Le mine navali sono armi subacquee, generalmente non semoventi, costituite essenzialmente da un involucro contenente una carica di esplosivo ed un congegno di fuoco che consente a tale carica di esplodere.

Le mine navali (che chiameremo semplicemente mine), vengono posate in acque navigabili allo scopo di danneggiare o distruggere unità nemiche e/o di rendere pericolose alla navigazione le acque, in modo da dissuadere il nemico da transitarle ed impiegarle.

Le mine sono quindi armi essenzialmente di posizione (nella generalità dei casi non destinate a colpire determinati bersagli, ma solo determinati «tipi» di bersagli) che, una volta posate, mantengono per lungo tempo la loro minaccia.

Un campo minato può sostituire una forza navale di blocco con minor costo e minor rischio.

Infatti è molto più probabile che il nemico tenti di forzare un blocco navale (subendo ma anche infliggendo perdite), anziché rischiare il forzamento di un campo minato (di cui è difficile stabilire la pericolosità).

L'uso di campi minati può, inoltre, ridurre l'area che deve essere presidiata con unità navali, economizzandone ed ottimizzandone l'impiego.

Un'altra caratteristica peculiare della mina è che essa può diventare uno strumento di minaccia facilmente graduabile e misurabile; in questo contesto va inquadrata, ad esempio, la possibilità di esercitare una determinata pressione politica intimidatoria col blocco di un porto o di un sistema di porti, controllabile in intensità e durata.

Per ottenere questo, è sufficiente un limitato numero di mezzi (navi mercantili o unità subacquee) che possono effettuare con relativa sicurezza la posa quando la tensione è ancora trascurabile.

Le mine, per quanto attiene al loro impiego, possono quindi essere classificate sia come armi strategiche, sia come armi tattiche.

Ricordando che il Clausewitz definisce la strategia come «l'impiego delle forze per gli scopi della guerra» e la tattica come «l'impiego delle forze per gli scopi della battaglia» si può affermare che:

·         le mine impiegate nella posa reiterata di campi aventi lo scopo di portare alla paralisi il traffico navale nemico, sono armi eminentemente strategiche.

·         viceversa, se impiegate limitatamente nello spazio e nel tempo, allo scopo di conseguire un immediato vantaggio, come ad esempio costringere un convoglio o una forza navale a ritardare la sua uscita da un porto, sono armi tattiche.

In sostanza le mine, per il costo di produzione relativamente basso in relazione alle onerose procedure per neutralizzarle o per circoscriverne almeno la minaccia, per le possibilità di impiego in campo sia tattico sia strategico e per la gravità delle perdite che possono infliggere, costituiscono una grave e incombente minaccia per il traffico navale.

Cenni storici

I primi mezzi insidiosi usati per danneggiare unità navali, furono impiegati alla fine del secolo XVI; questi congegni si possono considerare i progenitori dei siluri e delle mine e hanno notevole importanza perché sin da allora si avviarono gli studi per realizzare un'arma che, posata sopra (o sotto) la superficie del mare, servisse a procurare danni ad unità navali.

Prima della guerra del 1914-1918, la mina ha avuto un impiego limitato e scarsamente efficace.

Il primo prototipo fu progettato nel 1810 dallo statunitense Robert Fulton, ma agli inizi non ebbe molta fortuna e la sua realizzazione fu subordinata alla costruzione di altre armi.

La mina di Fulton era costituita da una cassa, con circa 45 kg di esplosivo, alla cui sommità era montata una scatola contenente il congegno di fuoco (ad urto).

Alla parte inferiore della cassa era collegata una scatola vuota per aumentare la spinta.

L'ormeggio era realizzato con un cavo di canapa e grossi pesi in funzione di ancora.

Il primo impiego bellico delle mine si ebbe durante la guerra di Crimea (18541856).

I Russi usarono per scopi difensivi sia mine a contatto simili a quella ideata da Fulton, sia mine posate sul fondo ed azionate elettricamente da terra (metodo di controllo realizzato negli Stati Uniti nel 1843, dal colonnello Colt).

 

Un impiego di massa delle mine si ebbe, però, solamente durante la guerra civile americana (1862-1865), quando gli Stati del Sud le usarono per impedire alle navi degli Stati del Nord di risalire i fiumi per bombardare le loro principali città.

Negli anni successivi le mine ormeggiate, con congegni di fuoco ad urto si svilupparono sia dal punto di vista tecnico sia dal punto di vista della elaborazione dei tipi.

Accanto allo sviluppo delle mine,  non si ebbe però in quei tempi un analogo sviluppo delle relative contromisure.

La guerra russo-giapponese, durante la quale si fece un intenso uso di queste armi da entrambe le parti con risultati cospicui, dimostrò l'importanza di avere sia un'addestrata organizzazione per la loro posa sia una adeguata preparazione per la ricerca e la neutralizzazione delle mine nemiche.

Attraverso la guerra di Crimea, la guerra civile americana ed il conflitto russo-giapponese, l'arma si perfezionò e la dottrina d'impiego si andò evolvendo.

Nella prima guerra mondiale tutti i contendenti che svolsero la guerra sui mari fecero uso di mine.

 

Gli alleati ne posarono, per lo più negli ultimi anni di guerra, circa 240 000 di cui buona parte, circa il 40%, in acque nemiche o contese.

Le perdite accertate furono di 150 navi, fra militari e mercantili, ivi compresi 35 sommergibili; ad esse si aggiungono le perdite non note costituite dalle navi danneggiate che, pur non affondate, non furono più in condizioni di riprendere il mare prima del termine del conflitto e dovettero subire lunghe e costose riparazioni.

Infatti i danni causati da esplosioni subacquee, anche quando non portano all'affondamento dell'unità, sono più gravi, in genere, di quelli dovuti ad esplosioni aeree o di superficie in quanto, a differenza di queste, colpiscono l'opera viva della nave, cioè la parte più vitale di un bastimento.

Gli imperi centrali posarono, invece, 50.000 armi, disseminate in piccoli campi lungo le coste britanniche, francesi, italiane, greche; i successi furono senza dubbio più consistenti, le perdite alleate ammontarono a circa 600 unità, fra militari e mercantili, per un totale di circa 1.000.000 di tonnellate, un successo sensibilmente più consistente di quello degli alleati ed ottenuto con minor sforzo.

Le armi impiegate furono nella maggioranza mine ancorate, con sistemi d’attivazione a contatto, di basso costo e per lo più posate da unità di superficie.

L'esame di tre sbarramenti del Mare del Nord, denominato Northern Barrage, del Passo di Dover e dello Stretto dei Dardanelli ci consente osservazioni interessanti.

Lo sbarramento del Mare del Nord e quello del Passo di Dover furono decisi nel luglio del 1917 per alleggerire la pressione dei sommergibili germanici sul traffico mercantile alleato; tra i vari progetti prevalse quello di sbarrare completamente le acque fra le Orcadi e la Norvegia (impiegando per la prima volta mine la cui cassa, ormeggiata alla quota di immersione media dei sommergibili di quell'epoca, era dotata di un cavo in rame, o antenna, il cui contatto con lo scafo dei mezzi subacquei generava una corrente galvanica che determinava l'esplosione della mina) ed il passaggio fra Dover e Calais, per precludere ai sommergibili ogni accesso nell'Atlantico.

Lo sbarramento del Mare del Nord venne messo in opera fra marzo e ottobre del 1918; era costituito da circa 56.000 mine posate da 10 posamine statunitensi, e da 15.000 mine posate da 5 posamine britannici.

La pericolosità effettiva del campo era scarsa ma, nonostante ciò, lo sbarramento ottenne pieno successo in quanto i Tedeschi, ritenendolo molto più pericoloso di quanto non fosse realmente, preferirono, dopo le prime perdite, entrare nell'Atlantico dal Passo di Dover. 

Lo sbarramento del Passo di Dover venne completato nel mese di agosto del 1918 con la posa di 10.000 mine britanniche che portarono all'affondamento di ben 11 sommergibili.

Nei confronti del Northern Barrage, la pericolosità dello sbarramento del Passo di Dover, efficace solo nei riguardi di sommergibili immersi, era di gran lunga maggiore; giocarono in suo favore, nonostante la zona di forti correnti, la minor estensione, la minor profondità delle acque e la possibilità di tenerle sotto controllo da entrambe le sponde; ciò costrinse molti sommergibili a tentare di forzare il blocco in immersione, in considerazione anche del consistente pattugliamento di superficie adottato. 

Il minamento del Passo di Dover fu la prima efficace dimostrazione di come sia possibile integrare un'azione di blocco navale con un intelligente impiego delle mine.

Un altro avvenimento nel quale le mine giocarono un ruolo importante e significativo fu il fallito forzamento dei Dardanelli da parte di una potente squadra navale franco-britannica.

Lo scopo immediato dell'azione era l'annientamento delle batterie costiere turche col tiro delle grosse navi da battaglia che avrebbe così consentito le successive operazioni per lo sbarco di truppe di occupazione, scopo principale dell’operazione dalla quale gli alleati contavano di ottenere un notevole vantaggio strategico, nonché una clamorosa affermazione di prestigio.

Il passo era stato fortemente minato dai Turchi, ma i dragamine alleati avevano aperto dei canali che avevano consentito alle grosse navi da battaglia di penetrare quotidianamente nello stretto e di annientare ad una ad una le numerose batterie costiere. 

Il 18 marzo 1915, quando la potente forza navale (8 navi da battaglia e 16 incrociatori), entrata nuovamente nello Stretto, stava per avere ragione dell'ultima resistenza, successe un fatto imprevisto che sconvolse tutto il piano, in un breve lasso di tempo, quattro grosse navi urtarono mine in una zona ritenuta sicuramente bonificata ed affondarono rapidamente. 

Fu tale lo scompiglio che ne seguì, che gli alleati, pur prossimi ad avere ragione delle difese nemiche, dovettero rinunciare all'impresa. 

La campagna dei Dardanelli fu quindi bloccata sul nascere da poche mine posate occultamente durante la notte da una nave turca.

In tale occasione questi insidiosi ordigni realizzarono la sorpresa tattica ed esercitarono una pressione psicologica contro la quale si infransero le velleità degli alleati che, come riferisce Churchill nella sua opera «Crisi mondiale», si ritirarono non tanto perché gli affondamenti avessero compromesso la potenzialità bellica della flotta, bensì per il timore di trovarsi di fronte ad armi sconosciute che la fantasia dei più vedeva galleggiare tutt'intorno.

La seconda guerra mondiale ha visto un massiccio impiego di mine di ogni specie da parte di tutti i belligeranti. 

Tre nuovi ed importanti strumenti bellici hanno caratterizzato questo secondo conflitto:

·         le mine ad influenza,

·         i sommergibili posamine 

·         gli aerei posamine.

 

    

 

 

All'inizio delle ostilità i Tedeschi, gli unici ad essere in Europa veramente pronti alla guerra di mine, sorpresero gli avversari con l'impiego della mina magnetica ad ago, la cui attivazione era determinata dalla perturbazione magnetica generata dal transito di uno scafo metallico. 

I danni provocati furono notevoli e sottoposero i Britannici, in particolare, ad uno sforzo che mobilitò buona parte delle forze della Nazione. 

A questo riguardo Winston Churchill  nella sua «Storia della seconda guerra mondiale»  afferma: «Tutte le energie e la scienza della Marina britannica vennero messe in opera; una parte notevole dei nostri sforzi bellici dovette venire impiegata negli esperimenti per combattere questo pericolo. Si sottrassero ad altri impieghi materiali e mezzi finanziari, giorno e notte migliaia di uomini rischiarono la vita a bordo di dragamine».

Lo sforzo maggiore fu fatto dai Britannici nel 1940, quando quasi 60.000 uomini furono adibiti a questi servizi. 

Basterebbe l'entità di tale impegno, anche senza citare quella degli affondamenti, a giustificare, da sola, l'azione di minamento attuata dai Tedeschi, tanto più che questo risultato rilevante fu ottenuto con ben poche perdite di mezzi posamine.

Per quanto riguarda le perdite causate dalle mine, gli affondamenti dovuti ad esse rappresentano il 6,5% del totale, cifra che a prima vista dice ben poco perché non tiene conto di tutti gli altri tipi di danni e delle implicazioni ad essi relative, non agevolmente quantificabili.

E da rilevare anche un incremento notevole delle perdite dovute alle mine, nel 1940, quando i Tedeschi minarono la Manica e l'ingresso del Tamigi con le nuove mine magnetiche da fondo, una conferma che la mina, pur essendo un'arma di posizione, se impiegata opportunamente può ottenere la sorpresa tattica e recare gravi perdite. 

D'altra parte, il numero di navi perdute a causa di mine non può essere elevato in senso assoluto, perché difficilmente accade che un belligerante, dopo i primi affondamenti in una determinata zona di mare, decida di usare comunque quella zona, col rischio di sicure perdite.

Nel Pacifico, il minamento fu attuato massicciamente ed estensivamente, quale mezzo complementare in senso moderno, inserito in un piano strategico d'attacco a vasto raggio e a lungo termine.

La guerra di mine nel Pacifico può essere divisa in due fasi nella prima gli Statunitensi, giunti al conflitto impreparati nel settore della guerra di mine, nonostante le dure esperienze degli alleati in Europa, ricorsero all'impiego difensivo della mina perché concorresse all'opera di contenimento dell'avversario.

Tale genere di lotta si sviluppò nella zona periferica del teatro operativo e servì a bloccare 150 porti e canali di traffico, con l'impiego di 13.000 mine di cui 900 posate da aerei. 

I Nipponici subirono l'affondamento o il danneggiamento di 700.000 tonnellate di naviglio, ebbero ritardi nei rifornimenti e nelle partenze dei convogli; in sostanza, l'avanzata della loro macchina bellica venne a poco a poco frenata.

Gli Stati Uniti avevano creato le premesse per la grande controffensiva che vide nella seconda fase del conflitto spettacolari e dinamiche operazioni di minamento aereo che soffocarono gli avversari nei loro porti. 

Furono posate 12.000 mine che portarono all'affondamento o al danneggiamento di 1.000.000 di tonnellate di naviglio. 

I Giapponesi, impreparati a combattere le mine, giunsero al punto di privare delle batterie contraeree i centri industriali, per portarle nei pressi delle zone di minamento, nella speranza di rovesciare le sorti della battaglia.

L'aspetto notevole di questa seconda fase è l'impiego della mina (considerata fino allora l'arma classica di difesa della potenza navale inferiore) da parte della potenza detentrice del potere aeromarittimo, come arma d'attacco di grande flessibilità d'impiego e di notevole efficacia. 

Essa fu impiegata con un limitato numero di missioni aeree; fu sufficiente dedicare alla posa di mine 4.160 voli, pari al 6% del totale, per ottenere un risultato che il principe Konoie dichiarò pari a quello ottenuto da tutti i bombardamenti aerei degli ultimi 5 mesi.

Le perdite statunitensi furono lievissime, poco più dell'1% degli aerei impiegati.

Quelli che fecero maggior tesoro degli insegnamenti della seconda guerra mondiale furono i Sovietici; mentre gli altri contendenti tornavano in patria, ansiosi di smantellare la costosa macchina bellica, essi invece potenziarono, migliorandola, l'organizzazione della guerra di mine.

La guerra di Corea fu per l'URSS un banco di prova che permise di saggiare le capacità degli Stati Uniti in tale settore della guerra marittima, senza entrare nel conflitto.

I Sovietici fornirono le armi ed i tecnici ai Nordcoreani, ma si guardarono dal metterli al corrente della dottrina d'impiego.

Sin dai primi giorni del conflitto, le armi affluirono con ogni mezzo (in treno, sugli autocarri, via mare) nella Corea del Nord i cui porti, per particolari condizioni ambientali, ben si prestarono ad un efficace minamento difensivo, il lento degradare dei fondali, che rende minabili estese zone di mare e il tipo di fango che tende a favorire l'occultamento ad ogni tipo di ricerca ecogoniometrica delle mine da fondo.

Inoltre, veniva sfruttata l'azione delle correnti che, movendosi costantemente in direzione nord-sud parallelamente alla costa, consentivano alle mine alla deriva posate nelle acque della Corea del Nord di giungere in 5 giorni all'estremo lembo sud della penisola.

Di tutte le operazioni di mine compiute in questa guerra, la più singolare è senza dubbio quella relativa alla baia di Wonsan sia per come fu condotta, sia per le conseguenze che ne derivarono.

Tale evento costituì una importante esperienza per la Marina degli Stati Uniti che, da allora, corse rapidamente ai ripari e riorganizzò le proprie forze addette alla guerra di mine, potenziandone le strutture, i mezzi, gli organici ed i centri di studio.

Il piano strategico generale prevedeva che le forze delle Nazioni Unite incalzassero le armate nordcoreane in completa disfatta, superando il 38° parallelo. 

L'azione doveva svolgersi su due direttrici: un attacco via terra verso Pyongyang, lungo la parte occidentale della penisola, che doveva avere inizio alla metà di ottobre del 1950, ed uno sbarco a Wonsan di truppe che avrebbero dovuto poi dirigersi anch'esse verso Pyongyang ed effettuare il congiungimento con le altre forze. 

In tal modo, si sarebbe aumentata la pressione su Pyongyang e si sarebbero aggirate a tenaglia le forze nordcoreane. 

A riunione avvenuta le forze avrebbero dovuto accelerare l'avanzata sino al fiume Yalu e qui attestarsi. 

Il Gen. MacArthur aveva stabilito che lo sbarco avvenisse il 20 ottobre.

C'è da precisare, facendo un passo indietro, che gli Stati Uniti erano giunti alla guerra di Corea assolutamente impreparati a fronteggiare una guerra di mine. 

L'imponente ed efficiente organizzazione di guerra di mine della seconda guerra mondiale, affidata in massima parte a riservasti, venne disciolta al termine della guerra per questioni di bilancio; dei 500 dragamine della flotta del Pacifico, ne furono lasciati nelle acque dell'Estremo Oriente solo 4 con scafo in ferro e 6 in legno.

A questa drastica riduzione di forze ed organici, si aggiunse un decadimento dell'addestramento nonché del ruolo assegnato alla guerra di mine in un contesto di guerra globale. 

Di tutto lo stato maggiore del Comando mine del Pacifico erano rimasti solo tre ufficiali con pochi mezzi e trascurati da tutti.

Tornando alla guerra di Corea, c'è da dire che all'inizio la situazione era un po' migliorata ma ancora critica, e che il numero di dragamine era salito a 20. 

Il Comandante della 7° Task Force, vice ammiraglio Struble, che nella seconda guerra mondiale era stato Comandante delle Forze di mine del Pacifico, aveva previsto la possibilità della presenza di mine a Wonsan come un rischio calcolato da potersi affrontare e superare. 

Il 10 ottobre venne iniziato il dragaggio con soli 6 dragamine; era previsto ultimarlo entro il 15.

L'inadeguatezza delle forze di contromisure mine (CMM)  può essere resa evidente dal seguente confronto: lo sbarco di Okinawa fu preceduto dalle operazioni svolte da 100 dragamine, e quello in Normandia da 300.

A Wonsan, invece, per una forza anfibia di 250 navi e 50 000 uomini che doveva prendere il mare per uno sbarco, solo pochi dragamine tentavano di aprire i canali di accesso alle spiagge.

Le 3.000 mine posate nella baia di Wonsan, su un'area di 400 miglia quadrate, tutte di produzione sovietica, erano per il 50% mine da fondo magnetiche.

Esse vennero posate in poco più di tre settimane, fra luglio e agosto, con posamine di ogni tipo, sampans, barconi fluviali e alcune giunche.

Quando i pochi dragamine statunitensi si scontrarono con questo ostacolo si trovarono in un vero inferno: le mine esplodevano tutt'intorno e il primo canale venne aperto solo il 25 ottobre, cioè con ben 5 giorni di ritardo rispetto a quello dello sbarco e 10 giorni dopo la data prevista.

Le conseguenze furono che l'azione fallì e alla fine le truppe sbarcarono più come rinforzi che come forze d'assalto.

Ma meglio di ogni considerazione possono valere i giudizi degli stessi Comandanti dell'operazione. 

L'ammiraglio Forest così si espresse in un colloquio con un amico giornalista: “Essi  i Nordcoreani  ci sorpresero con le braghe calate.  Quelle dannate mine ci hanno causato 8 giorni di ritardo nello sbarco delle truppe e più di 200 avarie.  Ciò è di per sé grave abbastanza.  Ma posso facilmente pensare ad altre circostanze nelle quali 8 giorni di ritardo in uno sbarco potrebbero significare perdere una guerra».

L'ammiraglio Joy, Comandante in Capo della flotta dell'Estremo Oriente, dichiarò: “Il più importante insegnamento dell'operazione Wonsan è che nessuna branca cosiddetta secondaria della guerra marittima quale la guerra di mine  dovrebbe essere giammai dimenticata o relegata in futuro ad un ruolo secondario. Wonsan ci ha inoltre insegnato che è possibile ci venga annullata la libertà di movimento verso un obiettivo a seguito di un uso intelligente delle mine anche da parte di un avversario poco preparato”.

Evoluzione delle mine e delle relative contromisure

Prima di illustrare gli episodi più recenti di impiego delle mine in conflitti dichiarati o meno, è opportuno riprendere brevemente gli accenni già fatti in merito allo sviluppo di questo tipo di arma dai tempi di Fulton ai nostri e del conseguente contemporaneo sviluppo dei mezzi per contrastarla.

La prima arma, abbiamo detto, consisteva in un involucro o cassa, a spinta positiva, contenente una certa carica di esplosivo, trattenuta ad una quota prefissata sotto la superficie a mezzo di un cavo di ormeggio e di un'ancora.

Quest'arma esplodeva a seguito dell'urto dello scafo dell'unità bersaglio contro alcuni urtanti ubicati nella parte superiore della cassa; la deformazione di questi urtanti determinava lo scatto meccanico di un percuotitoio o l'alimentazione/chiusura di un circuito elettrico di attivazione del congegno di fuoco.

 

Lo sviluppo di quest'arma nel tempo ha riguardato essenzialmente il perfezionamento del sistema automatico di ancoraggio alla quota prestabilita e dei congegni di attivazione, l'aumento della carica (sino a 300 kg) e della quota raggiungibile, nonché l'incremento del raggio d'azione mediante l'applicazione della già menzionata «antenna».

Ovviamente, per alcune di queste mine era prevista anche la possibilità di impiego «alla deriva», cioè senza il vincolo dell'ormeggio, e con l'aggiunta di alcuni congegni che ne consentivano la prolungata permanenza appena sotto il pelo dell'acqua (mine oscillanti).

La mina ad ormeggio è sempre stata adeguatamente contrastata con l'impiego di unità navali di limitato pescaggio in grado di rimorchiare, ad una quota prestabilita, cavi di acciaio fatti opportunamente divergere ed attrezzati con congegni atti a «cesoiare» il cavo di ormeggio delle mine che, una volta in superficie, possono essere affondate e quindi inutilizzate impiegando le armi di bordo.

 

 

 

Anche gli sviluppi in questo campo hanno riguardato essenzialmente il perfezionamento del concetto base, conferendo maggior capacità di cesoiamento alle apparecchiatura e raggiungendo quote più profonde.

Un ulteriore incremento della minaccia delle  mine avvenne alla fine degli anni '30, con la realizzazione, da parte tedesca, delle mine da fondo ad «influenza» che anziché sfruttare il contatto con la nave bersaglio utilizzavano, per attivarsi, la perturbazione magnetica che l'unità navale generava sul fondo marino col suo passaggio.

Anche in questo caso, la contromisura ideata, sia pur non immediata, fu senza dubbio efficace e consistette nell'impiego di vari tipi di apparecchiature elettriche (cavi, bobine, spire, ecc.) installate su unità costruite in materiale amagnetico.

Dette apparecchiatura percorse da corrente, erano in grado di generare, a distanza dall'unità dragante, un campo magnetico di forte intensità e opportunamente modulato in modo da provocare una perturbazione simile a quella generata da una unità navale ed attivare quindi i  congegni delle mine.

Analogamente avvenne quando, nel corso della seconda guerra mondiale, furono realizzati i primi congegni acustici, in grado cioè di determinare l'esplosione della mina utilizzando il rumore generato dal passaggio di una unità navale.

La contromisura, realizzata abbastanza rapidamente, consistette nell'impiego di vari tipi di apparecchiature, rimorchiate dalle unità draganti, in grado di produrre, per effetto idrodinamico o con sistemi alimentati elettricamente (in genere mediante una membrana percossa da uno stantuffo), un rumore di elevata intensità, assimilabile a quello generato da una unità navale.Lo sviluppo dei congegni magnetici ed acustici sopra menzionati ha proceduto di pari passo con il perfezionamento delle apparecchiatura destinate a contrastarli, impiegati singolarmente o combinati variamente tra di loro.

 

Negli anni '50, l'adozione di un terzo tipo di congegno, quello che sfruttava la depressione creata sul fondo, per effetto Bernoulli, dal transito di una unità, rese praticamente indragabili le mine ad influenza a meno di prevedere l'impiego di navi cavia con evidenti controindicazioni dal punto di vista costo/efficacia.

Nello stesso periodo, vennero inoltre perfezionati una serie di congegni accessori (da installare in tutti i tipi di mine ad influenza) in grado di:o consentire l'esplosione della mina solo dopo un certo numero di attivazioni (congegno contanavi);mantenere la mina disattivata per un certo periodo dopo la posa (congegno di ritardo di armamento);e attivare e disattivare la mina secondo un programma prefissato.

 

Per contrastare le armi dotate di congegni a pressione e/o di congegni accessori si sviluppò, a metà degli anni'50, una nuova tecnica mirante, non all'attivazione dei congegni della mina per determinarne l'esplosione, ma alla sua localizzazione in quanto corpo estraneo sul fondo marino ed alla sua successiva distruzione.

In pratica, sviluppando le conoscenze nel campo degli ecogoniometri per la caccia antisommergibile, furono realizzate delle apparecchiatura elettroacustiche in grado di localizzare, lavorando su appropriata frequenze, la cassa delle mine ormeggiata o posata sul fondo

Questa nuova tecnica «cacciamine» ha superato, in pratica, al momento attuale, gran parte delle difficoltà emerse in precedenza nel contrastare i congegni sopra menzionati e, soprattutto, gli ulteriori loro più recenti sviluppi dovuti all'impiego nelle mine dei microprocessori che, elaborando segnali derivanti dalle perturbazioni magnetiche, acustiche e di pressione, hanno messo le armi dell'ultima generazione in grado di distinguere con elevata attendibilità un tipo di unità navale da un altro e quindi, a maggior ragione, un bersaglio da una contromisura.

 

Schema di operazioni di un Cacciamine

Schema di funzionamento delle apparecchiature di cacciamine

 

Veicolo subacqueo di identificazione e neutralizzazione(Pluto)

 

Una valutazione realistica degli ulteriori sviluppi che questo tipo di arma «intelligente» potrebbe conseguire nel medio termine, lascia intravedere tre principali possibilità:o un notevole incremento del raggio di azione e una maggiore letalità, conseguibili con mine autopropulse o meglio con mine i cui sensori, quando attivati, anziché causare l'esplosione della carica, in questo caso assente, determinano l'apertura della «cassa», definita capsula contenitrice, su cui sono installati, consentendo la partenza di un siluro con capacità di autoguida in essa contenuto;* la realizzazione di un telecomando operante a grande distanza in grado di rendere attivo o inattivo un campo minato;e lo sviluppo di casse anecoidi, in grado cioè di ridurre o annullare la riflessione delle onde acustiche degli ecogoniometri dei cacciamine.

 

 

La guerra di mine nel più recente passato

Dopo questa breve panoramica è opportuno menzionare i più recenti casi di «guerra di mine». L'ultimo intenso impiego delle mine riguarda il conflitto vietnamita durante il quale gli Stati Uniti realizzarono il blocco del porto di Haiphong (maggio 1972), posando ben 8 000 mine da fondo ad influenza che impedirono qualunque movimento di unità mercantili per alcuni mesi. Più interessanti di questo impiego tradizionale della mina risultano gli eventi del 1984 che possono essere considerati, sia pur nella diversità degli scenari e delle finalità, emblematici della flessibilità di impiego della arma «mina».

Agli inizi di quell'anno, nell'ambito del conflitto interno nicaraguense, i porti di Sandino e Corinto sul Pacifico e di El Buff sull'Atlantico, cui facevano capo i rifornimenti per le forze governative, rimasero chiusi per un certo periodo a seguito di un'azione di minamento di scarso rilievo realizzata con armi non particolarmente moderne che però determinò gravi danni ad una petroliera russa e ad altri mezzi minori, tra cui una motovedetta nicaraguense, una draga olandese ed alcuni pescherecci. 

Il minamento, rivendicato da gruppi antisandinisti, è un esempio di impiego limitato effettuato da forze di trascurabile entità che ha conseguito però notevoli risultati a causa della sorpresa.

Nel corso dello stesso anno 1984 le ripetute minacce di minamento dello Stretto di Hormuz da parte del governo iraniano, costrinsero alcuni Paesi particolarmente interessati a quella via d'acqua a predisporsi per mettere eventualmente in atto adeguate contromisure. 

In questo caso la sola minaccia, resa credibile dalla possibilità tecnica di metterla in atto, costituì una notevole arma di pressione poi itica e psicologica.Infine il 9 luglio venne segnalata la prima di una serie di circa 20 esplosioni nel Golfo di Suez (peraltro non tutte accertate) che determinarono da parte del governo egiziano la richiesta alla Francia, alla Gran Bretagna, all'Italia ed agli Stati Uniti, di intervenire con proprie forze di contromisure mine per ripristinare la sicurezza del transito in quella vitale via di comunicazione.

 

 

 

 

Anche in questo caso, con un modesto sforzo (un numero molto limitato di mine), l'autore dell'«impresa» è riuscito ad instaurare una notevole tensione e ad originare un cospicuo sforzo per eliminare la minaccia o anche il solo dubbio di un possibile minamento.

Il Mediterraneo ha visto, in questi ultimi 40 anni, la crescita di Paesi di nuova indipendenza e di non trascurabile peso politico, rispetto ai quali l'Italia si è costantemente impegnata in una volontà di amicizia e cooperazione, di aiuti e di scambi economici, di pacifica convivenza in situazioni di parità e di rispetto. 

Non vi è dunque altro diretto interesse dell'Italia nel Mediterraneo che quello di garantirvi una condizione di stabilità necessaria a sostenere la sua vita economica, strettamente legata, come è noto, alla possibilità di ricevere via mare l'indispensabile flusso di materie prime. 

La libertà. di navigazione in questo mare e lungo le sue vie di accesso, oltre che principio di valore assoluto, è perciò un requisito fondamentale, che porta a dover escludere a priori l'ammissibilità di qualsiasi tentativo di porvi delle limitazioni.

La posa i mine nel Golfo di Suez ed in Mar Rosso creò un problema specifico di sicurezza internazionale che aveva un rapporto diretto con le esigenze di sicurezza e difesa della Nazione.

Pertanto alla M.M.I. fu affidato il compito, per essa istituzionale, di fronteggiare tale eventualità.

Non è infatti possibile ignorare il pericolo immediato che fatti come quello del Mar Rosso pongono all'Italia, e la minaccia derivante da situazioni di crisi o conflitti locali in Mediterraneo.

Una eventuale decisione di non partecipare ad operazioni pacifiche di contenimento, intese ad evitare che un semplice contenzioso locale potesse innescare la spirale di un confronto di più ampie dimensioni, avrebbe potuto pertanto risultare in netto contrasto con gli interessi nazionali.

Fu sotto questa spinta che nacque e si svolse la Missione del Mar Rosso, alla quale il Governo volle giustamente attribuire carattere esclusivo di bilateralità, come fatto di sicurezza nazionale e sostegno dell'Italia verso una Nazione amica; questo intendimento non sarebbe emerso con altrettanta evidenza qualora si fosse ricorso ad una soluzione in consorzio con altri Paesi, o all'istituzione di consultazioni militari multilaterali, che avrebbero potuto, oltretutto, alimentare il sospetto, ventilato da alcune parti, che l'operazione di bonifica potesse mascherare scopi diversi attribuiti a questa o a quella potenza.

 


 

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