Vi racconto la storia di mio nonno emigrante
Era
una di quelle serate uggiose di Gennaio che si trascorrono seduti vicino al
caminetto. Ero con mio nonno il cui “faccione” dolce e paffuto si
intravedeva appena sul quotidiano. L'atmosfera era calma e piacevole. La casa
era vuota. Eravamo soli.
Di tanto in tanto alzavo gli occhi e vedevo l’ atteggiamento stanco e
assonnato del nonno. Quell’ atmosfera cominciava a non piacermi. Fu allora che
abbandonai i miei giochi e dissi: “Dai nonno, raccontami ancora la tua
vita”.
“Era un freddo gennaio del 1956 ed io, appena sposato con tua nonna, avendo un
lavoro saltuario e poco remunerativo decisi di emigrare in un paese che potesse
assicurarmi un’ attività lavorativa decente e che consentisse alla nuova
famiglia, che intendevo crearmi, una vita migliore di quella che fino ad allora
avevo vissuto. Una vita in cui non ci fosse posto per sofferenza e stenti ma una
certa agiatezza economica che avrebbe garantito un avvenire sicuro. Parlando con
un mio compaesano appresi che c’ era un paese, in America Latina, che
attraversava un periodo di grosso sviluppo economico: il Venezuela. Il mio amico
scrisse su di un foglietto un indirizzo spiegandomi che, non appena fossi
sbarcato a Valencia, una delle più grandi città del Venezuela, avrei potuto
raggiungere e chiedere aiuto ad un suo parente che era lì già da qualche anno.
Tornando a casa nella mia mente c’ era un solo pensiero: quel paese così
lontano (non sapevo nemmeno dove fosse con precisione); sai Nico, non e’ che
nonno abbia studiato tanto, ma la forza della disperazione e la responsabilità
di aver una moglie, mi spingevano a pensare di dover partire. Arrivato a casa ne
parlai con tua nonna che ancora più spaurita di me dovette però convenire che
era l’ unica via per uscire dalla miseria in cui eravamo costretti a vivere.
Quella decisione ci aveva portato uno stato di inquietudine tale che per tutta
la notte non riuscimmo a chiudere occhio; una sola cosa ci confortava: avremmo
affrontato quella esperienza insieme facendoci forza l’ uno con l’ altro.
Ma, caro mio, il destino della povera gente e’ quasi sempre avverso e io e tua
nonna ce ne rendemmo conto il giorno successivo, quando, richiesto il prezzo del
biglietto della nave ci accorgemmo che i nostri risparmi bastavano appena per
permettere la traversata dell’ Oceano ad una sola persona e che l’
immigrazione in quel paese era consentita solo a condizione che l’ immigrato
avesse già un lavoro certo. Vedi, caro Nico, che ordine regnava in quel paese e
quanta differenza c’e con le nostre leggi! Oggi si consente l’ ingresso in
Italia a persone che non solo non hanno un lavoro, ma che vengono in Italia
con l'intento di lavorare, ma sono costretti, a causa della grave crisi
economica, a diventare delinquenti con conseguenze anche per noi”.
"Per favore nonno non parlarmi di politica, ma continua il tuo racconto".
Sapevo bene che mio nonno intendeva trasmettermi un qualche messaggio, ma io,
come tutti i ragazzi della mia età, non amo interventi moralistici che possano
cambiare o in qualche modo modificare il mio modo di essere. Sapevo che mio
nonno aveva ragione sempre su tutto e così mi mostrai alquanto insofferente e
lo spinsi a continuare la sua storia, ma notai che il suo volto aveva cambiato
espressione, sembrava improvvisamente più triste e nei suoi occhi c’era
un’espressione così dolce che quasi mi pentii di quella mia reazione
impulsiva. Qualche lagrima rigò quel volto ormai segnato dagli anni e con un
groppo in gola riprese il suo racconto.
”Bene, tornati al paese e, rassegnato a partire da solo, cercai quel mio amico
e lo pregai di contattare il suo parente venezuelano per vedere se fosse
possibile rimediare un lavoro che mi consentisse di salpare. Trascorso qualche
giorno, il mio amico mi fece sapere che avrei potuto fare il commesso in un
negozio di abbigliamento gestito da italo-venezuelani.
Con la morte nel cuore decisi che il giorno successivo avrei comprato quel
biglietto che mi avrebbe consentito di effettuare la traversata oceanica da
Napoli a Valencia.
I giorni che seguirono furono dedicati ai preparativi per la partenza ma anche e
soprattutto a consolare tua nonna;
sai, non e’ molto semplice allontanarsi dalla propria moglie appena
sposata non sapendo per quanto tempo dovrai starle lontano! A marzo di quello
stesso anno, con il treno, raggiunsi Napoli e mi imbarcai, pieno di dubbi e di
paure sulla nave che mi avrebbe condotto nel paese della speranza.”
"Scusa nonno, non potevi farti
accompagnare a Napoli in macchina?”
Dissi con quella disinvoltura un po’ spicciola tipica di noi ragazzi.
“Ma pensi che la vita nel 1958 fosse così comoda e semplice come adesso? La
macchina era un bene di lusso ed al mio paese potevano permettersela solo pochi
benestanti, gli altri possedevano soltanto una bicicletta e per i lunghi
spostamenti usavano il treno, ma non i treni di adesso; pensa che per arrivare a
Napoli impiegai circa 4 ore!
Caro nipote, di brutti momenti nella mia vita ne ho avuti tanti, ma penso che
uno dei peggiori in assoluto sia stato quello in cui la nave si allontanò dal
porto di Napoli; mi sembrava di abbandonare il mio paese, mi sembrava di
lasciare qualcosa di mio e, guardando quella città che man mano diventava un
piccolo puntino, pensavo se e quando l’ avrei mai più rivista”.
"Nonno, ma incontrasti qualche compagno di viaggio con cui poter scambiare
quattro chiacchiere?”.
“Quattro chiacchiere?!Quattrocento,quattromila chiacchiere. Il viaggio durò
ben diciotto giorni ed io con i miei compagni di viaggio avemmo tutto il tempo
di conoscerci, di consolarci, di scambiarci paure ed incertezze, ma anche di
farci forza e sperare in un futuro migliore. Sai, Nico, quando si dice che l’
Italia è il paese di – sole pizza e mandolino- forse si rispecchia la realtà.
L’unica cosa che ci teneva compagnia e ci rallegrava era il suono di alcuni
mandolini e chitarre che, strimpellate da italiani, intonavano le note di –O
sole mio- che noi passeggeri naturalmente cercavamo di cantare.
Dopo una sola sosta a Barcellona e tanto, tanto, tanto oceano arrivammo
finalmente nel porto di Valencia.
Ricordo che la cosa che mi colpì più di ogni altra fu l’ azzurro del mare e
il caldo umido del tropico; un caldo innaturale! ma non feci in tempo a pensare
a queste cose che fui quasi risvegliato dalla rauca voce di un funzionario di
polizia venezuelano che, in una lingua italo-spagnola, ci ingiungeva di disporci
su due file, di scoprire il braccio destro e predisporci per la consueta
vaccinazione prevista per ogni straniero che approdava in Venezuela. Eh,…….
altro che i clandestini di oggi, il governo italiano permette…….”.
”Nonno, ancora!, la politica no, voglio la tua storia."
“Effettuata la vaccinazione e le pratiche per sbarcare, dovemmo recarci all’
ufficio emigrazione non solo per farci registrare ma per verificare se il nostro
libretto di lavoro fosse gia pronto ed in regola; ma non finì qui, perché con
dei pulmini “sgangherati” ognuno di noi fu accompagnato presso il consolato
della nazione di provenienza, dove un altro funzionario ci spiegò il
comportamento che avremmo dovuto tenere durante la permanenza in quello stato:
in una parola, siete ospiti, comportatevi bene pena il rimpatrio!
Cominciava così la mia vita di emigrante.”
"Ma nonno, questa storia e’ molto bella, ma anche molto triste."
“Aspetta, il bello sta per venire. Ricordo il mio primo giorno di
lavoro, e come mi sembrò diversa quella città dal piccolo paese dove ero nato
e cresciuto. Ricordo come mi sembrò così austero quel negozio dove avrei
lavorato. Ricordo la faccia buona, ma seria, del proprietario mentre mi spiegava
che in quel negozio usava comprare abiti il governatore dello Stato. Ricordo gli
sguardi un po’ diffidenti e un po’ comprensivi di quelli che sarebbero stati
i miei compagni di lavoro. Ma più di tutto ricordo le mille lettere spedite a
tua nonna nelle calde e solitarie sere. La vita dell’ emigrante non e’ una
vita semplice: sei straniero, non parli la stessa lingua, non conosci usi e
costumi, sei solo, guadagni quel denaro che sai di non poter spendere perchè
devi spedirlo a casa. L’ emigrante, da sempre, e’ visto come lo sventurato
che non riuscendo a trovare fortuna nella sua patria va a cercarla altrove. Ogni
giorno che trascorrevo in quel paese imparavo sempre meglio non solo la lingua
ma diventavo sempre più bravo in quel lavoro che prima era un dovere, ora
diventava quasi un piacere: ero diventato un sarto, ma non un sarto qualsiasi,
il sarto preferito dal governatore dello Stato della città di Valencia. Iniziai
a guadagnare bene, ero soddisfatto, ma mi mancava molto tua nonna; finchè un
giorno il proprietario del negozio, comprendendo il mio disagio si offrì, per
ricompensarmi ancora di più del lavoro svolto, di pagare il viaggio di tua
nonna. Ricordo la gioia, il sollievo e la incontrollata euforia che provai
quando la mia sposa, lasciata a Cervaro qualche anno prima, arrivò nel porto di
Valencia.
Con quanta fierezza le mostrai la casa che avevo affittato per vivere con
lei e con quanto orgoglio le dissi che la nostra vita sarebbe cambiata!
Quella vita cambiò radicalmente quando dopo qualche mese tragicamente morì il
mio datore di lavoro e la moglie, poiché non avevano figli, offrì a me e a due
miei colleghi di lavoro di rilevare il negozio di sartoria e abbigliamento in
cui lavoravamo.
Feci così un bel salto di qualità che mi vide in breve tempo da garzone a
comproprietario del più importante negozio di abbigliamento di Valencia.
A questo punto della storia entri anche tu”.
“Io? Ma se non ero neanche nato!”.
“Eh no, nel Febbraio del 1960 nacque tua madre e mi sembrò veramente di avere
proprio tutto: conoscenze importanti, qualche liretta e tanta, tanta felicità.
Una sola cosa mi mancava: quella patria che, benchè “ingrata”, tenevo
sempre nel profondo del cuore. Infatti dopo qualche anno e qualche lira in più
decidemmo di farvi ritorno.
Ero felice come non mai: rivedere il mio paese nativo, i miei familiari ,
conoscenti, amici, mi elettrizzava, ma nello stesso tempo mi angosciava perché
quel paese che fino ad allora avevo considerato straniero ora lo sentivo amico.
Era per me una sensazione nuova che non pensavo di provare ma quel distacco dopo
solo pochi anni di permanenza era molto doloroso ed io stesso ne rimasi
sorpreso. Il Venezuela lo consideravo la mia seconda patria e ad esso mi
legavano solo bei ricordi. Infatti, anche adesso che ci penso, non mi sembra di
ricordare
momenti brutti. Sembra che quel distacco dall’ Italia tanto sofferto
sia stata solo una pausa momentanea della mia vita; mi sentivo un emigrante in
terra straniera. Devo molto al Venezuela per l'agiatezza economica che godo oggi,
ma certo, tornare nel paese d’ origine, è stata la scelta più giusta perché
avrei perso te, Nico”
Rimasi colpito da ciò che il nonno mi diceva, anche se non capivo bene cosa
volesse significare. Lui percepì il mio turbamento e con parole molto semplici
e con quella dolcezza di cui solo lui è capace mi disse che se fosse rimasto in
Venezuela quasi sicuramente le strade percorse dai miei genitori sarebbero state
diverse e forse io non sarei stato qui con lui. Sentii la sua calda mano e di
slancio lo abbracciai dicendogli non so quante volte “ti voglio bene nonno”.
Domenico Compagnone
Classe III H (2002-03)