Marcel Gauchet – Robert Redeker, Utopia e modernità,
Troina (EN), Città Aperta Edizioni, 2005
Tutti registrano il declino dell’utopia nel mondo di oggi. Ma il suo bisogno non è finito: l’utopia è invocata e attesa. Occorre, però, prendere atto che la sua natura e i suoi fini sono cambiati. In un contributo dal titolo: «L’utopia, ovvero rimettere in libertà la potenza di sognare», R. Redeker riflette sul concetto di utopia e sul rapporto fra utopia e realtà. Un’utopia può avere effetti sul piano socio-storico anche senza tradursi completamente nella realtà. Anzi, sarebbe proprio questa la forza dell’utopia: influire sulla realtà più che realizzare un programma nel senso proprio del termine.
Allora la nozione di irradiazione è più appropriata di quella di realizzabilità. Utopia, sogno e ragione sono concetti che si richiamano a vicenda, e per l’A. «l’utopia è sempre il prodotto dell’incrocio tra sogno e ragione» (p. 47). Dopo Cartesio il mondo moderno ha un tabù specifico: il sogno. La facoltà di sognare è come anestetizzata: va risvegliata. Allora, se l’utopia è portatrice di sogno, va rimessa in libertà la potenza di sognare. In questo l’utopia è alleata con la poesia: hanno in comune l’obiettivo di salvare il sogno.
M. Gauchet, nel contributo dal titolo «I volti dell’altro. La traiettoria della coscienza utopica», traccia una «storia della coscienza utopica», dalla sua comparsa agli inizi del Cinquecento fino alla sua solo apparente scomparsa alla fine del Novecento. Se all’inizio di questo ventunesimo secolo registriamo la scomparsa di un avvenire rivoluzionario, fino a una sorta di «inimmaginabilita» dell’avvenire nella sua totalità, la coscienza utopica non è svanita. Essa, in una forma nuova, senza volto né identità, è all’opera tra noi, assilla il presente.
Per la «crisi dell’avvenire» la coscienza utopica è emigrata nel presente, «momento intensamente utopico». Poiché le nostre società non mantengono fede a ciò che promettono, proprio in questo scarto tra la realtà del funzionamento e i princìpi a cui si appellano, si inserisce e opera la coscienza utopica. Ma se alimenta la denuncia e grida allo «scandalo», opera anche una negazione dei problemi reali, un ottimismo obbligatorio. Così «oscilliamo tra lo scandalo e l’apologia; così siamo rinviati continuamente dall’autosoddisfazione alla frustrazione» (92). Ed ecco che la coscienza utopica non ci lascia in pace, la sua storia continua.