In: La Civiltà Cattolica n. 3776, 2007http://www.laciviltacattolica.it/Quaderni/2007/3776/index_3776.html


Tzvetan Todorov, Lo spirito dell'illuminismo,

Milano, Garzanti, 2007


   Todorov è nato in Bulgaria ma vive in Francia dagli anni Sessanta. È autore di numerose e apprezzate pubblicazioni, tradotte in diverse lingue. In questo libro torna a occuparsi di un tema già in precedenza oggetto della sua attenzione: lo spirito dell’illuminismo, soprattutto nella sua dimensione umanistica. Al fine di contribuire alla costruzione della nostra vita comune di oggi, l’A. cerca uno schema concettuale su cui fondare i discorsi e le azioni, orientandosi verso quella che è una vera e propria corrente di pensiero e di sensibilità: il versante umanista dell’illuminismo. È noto come tale movimento, pur non inquadrabile in modo unitario, abbia investito un po’ tutta l’Europa del XVIII secolo, esprimendosi attraverso la filosofia, la politica, le scienze, le arti, il romanzo, l’autobiografia. Ecco in sintesi in cosa consiste quello che, per l’A., è il cambiamento radicale più correlabile alla nostra attuale identità: «Per la prima volta nella storia gli uomini decidono di prendere in mano le sorti del proprio destino e porre il benessere dell’umanità come fine ultimo delle proprie azioni» (p. 7).

Senza un inutile ritorno al passato, l’A. cerca di comprendere meglio questo radicale mutamento, nella convinzione che possa aiutarci a vivere il nostro tempo. Lo fa risalendo ai maggiori rappresentanti dell’illuminismo storico, tra i quali sceglie e cita prevalentemente Rousseau, Voltaire, Montesquieu, Hume. Situandosi così nella corrente di pensiero del neoilluminismo, cerca di individuare un progetto dell’illuminismo, un modo di pensare illuminista valido per l’oggi. A tal fine valorizza gli elementi fondamentali dello spirito illuminista, che raccoglie in cinque caratteristiche: autonomia, laicità, verità, umanità, universalità. Dalla lettura riaffiorano alcuni indubbi meriti dell’illuminismo: lotta contro il pregiudizio e l’ignoranza, valorizzazione della ragione, della persona umana, dei suoi diritti, della libertà e della democrazia. Così come affiora lo specifico della critica di ogni conoscenza e il pregiudizio generalizzato verso la tradizione e l’autorità.

L’A., comunque, è anche molto attento ad individuare e criticare le deviazioni e contaminazioni dell’illuminismo, perché: «è proprio criticandolo che gli restiamo fedeli e mettiamo in pratica il suo insegnamento» (p. 23), con particolare attenzione all’empirismo, allo scientismo, al moralismo. Oggi come ieri la dimensione «sana» dell’illuminismo deve fare i conti con i suoi avversari tradizionali: oscurantismo, autorità arbitraria, fanatismo. A questi si aggiungono nuovi avversari, in qualche modo correlati allo stesso illuminismo: scientismo, individualismo, dissacrazione radicale, perdita di significato, relativismo generalizzato.

Quella di Todorov è una delle voci che periodicamente si alzano dal coro neoilluminista, e vuol essere un richiamo all’uso critico della ragione in un tempo di generalizzata crisi della ragione. Priva di quegli appesantimenti tipici dei saggi su argomenti così dibattuti, l’esposizione risulta accattivante, persuasiva. Proprio per questo la lettura richiede una particolare attenzione critica, più rispetto al non detto che a quanto direttamente scritto dall’A. Due le questioni più importanti sollevate dalla lettura.

Innanzitutto un interrogativo: ma davvero gli aspetti negativi dell’illuminismo sarebbero da considerare solo sue deviazioni e contaminazioni? O non sono piuttosto sue quasi inevitabili derive? È lecita questa operazione dell’A., volta a salvare la ragione illuminista dai suoi fallimenti storici, addebitando questi ultimi a distorsioni, cioè a qualcosa di altro-da l’illuminismo?

La seconda questione è l’atteggiamento nei confronti della religione. Oggettivamente, nel testo non si respira l’antica irosa ostilità verso la trascendenza e soprattutto quell’anticlericalismo tipico dell’illuminismo storico e del laicismo estremo. Ma, come inevitabile per lo spirito illuminista, si respira a pieno la divinizzazione dell’uomo e della ragione, l’esaltazione dell’immanenza, la noncuranza della trascendenza.

Per i credenti, allora, le riflessioni dell’A. hanno una duplice valenza. Da una parte spingono a valorizzare alcuni temi: non rinunciare alla ragione, cercando la maggiore conciliazione possibile tra fede e ragione senza chiudersi nel dogmatismo. In tale ottica è bene riconoscere umilmente quei passaggi storici nei quali la Chiesa non ha fatto sempre buon uso della ragione o lo ha fatto con un certo ritardo e, di conseguenza, ha lasciato spazio e ragione di esistere all’illuminismo, senza però dimenticare i mea culpa pubblici che la Chiesa ha già provveduto a fare in merito.

Dall’altra parte il confronto con Todorov spinge anche a diffidare di ogni forma di idealizzazione della ragione e di chiusura alla trascendenza. In definitiva, siamo d’accordo sul non rinunciare per principio ai valori illuministici positivi, così come sul vivere pienamente nella storia e nella società. Ma siamo contrari agli assunti latenti che fondano ogni progetto illuministico: il rifiuto della verità e di ogni rivelazione, la libertà-da-Dio, l’autosufficienza dell’uomo eretto anche a fondamento delle norme morali, la chiusura in un orizzonte autoreferenziale, l’unico presuntivamente capace di garantire all’uomo libertà e felicità. Illusioni pericolose, delle quali perfino un neoilluminista non credente ma autenticamente critico dovrebbe avere coscienza, anche solo a livello antropologico.

Attenzione quindi a quelle proposte contemporanee che potremmo definire di neoilluminismo soft. Più subdolamente di un tempo, possono perfino «sopportare» nella gente un generico bisogno di trascendenza, ma non la relazione con un Dio personale, incarnato. È una strategia volta a far propria la riserva di senso della religione per poi liberarsene. Sotto un lifting teorico ed un cambiamento di strategia, in realtà si muove la sostanza di sempre. Anche il finale è lo stesso di sempre. La lezione della storia in tal senso parla chiaro: eliminare la dimensione trascendente dell’uomo, il suo riferimento all’Altro, finisce solo col mettere a nudo l’insufficienza dell’uomo, lasciandolo senza speranza, nel nulla. Ecco, allora, l’esito inevitabile dell’illuminismo: il nichilismo.

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