In: La Civiltà Cattolica n. 3797, 2008http://www.laciviltacattolica.it/Quaderni/2008/3797/index_3797.html


Antonio Sabetta, Dal senso cercato al senso donato. Pensare la ragione nell’orizzonte della fede,

Roma, Lateran University Press, 2007


Docente di Teologia Fondamentale alla Pontificia Università Lateranense, l’A. si interessa in particolare alla modernità e alla relazione tra cristianesimo e post-moderno. In questo libro si occupa del rapporto tra ragione e fede nei testi del magistero, lungo un percorso che parte da Pio IX (1846-78) e, passando attraverso il Concilio Vaticano I e Leone XIII (1810-1903), giunge sino alla Fides et ratio di Giovanni Paolo II e ai testi di Benedetto XVI.

Il progressivo allontanamento del pensiero filosofico dalla Rivelazione, tocca l’apice nella seconda metà dell’Ottocento. Con la modernità prende corpo la problematica ragione-fede e, di conseguenza, si avvia anche la serie di prese di posizione del magistero. Per questo l’A. comincia la sua analisi con le posizioni di Pio IX, espresse in particolare tra la Qui pluribus (1846) ed il Sillabo (1864). Pio IX contesta diversi punti critici: che la ragione sia superiore alla fede; che la fede sia contraria alla ragione; che la religione cattolica sia contraria al bene e al progresso della società umana; che i misteri della religione cristiana siano riconducibili a un’origine esclusivamente umana, fino a rinnegare Cristo e Dio e a ridurre i dati della Rivelazione a pure invenzioni; che le leggi morali e l’ambito del diritto e della vita sociale non abbiano bisogno di alcun riferimento al divino. In particolare, il papa critica il principio del naturalismo, l’idolatria della libertà e «l’adorazione idolatrica della ragione». Anche per reagire agli errori dilaganti che minacciavano i principi fondamentali del cristianesimo, Pio IX decise di convocare un Concilio ecumenico: il Vaticano I di cui, per il rapporto tra ragione e fede, fondamentale è la Costituzione Dei Filius. Essa salvaguarda i diritti della ragione quanto alla sua capacità di cogliere il vero e conoscerlo realmente, e tutela l’ulteriorità della fede dai rischi del fideismo e del razionalismo.

Leone XIII si pone sulla stessa linea di Pio IX, proponendo una critica radicale del liberalismo laicista, ma non si chiude al mondo moderno, riconoscendo quei valori positivi di cui è portatore e che sono compatibili con il cristianesimo. Il suo pensiero è sintetizzato nell’enciclica Aeterni Patris (1879), che si concentra sul servizio che la filosofia è chiamata a rendere alla fede.

Del rapporto fede-ragione si occupa anche Giovanni Paolo II con la sua Fides et ratio (1998), enciclica cui l’A. dedica giustamente lo spazio maggiore. Le sue parole chiave, tra loro strettamente correlate, potrebbero essere: ragione, fede, verità, senso. Il punto centrale dell’enciclica è la questione della verità, elemento che qualifica la ragione e che si traduce fondamentalmente in domanda sul senso. E se oggi la ragione è precipitata in una crisi profonda, le conseguenze sono intuibili: data la sua stretta correlazione con la fede, la sfiducia nella ragione pone in crisi anche l’identità della fede. Ed ecco che, paradossalmente, è proprio un papa a farsi carico di difendere la ragione. L’enciclica, tra l’altro, è il testo del Magistero che più di altri affronta la modernità. Questa viene considerata con simpatia, ma senza tacerne gli elementi critici: lo spirito razionalista, la separazione tra fede (teologia) e ragione (filosofia), la visione esclusivamente immanentista, l’esito nichilistico. Ma, a differenza dei testi che la precedono, il giudizio sulla modernità non è più univoco né esclusivamente negativo.

Nella parte finale del suo lavoro l’A. si confronta anche con le analisi di Benedetto XVI che, iniziate in Introduzione al cristianesimo (1968), giungono fino al famoso discorso di Ratisbona (2006). Anche alla luce di questi contributi e dopo una breve analisi della postmodernità, l’A. ribadisce la necessità di superare il riduttivismo della ragione postmoderna, la sua messa in discussione della sensatezza della domanda di senso, cosa che «costituisce un aspetto [forse il più] problematico della dicibilità del cristianesimo nell’epoca post-moderna» (p. 166). In definitiva oggi il compito principale è quello di «ridare dignità alla ragione», rimetterla in condizione di conoscere il vero e ricercare l’assoluto. Ed è la fede a doversi assumere l’onere di difendere la ragione, difesa essenziale per la fede stessa.

Il libro, in cui non mancano riflessioni critiche anche sui testi del Magistero, si legge con interesse e profitto, grazie anche all’esposizione chiara e all’inquadramento multidisciplinare. Si apprezza pure la scelta dell’A. di presentare gli stralci più significativi dei testi magisteriali su cui fonda la sua analisi. Ulteriori approfondimenti sono possibili grazie al buon apparato di note e alla bibliografia, che però non riporta tutte le voci citate nel testo. Qualche refuso di troppo e la mancanza di un indice dei nomi, nulla tolgono al valore del libro. In effetti si tratta di un testo capace di fornire una buona introduzione alla complessa tematica del rapporto fede-ragione nel pensiero della Chiesa.

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