In: La Civiltà Cattolica n. 3749, 2006http://www.laciviltacattolica.it/Quaderni/2007/3749/index_3749.html


Claire Coleman – Fernando Ortega, Mozart. La fin de sa vie,

Paris, Parole et Silence, 2005


Il 250° anniversario della nascita di Mozart (1756-91) si è rivelato un’ulteriore occasione per approfondire la conoscenza di questo indiscusso genio della musica. Dopo i due precedenti lavori: Beauté et Révélation en Mozart (1998) e La voix cachée. Dialogues sur Mozart (2002), in questo libro gli AA. si occupano degli ultimi due anni di vita del musicista, anni di crisi profonda a tutti i livelli.

La letteratura mozartiana menziona il 1790 come l’anno dell’aridità e il 1791 come quello che vede una ripresa della sua produzione musicale. Per comprendere l’imprevista pausa creatrice, secondo gli AA., occorre considerare bene i tre anni precedenti, avviati e conclusi dalla morte di due persone molto significative per Mozart. Tutto comincia nel maggio 1787, quando muore suo padre Leopold, mentre i loro rapporti sono ancora molto difficili. E anche se non ne sono segnate né la creatività né la produttività, in questo periodo non mancano segni la cui comprensione sarà possibile proprio negli anni seguenti. Essi sono rinvenibili soprattutto nel Don Giovanni e poi in Così fan tutte. In ambedue le opere, seppure in modi diversi, traspare il tentativo di sfuggire in qualche modo alla morte.

Il secondo evento decisivo è del febbraio 1790: la morte dell’imperatore Giuseppe II, l’altra figura paterna per Mozart, nonché suo punto di riferimento economico. Di fronte a quest’ultimo lutto egli non riesce più a evitare il confronto diretto con la morte, non riesce più a negarla a se stesso come invece, in qualche modo, gli era riuscito prima. Ora Mozart deve confrontarsi con la realtà. È un confronto duro, fonte di una trasformazione più profonda e significativa di quanto non dica il solo blocco creativo. Ormai crollate le illusioni, Mozart avverte che un cambiamento è indispensabile. La lucidità intellettuale, l’intelligenza e l’intuito che lo caratterizzano, gli suggeriscono che questo è l’anno del grande rinnovamento, è il momento di partire per «incontrare se stesso al fine di giungere all’unità interiore» (p. 62). Gli AA. trovano conferma alla loro ipotesi di fondo anche nelle sole quattro opere del 1790 (K. 589, K. 590, K. 593, K. 594). Molto poco, rispetto al suo standard creativo, ma esprimono bene la «prova» che il genio sta vivendo.

Ma, già nel dicembre 1790, con il quintetto K. 593 si annuncia la rinascita o il misterioso «risveglio», come gli AA. titolano la seconda parte del loro lavoro. Proprio la piena ripresa della creatività getta luce sul silenzio dell’anno precedente che, allora, appare come tempo di gestazione di un profondo cambiamento del pensiero, della vita, della musica. Quello del 1791 è un altro Mozart: «L’energia è ritornata in Mozart, sì, ma non con accenti di vittoria: questa energia va verso una spogliazione, un superamento. Mozart toglierà uno ad uno tutti gli abiti lussuosi che abbellivano la sua musica per rivestirla di una nuova bellezza» (p. 96). Nel «nuovo» Mozart mancano alcuni  tratti caratteristici precedenti, manca soprattutto la tendenza a porre l’immaginazione a servizio delle illusioni, la propensione a deformare la realtà, abbellendola o negandola. In definitiva, la prova del 1790 è risultata benefica: liberata dall’illusione, ora la sua immaginazione creatrice è in autentico contatto con la realtà, la ascolta. E questo si traduce in una musica nuova: disincantata, semplice, seria, vera.

Con il risveglio della creatività e il miglioramento della situazione generale, il vuoto interiore dell’anno prima non avrebbe più ragione d’essere. Eppure non è così. Ed è lo stesso Mozart a dirlo alla moglie Costanza in una lettera del 7 luglio 1791 (cfr p. 95). In realtà, il faticoso viaggio nell’interiorità gli ha definitivamente aperto gli occhi, lo ha posto in contatto con se stesso e con quella realtà da cui non si può fuggire. Così la sua coscienza ormai disincantata prende atto dell’esperienza umana universale: la mancanza di completezza, il non poter bastare a se stessi… il vuoto, la sete mai soddisfatta.

È certamente un libro che potrà apprezzare soprattutto il lettore già addentro alle cose mozartiane. Ma, data la semplicità espositiva, anche il neofita potrebbe giovarsene e, perché no, avviarsi così all’ascolto di una musica «immortale».

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