In: La Civiltà Cattolica n. 3805, 2009http://www.laciviltacattolica.it/Quaderni/2009/3805/index_3805.html


Armida Pezzini, Pensare la soglia. La riflessione di Simone Weil tra filosofia e mistica,

Siena, Cantagalli, 2007


L’A. si propone di cogliere il rapporto tra filosofia e mistica nel pensiero di S. Weil (1909-43) e per questo si concentra sulla sua produzione più matura, particolarmente interessata agli argomenti religiosi. Ben concepito, allora, il titolo, capace di rendere il senso del lavoro: la Weil come filosofa capace di «pensare la soglia» tra filosofia e mistica, di spingere il pensiero fino «al punto in cui si incrociano i piani del naturale e del soprannaturale».

Opportunamente l’A. inizia fornendo uno sguardo attento alla vita della Weil, mostrando in particolare il suo improvviso «incontro con l’Assoluto»: è l’esperienza di Dio nell’abbazia di Solesmes, nel 1938. È una svolta decisiva, che genera un modo nuovo di guardare la realtà, di percepire il mondo.

Per districarsi tra i pensieri della Weil e comprendere meglio la speculazione della sua maturità, l’A. delinea un itinerario che si muove dall’analisi di alcuni aspetti significativi dell’esistenza (sventura, bellezza, tempo) e porta alla luce l’intreccio tra filosofia e mistica nella riflessione weiliana. Inevitabile cominciare dal malheur, la sventura. Il confronto della Weil con il cristianesimo segna il passaggio dall’idea di accettazione stoica della necessità e dell’ordine, a quella di accettazione della volontà di Dio. Modello è la kenosi, lo svuotamento della vita terrena del Cristo, nell’ottica della libera obbedienza, fino alla croce: la prova che l’ha «costretta a credere». In tale prospettiva, centrale si rivela il concetto di «de-creazione», come libera auto-limitazione divina per amore del mondo. Di fronte alla de-creazione divina l’uomo deve rispondere con la sua de-creazione, con la spoliazione del proprio «io». L’amore verso Dio, allora, non può avere una vocazione diversa dalla Croce.

Altro tema decisivo è quello della «bellezza», come traccia divina nel mondo, come «trappola di Dio». Sulla scia del suo amato Platone, anche la Weil pensa alla bellezza come «incarnazione di Dio»: necessaria è, quindi, l’educazione dell’anima alla bellezza. Non meno importante è il tema del «tempo». Dopo l’incontro con Cristo, la Weil legge e vive il tempo dell’esistenza e della storia alla luce dell’eternità e interpreta l’Incarnazione come il «ponte» tra contingente e Assoluto.

L’A. analizza poi il particolare intreccio che la Weil opera tra filosofia e mistica, tra pensiero ed esperienza dell’Assoluto. Dopo la personale esperienza mistica, la Weil sente la necessità di comunicare agli altri che una simile trasformazione interiore è davvero possibile, ed è fondamentale nella propria esistenza. Denuncia il rischio di un «cristianesimo senza soprannaturale» e ritiene importante recuperare l’apporto della mistica che, tra l’altro, per lei costituisce una possibile intesa tra le diverse religioni. Nel descrivere l’azione della grazia e del suo processo di purificazione che è alla base della mistica, Weil traccia una «architettura e fisica» dell’anima, ponendo in particolare risalto temi quali: il «desiderio», il «vuoto», la «attenzione» al linguaggio di Dio.

Il libro non delude le aspettative generate dal titolo. Si presenta, inoltre, anche come una buona introduzione alla vita e al pensiero della Weil, di cui in particolare risaltano la tensione alla verità, l’attenzione al mondo e al soggetto, la critica dello «sradicamento» dell’uomo dai valori, l’apertura al trascendente, la centralità del Cristo, l’importanza della mistica. I pregi del volume sono anche nell’esposizione chiara e completa, nell’abbondanza e pertinenza delle note, nella ricca e articolata bibliografia. Particolarmente apprezzabile anche la scelta di riportare nel testo molte citazioni della Weil nonché dei suoi più accreditati studiosi. La lettura, che probabilmente può invitare ad ulteriori approfondimenti a cominciare dal confronto diretto con gli scritti della Weil, di certo genera la sensazione di grande rispetto per la filosofa francese, per il suo pensiero e per la sua particolare coscienza ed esperienza di Dio.

Ma l’itinerario della Weil, com’è noto, alla luce della sensibilità cristiana non appare privo di incertezze e contraddizioni cui, a nostro parere, l’A. avrebbe dovuto almeno fare cenno. Senza riproporre qui le critiche più pertinenti proposte da altri, ci limitiamo ad una sola considerazione. Anticipando per certi aspetti alcune tendenze della religiosità postmoderna, la fede della Weil tende ad estrapolare dalla pienezza della rivelazione solo ciò che è compatibile con le proprie esigenze razionali ed esperienziali. In particolare, il cammino della Weil verso Dio, seppure autentico, si arresta sulla «soglia» del possibile incontro totale, rimane condizionato dalle esigenze della ragione, diremmo di una ragione filosofica profondamente radicata nell’ellenismo e non priva di venature gnostiche. Indubbia è la centralità del Cristo per la Weil, ma forse non ha torto chi definisce tale centralità una «cristosofia» più che una vera cristologia.

Ovviamente, la vicenda umana e intellettuale della Weil, autentica e davvero unica, non può esser letta solo al vaglio dell’ortodossia e nemmeno rifiutata in toto solo perché si scontra con alcune istanze dogmatiche. Di certo, però, nel rispettoso confronto con l’esperienza della filosofa francese, il credente può andare oltre il traguardo da lei raggiunto. Senza rinunciare alla ragione ma senza farsi frenare dal razionalismo, può non solo «pensare» ma anche «varcare» quella soglia, o meglio lasciarla liberamente varcare a Dio, e così incontrare il Dio cristiano nella completezza della sua rivelazione nel Figlio che si incarna e che lo chiama «Padre», una rivelazione che, inevitabilmente, comprende anche la Chiesa e i sacramenti.

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