In: La Civiltà Cattolica n. 3802, 2008http://www.laciviltacattolica.it/Quaderni/2008/3802/index_3802.html


Enza Buono, Quella mattina a Noto. Con un racconto di Gianrico Carofiglio,

Roma, Nottetempo, 2008


L’A., collaboratrice di giornali e riviste letterarie, è anche scrittrice di romanzi. Quest’ultimo suo libro, però, non è un romanzo, ma è una storia di vite reali, appartenenti a diverse generazioni di una famiglia reale: la sua. La narrazione trae origine da un viaggio dell’A. Dopo 40 anni, infatti, la Buono torna in Sicilia e da questo tuffo nel passato prende corpo l’esigenza di scrivere. La scrittura, allora, diventa vera e propria necessità: «queste pagine, che io scrivo per inseguire le mie radici nel passato e riannodarle al mio presente, e sono necessarie a me stessa […] scrivo per omaggio, tardivo e sterile omaggio, a mia madre» (p. 99).

Così, sotto gli occhi del lettore, prende corpo un nostalgico viaggio della memoria. La storia si distende lungo quattro generazioni, fino a quella dell’A., colei che inseguendo le sue radici ci consegna la memoria delle madri precedenti e delle loro relazioni con le figlie. Come è facile intuire, si tratta di una storia tutta al femminile, fatta e dominata dalle donne, che sono le vere protagoniste di questi sistemi famigliari.

La scena iniziale della narrazione è dominata dalla capostipite Mariannina che, persi il marito e il patrimonio, è costretta ad abbandonare il suo paese. La storia procede con la figlia Lidduzza, in lotta per la sua indipendenza, capace di difenderla gelosamente. C’è poi la figlia di Lidduzza, Ituzza, che si laurea e comincia a insegnare, quindi si trasferisce a Noto, si sposa e cresce i figli, finché non è costretta a lasciare la Sicilia per trasferirsi a Bari. Con tratti rapidi ed efficaci, a turno ciascuna donna prende il centro della scena, diventa il motore della storia.

I punti di svolta della narrazione sono costituiti dalle morti. Pur importanti e decisive per tutti, sono descritte sempre in modo asciutto e breve, quasi a non voler arrestare il flusso continuo della vita che deve continuare: e così la storia procede, lenta, ma inarrestabile, e le generazioni si succedono alle generazioni.

La lettura scorre fluida, senza fretta, seguendo la vita dei protagonisti. Pur senza il ritmo del romanzo appassionante, pagina dopo pagina il lettore è interessato a seguire la storia delle famiglie e dei singoli. Si rimane coinvolti, come spettatori partecipi di una saga famigliare, quasi entrando a far parte della famiglia.

Le atmosfere sono cinematografiche: quasi si vedono i colori, si sentono le voci anche dialettali dei personaggi, si percepiscono gli odori della terra siciliana e di quella pugliese. I tempi narrativi sono lenti, come lento scorre il tempo della storia familiare, e questo permette di star dentro le scene, gustarne i dettagli.

Si respira la nostalgia di un tempo che fu e mai più sarà come prima. Il ritmo narrativo solo raramente rallenta, quasi s’impunta, quando l’A. si attarda in brevi considerazioni critiche, diremmo sociologiche, sul mondo di oggi, in particolare sulla scuola. Impuntature che nulla tolgono al piacere della lettura.

La narrazione della Buono è corredata da un breve racconto di G. Carofiglio, ormai affermato scrittore di legal thriller, e figlio della stessa Buono. Anche questo suo romanzo, che si intitola «Non esiste saggezza», pone in risalto le ormai note capacità narrative dell’A.

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