In: La Civiltà Cattolica n. 3816, 2009http://www.laciviltacattolica.it/Quaderni/2009/3816/index_3816.html


Marco Vannini, Sulla grazia,

Firenze, Le Lettere, 2008


Con la coerenza teorica che indubbiamente gli va riconosciuta, l’A. prosegue la sua riflessione che, questa volta, si concentra su un tema di particolare rilevanza nell’ottica della fede: la grazia. In sessanta brevi definizioni l’A. descrive la propria «fenomenologia» della grazia. La grazia è luce, bellezza, dolcezza, pace. Non c’è un Dio che manda questa luce, bensì essa stessa è Dio. Giunge nell’anima quando l’uomo rinuncia a se stesso, all’amor sui, quando abbandona la sua volontà. La grazia è rapporto con un «tu» senza una forma determinata, del tutto impersonale, un «Bene», l’«Assoluto», il «Tutto». Esiste un’unica realtà, un unico essere, un’unica luce, che si manifesta in tutte le cose, là dove viene meno ogni dualismo, ogni due. La grazia libera da ogni opinione, da ogni religio in quanto credenza: la religione non può essere né dare esperienza di grazia, se e in quanto il dogma si oppone all’universale, e le teologie di per se stesse negano la luce. La vita della grazia è vita dello spirito, che è intelligenza pienamente distaccata e amore rivolto all’universale. La grazia è l’essere nella dimensione dell’eterno, dello spirito, dell’Uno. Non rimanda a un aldilà, non desidera la vita eterna, perché l’eterno è reale già ora. La grazia è essere nella dimensione dell’eterno, dello spirito, dell’Uno, «nello stupore estatico di essere nel grande mare dell’essere, di essere l’essere» (p. 39).

Il linguaggio ambiguo e suadente, con una terminologia vagamente cristiana, potrebbe far apparire la visione della grazia proposta dall’A. come convincente, «vera», più rispondente alla sensibilità odierna e capace di indurre uno stato di ben-essere psicologico. Ma, anche facendo ricorso soltanto alle personali conoscenze religiose di base, un cristiano non riuscirebbe a riconoscersi in simili definizioni. La grazia, infatti, non è un dato filosofico, ma è innanzitutto un dato teo-logico, cioè riguardante Dio come essere determinato, e non un deus sine modis. La grazia è il suo dono gratuito che ci rende capaci di vivere la relazione con lui, di partecipare alla vita di Dio, che è vita trinitaria. È quindi una definizione che esclude sia l’autoreferenzialità sia una referenzialità indeterminata. L’idea cristiana di grazia implica: relazione, alterità, dono da parte di un «tu» determinato e manifestatosi nel Figlio, nella storia.

Le differenze con il credo cristiano si definiscono ulteriormente nella «nota» finale dell’A. È qui che meglio si comprendono, in continuità con i suoi lavori precedenti, le discrepanze. È un pensare profondamente radicato – e secondo noi «confinato» – nella filosofia. Una filosofia che si incarna, tra gli altri e soprattutto, in Platone ed Heghel. Su questa base teorica e a sua conferma, l’A. utilizza elementi autenticamente cristiani estrapolati dai vangeli e da Giovanni della Croce, e trova in Meister Eckhart la più compiuta descrizione della vita di grazia. La sua prospettiva, infine, lo porta inevitabilmente al rifiuto di qualsiasi istituzione, di qualsiasi chiesa, ma anche di tutte le Scritture, così come del Dio della religione che ucciderebbe il Dio della fede.

Come abbiamo già avuto modo di segnalare in occasione di un precedente lavoro dell’A. (cfr Civ. Catt. 2007 I n. 516), anche quando parla della grazia appare evidente come la sua visione di Dio e dell’uomo non coincida con la teologia e l’antropologia cristiana. L’ottica è quella hegheliana, che induce a considerare l’alterità – dell’io e di Dio – come uno stadio da superare nel divenire dell’essere verso la perfezione. Non c’è spazio per alcuna specificità e identità, né per alcuna differenziazione uomo-Dio. All’uomo platonizzato e de-storicizzato si affianca un Dio indeterminato e impersonale. La loro è una relazione filosofica, fusionale, altra da quella cristiana fondata sull’amore tra un «io» e un «tu».

Anche in questo brevissimo ultimo lavoro si apprezza la tensione spirituale dell’A. e il suo amore per la verità. Alla luce anche dei lavori precedenti, la sua riflessione si dimostra internamente coerente e si ribadisce come «religione della ragione»: «La vita di grazia, indicata dall’evangelo, coincide con la filosofia, che è, platonicamente, la via che conduce al divino» (p. 49). Nel suo pensare è decisiva la tradizione platonica, con l’invito continuo al distacco da sé, dalla propria volontà, dal mondo – diremmo alla de-storicizzazione – per poter fare l’esperienza, apparentemente mistica, della vera unione con l’Uno-Tutto. Quello di Vannini è il Dio dei filosofi, non il Dio del credo cristiano, che è invece un Dio personale che entra nella storia dell’uomo, che dona all’uomo la sua grazia per renderlo capax Dei, mentre vive la storia amando il prossimo.

RecensioniGiuseppe_Esposito%3A_Recensioni.html