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SISTO SECONDO

CAPITOLO I

"La luce è l'ombra di dio" ha detto Einstein. C'è qualcosa nella struttura degli spaziotempi (un supermondo formato da superparticelle con una superluce e superuomini?) che registra quello che avviene nell'universo o i big crunch diventano big bang cancellando la fatica di capire sudata da innumeri intelligenze?

 

La notte del quattro luglio, Sisto è pronto. Indossa una camicia ricamata, un panciotto, una giacca di fustagno con pantaloni di cotone. Si mette in tasca una pistola calibro nove. A mezzanotte si calca in testa il casco che assomiglia a uno scolapasta e tutti gli elettrodi si collegano via computer alle aree corticali. Premendo il tasto destro del mouse a infrarossi, ordina l'inizio del conto alla rovescia scandito dalla voce metallica del computer. Allo "zero" scatta il relais d'avvio e nella città c'è un calo di illuminazione. 

  Chiude gli occhi e avverte il sole sulla faccia.

Sisto si trova in mezzo a un prato col tramonto nelle pupille troppo dilatate per quella luce. Macchie scure sul grande sole denunciano la sofferenza della rètina. Abbassa le palpebre sulle cornee asciutte ricavandone bruciore. Riapre gli occhi sofferenti con cautela: intorno, nella luce del giorno calante, solo erba e alberi, nessuna casa.

Si passa una mano sulla faccia e si ferma a metà del gesto: è una mano giovane, con la pelle liscia e le unghie poco curate. Si guarda l'altra mano ancora stretta sul telecomando del computer, in uno stupido confronto. La spalanca lasciando cadere quel pezzo di tecnologia ormai inutile e si passa le mani sul corpo sentendo i muscoli elastici sotto i vestiti bruciacchiati. Respira profondo e l'aria profumata di fiori gli dà un senso di ebbrezza.

Il suo cervello riceve input violenti dai suoi sensi ringiovaniti. Un papavero purpureo gli inonda di segnale-rosso la corteccia visiva primaria: era così rosso il rosso che vedeva in gioventù?

Si piega sulle gambe e ne trae godimento. Il sangue gli pulsa nelle tempie ricco di ossigeno.

Guarda a oriente il cielo azzurro netto e quel colore intenso gli satura le mappe dell'azzurro eccitando i circuiti edonistici del benessere.

Stringe forte i pugni e l'intera muscolatura delle braccia risponde con la tortura piacevole del sangue che ravviva una zona intorpidita.

Un'ondata di calore gli avvampa la faccia dandogli vertigine mentre un'erezione priapica esplode dolorosa premendo sulla tela dei pantaloni.

Un usignolo gorgheggia il suo canto maschile incrociando nella sua debole coscienza un istinto e un apprendimento. Le note arrivano cristalline e bellissime alla corteccia auditiva di Sisto dopo aver fatto vibrare timpani sani e ben tesi. Si volta a guardare la mille volte viva chioma della quercia che saluta la sua tornata giovinezza col frusciare di tutte le sue foglie. Sisto urla per scaricare la tensione che sta accumulando segnali prepotenti sui suoi nervi recettori.

L'usignolo tace intimorito e Sisto attraversa il prato a grandi balzi e il movimento gagliardo del corpo mette in circolo endorfine di piacere.

Aveva dimenticato quanto è bello far correre un corpo giovane! Aveva dimenticato il gusto di gonfiare polmoni elastici, l'orgoglio della risposta di muscoli scattanti, la gioia animale del proprio muoversi.

La sua consapevolezza di vecchio è in contrasto con i segnali in ingresso e milioni di neuroni eccitati spingono con frenesia a casaccio neodendriti a nuovi contatti. Sisto corre inebriato e avverte il cambiamento dei suoi parametri di misura: spazio e tempo intorno a lui si torcono per tornare nella soggettività della gioventù.

La saggezza della vecchiaia è un triste trucco, una necessaria rassegnazione alla morte.

I circuiti edonici del sistema troncoencefalico e limbico esprimenti i suoi comportamenti sessuali, appetitivi e consumatori, collegati col sistema endocrino e con quello nervoso autonomo, riacquistano primarietà nella confusione delle sue mappe corticali e vengono ripristinati ai valori genetici di default dalla retroazione esercitata dai segnali che gli arrivano da un cuore giovane, da polmoni puliti, da stomaco e ghiandole tornate alla massimo della loro funzionalità.

Sisto si ferma ansante sulla riva di una roggia inalando aria aromatizzata da essenze vegetali, concedendo tempo alla nuova selezione corticale affinché mediando valori interni gli ridia il controllo sul mondo esterno. Si china a specchiarsi nell'acqua che scorre limpida e senza vortici: è come guardare una vecchia fotografia. La pelle del suo volto è liscia con la prima barba castana che gli ombreggia le guance, i capelli, tornati folti a coprire la pelle del cranio, danno alla faccia la bellezza ottimista di chi ha fiducia nella vita. Qualcosa ha funzionato troppo: Sisto ha di nuovo vent'anni e i suoi ricordi del futuro sono vividi e chiari.

Il cigolare aritmico di un carro a due ruote tirato da un bue dal pelo bruno lungo la sponda molle della roggia, lo distoglie dal suo stupore. Un uomo con una camicia sudicia e senza colletto, infilata in un paio di pantaloni larghi e sformati, cammina a fianco del carro, fissandolo con un sorriso che si spegne al diminuire della distanza. L'uomo si avvicina a Sisto, intrigato da qualcosa di alieno che non capisce, staccandosi dal bue che continua a tirare il carro con stanca forza tracciando due profondi solchi nella mota.

-  Otto, ti sei tagliato la barba?- gli chiede in tedesco.

Sisto non risponde. Si passa una mano sulla faccia e il contatto con la propria pelle rinnova il senso di estraneità che tutto il corpo comunica al cervello. Nulla nelle sue equazioni sulla traslazione prevedeva questo cambio di età, anche se estendendole oltre l'arco dell'esistenza i valori di molte incognite tendevano all'infinito.

-  Sei già ciucco prima di sera? Sembri appena tornato dall'inferno...-

Il contadino si avvicina perplesso mentre il bue li supera, lento e pesante, il muso annusante la terra bagnata, tirandosi dietro il carro.

- Ioooh!- gli urla l'uomo e la bestia si ferma, paziente, strappando coi denti la punta di un cespuglio di equiseti.

Sisto guarda il contadino negli occhi e l'uomo fa un passo indietro, impaurito dalla sensazione di difformità che avverte ma che non riesce a precisare.

-  Che diavolo hai fatto alla barba? –

Sisto sorride e fa un gesto vago, si raschia la gola e prova il suo tedesco:

-  Un bicchierino e m'è venuto un gran mal di testa. –

Sisto si stringe le tempie fra le dita e spia la reazione dell'altro che si rinfranca e gli dà un colpetto sulle spalle:

-  Sarà il sole. Mai stato così caldo. Da quando han bucato le montagne a Semmering per far passare il treno le stagioni non sono più quelle di una volta. –

Sisto annuisce senza capire: fino a che punto può spingersi con le domande? Decide di rischiare:

-  Dove posso trovare il doganiere?-

-  Quale doganiere?-

-  Il doganiere Alois Hitler. –

Il carrettiere ride:

-  I sole picchia davvero forte o il bicchierino era un boccale. Torna al mulino e fatti un impacco di acqua e sale. Ci vediamo domani, vengo a prendere la farina. E guarda che senza barba sembri una femmina!-

L'uomo va verso il suo carro e Sisto si avvia nella direzione opposta chinando la testa per nascondere il subbuglio dei pensieri che affiorano alla sua consapevolezza: come mai quell'uomo non conosce il doganiere? Perché pensa che sia ubriaco? Con chi lo confonde? Che c'entra il mulino?

Braunau è un paese con qualche centinaio di case steso lungo la riva destra del fiume Inn che corre verso il Danubio. E' un posto di frontiera con traffico di barconi e carri.

Sisto si avvicina alle prime case e cerca di orientarsi ma non c'è traccia della centrale idroelettrica che nel futuro segnerà il paesaggio. A lunghi goduti passi entra nell'abitato lanciando occhiate rapide alle cose e alle persone. Attraversa la piazza lastricata di sassi irregolari livellati dal passare di generazioni di zoccoli e da sigilli di fango e sterco in cui, nelle parti in pendenza, la pioggia ha scavato piccoli canion.

Si dirige verso il fiume che intravede in fondo a una larga strada sterrata incisa dalle ruote dei carri. Le creste di fango lungo i solchi induriti costringono Sisto a camminare rasente alle case di legno e pietra che ospitano botteghe, stalle, abitazioni e nugoli di bambini magri, scalzi, sporchi e coperti di mosche. Galline becchettano nello sterco, una capra rosicchia il canapo che la tiene prigioniera alla stanga di una carriola, due gatti dal pelo rognoso attraversano la strada a balzi inseguiti da un gruppo di bambini assassini.

Un cane macilento viene scacciato con una pedata nel ventre da una megera tutta rughe e stracci che pesca cucchiaiate di broda in un pentolino affumicato. Una vecchia sdendata di trent'anni bolle il bucato sulla soglia di casa e sorride piorrea a Sisto che trova difficile stendere i suoi muscoli facciali arricciati in una smorfia di sgomento. Sotto una tettoia, piccoli schiavi neri di polvere spalano carbone riempiendo grossi sacchi di juta mentre bambine respirano nuvole impalpabili di pulviscolo mortale setacciando i residui terrosi.

In una botteguccia un uomo di undici anni pialla con vigore una cassa da morto, i pedi nudi immersi nella segatura fino alle caviglie, spingendo l'attrezzo con le sette dita delle piccole mani adunche. Vicino alla riva del fiume un cinquantenario dal grosso gozzo sprona due uomini di dodici anni a lavorare toccandoli di tanto in tanto con la frusta che pende sulla testa del mulo aggiogato al carretto colmo di letame. I due seminudi e incrostati di merda vuotano una fossa portando grossi buglioli scolanti piscio a ingrossare il carico di sterco.

Sulla loggia di una delle case sul fiume adorna di mazzi di pannocchie di mais rubizzo, una

ragazza dalle lunghe trecce bionde leva tornite braccia bianche stendendo mutande a gamba lunga, camicioni con l'indelebile placca d'urea e fasce per neonati. La ragazza guarda Sisto con occhi blu pieni d'amore e poiché l'uomo non alza la testa, intona una canzone melodiosa. Sisto volta la faccia verso di lei e rallenta: la ragazza gli sorride e gli fa un piccolo gesto d'intesa. Dal buio della baracca sbuca una vecchia nodosa impugnando un battipanni e colpisce con insospettabile energia la schiena della ragazza che sopporta quattro battute prima di fuggire singhiozzando, la tinozza dei panni da stendere stretta al petto, inseguita dall'arpìa urlante insulti avvolta in sette strati di gonne nere.

Sisto abbassa il capo, confuso da una confusione nuova: le sue mappe del riconoscimento danno quel volto paffuto ravvivato dai grandi occhi blu per deja vu ma tutto quello che ha intorno gli è estraneo e lo vede per la prima volta.

Tira dritto fino al fiume dove la ruota a pale di un mulino emerge per un largo arco al di sopra del tetto di un capannone: il carrettiere lo ha scambiato per qualcuno che lavora in un mulino, forse lì troverà risposta alla sua confusione.

La pesante ruota a pale cigola irregolare sul mozzo spinta dallo scorrere del fiume e manda lancinanti a solo che sovrastano lo stridore delle macine.

Sisto scende sul pontile di legno. Il posto sembra deserto. Un senso di vertigine lo costringe ad aggrapparsi al mancorrente della passerella che porta al mulino.

Chiude gli occhi e cerca di regolarizzare il proprio respiro. Si volta verso il paese che vive la sua vita quotidiana di placida violenza inconsapevole della sua intrusione e lascia che lo sguardo vaghi sui tetti irregolari, sul brulicare delle persone e degli animali che si affrettano perché il giorno sta morendo, poi guarda l'acqua dell'Inn che fluisce cupa muovendo la ruota impostale dall'uomo. Pensieri alogici e involontari lo attraversano: l'acqua passa una sola volta, sempre diversa pur restando sempre uguale, un invariante direbbe Einstein.

Leonardo gay dipinge il culo dell'amico nel sorriso della Gioconda. Chissà che fine ha fatto Giocondo quel suo compagno di scuola omosessuale che gli faceva pena perché era evitato da tutti. Perché cazzo venire lì.

Sisto scuote la testa in un gesto animale per scacciare quei fastidiosi mezzi pensieri. Entra deciso nel mulino e si trova semisoffocato dal fumetto della farina. Tossisce fino alle lacrime intravedendo una foresta di cinghie e pulegge che fanno girare tre macine, gialle di farina di mais.

-  Herr Otto, abbiamo bisogno di una nuova mola. Questa fa più sabbia che farina ormai... ma che avete fatto alla barba?-

Un vecchio color pannocchia con lunghi ciuffi di peli rossastri come le barbe della meliga che gli scolano dai favoriti e si impastano nel tefillìn della tradizione ebraica che gli fasciano la testa lo guarda strizzando gli occhi per la miopia. Otto blocca la tosse e si passa una mano sul mento lasciando l'interpretazione del gesto a quello gnomo grasso e impolverato che, abituato a occuparsi solo delle sue macine, dimentica subito la domanda e tira una leva facendo scavallare una cinghia da una puleggia fissata all'albero a un'altra che gira in folle. Una delle macine si ferma. Il vecchio tira di nuovo la leva riportando la cinghia sulla puleggia che attiva la macina e la mola si rimette in moto con uno stridore di pietra sfranta.

-  Sentito? Ogni volta che do acqua si sgrana di più. –

Sisto annuisce. La maestra faceva quel rumore col gesso sulla lavagna e tutti si tappavano le orecchie con urla di raccapriccio. Là intorno ci dev'essere qualcuno che gli somiglia ma che porta la barba. Che c'entra il mulino? Lo zio Celso aveva un mulino e c'era uno gnomo grasso e infarinato che lo inseguiva per pizzicargli le cosce. Che il traslatore usi i ricordi per creare un'allucinazione? Perché cercare il padre di Hitler? Se si facesse crescere la barba sarebbe un vello dorato e non avrebbe più quei bastardi peli grigi.

Oltre il mulino c'è uno chalet con una balconata sul fiume. Sisto annuisce di nuovo al vecchio mugnaio e va verso la casa: pensieri involontari son sempre passati per il suo cervello com'è fisiologico per tutti, ma adesso gli rimbombano dentro con tale forza che non riesce a ignorarli.

La porta di legno di pino rosso è chiusa ma si apre alla prima spinta: accanto a un camino di pietra c'è un'alzata di piatti dipinti coi soldati dell'impero, una grande tinozza di legno piena di pentole nere di fumo, un tavolo rotondo vischioso di unto e quattro sedie impagliate coi trefoli rotti ciondolanti verso l'assito grezzo del pavimento sporco di sputazzi di tabacco. Anche il nonno sputava sull'assito del peilu e la nonna si infuriava mentre Sisto bambino usava il divano d'epoca come uno scivolo sfondandolo un po' di più a ogni discesa.

Una puzza di sego rancido leva il fiato. Sisto entra respirando solo con la bocca, ma il tanfo è così intenso che ne sente l'ignobile sapore. Attraversa la stanza e va ad aprire la porta che dà sul balcone sporgente sul pelo dell'acqua: c'è una sedia a dondolo con un bracciolo bruciacchiato da segni di sigaro. Torna dentro: su una mensola a muro, una menorà alza le sue sette braccia ossidate e coperte di sego ingrumato, in un cantone c'è uno specchio con macchie di rame come rogna, inclinato in avanti, tenuto su più dal tessuto di antiche ragnatele che dalla corda che lo regge. Appeso a un pomolo un talèd da preghiera unto e consunto lascia ciondolare tristi nappine consumate. Un'angoliera nera con tre libri incartapecoriti sta appesa a un metro dal pavimento e un piccolo scrittoio con la serrandina in legno semiabbassata sul piano di scrittura fa da chioccia a uno sgabello lucido per l'uso. Su tutto polvere di farina.

C'era farina dappertutto anche a casa dello zio Celso e il gnomo pizzicatore lo rincorreva con le dita aperte a pinza deridendolo "Che cauzi sp'ssi!" cantilenava in dialetto. Sisto scarta per evitare il pizzico doloroso e urta con la mano il brogliaccio gonfio di fogli dagli angoli bisunti. Lo spalanca: le pagine sono coperte da una grafia incerta che ha tracciato caratteri gotici goffi e sbilenchi. "Scri'u, scri'u, ad leji péh!" (scrivi, scrivi, poi leggerai!) rideva la nonna alle spalle del marito che segnava il vino venduto a credito e la sua voce sarcastica suona così presente nello chalet che Sisto gira uno sguardo intorno sentendosi accapponare la pelle.

Nomi e cifre: la contabilità del mulino. Sulle pagine, in calce, è ripetuto un numero: 1859. Sisto sfoglia all'indietro con apprensione: le pagine hanno il numero 1858. Guarda la prima: con uno svolazzo c'è scritto "Im Jahre des Heils 1857 e poi in caratteri così minuti da essere difficilmente leggibili " tischrì, 5618". Lo scrittore dev'essere un ebreo prudente. Gli ultimi fogli sono bianchi. Quel libro dei conti iniziato nell'anno di grazia 1857, o 5618 ebraico, non può essere rimasto là per oltre vent'anni e la penna d'oca infilata nel calamaio non è impolverata di farina.

I confronti con la realtà entrante stimolano i circuiti dell'apprensione che allarmano l'organismo facendo scaricare adrenalina nel sangue: Sisto sente serpeggiare un brivido lungo la spina dorsale: non si trova nel 1888 come aveva calcolato ma nel 1859 e non è ancora nato un doganiere di nome Hitler che diventerà padre del Fuehrer!

-  Fermo là! Che fai a casa mia?-

Sisto si volta e si trova di fronte a un giovane col volto irsuto per una barba castana che lo fissa con occhi accesi dall'alcol impugnando un falcetto affilato.

Le mappe neuronali atte a riconoscere i volti hanno una crisi di prosopoagnosia e girano a vuoto per dieci secondi prima di passare un messaggio ambiguo alla consapevolezza di Sisto: il volto minaccioso di quell'uomo è familiare eppure non catalogato.

Anche il cervello del barbuto ha gli stessi tempi di confusione ma i due si scrutano con sentimenti diversi. Sisto scioglie per primo il dilemma perché sa di poter incontrare un sosia con la barba, anche se il vedersi ogni giorno allo specchio, dove la parte destra del volto diventa quella sinistra, inverte i parametri del riconoscimento. Perché nello specchio l'alto non diventa basso? Sisto scuote di nuovo la testa per spegnere il pensiero inopportuno.

Se si tagliasse la barba, l'uomo che ha di fronte potrebbe essere scambiato per lui. Il suo sosia non giunge alla stessa conclusione, i suoi neuroni intorpiditi dalla birra trasformano il disagio in paura e il comando delle sue azioni passa all'emisfero destro del suo encefalo: dilata gli occhi e indurisce i lineamenti in preda a una reazione di aggressività.

-  Der Teufel!-

Il sosia impreca con voce rauca e si scaglia contro Sisto brandendo alto il falcetto.

-  No!-

Sisto grida, scansandosi appena in tempo. L'arma micidiale spezza con rumor secco la saracinesca dello scrittoio e già è nuovamente in alto, in pugno all'ubriaco, per un nuovo fendente. Sisto fugge sul balcone ma l'aggressore lo insegue e lo afferra da dietro, lo volta per fissarlo in faccia e il suo alito di birra rancida avvolge la vittima come il soffio di un drago:

-  Aspetta, posso spiegare!-

Sisto strilla, gli occhi fissi sulla lama affilata del falcetto. Quante volte lo ha usato da bambino per spezzare la legna per il camino e più la nonna gli diceva di non stancarsi più ne tagliava per mostrasi uomo. Si divincola ma l'energumeno lo sovrasta in forza fisica, lo piega in avanti e il falcetto sta per calare sul suo collo come una ghigliottina.

I condannati alla decapitazione muoiono se tocchi loro il collo con un filo di ferro ben teso. Sisto annaspa con una mano nella tasca per impugnare la pistola e spara senza tirar fuori l'arma.

Il giovane barbuto resta col falcetto in aria mentre una macchia d sangue si allarga sul panciotto intridendogli i pantaloni appena sotto lo stomaco. Nei suoi occhi sbarrati c'è stupore, incredulità, rabbia. Cala il falcetto verso Sisto che gli blocca il polso ormai senza forza:

-  Ti chiami Otto? Come ti chiami?- gli grida sul viso Sisto.

Uno sbocco di schiumosa saliva rossa gli spruzza di caldo la faccia. Il corpo di Otto è percorso da tremiti come quello dei conigli che la piccola nonna ammazzava con una bastonata tra le orecchie. I neuroni del moribondo scatenano il massimo allarme sovraccaricando le aree della consapevolezza. Il flusso di ossigeno portato dal sangue al cervello diminuisce.

-  Come ti chiami?-

Otto pencola, la bocca piena di sangue ma non stacca lo sguardo dal volto del suo assassino, così uguale al proprio. Biascica:

-  Ich bin Otto Spielberg... warum?- annaspa e ripete gorgogliando- Warum?-

La faccia di E.T. frulla assurda e patetica davanti agli occhi di Sisto. Spielberg? Che c'entra Spielberg!!

Il cavallo delle brache di Otto si inonda di urina. E' il suo ultimo momento cosciente. I neuroni non più ossigenati fanno partire l'ultimo trucco selezionato dall'evoluzione: il programma di buona morte. Ogni segnale in ingresso viene ignorato, il corpo genicolato laterale è eccitato con impulsi di feed-back che la corteccia visiva interpreta come una grande luce esterna, mentre i circuiti di memoria porgono il meglio del loro repertorio: la mamma di Otto gli sorride e gli spalanca le braccia immersa in quella luce.

Otto si piega sulle ginocchia, il suo volto si distende in un'espressione di gioia e un ultimo fiotto di sangue gli esce dal naso. Crolla in avanti.

Sisto cerca di reggerlo ma non riesce a tirar fuori di tasca la mano rimasta incollata sulla pistola omicida. Otto si abbatte sulla ringhiera fradicia che si spezza e cade in acqua sprofondando. Riaffiora tre metri più in là trascinato e travolto dalla corrente.

Sisto resta col pugno in tasca contratto da uno spasmo doloroso mentre l'adrenalina viene riassorbita dai reni lasciandogli i muscoli dolenti e un bruciore nello stomaco come se la pallottola glielo avesse bucato. Ondeggia verso i pezzi scheggiati del mancorrente, la lingua spessa e senza saliva.

L'acqua fangosa riflette le ombre della sera e della morte. Sisto scalcia indietro, si ferisce sulle schegge di legno, si aggrappa alla porta dello chalet come se una forza lo volesse sradicare e gettare nel fiume piantando nel legno le unghie dell'unica mano di cui può disporre. Il sole non c'è più, l'aria è viola e le gambe gli sembrano di ovatta. Sisto si guarda, scuro nello scuro specchio corroso dal rame. Le macchie sono dentro di lui.

-  Assassino!- si accusa piegandosi sulle ginocchia.

Il cuore gli duole, rallenta e accelera pompando sangue a flussi irregolari. Confusi segnali si sovrappongono a quelli dell'orecchio interno dandogli la nausea. Il pavimento sembra andargli in faccia e colpirlo con violenza.

Il sistema limbico somatizza il delitto: Sisto si contorce e vomita soffocando nel liquido acre che rimette, la bocca premuta contro l'assito lurido. Nuove orribili connessioni dendritiche gli mostrano gli occhi di Otto Spielberg, i suoi occhi innocenti nella bestialità della furia, dilatati nel passaggio tra l'essere e il non essere più e la sua voce gli echeggia nella caverna vuota che gli pare di avere fra le due orecchie: Warum? Perchè? E.T. ghigna alieno nell'esplosione di un fungo nebbioso che annulla il contatto col reale.

"Warum" è la prima parola che Sisto torna a percepire con i timpani mentre una robusta vecchiona di trent'anni priva degli incisivi, con un occhio appannato dal glaucoma, lo scuote con mani ruvide e callose trascinandolo verso una sedia.

Sisto riaffiora nella realtà, la bocca impastata di acido secco e fissa il volto sconosciuto di quella donna che ha in un solo occhio lo scintillio di una gioventù che tutto il volto annerito e rugoso nega.

-  Di nuovo ubriaco, Herr Spielberg? E perché vi siete tagliato la barba ? Sembrate una femmina! –

Sogghigna la vecchia facendo prillare la punta della lingua nel varco dei denti

-  Adesso vi bollo un po' di fiori di camomilla.-

Sisto ascolta non ancora padrone della propria coscienza. Il suo corpo manda messaggi rassicuranti: siamo giovani e forti e possiamo farcela comunque e dovunque. E' più di quarant'anni che il cervello di Sisto non riceve simili incoraggiamenti.

- Ve la devo versare in gola? Prendete la tazza con le due mani!- gli ordina la donna rugosa con ruvida bonarietà.

Sisto scolla le dita dal calcio della pistola che tiene in tasca, una dopo l'altra e gli sembra di lasciare la pelle su quell'arma assassina. Con difficoltà tira fuori la mano, adunca per la lunga presa e la porta in aiuto dell'altra che regge la coppa che scotta.

Beve e il liquido giallo e caldo che gli brucia l'esofago ma spegne il fuoco che ha nello stomaco. La donna disapprova scuotendo la testa e va a versarsene una tazza. Lo guarda attraverso il vapore di camomilla e parla. Sisto sente le parole ma non ne coglie il significato, si costringe all'attenzione e le parole tedesche attraversano l'area di memoria del linguaggio materno e diventano comprensibili quando si accoppiano con le mappe comparative studiate per il tedesco: quella donna morta da più di cento anni lo sta rimbrottando perché non si è ancora scelto una sposa come voleva la sua povera madre che gliel'ha raccomandato prima di morire di mal di petto.

-  Il suo nome, mamma...-

-  Hitler...-

La sua vera madre muore di nuovo nelle immagini che il cervello gli porta a galla a tradimento.

Ha sempre sospettato di essere un figlio di puttana. Ci sono donne non puttane? Non gli piacerebbe una donna non puttana. Ma che sta facendo lì?

La vecchia continua il brontolo ramazzando la stanza e raccogliendo la sporcizia in un angolo. Solleva un pezzo del pavimento e la spinge nel fiume. Macina parole tedesche con lo stesso stridore delle vecchie mole del mulino.

Sisto sente riaffiorare la capacità logica dalla burrasca dello stress: ha ucciso un ebreo di nome Otto Spielberg che gli assomigliava troppo per non essergli parente: se era lui il nonno di Adolf Hitler, la missione è compiuta.

Nel futuro di questo presente non nascerà più un Alois che non genererà un Adolf che non genererà un Sisto e non ci saranno i campi di sterminio. Anche se lui prigioniero a vita in quel 1859 non potrà mai esserne certo.

Vivere credendo di conoscere il futuro è roba per pazzi maghi astrologhi e ciarlatani. E' probabile che questa sia la realtà e che abbia sognato di essere vecchio in un mondo assurdo.

Otto Spielberg non è morto. Otto Spielberg adesso è lui: un gelo gli scende nelle vene. Sarà bene che corra a castrarsi!

Muove la testa come un mulo tormentato dai tafani. La sua persistenza in questo passato convalida la teoria degli infiniti futuri che si diramano da ogni nodo della casualità. Poiché non ha possibilità di ritorno vivrà prigioniero in questo passato arretrato in cui l'elettronica non esiste neppure come parola. Dovrà vivere qui e adesso tutta la sua vita. Gli vien da ridere: tutti vivono qui e adesso la loro vita e tutti vorrebbero essere altrove.

La porta dello chalet si spalanca ed irrompe la vecchia del battipanni, occhi cerchiati di rosso furore, bava sulle labbra livide, gonne che si alzano sulle calze grigie tese sulle gambe caprine. Si trascina dietro la ragazza, sparse le trecce morbide sull'affannoso petto, i grandi occhi blu allagati di pianto.

L'arpia la strattona, le fa compiere un semicerchio e la manda a sbattere addosso a Sisto che si è alzato in piedi allarmato.

-  Adesso te la sposi brutto maiale!-

Il dito storto e calloso con l'unghia nera e spezzata è teso contro il naso di Sisto che fissa a bocca aperta lo sguardo infiammato della vecchia. La bella ragazza bionda butta le bianche braccia intorno al suo collo e rompe in singhiozzi.

-  Vergognati, sporco giudèo, di aver approfittato di una povera cristiana che veniva a lavarti la Platte di merda dalle camicie! Noi Hitler siamo gente per bene, timorosa di dio, e tu, madonna puttana, te la sposi e battezzi quel bastardo che le sta crescendo dentro!-

La donna delle pulizie si appoggia alla scopa come un soldato alla propria lancia e assiste con proterva soddisfazione.

- Ti sei fatta montare, vero, fraulein Hitler ?- chiede facendo uscire la punta della lingua nel buco dei denti mancanti con effetto serpente.

La bionda burrosa leva più alti i singhiozzi abbarbicata a Sisto il cui giovane corpo aumenta la produzione di testosterone perché l'odore di lei, un misto di fragranza di fieno e panna di latte, eccita i suoi neuroni nasali.

-  Certo, la troia! E aspetta un bambino! E se non la sposi ti strappo le palle con queste mani!-

Sisto guarda quelle dita ad artiglio dalle unghie seghettate simili alla zampa di un rapace e le valuta perfettamente atte a realizzare la minaccia.

-  La sposo...- balbetta confuso.

Ma chi ha pronunciato il nome di Hitler?

Le due vecchie si bloccano, ancora avvolte nella loro riprovazione, poi la loro tensione muscolare si allenta, e loro facce si spianano, perdono imponenza e sembrano diventare più piccole.

-  Ho già parlato col prete. Ti fai cristiano e fra tre domeniche vi sposa.-

-  Mamma...- balbetta la ragazza piangente, i lacrimoni sulle guance paffute come una bambina - ... io gli voglio bene!-

La serva tira su col naso commossa e per mascherare il sentimento prende un pizzico di tabacco da una tabacchiera di legno che porta in una tasca nascosta sotto le prime tre balze della gonna.

-  Gli uomini sono tutti maiali.- sentenzia facendo fischiare la esse tra i denti e dà uno scappellotto a Sisto - Tua madre dall'altro mondo sarà contenta. Marta è una brava ragazza. -

Marta si asciuga le lacrime col dorso di una mano e sorride spiando la faccia di Sisto, pallida, spaventata. Lo sguardo dell'uomo scende a guardarle il ventre ancora piatto, gonfio solo di gonne: ecco dov'è il doganiere, l'uomo che è venuto a uccidere. Soffia fuori il magone che gli stava crescendo dentro a sua insaputa: Adolf il genocida non sarà nipote suo ma il complotto genico è in pieno svolgimento!

Un lampo attraversa la sua coscienza: dovrà sparare in quel ventre di donna o aspettare che il bambino nasca per poi soffocarlo con un cuscino? Si sente male e le ginocchia gli si piegano sotto. La bionda lo sorregge preoccupata mentre la vecchia sdentata sputazza saliva bruna:

-  Giovani d'oggi, fatti di merda.-

Essere padroni del mulino è una qualifica che dà un posto nella scala sociale di Braunau e Sisto, che tutti chiamano Herr Otto, gode del privilegio della fiducia nonostante la macchia dell'origine ebraica. Le autorità del paese, il Burgermeister, il farmacista, il notaio e il maestro col contorno di mogli, figli e lunghe intricate parentele accettano con benevolenza l'improvvisa carenza linguistica di Sisto addebitandola a un colpo di sangue e si felicitano con lui per aver manifestato l'intenzione di abbracciare la fede cristiana.

Le buone signore di Braunau sospirano di rammarico davanti all'ineluttabilità del suo matrimonio con Marta, figlia di un minatore. Un buon partito in meno per le loro figlie in età da marito e le male lingue non mancano di sospettare un complotto della madre per accasare la figlia.

Sisto parla poco e non prende posizione: dice a tutti che farà il suo dovere, anche se non è quello che crede quella brava gente. Ripete a se stesso che farà il suo dovere pensando a quella vita che sta crescendo nel ventre di Marta e che dovrà spegnere.

Marta è bella come una madonna e porta un figlio suo che non è suo: il complesso di sangiuseppe intenerisce Sisto che si trova sempre più spesso a pensare di essere davvero Otto e di avere un'amnesia da alcol con ricordi allucinati di interruttori che accendono ampolle luminose, scatole magiche che mostrano culi e tette di donne da monta, cornette per parlare con gente lontana e caschi di traslazione temporale. Visioni esemplari per descrivere la follia.

La notizia dell'armistizio di Villafranca arriva a Braunau direttamente da Vienna, portata da un soldato a cavallo al Burgermeister che è cugino di Bach, il ministro degli Interni. E il Burgermeister ordina un giorno di festa.

Il farmacista viene tacciato di disfattismo perché brontola che non si festeggia la perdita di una regione ricca come la Lombardia .

Ai paesani non importa il motivo della festa, non sono molte le occasioni per godere di una giornata di svago.

Viene montato in piazza un ballo a palchetto di forma ottagonale e coppie di ogni età e di ogni classe ballano terne di walzer cercando di tenere dietro alle note scatenate soffiate fuori dagli ottoni della banda di Braunau.

Alla fine di ogni terna viene fatta ruotare una corda ben tesa fissata al palo centrale che costringe le coppie a uscire per lasciar posto a quelle che attendono il loro turno.

Marta si avvicina a Sisto con un sorriso timido sotto lo sguardo arcigno e controllore della madre che fa un lieve cenno di permesso.

-  Otto, vuoi ballare?-

Sisto trasalisce, ancora non s'è abituato a sentirsi chiamare Otto.

L'odore di Marta lo eccita, quel suo sguardo trasparente di bambina, la pelle lattea delle guance e sul paffuto del seno gli mettono voglia di vederla nuda. E' incinta eppure la sente vergine.

Sisto indossa un abito dell'uomo che ha ucciso, ha dovuto vincere la sua ripugnanza per non destare sospetti. Ha bruciato le pagine dei suoi appunti per evitare che cadano sotto gli occhi di qualcuno e lo accusino di stregoneria chiudendolo in una segreta secondo l'usanza del tempo. Cerca di non pensare alla sua vita precedente e le nuove mappe create dall'esperienza isolano i ricordi del futuro come cisti pericolose per l'omeostasi.

Un solo pensiero stagna nelle fotocopie continue delle sue mappe cerebrali che traslano da una zona all'altra del cervello, un pensiero che non riesce a cancellare: per eliminare il Fuehrer deve uccidere Marta. L'assassinio di Otto è stato inutile. Dovrebbe buttare via quella pistola. Perché suo padre buttò la pistola in quella piramide di granoturco? Buttò? Butterà? Che tempo usare?

C'era dell'autoderisione nel coro delle sue subpersonalità mentre passava la pistola dalla tasca del vecchio vestito a quella del nuovo.

Sisto prende per mano Marta e la guida verso la pedana di legno. Le cinge la vita e la ragazza appoggia emozionata la mano destra sulla sua spalla. Il valzer è allegro e roteano leggeri al ritmo della musica. E' una bella coppia, vincolata dall'abbraccio e unita dal reciproco fissarsi che pare chiudere lo spazio intorno a loro come due quark in un mesone.

Come che? Una parte del cervello di Sisto rifiuta quei concetti alieni provenienti da un tempo mai esistito. L'oggi è questo odore di Marta, quest'aria frizzante di montagna e saporosa di erbe, la realtà è quella scandita dal walzer e dal calore del corpo della "sua donna".

" Mia donna?" uno sberleffo di pensiero secreto da quella pappa di neuroni che si sente in testa.

Sisto stacca il ventre da quello di lei e gli occhi di Marta si sgranano in una luce d'interrogazione, subito dolorosa perché lo avverte ostile.

" Mia donna con il padre di un mostro nella pancia. Mia donna con mio nonno nella pancia."

Il pensiero volontario associa il concetto con l'immagine di un neonato con la barba bianca.

Sisto torna a stringersi a Marta: quelle sono stronzate distruttive. Forse il destino dell'umanità è tutto scritto nel seme della prima coppia e non c'è nulla da fare. Caso e necessità, molto più caso che necessità.

-  Mi piacerebbe chiamarlo Alois.- gli sussurra Marta.

- Cosa?- si sente chiedere Sisto, come se avesse ceduto il comando del sé a un circuito automatico.

-  Nostro figlio.- sussurra Marta, stringendosi forte a lui.

"Alois Spielberg o Alois Hitler?" si trova a pensare in un turbine di voci interiori "Alois Hitler era il nome del padre di Adolf"

Dopotutto forse non ha sposato, non sposerà, quella ragazza, o almeno nella realtà da cui viene nessuno l'ha sposata: Adolf Hitler, figlio di Alois, nipote non riconosciuto di Alois Spielberg, un ebreo. Cristo, Marx, Hitler, Galileo, Newton, Einstein: hanno tutti suoni ebrei, nel bene e nel male, quelli che han cambiato il mondo.

Quando la musica finisce e la corda spazza i ballerini fuori dall'ottagono, Marta e Sisto sono sudati e ansanti. Sisto spinge Marta dietro un filare di folti cespugli. La stringe a sé e la bacia sulla bocca seguendo il desiderio animale e la voglia di cacciare quei pensieri che si addensano dentro di lui come nuvole di un prossimo diluvio. Le labbra di Marta sono tenere e calde e Sisto le lecca con la punta della lingua. Bocca giovane su bocca giovane.

Tenendosi per mano si incamminano verso il fiume. Un ponte di legno unisce le due sponde dell'Inn e, sulla riva opposta, si intravedono le fiaccole della posto di dogana. A metà del ponte Marta si ferma e si sporge cercando di vedere la corrente che mormora contro i pali. Il vento della notte soffia sulla faccia di Sisto odore d'acqua. Le nubi che chiazzano il cielo sembrano buchi neri nel manto stellato.

" Devi ammazzarla. Dalle una spinta."

Il pensiero maligno aggredisce a tradimento la consapevolezza di Sisto che incrocia le mani dietro la schiena per impedire a quell'idea non voluta di comandarlo contro la sua volontà. Ma qual é la sua volontà?

"Basta una spinta".

Marta si volta a guardarlo, vicinissima a lui, alcune ciocche dei suoi capelli sottili le coprono il viso ondeggiando alla brezza notturna.

-  Perché non dici niente?- lo interroga facendosi ancora più vicina - Sei così... diverso. Cambiato.-

-  Sei troppo bella - le sussurra rigido con un'incertezza nascosta da gesti determinati.

-  Amore mio...- sussurra Marta affidandosi tutta al contatto dei loro corpi- se non mi vuoi più non mi devi sposare per forza.-

Sisto non risponde. Si china per baciarla ma Marta evita la sua bocca appoggiando la guancia contro il ricamo del panciotto:

-  Dico davvero. Ti ho sentito nemico quando mia madre ti ha ordinato di sposarmi. Avrei voluto morire. A volte sei dolce e gentile come non sei mai stato, a volte sei lontano e incomprensibile e non ricordi più niente di noi. Alois, che ti è successo? Mi ami ancora?-

Lo sguardo blu di Marta è cupo nell'ombra come un mare al vespro. Il peso della pistola nella tasca della giacca aumenta: dovrebbe tirarla fuori e uccidere quella donna che metterà al mondo il padre dello sterminatore. Ma nel XIX secolo esiste il XX secolo? I battiti del cuore gli battono nei timpani amplificandosi. Voci interne lo incitano a non pensare, ad agire, è venuto apposta per agire.

La mano gli scivola nella tasca e le dita sfiorano il calcio della pistola ma senza trovare il coraggio di impugnarla:

-  Se non mi vuoi sposare, dimmelo. Non ti preoccupare di me e del bambino, ce ne andremo da qui, non ci vedrai più.-

-  Uccidila! Adesso!-

E' un pensiero voce così forte che Sisto teme che Marta lo abbia sentito. La mano si stringe intorno a calcio della pistola.

Marta si stacca da lui cercando di capire nel suo volto buio perché non risponde. Una nuvola scopre uno spicchio di luna ed è come se gli angeli accendessero un riflettore sui capelli della donna. In quell'aureola d'argento i suoi occhi blu splendono mansueti e pieni di fiducia, si affida a Sisto con lo stesso abbandono a cui si affida a dio.

-  Se non mi vuoi, ti prego Alois, dimmelo adesso!-

Un velo liquido luccica nei suoi occhi, spalancati nell'attesa del verdetto.

"Adesso!" urla nel cervello di Sisto la voce assassina.

La sua mano si stringe con forza sul calcio della pistola e lentamente la estrae dalla tasca come se pesasse decine di chili. Il braccio stanco scende lungo il suo fianco mentre il dito indice aggancia il grilletto.

Marta aspetta in ansia, pervasa da un'eccitazione che la dispone al martirio per la felicità del suo uomo e una nuvola di feromoni avvolgono Sisto mettendo in moto il processo di attrazione sessuale. Messaggi diversi saturano le mappe del giovane maschio: i grandi occhi di Marta fanno scattare programmi atavici di protezione e il suo affidarsi a lui dà il via a mappe che premiano la sottomissione aprendo alla generosità, come da selezione evolutiva dei mammiferi negli ultimi milioni di anni.

Marta è armoniosa e il suo contorno di femmina rafforza l'istinto sessuale sublimandolo verso le aree simboliche più elevate dando inizio a un processo assai più complesso che è la somma sinergica di tutti gli altri: l'innamoramento.

Sisto stringe a sé quel corpo morbido di donna così colmo di promesse d'estasi e di santità. La mano con la pistola sale lentamente verso la nuca di Marta e il buco nero della canna fissa maligno i suoi capelli biondi. A Sisto basterebbe muovere un dito per ucciderla ma la voce omicida balugina morente. Credo nell'intima bontà dell'uomo. Il vendicatore venuto dal futuro è un povero assassino che ha trovato un dolcissimo presente. Con gesto violento del polso Sisto scaglia la pistola nel fiume. Marta si volta sentendo il tonfo nell'acqua.

-  Che hai buttato?-

-  Niente…. - risponde rauco Sisto abbracciandola e affondando la bocca nella massa di suoi capelli - Ho ammazzato sei milioni di ebrei. –

Per soffocare l'angoscia del rimorso che viene da un futuro che vede come passato, Sisto afferra Marta e la bacia con violenza. Le sue mani forzano il corsetto e stringono due mammelle morbide e lattee. A Marta cedono le gambe per l'emozione. Cade in ginocchio. Sisto si sbottona la patta dei pantaloni e spinge verso le sue labbra gonfie il suo membro eretto. Marta non rifiuta il contatto, socchiude la bocca per riceverlo, poi lancia un urlo terrorizzato. Si piega all'indietro, si appoggia con una mano a terra, vorrebbe dire qualcosa ma non riesce a parlare, lo sguardo fisso sulla virilità di Sisto che sta rapidamente afflosciandosi. Marta si rialza e fugge singhiozzando.

Sisto resta sul ponte col glande in mano che si nasconde umiliato sotto la pelle del prepuzio. Con un lampo le sue aree di memoria e di logica si collegano nel giusto modo: cazzo, non è circonciso!


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