In: La Civiltà Cattolica n. 3757, 2006http://www.laciviltacattolica.it/Quaderni/2007/3756/index_3756.html


Comunità di San Leolino, La porta della vita buona. Tra spiritualità e antropologia,

Panzano in Chianti (FI), Feeria, 2005


Il testo raccoglie i frutti di alcuni  seminari di spiritualità organizzati dalla Comunità di San Leolino, nella diocesi di Fiesole. Fin dagli inizi la Comunità si interroga, fra l’altro, su che cosa sia la vita spirituale, se sia possibile viverla oggi, con quale spiritualità la Chiesa affronta il terzo millennio. La Comunità ritiene necessario operare in vista di un incontro tra spiritualità e cultura, allargando gli orizzonti dell’interrogarsi, ma senza perdere mai di vista il nucleo profondo della verità cristiana. Si tratta di «risvegliare l’anima, la parte più profonda dell’uomo, che non è più in grado […] di concentrarsi in se stessa» (p. 11).

Di fronte al difficile panorama della spiritualità contemporanea, dove pure non mancano indicatori di rinnovamento e creatività, occorre prendere atto che «proprio questa è la sfida cruciale del nostro tempo – combattere la stanchezza, la rassegnazione, la passività […] cogliendo il dramma che si nasconde dietro l’apatia in cui sembriamo immersi» (p. 13). Ciò che davvero serve non sono nuove teorie: occorre ripartire dall’incontro quotidiano e vitale con Cristo, unica «porta» verso Dio. Il percorso deve essere al tempo stesso spirituale e antropologico.

Ed ecco il tema della prima parte: «Umanità di Dio, umanità della fede», che vuole recuperare l’autentico volto del Dio di Gesù Cristo, ponendo in evidenza che, in Cristo, l’uomo è una persona in cui credere. È necessario parlare di Dio e dell’uomo: «Così ce ne parla la Scrittura: non un Dio e un uomo tra loro separati ed estranei, ma Dio e uomo in un rapporto che progressivamente li rivela l’uno all’altro» (p. 15 s). Se la vita cristiana non può non essere vita spirituale, la Chiesa ha un compito decisivo verso i credenti: introdurli all’esperienza di relazione con Dio.

Ma ormai da troppo tempo nella vita ecclesiale domina l’ansia pastorale, l’impegno pratico a scapito dell’esperienza di Dio: si corre così il rischio di indebolire la fede. Ecco quindi il tema della seconda parte: «L’anima della fede tra confusione e deriva». Il percorso si chiude ponendo in risalto un dato forse un po’ troppo trascurato: fondamentalmente la vita cristiana non è privazione e mortificazione, ma bellezza, felicità, beatitudine. Di qui il titolo della terza e ultima parte: «Una vita bella e buona».

L’analisi, condotta con realismo e senza rinunciare alla verità, non confluisce nella mancanza di speranza. Anzi, messi in evidenza i problemi in atto per la vita cristiana e spirituale di oggi, la riflessione della Comunità propone soluzioni concrete che aprono «la porta» alla speranza. Il testo, coinvolgente, si presenta come un forte richiamo: di fronte a una vita cristiana ridotta ad attivismo è urgente recuperare la vita interiore, l’esperienza personale e comunitaria della relazione con Dio.

Senza distaccarsi dal mondo e dalla storia — nobilitati dall’Incarnazione — occorre imparare a fermarsi, saper «stare con Dio», vivere la santità, anche nel senso di «separazione da» tutto ciò che non è Dio. Probabilmente è proprio questo che l’uomo postmoderno si aspetta dal credente: essere testimonianza vera e concreta che la relazione con Dio è davvero possibile.

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