In: La Civiltà Cattolica n. 3801, 2008http://www.laciviltacattolica.it/Quaderni/2008/3801/index_3801.html


Claudia Caneva, Bellezza e persona. L’esperienza estetica come epifania dell’umano in Luigi Pareyson,

Roma, Armando, 2008


L’A. è docente di antropologia filosofica, particolarmente attenta alle manifestazioni dell’arte contemporanea. Tali premesse caratterizzano significativamente questo suo lavoro, esito del confronto con uno dei pionieri dell’ermeneutica filosofica contemporanea: L. Pareyson (1918-91). Sulle sue tracce, l’A. pone al centro della propria riflessione l’uomo-persona e la dimensione estetica e artistica inerente tutta l’esperienza umana.

È noto come lo stesso Pareyson individui nel suo pensiero tre fasi distinte: le ontologie della persona, dell’inesauribile, della libertà. Tenendo conto di questo divenire, lo studio della Caneva ripercorre innanzitutto l’itinerario formativo del filosofo, che sintetizza come passaggio «dall’individuo alla Persona». Egli si forma alla scuola di quelli che egli stesso definisce i veri esistenzialisti: K. Jaspers, M. Heidegger, G. Marcel.

L’esistenzialismo, vera e propria «filosofia della crisi», è radicato nella dissoluzione dell’hegelismo, ovvero nella crisi di quel razionalismo metafisico che ha dominato la filosofia moderna, dimostrando l’inanità della superbia della ragione. L’esistenzialismo ha posto con chiarezza i problemi che la filosofia doveva affrontare: la realtà del finito, la singolarità della persona, la domanda sulla fine o il ritrovamento del cristianesimo, l’inevitabile mediazione storica e personale nell’accesso alla verità, l’inseparabilità di essere e libertà.

Ma non ha sviluppato a sufficienza il concetto di persona, in particolare il concetto di universalità riscontrabile nella persona. Ed ecco il passaggio dall’esistenzialismo al «personalismo ontologico», con al centro, appunto, il concetto di persona. Secondo «lo schema fondamentale dell’esistenzialismo» di Pareyson la persona, ossia la concretezza dell’io vivente, è al tempo stesso autorelazione e relazione all’essere, relazione con sé e apertura ad altro, incarnazione in una «situazione» e partecipazione all’essere. Pareyson sottolinea in particolare l’inseparabilità di essere e libertà: l’uomo è rapporto con l’essere e l’essere è libertà.

La persona è costituita dal suo rapporto con l’essere e quindi dal suo radicamento nella verità. La persona, inoltre, non è individualità e particolarità, ma è sintesi di singolarità ed universalità/totalità, e queste hanno come fondamento l’«iniziativa» dell’uomo, vero e proprio motore della sua storia. La persona è presenza e ricerca, totalità e insufficienza. Ed è forma: «La persona è l’opera che essa fa di se stessa».

Nella seconda parte l’A. entra nel cuore della sua analisi: «il carattere estetico dell’intera esperienza umana». C’è una campo in cui la struttura del concetto di interpretazione appare con particolare evidenza: l’esperienza estetica. Pareyson libera l’estetica dagli stretti confini della filosofia dell’arte, così che non è più una parte della filosofia, ma «filosofia intera», riflessione sull’intera esperienza umana. Contro l’estetica crociana radica l’arte nell’ambito dell’esperienza umana, recupera tutti quegli elementi che collegano l’arte alla vita. Distingue tra sfera estetica (riferita all’intera vita spirituale in tutte le sue manifestazioni) e sfera artistica (inerente l’arte propriamente detta): le due sfere sono legate ma distinte.

L’arte è intesa come attività, come un fare che è formare: quella di Pareyson, allora, è «estetica della produttività». Come per la persona, anche nell’estetica si ripropone la dialettica tra recettività e attività, intesa come formatività.

Nella terza parte l’A. affronta «il carattere formativo della conoscenza» e quindi tratta un concetto chiave del pensiero di Pareyson: l’interpretazione. Ecco la definizione che egli ne dà: «interpretare è una tal forma di conoscenza in cui, per un verso, recettività e attività sono indisgiungibili, e, per l’altro, il conosciuto è una forma e il conoscente una persona […] interpretare è cogliere, captare, afferrare, penetrare» (p. 104). La verità si rivela solo interpretandola e non si esaurisce in nessuna interpretazione. È l’«ontologia dell’inesauribile». Tutta la conoscenza è interpretazione, ha una dimensione estetica e, al suo culmine, è contemplazione, nel senso profondo di rivelazione della verità, che è la fonte del rinnovamento e il principio di ogni trasformazione.

Secondo l’A. con la sua teoria della formatività Pareyson ha colto e interpretato efficacemente «il grido dell’uomo contemporaneo sempre più schiacciato dall’inquisizione tragica di una ragione che ha perso la capacità di cuore. L’uomo ha bisogno della verità, dalla verità non si esce, ma di una verità esistenzialmente e personalmente significativa» (p. 138).

Nel tempo della radicale debolezza della verità e dell’essere, del «pensiero debole» e del «nichilismo ermeneutico», la riflessione pareysoniana riafferma l’originaria dimensione ontologica del pensiero e la sua funzione di verità, e si traduce in un richiamo, oggi molto attuale, a recuperare il legame tra l’interpretazione, la verità dell’essere e la persona.

Il testo è anche una chiara e sintetica esposizione del pensiero pareysoniano, di cui tra l’altro vengono riportati e commentati numerosi brani. Ma è soprattutto il resoconto di un personale confronto tra filosofia, antropologia ed estetica, che esita in un’appassionata «interpretazione» del carattere ontologico e personale della bellezza e del suo radicamento nella verità. E «disdegnare o respingere l’urto provocato dalla corrispondenza del cuore nell’incontro con la bellezza come vera forma della conoscenza ci impoverisce e ci inaridisce» sottolinea G. Lorizio nella prefazione.

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