In: La Civiltà Cattolica n. 3761, 2007http://www.laciviltacattolica.it/Quaderni/2007/3761/index_3761.html


Marco Vannini, Tesi per una riforma religiosa,

Firenze, Le Lettere, 2006


Chi si occupa di mistica, soprattutto renano-fiamminga, di certo già conosce le riflessioni che M. Vannini propone ormai da tempo. Le ritroviamo anche in quest’ultimo lavoro che, come dice il titolo, intende proporre una riforma religiosa sulla base di precise tesi. Nel solco della tradizione mistico-filosofica, tale riforma esigerebbe un radicale rinnovamento del pensare e dell’essere, la riscoperta del cristianesimo come «messaggio di liberazione, di libertà: vita dello e nello spirito, ove soltanto è libertà» (p. 230). Riattingendo «alla fonte greca» del cristianesimo e, contro ciò che per l’A. è la contraffazione operata dall’antropologia biblica, andrebbe recuperata la vera esperienza dello spirito, l’unità dell’essere, il ritorno nella semplice divinità, nell’Uno impersonale, senza dualismi, distinzioni, differenziazioni.

Nello spirito, che è l’essere stesso, si esperisce il distacco, l’indipendenza dalle cose, l’assenza di giudizi e distinzioni, la percezione del tutto – mondo, uomini, Dio – come uno-unità. La vera esperienza spirituale consisterebbe nella percezione dell’identità tra “fondo dell’anima” e “fondo di Dio”, nella percezione dell’unità del tutto, nella generazione del Lògos nell’anima: «generarsi dello spirito, assoluto in noi e noi nell’assoluto» (p. 27). Ma questa unità dell’essere è possibile solo grazie alla morte dell’anima, cioè dell’io, della sua autoaffermatività o appropriatività (Eigenschaft). Di qui un concetto base del libro e di tutta la riflessione di Vannini, quel distacco «che libera da ogni superstiziosa appropriazione e da ogni discriminazione e pone qui ed ora, nel presente, nella beatitudine dell’assoluto, nell’universale del Lògos» (p. 230).

Per il filone mistico l’A. si affida a scrittori che lui stesso ha contribuito a far conoscere nel nostro paese, soprattutto Meister Eckhart. Nella mistica renano-fiamminga l’A. trova conferma della propria visione filosofica, con radici nel neoplatonismo e nell’idealismo tedesco, soprattutto nella speculazione filosofica di Hegel. Di qui, per il lettore, la sensazione di confrontarsi non tanto con una visione religiosa, quanto con una visione filosofica della religione, della vita spirituale e mistica. Fanno comunque riflettere i frequenti richiami dell’A. contro ogni visione antropomorfica di Dio, i fondamentalismi religiosi, il fideismo e la superstizione, il rischio di alienazione conseguente allo spostare l’esperienza spirituale sempre in un tempo ed un luogo “altri” rispetto al qui-ed-ora. Importanti sono anche i richiami volti a valorizzare la vita spirituale, la nobiltà dell’uomo, l’interiorità, il distacco dall’io, la mistica (anche se solo quella speculativa), il dialogo con le religioni e le tradizioni mistiche orientali, soprattutto buddiste ed induiste.

Ma la sua proposta teorica non convince il lettore, soprattutto se credente. La tesi di fondo dell’unità dell’essere, e la tendenza totalizzante del procedimento dialettico hegeliano, fanno concepire l’alterità – dell’io e di Dio – come negativa, come un semplice stadio nel divenire dell’essere verso la perfezione, quanto meno una fase da superare. In tal senso andrebbe eliminata ogni mediazione, ogni specificità e identità, e soprattutto ogni differenziazione tra uomo e Dio. Ne conseguono un uomo ed un Dio “idealizzati”. Da una parte abbiamo un uomo non realistico, platonizzato, svalutato nella sua storia e corporeità, e privato del suo filogenetico orientamento relazionale. Dall’altra un Dio che «non è il Dio trinitario della teologia cristiana, ma il “silenzioso deserto” della nuda Divinità senza nome» (p. 33).

Un uomo ed un Dio che hanno poco a che vedere con la teologia e l’antropologia cristiana, ma anche con la concreta esperienza spirituale dei credenti e degli stessi mistici. Questi, in realtà, si vivono come soggetti storici, ognuno con una specifica identità psicofisica, con quell’io così tanto vituperato dall’A. E ognuno, inoltre, vive la relazione con un Dio personale, in un rapporto in cui non si disperde nel Tu e nemmeno lo riduce ad una “idea”, ad una semplice proiezione mentale. La relazione credente-Dio, infine, non resta confinata nell’ambito cognitivo, asservita alle esigenze della ragione, ma vive nella concretezza dell’amore. La coscienza e l’esperienza cristiana di relazione con Dio, allora, confermano la categoria della “immagine e somiglianza” non dell’identità.

L’A., inoltre, non convince quando cerca di difendersi dal sospetto di panteismo, né quando emette giudizi senz’appello contro le religioni rivelate, le loro Chiese, sacre scritture e teologie, e le mistiche non speculative. Così come non convince quando, riproponendo un pregiudizio proprio di una certa cultura, pretende di distinguere il cristianesimo autentico, quello di Gesù e Giovanni evangelista, da quello dogmatico, rappresentato soprattutto da Paolo, la figura più contestata dall’A. In definitiva, tenendo conto anche dei suoi lavori precedenti, va riconosciuta all’A. coerenza nella riflessione e sincero amore per la verità. Ma, pur nell’apprezzabile critica al fideismo senza ragione, sconfina nel razionalismo senza fede, senza la fede cristiana.

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