In: La Civiltà Cattolica n. 3754, 2006http://www.laciviltacattolica.it/Quaderni/2007/3753/index_3753.html


Giovanni Liotti, La dimensione interpersonale della coscienza,

Roma, Carocci, 2005


L’A. è presidente della Società Italiane di Terapia Comportamentale e Cognitiva e docente di psicoterapia. Da anni si interessa al tema della coscienza, argomento di grande rilevanza in diverse discipline: neuropsicologia, neurobiologia, psicologia, epistemologia e antropologia evoluzionista, filosofia, teologia. Il presente lavoro si inserisce nel vasto dibattito sul tema con un contributo specifico: partendo dalla prospettiva cognitivo-evoluzionista, l’A. considera la coscienza nell’ambito del modello interpersonale. In effetti una vasta letteratura ribadisce che l’essere umano è fondamentalmente soggetto-in-relazione e che la coscienza nasce, si mantiene e si sviluppa in una matrice intersoggettiva.

Di qui la domanda centrale del presente studio: quali forme di relazione garantiscono l’operare ottimale della coscienza? Nella prima parte l’A. pone in evidenza come il modello interpersonale della coscienza riceva ampie conferme dall’epistemologia evoluzionista, dall’etologia, dalle neuroscienze. Integrando i risultati di numerosi studi e ricerche, egli compone un quadro unitario che risulta convincente nel fondare scientificamente tale modello della coscienza. I passaggi chiave del discorso risultano ben individuabili, anche per i non specialisti.

Nel corso dell’evoluzione si sono definite alcune disposizioni innate a diverse mete di relazione: chiedere (attaccamento) e offrire (accudimento) protezione e conforto, relazionalità sessuale, competizione per la dominanza, cooperazione in vista di obiettivi comuni. Da queste mete bio-sociali innate si sviluppano i «sistemi motivazionali interpersonali» (Smi), a ognuno dei quali corrispondono emozioni specifiche. Queste, oltre a fornire informazioni sul proprio stato interno (attraverso apposite attivazioni neurofisiologiche), si traducono in vere e proprie comunicazioni rivolte a un membro del proprio gruppo sociale.

Durante l’evoluzione della specie umana è diventato essenziale non fraintendere questi segnali emozionali, i quali nell’uomo sono molto più complessi rispetto alle scimmie antropomorfe. Dalla necessità di discriminare efficacemente fra loro i molteplici segnali emozionali trae origine la coscienza, processo mentale che elabora questi segnali per evitare risposte inappropriate. Tale elaborazione consente di formulare «teorie» sul significato e la finalità del comportamento emozionale altrui (Teoria della mente) e di monitorare la propria esperienza cosciente, facendosi un’idea della propria mente (Metacognizione). In tal modo dalla neurofisiologia pre-cosciente emergono i sentimenti coscienti.

Quella dei sentimenti è però ancora una coscienza primaria, nucleare, che l’uomo in parte condivide con altre specie viventi. Soltanto col successivo sopraggiungere del linguaggio nasce la coscienza di ordine superiore, tipicamente umana. Da quel momento è possibile non solo esperire, ma anche dare un nome alle emozioni, proprie e dell’altro, e tradurle nel dialogo, sfuggendo così alla necessità, che vincola l’animale, di agire in modo automatico in seguito all’attivazione degli Smi. Inoltre, la conoscenza di sé-con-l’altro si traduce in narrazione interiore, storia di sé, autocoscienza riferita a specifici modelli interni che rappresentano le interazioni sé-altro.

Allora la coscienza si correla all’intersoggettività in modo che, comprensibilmente, dalla qualità dell’intersoggettività vengono a dipendere diverse qualità della coscienza. Al tal fine possono essere decisive le prime relazioni di attaccamento, classificabili come: sicure, evitanti, resistenti, disorganizzate. In effetti, quando l’intersoggettività iniziale è patogena, può correlarsi a deficit nella conoscenza emozionale e, quindi, a possibili disturbi della coscienza. E proprio i «disturbi dissociativi» sono particolarmente illuminanti sulla stretta relazione fra stili di attaccamento primario e coscienza. A questo punto, completata la sua analisi, l’A. può rispondere alla domanda centrale del libro: a garantire il pieno sviluppo della coscienza e la formazione di un Sé coeso e stabile, sono l’attaccamento «sicuro» e la relazione cooperativa. In definitiva, per l’A. è non solo possibile ma anche doveroso migliorare la qualità delle relazioni, al fine di sviluppare la coscienza fino a raggiungere il potenziale massimo di conoscenza di sé aperto all’essere umano.

E così, se anche non è intenzione dichiarata dall’A., il suo è un contributo di speranza per l’uomo contemporaneo, sempre più a rischio di narcisismo e di chiusura alla relazione. La lucida e serrata esposizione consente al lettore, anche non specialista, di addentrarsi in questo sterminato campo di indagine, senza lasciarsi intimorire dalla sua complessità. Per chi è interessato ad approfondire l’argomento è molto utile la corposa bibliografia. Il testo è raccomandabile a quanti, nelle diverse discipline, si occupano in modo specifico della coscienza o, più in generale, della relazione io-tu.

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