FANTACALCIO STORY: AI TEMPI DI PIETRO

 

Ai tempi di San Pietro il fantacalcio era molto difficile. Egli si chiamava in realtà Simone, ed era un pescatore, che si assopiva all’ombra dell’ultimo sole, e aveva un solco lungo il viso, come una specie di sorriso, fino a quando decise di fare il fantacalcio con gli altri 12 discepoli, più Gesù Cristo. Il rapporto fantacalcistico con Cristo non fu da subito idilliaco, perché il Messia si era impuntato a far cambiare a Simone il nome della sua squadra di fantacalcio:

Cristo: La tua squadra si chiamerà Pietro.

Simone: No, scusa, ma io mi chiamo Simone…

Cristo: No, devi cambiare nome, e chiamarti Pietro.

Simone: Ma se proprio devo cambiare nome, fammi chiamare Jessica, che fa più chic, no?

Alla fine Simone obbedì: mica poteva contraddire nostro Signore!

All’asta il rapporto tra i due non era migliore. Ogni volta che veniva chiamato un giocatore, Cristo si girava verso Pietro e gli diceva: “Prima che il gallo canti, tu rilancerai tre volte.” Così il povero Pietro doveva sempre spendere di più per tutti i giocatori che comprava, perché all’asta doveva sempre rilanciare tre volte. D’altronde, mica poteva contraddire nostro Signore!

Ma il fantacalcio con i discepoli non era poi un granché, prima di tutto perché Cristo sapeva tutti i trucchetti e i miracoli per vincere sempre, e poi perché, contando lui, a fare il fantacalcio erano in 13, e ogni settimana c’era uno che doveva riposare (e questo è insopportabile per ogni buon giocatore di fantacalcio…). S. Pietro decise così di trasferirsi a Roma, dove si diceva ci fosse il fantacalcio più difficile dell’Impero.

Anche lì le cose non furono proprio facili: la sede per fare il mercato fu indicata in una catacomba, che già non era un buon modo per cominciare. Certo, Pietro aveva i suoi bei vantaggi, prima di tutto perché, essendo Papa, poteva pagarsi il fantacalcio con l’8 per mille, e poi perché con il fantacalcio riusciva a convertire al Cristianesimo tantissima gente: convertì tutti quelli che facevano il fanta con lui, e pure i calciatori veri della sua fantasquadra (ma come fece? Boh!) Pietro era una vera cintura nera di catechismo. Questo, però, gli procurò non poche antipatie. Gli altri della sua federazione di fantacalcio misero come simpatica regola che chi sarebbe arrivato ultimo in campionato, sarebbe stato consegnato in allegria ai soldati romani, che non avevano moltissima stima dei cristiani: li trattavano né più né meno come oggi i poliziotti americani trattano i neri, quindi non era una buona cosa, davvero, arrivare ultimi. Fatto sta che, dopo una serie di brogli, prima dell’ultima giornata Pietro si ritrovò ultimissimo, senza possibilità di risalire. Per salvarsi, il nostro protagonista provò allora a scappare da Roma, ma chi ti incontra alle porte della Città Eterna? Indovina un po’? Proprio Cristo, che, fermandolo, gli disse: “Quo vadis, dove vai, Pietro?”

Pietro, capendo la mala parata, cominciò a stirarsi in fuori gli occhi con le dita, dicendo: “Io non essele Pietlo, io essele tulista giapponese in visita a Loma! Polca Miselia, il mio soggiolno qui essele finito, ma tolnelò anno plossimo… intanto, posso falle una foto con mia Nikon, onolevole signole palestinese?”

Cristo: Pietro, piantala di fare il cretino, ti ho riconosciuto…

Pietro: Io non conoscele Pietlo, se non clede me giapponese, io posso fale kalate, o fale sushi, o imitale Godzilla! (e Pietro si mise a imitare Godzilla, con le braccia avanti e facendo UUUAAARGHH)

Cristo: Pietro, guarda che lo dico a Papà, eh! Non puoi andartene da Roma. Io perché ti ho chiamato Pietro, secondo te? Perché devi tornare indietro!

Pietro: Ecco perché non andava bene Jessica!

Cristo: Sì, è vero, anch’io preferivo il nome Jessica, ma non mi veniva bene la rima…

Pietro: Vabbeh, però, pure tu, possibile che anche da morto devi farmi ‘sti scherzi da pirla?

E Pietro tornò indietro. D’altronde, mica poteva contraddire nostro Signore, che con questa massima lo fregava sempre.

Pietro fu così consegnato ai Romani, che lo condannarono a morte per crocifissione, più una penalizzazione di 8 punti all’ultimo fantacalcio e l’inibizione al Cristianesimo per 6 mesi. Pietro, scontento, ricorse all’arbitrato, che gli tolse i punti di squalifica, ma, ancora insoddisfatto, ricorse ancora alla Camera di Conciliazione del CONI, che mantenne soltanto la crocifissione, ma a testa in giù. Pietro morì, così, felice e contento. E appena arrivato in Paradiso, gli furono consegnate le chiavi e un contratto con la Lavazza, ma questa è un’altra storia…

 

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