Quella sera cominciò tra me e il comandante Finney una relazione torbida e confusa della quale provo ancora disgusto e vergogna. La prima volta che sbarcai dal "Sea Hunter", mi recai subito alla "Fisher King's Inn".

 Judith, la figlia maggiore del proprietario, che aiutava i genitori in taverna sin da quando aveva imparato a muovere i primi passi, sembrava nutrire delle simpatie per me. Era bella e radiosa come il sole di primavera, con i suoi capelli rossi e gli occhi di giada incastonati tra l'oro antico delle sue ciglia.

Provavo affetto per Judith e sapere che anche lei ne provava per me mi rendeva felice.  Ella  mi accolse con gioia, corse a preparare quelle che sapeva essere le mie pietanze preferite e poi andò a preparare la mia camera. Quando, finito di mangiare, andai a mettermi a letto trovai sotto il cuscino una lettera di Judith per me, nella quale diceva di amarmi.     

 Non potete immaginarvi la sorpresa. Il giorno dopo cercai di allontanare la ragazza da me, dicendole che noi marinai non siamo buoni partiti, che siamo costretti a star molto tempo lontani da casa, che la nostra vita è fragile e sempre sotto costante pericolo, che abbiamo una donna in ogni porto... Judith sembrava molto delusa dalle mie parole. Sembrava ferita. Decisi di rivelarle la realtà sul mio conto, perchè non mi andava di vederla triste pensando che l'avessi rifiutata.

 All'inizio non mi volle credere e mi chiese una prova di quanto le avessi detto: voleva che mi togliessi la camicia. La invitai a raggiungermi in camera mia appena avesse avuto un attimo di tempo. Quando le mostrai il petto, Judith scoppiò a piangere a dirotto e scappò via dalla mia stanza. Per un paio di giorni mi evitò così come si evita un appestato. La sua reazione mi rattristò molto.

 Nel frattempo continuavo a frequentare il capitano Finney, e ben presto giunse il momento di riprendere il largo sulla sua nave. Finney mi piaceva sempre meno, però ogni volta che tentavo di rompere il nostro rapporto, lui mi minacciava, dicendo che avrebbe reso noto a tutti la mia vera identità, che avrebbe fatto finire nei guai me e mio padre...sembrava un folle e mi faceva paura.

 Non sapevo cosa fare per risolvere la situazione. Quando mi sembrava che i miei nervi stessero per cedere arrivò il salutare giorno dello sbarco.

Mi diressi verso la locanda, ma quando stavo per aprire la porta mi venne in mente quello che era successo tra me e Judith e mi sentii sopraffare dalla tristezza. Entrai comunque, anche perchè non sapevo dove altro andare. Era sera inoltrata. Judith mi fece accomodare ad un tavolo, mi preparò come sempre i miei cibi preferiti e, dopo avermeli serviti, andò a preparare la mia stanza per la notte. 

Notai che Judith arrossiva ogni volta che i nostri sguardi si incrociavano. Lei aveva la pelle così chiara che il rossore era subito molto evidente. Anche quella sera trovai una lettera sotto il cuscino. In essa Judith mi confessava di amarmi nonostante tutto e che non voleva rinunciare a me...

E così quando ero a Terra, passavo le mie giornate con Judith, e quando ero per mare dovevo sottostare ai ricatti del signor Finney. Non tolleravo più la situazione. Presto scoprii anche di aspettare un bambino. Non lo volevo, soprattutto se pensavo a chi era suo padre, eppure non lo volevo perdere. 

Quando sia io sia mio padre fummo finalmente entrambi a Plymouth, decisi di rivelargli tutto quello che stava succedendo tra me e Finney. Mio padre mi prese a schiaffi. Fu la prima volta che alzò le mani su di me. Finney morì in circostanze misteriose, così come era morto in circostanze misteriose un vecchio servitore di casa Lowe che aveva avuto la brillante idea di ricattare mio padre. 

 Con la scusa di dover far fronte ad alcuni problemi di salute venni mandata in Italia, mio padre aveva dei contatti in Toscana. Rimasi lì fino alla nascita del bambino... a dire il vero non so nemmeno se fosse un maschietto o una femminuccia. 

Mi venne portato via subito, senza farmelo nemmeno vedere. Il tempo di rimettermi in forze e dovetti tornare in Inghilterra. Dovevo far finta di niente, dovevo indossare la maschera di vetro e far finta che non fosse successo niente. Ma dentro di me ribollivano odio e rancore. Odiavo me stessa, odiavo mio Padre, odiavo Finney e odiavo la Royal Navy. Non passava giorno che non pensassi al mio bambino e alla sua sorte.

Pur di non restare a terra a mezza paga, accettai nuovamente l'incarico come tenente nel Servizio Costiero. Ero l'ufficiale in seconda del brigantino "Dragonfly". Quando ero a bordo passavo il mio tempo a svolgere i miei doveri e quando non ero di guardia passavo ore e ore a suonare il mio violino. 

Solo la musica sembrava avere il potere di calmarmi.  Solo la musica sembrava avere il dono di mettere a tacere i demoni che urlavano nella mia testa e nel mio animo.  

Quando ero a terra l'unico conforto era tra le braccia di Judith. Si era creato un legame così profondo, tanto che ci capivamo a vicenda senza parlarci.

 Judith venne fidanzata ad un artigiano, ma nonostante questo noi continuavamo a vederci di nascosto. L'amavo  con tutto il mio essere.

 Il "Dragonfly", che era stato aggregato ad una squadra per una missione, fu coinvolto in uno scontro a fuoco. Una grossa scheggia di legno mi si conficcò nel fianco sinistro. Finito lo scontro realizzai di quanto fosse caro il "conto del beccaio".  

Il capitano Langley era morto, l'equipaggio dimezzato. Il comando passò nelle mie mani, ed io avevo diverse ferite;  una profonda lacerazione alla coscia  mi impediva di stare in piedi.

Non potevo lasciare il comando all'ufficiale a me subordinato, perchè era un incompetente, quindi nonostante la ferita cercavo di fare il lavoro mio e quello che sarebbe spettato al capitano. Come se non bastasse, facendo vela verso l'Inghilterra ci imbattemmo anche in una tempesta. 

Passai ore e ore in piedi sul cassero, a guidare e sorvegliare i pochi marinai che avevo a disposizione, con la ferita medicata male: il medico di bordo non aveva rimosso tutti i frammenti di legno e tessuto. Mi si riaprirono persino i punti.

I miei uomini mi portarono alla locanda dove era il mio alloggio, e alcuni si preoccuparono di avvisare mio padre, anche la "Duke of Devonshire" era all'ancora nel porto di Plymouth.

 Il medico di bordo della "Duke of Devonshire", un ottimo chirurgo, disse che avrebbe provato a salvarmi la vita, cercando di pulire la ferita, ma disse anche che nel caso si fosse manifestata nuovamente l'infezione non avrebbe potuto fare nient'altro per me. Nonostante la tintura di laudano che mi aveva somministrato, svenni sotto i ferri per quanto era forte il dolore. Quando mi svegliai trovai Judith al mio fianco.

  Arrivò il giorno delle nozze di Judith. Invidiavo l'uomo che che le sarebbe stato accanto per tutta la vita. Io nel frattempo, avevo avuto l'incarico di Master and Commander e mi fu affidato il comando del brigantino "Balthazar", nave di sua maestà britannica. 

 

Ricevetti l'ordine di salpare alla volta delle Indie Occidentali, per aggregarmi alla squadra del Commodoro Appelby. Il Commodoro era uno stimato uomo di mare, ma ahimè, il suo odio per le "mammolette" me lo mise contro. Con il termine mammolette  solitamente si indicavano gli uomini effeminati. Il mio aspetto androgino, nè prettamente maschile, nè prettamente femminile, gli fecero supporre che fossi un "seguace di Sodoma". E così cominciarono i miei guai!

Un giorno feci presente al Commodoro Appelby che il Balthazar aveva bisogno di essere carenato, poiché le teredini ne avevano danneggiato l'opera viva. Egli non volle sentir ragione e mi impose di partire per una missione di ricognizione. 

Sul viaggio di ritorno ci imbattemmo  in un violento fortunale. Il cielo scuro, ci impediva di fare le rilevazioni. La forte corrente marina ci faceva deviare dalla rotta prestabilita. Con quelle condizioni era difficile stabilire il punto nave. Il Balthazar andò ad urtare contro una scogliera semisommersa. Lo scafo rovinato, si squarciò imbarcando acqua e io persi il mio "Primo Comando". 

Gli eventi si susseguirono vorticosamente, talmente tanto  in fretta che nemmeno riesco a ricordarli. Ero alla ruota del timone, con la convinzione di voler affondare assieme alla mia nave... poi venni sommersa dall'acqua marina... d'un tratto mi resi conto di essere tra i flutti, aggrappata ad una botte vuota che fungeva da galleggiante. Mi aggrappai ad essa con tutte le mie forze, pregando, nella speranza di sopravvivere. Approdai su una piccola isola caraibica. Spagnoli... era governata dagli Spagnoli. 

Cosa fare? Non potevo permettere che gli spagnoli mi prendessero come prigioniero di guerra o peggio come spia. Avrei dovuto cercare di raggiungere in un modo o nell'altro le postazioni inglesi... ma come? Una strana idea cominciò a balenarmi per la mente. In Patria avrebbero creduto il capitano Francis James Lowe deceduto nel naufragio: avevo una possibilità per rinascere e rifarmi una nuova vita. Ma che genere di vita? Vagabondando per l'isola, sotto le mentite spoglie di un mendicante muto, mi imbattei in due strane figure: stavano cercando di scassinare la porta di un magazzino. Li osservai di nascosto e li sentii parlare. Rubando, stavano "facendo provviste" per la loro nave la "Sea Dancer". Erano pirati. Ad un tratto i due si accorsero della mia presenza e, minacciosi,  mi si avvicinarono. 

Si presentarono come Jack il dominicano e Blair Kirk, rispettivamente capitano e stratega della ciurma dei bucanieri. Blair puntò la sua sciabola contro la mia gola e mi chiese chi fossi. Risposi e i due, nel sentire il mio nome e il mio accento inglese, mi chiesero cosa ci facessi in una colonia spagnola. Raccontai a grandi linee la mia vita, dicendo che ero un ufficiale di marina e narrando del naufragio. Dissi loro di essere finita per caso su quell'isola, che ero straniera in un territorio a me ostile. Blair, gitana,nata in Inghilterra, mi abbozzò un sorriso e rinfoderò la sciabola. "Avrai salva la vita se non racconterai a nessuno quello che hai visto stasera" mi disse. "Fate pure come se io non ci fossi" le replicai. Fu allora che si intromise Jack, alto, rude e con una voce cavernosa "Avrai salva la vita se ti unirai a noi. Non sei spagnolo! Sei un marinaio!  ... E noi stiamo cercando gente per rinfoltire le fila dell'equipaggio"

E io accettai. Accettai di aggregarmi alla ciurma di Jack e Blair. In fondo, assieme a loro, avrei dato la caccia ai ricchi mercantili ispanici e danneggiare il commercio spagnolo, combattendo al fianco dei bucanieri, mi sembrava un modo per continuare a servire la mia amata Madre Patria: la cara vecchia Inghilterra. Mi trovavo bene tra i bucanieri. A loro non importava come e cosa fossi, mi accettavano per quello che ero. "Uomo... donna... mammola o invertita...non mi interessa, cosa sei, l'importante è che sai tracciare le rotte!" Questo era solito dirmi il capitano Jack, quando salendo sul ponte della Sea Dancer, mi trovava a compiere le misurazioni per stimare il punto nave.

Ricordo ancora i miei compagni di ciurma: Alissya Nastas, esploratrice ed avventuriera appassionata di studi geografici; il raffinato e colto Manuel Andrade; Mordecai e il suo stranissimo modo di parlare; l'olandese Van Stiller; Dirk l'asociale... bisognava sudare le sette camicie per cavargli due sillabe di bocca!

 

I giorni intanto trascorrevano. Quando non ero a bordo della Sea Dancer, frequentavo il bordello di Zia Polly, o la locanda del "Pappagallo Goloso". Un pomeriggio sedevo presso il bancone della locanda, con gli occhi persi nel mio boccale di rum e i pensieri persi altrove . Una voce femminile, dall'accento portoghese, attirò la mia attenzione. Una giovane prostituta cercava di adescare un uomo, troppo taccagno per accettare l'amore a pagamento che gli veniva proposto. Mi girai per gustarmi la scenetta dell'uomo che scappava difronte alle insistenze della giovane e un'ondata azzurra mi travolse, quando i miei occhi incrociarono quelli della giovane fanciulla. Rimasi senza fiato nel vedere quanto era bella. Fu, per me, amore a prima vista!

Dovevo sapere chi era, come si chiamava, altrimenti non avrei avuto più pace. Così scoprii che il suo nome era Maya. Ardevo dal desiderio di incontrarla ancora eppure non riuscivo a trovare il coraggio di andarla a cercare. Avrei potuto comprare le sue attenzioni, o obbligarla con la forza a passare una notte con me... ma non era solo il suo corpo quello che io volevo. Io desideravo la chiave del il suo cuore e della sua anima, ma  temevo che ella mi rifiutasse per via del mio essere "contro natura". Un pomeriggio la incontrai nuovamente, per caso. Io camminavo verso il porto, lei era seduta sotto l'ombra di un albero col volto sofferente: si sentiva poco bene. Con il cuore che mi batteva in petto come un tamburo, mi offrii di riaccompagnarla presso la sua abitazione. Lei accettò e, quando le porsi il braccio, si appoggiò a me con la delicatezza di una farfalla. Fu così piacevole sentire il tepore del suo corpo appoggiato al mio. Sembrava, in quel momento, così candida e così ingenua. Come poteva essere una prostituta? Fingeva candore e ingenuità? O era davvero un'anima  pura, brutalizzata da una sorte avversa?

Da quel giorno iniziammo a frequentarci sempre più spesso: si era instaurato un rapporto di amicizia. Blue Eyes, così l'avevo soprannominata. E anche se io l'amavo alla follia decisi che, per non rischiare di perderla per sempre e definitivamente, mi sarei accontentata della sua amicizia. Stavo bene in sua compagnia. Mi piaceva parlare con lei, la ragazza dai tristi occhi azzurri. Un giorno, senza che me l'aspettassi, mi disse "Vi amo". Quelle parole mi colpirono come un fulmine a ciel sereno. Mai in tutta la mia vita avevo provato tanta gioia e allo stesso tempo tanta angoscia. Sì angoscia! Temevo che, rivelandole la mia vera identità, Maya sarebbe fuggita via da me disgustata. Mi feci coraggio e le confessai tutto, aprendole il mio cuore. 

Lei mi sorrise e mi rispose che aveva già capito tutto e da tempo e che non le importava ciò che ero. Con il cuore traboccante di gioia e la voce tremante per l'emozione, le confessai di amarla da sempre....sin dal primo giorno in cui i miei occhi neri avevano incontrato l'azzurro dei suoi. " Se mi amate come dite, cosa aspettate a baciarmi?" mi disse maliziosa, socchiudendo gli occhi e mentre si protendeva verso me. Socchiusi gli occhi anche io assaporando la dolcezza delle sue labbra. 

 

Maya per me lasciò il mestiere più antico del mondo, e trovò lavoro presso la Locanda del "Pappagallo Goloso".    Bisticci, battibecchi e litigi turbavano, la nostra serenità, così come gli acquazzoni improvvisi turbano la limpidezza dell'estate. Lei sembrava civettare con tutti i clienti della locanda e questo scatenava in me i demoni della gelosia. Come era bello però far pace!

Un giorno Capitan Jack scomparve improvvisamente. Il comando passò nelle mani di Blair Kirk, la quale promosse, come suo secondo, il suo uomo: Iren, un sadico assassino che si autodefiniva il figlio del diavolo. Iren, per passare il tempo una sera che non aveva nulla da fare, appiccò il fuoco alla locanda dove Maya lavorava. Credendo il mio amore morto nell'incendio, affrontai i miei capi. "Se la mia Blue Eyes è morta, avrete un alleato in meno e un nemico in più"  Iren avrebbe voluto impiccarmi per tradimento. Blair, memore dei buoni servigi prestati sino ad allora, mi risparmiò la vita. Abbandonai la ciurma, poiché ormai al suo interno l'aria s'era fatta per me irrespirabile. Fortunatamente la mia Maya non era deceduta nell'incendio. Eravamo entrambe senza lavoro e senza un posto dove andare, ma assieme ci sostenevamo a vicenda.

I guai non erano ancora finiti. Scoppiò una grave epidemia. Sia io sia Maya fummo contagiate dal morbo. Venimmo portate al lazzaretto assieme ad altri malati. Eravamo vicine di branda. Le mie condizioni sembravano peggiorare molto rapidamente. La febbre alta devastava la mia mente, confondendo i ricordi, mescolando il passato col presente. 

Ed ecco che nel delirio indotto dalla malattia, ebbi l'impressione di essere nel mio letto di Plymouth, con la ferita nella gamba ancora aperta e Judith al mio fianco. "Judith... Judy" invocai spesso il nome del mio amore passato e questo ferì la mia lady Blue Eyes. Dopo un lungo calvario, entrambe guarimmo dal morbo. Tuttavia il filo che ci teneva unite si assottigliò. Maya era divenuta fredda e distante con me. La sentivo lontana quando mi baciava. A volte mi trattava con sufficienza. Probabilmente prese a tradirmi, non so con chi , ma ho la certezza che mi tradisse. Un balordo mi accoltellò per strada per rapinarmi. Alcuni passanti  mi portarono in ospedale con due profondi tagli nel ventre. I medici mi dissero che quelle  ferite potevano infettarsi e degenerare in cancrena, lasciandomi poche speranze di vita. Mandai a chiamare la mia Maya. La volevo vicino a me in quel momento, ma lei non si fece viva. Ero ormai quasi sulla via di guarigione quando vidi Blue Eyes varcare la soglia dell'ospedale: ma non era lì per me. Era ferita. Un uomo aveva tentato di violentarla mentre passeggiava da sola sulla spiaggia.  La rabbia mi accecò. Aveva auto il tempo per passeggiare all'Ansa delle Sirene, ma non aveva trovato nemmeno un secondo per far visita a me, che giacevo ferita in un letto d'ospedale. Litigammo e questa volta decisi di lasciarla.

Fu una scelta sofferta perchè, nonostante tutto, non smisi di amarla. Ovunque posassi gli occhi rivedevo la sua immagine. 

Un giorno i venti di guerra presero a soffiare su San  Josè e furono la flotta e l'esercito inglese a farli spirare. Già l'Inghilterra aveva deciso di invadere quella colonia spagnola, per annetterla ai territori della corona. Ebbi la sventura di essere riconosciuta da uno dei capitani di marina sbarcati sull'isola e venni arrestata come disertore: mi spettava la pena di morte per quel reato che, seppur involontariamente, avevo commesso. Mentre ero in prigione, attendendo il giorno della mia esecuzione, ebbi una visita inaspettata: Iroweth Iriro, comandante in carica delle forze che avevano preso d'assedio San Josè. Una volta avevo salvato la pelle ad Iriro ed ora questi intendeva rendermi il favore: mi fece scappare, inscenando la mia condanna a morte per impiccagione. Non ci potevo credere. La sorte era stata benevola con me ed io ero ancora viva. Dovetti scappare da San Josè e dietro le mentite spoglie di una nuova identità, mi imbarcai come gabbiere sul primo mercantile disponibile.

Passò il tempo e, non so nemmeno io come, le Parche che intrecciano i fili dei destini, mi riportarono a san Josè. Senza un soldo in tasca, senza nè arte nè parte, presi a vagabondare per l'isola, mendicando. Mi esibivo, suonando il mio violino, per un tozzo di pane.  E proprio mentre mendicavo nei pressi della banchina di Iasbela, ecco che incontrai una mia vecchia conoscenza... Valentine de Ruhm, detta "la Mercantessa", tenutaria del bordello dell'isola.

Valentine, memore di un antico favore che le feci, mi diede cibo e ospitalità. Fu mentre alloggiavo presso la cosidetta "Casa del Piacere" che incontrai un angelo dai capelli rossi di nome Artemisia. Fisicamente mi ricordava tanto la mia Judy, con i suoi occhi verdi e i suoi capelli rossi, e i suoi modi di fare... i suoi modi di fare erano così simili a quelli di Maya!  Mi invaghii di lei e anche lei sembrava attratta da me. 

Un giorno mi feci coraggio e decisi di svelarle tutta la verità sul mio conto e di confessarle il mio amore. Dovevo sapere... dovevo liberarmi di quel peso...   La reazione di Artemisia mi sorprese non poco: ella non mi cacciò via disgustata, così come io avevo immaginato. Mi disse che non avrebbe mai potuto ricambiare il mio amore, ma sostenne che mai e poi mai avrebbe potuto rinunciare alla mia amicizia. 

Un pomeriggio, mentre parlavamo del più e del meno nel patio della "Casa del Piacere"; Artemisia mi baciò con trasporto. Non  aspettavo quel gesto da parte sua! Le chiesi, sorpresa,  se improvvisamente avesse cambiato i suoi gusti, ma mi rispose che mi aveva dato quel bacio solo per curiosità... Quelle parole mi ferirono profondamente... trattata come un fenomeno da baraccone proprio da una persona a me tanto cara!

Caddi tra le spire vorticose dell'alcool. Il Rhum annebbiava la mia mente e mi impediva di pensare ai miei guai... e fu in locanda che conobbi un Irlandese barbuto dalla lingua lunga di nome Keerell, guardia del corpo di Madama Valentine.  Anche lui veniva a sbronzarsi per non pensare ad un amore non corrisposto (solo più tardi scoprii che anche lui soffriva a causa di Artemisia). Tanto diversi, eppure tanto simili, ben presto divenimmo amici... anzi compagni di sbornie!

... E rincontrai Maya. Era divenuta una persona ricca e importante,propietaria della taverna e dell'emporio. Come era diversa dalla ragazzina che avevo conosciuta. I suoi occhi azzurri brillavano di una luce fredda. Odio e amore si rimescolarono violentemente nel mio cuore nel rivederla, nel risentire la sua voce, nel respirare il suo profumo. Mi disse che non mi aveva dimenticata... Io avrei voluto correrle incontro e stringerla forte a me...ma rimasi fredda e immobile come un pezzo di ghiaccio e le consigliai di starmi alla larga, se ci teneva alla sua reputazione. Oramai era diventata una persona importante e mi rendevo conto che la mia vicinanza non poteva che danneggiarla. Così, con l'inferno nel  cuore, mi allontanai da lei, con la ferma decisione di evitarla per sempre...

... Ma ella è la mia droga...

 

   Home page