In: La Civiltà Cattolica n. 3813, 2009http://www.laciviltacattolica.it/Quaderni/2009/3813/index_3813.html


Rocco Pezzimenti, La società aperta e i suoi amici. Con lettere di I. Berlin e K. R. Popper,

Roma, Città Nuova, 2008


L’A., docente di Storia delle dottrine politiche presso l’Università degli Studi del Molise e presso la Luiss di Roma, si occupa in modo particolare di storia delle società «aperte» in epoca antica e moderna, nonché del rapporto tra istituzioni civili e politiche e della nascita del capitalismo moderno.

In questo libro si propone di individuare il cammino che ha portato alla realizzazione delle società aperte. La sua analisi prende le mosse dall’esperienza giuridica romana, in particolare dalla riflessione di Cicerone, teorico e difensore degli ideali e delle istituzioni repubblicane, e insieme anche pienamente consapevole della loro crisi. Il passo successivo dell’analisi affronta l’apogeo del Principato ed i suoi primi teorici, in particolare Seneca e Tacito, Ammiano Marcellino e Zosimo. Di questo periodo storico iniziale viene posta in particolare risalto la garanzia del diritto, un diritto che prende forma non sulla base dell’individuo in astratto, ma dell’uomo che agisce nel concreto e con le sue azioni crea regole. È ben tratteggiato, inoltre, il pragmatismo del mondo romano, la sua capacità di tenere insieme continuità e novità, di adeguarsi alla realtà in trasformazione senza rinunciare alla tradizione, di assimilare gli elementi ad esso estranei. Tra questi elementi «estranei» con cui confrontarsi ci sarà soprattutto il cristianesimo. Anche in questo caso, dal IV secolo, finirà con il vincere il senso di apertura. L’A. analizza questo aspetto e l’inizio del contrasto tra religione e politica, riferendosi soprattutto alle riflessioni di Eusebio di Cesarea e Agostino di Ippona, autori che si pongono su posizioni tra loro diametralmente opposte. Pezzimenti prende poi in considerazione il Medioevo. Dopo la minacciosa insicurezza sperimentata dalle popolazioni europee dal V al X secolo a causa delle trasmigrazioni di popoli invasori, nel primo Medioevo domina un vero e proprio culto dell’autorità, a discapito del diritto. La rinascita del dissenso, che riapre il discorso sui limiti del potere, trova un suo valido rappresentante in Giovanni di Salisbury (1120-80), di cui l’A. analizza soprattutto il tema dell’autorità, della sua natura e dei suoi limiti. Altro pensatore al centro della analisi è Tommaso d’Aquino (1226-74), di cui viene posta in risalto la ricca visione politica.

L’analisi affronta poi la dottrina politica di Dante (1265-1321) e, in particolare, il problema della pace tra autorità universale e autonomie locali. Il lettore si confronta, quindi, con Marsilio di Padova (1275-1343) e Guglielmo d’Ockham (1295?-1349) ed i loro contributi sul tema del diritto. Il libro prosegue con tre saggi: una miscellanea di storiografia classica, l’analisi dell’eredità romano-agostiniana e quella sull’eredità greca nel pensiero politico islamico medievale. In appendice sono riportate alcune lettere di I. Berlin e K. R. Popper all’A.

Si apprezzano i singoli studi, analitici e ben documentati, in cui vengono riportati anche numerosi brani degli autori trattati. Al termine della lettura si può apprezzare ancora di più il significativo titolo del libro, perché si ha davvero l’impressione di essersi confrontati con alcuni dei più grandi «amici» della società aperta. L’abilità dell’A. è quella di farci apprezzare soprattutto il loro contributo in difesa della libertà. Alla fine l’A. parla davvero di politica in termini realistici e non di ragione «astratta» (p. 10), senza mitizzare né rifiutare il passato, e ponendo in risalto il perenne contrasto tra realismo e razionalismo che caratterizza la politica.

Si tratta di un lavoro apprezzabile. Anche se in gran parte riprende una precedente edizione del 1995, ora arricchita con altri tre capitoli, con una bibliografia accresciuta e l’indice dei nomi, il testo mantiene intatto il suo valore.

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