In: La Civiltà Cattolica n. 3766, 2007http://www.laciviltacattolica.it/Quaderni/2007/3766/index_3766.html


Mario Aletti – Daniela Fagiani – Germano Rossi (edd.),

Religione: cultura, mente e cervello. Nuove prospettive in Psicologia della religione,

Torino, Centro Scientifico Editore, 2006


Il titolo del volume è anche il tema di cui si è occupato il X Convegno internazionale della Società Italiana di Psicologia della Religione (Sipr). La correlazione tra neuropsicologia ed esperienza religiosa è argomento quanto mai attuale: è interesse primario di varie società scientifiche e trova molto spazio in convegni, in siti internet e in un gran nu-mero di pubblicazioni. Non mancano nemmeno libri divulgativi sul tema che riscuotono molto successo, con titoli accattivanti e a volte perfino fuorvianti. Come spesso accade quando un argomento scientifico complesso diventa di pubblico dominio, aumentano i rischi di banalizzazione e di diffusione di presunte verità tra gli utenti, che perlopiù tendono a non approfondire. Quanto mai opportuni, allora, sono i tentativi di fare chiarezza, se necessario anche uscendo fuori dal coro.

Ed è anche in tale direzione che si muove questo volume, di cui si apprezzano in modo particolare alcuni contributi che meritano di essere almeno segnalati. J. A. Belzen si occupa della Psicologia culturale della religione nelle sue prospettive, sfide e possibilità. A. Antonietti tratta con competenza un argomento centrale: quello della psicologia di fronte al naturalismo neurobiologico e al situazionismo storico-sociale. K. H. Reich getta uno sguardo sul con-tributo della neurobiologia alla psicologia della religione. M. Aletti offre una lettura ampia e critica dei problemi in campo, invocando soprattutto la specificità dell’approccio psicologico alla religione.

Dalla lettura complessiva si comprende innanzitutto come la psicologia della religione debba oggi confrontarsi con due nuove prospettive: la psicologia culturale e la neurobiologia. In proposito non si fa fatica a condividere che, per una migliore comprensione del vissuto psichico verso la religione, conviene non giustapporre le due prospettive, ma integrarle. Chiarito che non ha senso voler dimostrare la esistenza o non esistenza di Dio fondandosi sulla neurobiologia, non c’è dubbio sulla rilevanza del vissuto religioso nella personalità individuale, così come sulla sua complessità.

E allora uno studio che rispetti la complessità dell’atteggiamento religioso deve tener conto — come un insieme integrato — dei dati neurobiologici, del contesto culturale, della storia personale. Il mentale è radicato nel cervello/corpo ma si situa anche in una storia/cultura. E così, inevitabilmente, l’approccio neurobiologico e quello culturale sono complementari. Quando il soggetto conferisce senso alla propria esperienza della realtà, a questi suoi atti soggettivi va riconosciuta la loro autentica natura intenzionale. Certo, sono atti non indipendenti dalle diverse variabili in gioco, ma non riducibili ad esse, meno che mai a quelle neurobiologiche.

Molti e fondati, allora, risultano i richiami di diversi autori contro i vari riduzionismi, che finiscono sempre per non tener conto della persona umana come realtà complessa, neurobiologica e soprattutto socio-culturale-linguistica. Considerato che i meccanismi universali della mente sono a-specifici (a-religiosi), il punto di vista strettamente neurobiologico non riesce a spiegare il vissuto religioso del credente. In realtà, il carattere «religioso» di una esperienza è dato fondamentalmente dal consapevole riferimento al trascendente, come sostiene Aletti, il quale ritiene che, «per definire la religiosità dell’individuo o la sua esperienza mistica, non si possa prescindere dal duplice riferimento alla trascendenza e alla consapevolezza» (p. 183). E per restare allo specifico cristiano, il credente ha coscienza-consapevolezza di aderire a un trascendente personale: il «suo» Dio è il Tu di una relazione.

Anche se i numerosi contributi rientrano primariamente in quella specifica disciplina nota come Psicologia della religione, il lettore può confrontarsi con tematiche che non rimangono confinate in tale ambito, ma rivestono un interesse più generale. Il volume, corredato da una ricca bibliografia, è in buona parte bilingue (italiano e inglese): scelta molto apprezzabile perché la Psicologia della religione in Italia possa aprirsi al dibattito internazionale. Il testo, che presuppone conoscenze specifiche e capacità critica nel lettore, è primariamente indirizzato agli specialisti che si vogliano confrontare scientificamente con la dimensione religiosa dell’uomo.

Ovviamente può tornare utile anche a quanti si occupano di teologia e sono aperti a una maggiore comprensione dell’essere umano che vive la relazione con Dio. Per quanti fossero interessati a seguire questo filone di ricerca — con riferimento soprattutto all’importanza della relazione di attaccamento sia nella psicologia sia nella religione — giunge a proposito anche il prossimo XI convegno internazionale della Sipr (Milano, giugno 2007), che affronterà appunto il tema: «Attaccamento e religione».

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