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| home torna a "Watchdog"Il maestro segreto dell’horror: Ernesto Gastaldi(da: Perché quelle strane gocce di sangue sui copioni di Ernesto Gastaldi? di Tim Lucas, pubblicato su WideoWatchdog, traduzione e riduzione di Vittorio Catani) --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Tra i grandi maestri del cinema fantastico, accanto ad Argento, Fulci, Bava, ce n'è uno quasi segreto, poco conosciuto. Che ha messo la sua firma su tanti film, e su tanti altri ha lavorato anche senza poterla mettere, e che ha scritto anche romanzi di fantascienza sotto pseudonimo. Vittorio Catani ce lo presenta su questo numero, con l'intervista che segue, una presentazione dell'autore nella sezione Quando le radici, uno stralcio dal romanzo Iperbole infinita e un racconto completo.Quando sulla stampa si discute del cinema horror italiano, si dice a
solitamente che gli anni '50 appartengono a Riccardo Freda, i '60 a Mario
Bava, i '70 a Dario Argento e gli '80 a Lucio Fulci; ma esiste
un'altra persona — raramente menzionata in quegli articoli — la cui
fruttuosa carriera abbraccia tutte e quattro le decadi, e tuttora ha successo: Da allora, fu dalla fertile immaginazione di Gastaldi che nacque un archetipo
"italiano" degli scenari horror. Egli avrebbe scritto molti classici
dell'orrore gotico degli anni Sessanta, divenendo uno dei massimi architetti del
cinema popolare italiano.
Agli inizi sognavo di diventare uno scrittore. Ero impiegato in banca nella città di Biella, nell'Italia Settentrionale. Fu in quel periodo che incontrai un giovanotto incredibile, Peppo Sacchi. Lui e un suo gruppo di amici filmavano storie in 16 mm. Nel 1953 Peppo girò il primo western
italiano, Cowboy Story, e nel 1954 vinse la Coppa Agis a Montecatini dove
esisteva, ed esiste tuttora, un festival per autori di film amatoriali. Andammo al festival e ottenemmo davvero
un grosso successo. Alessandro Blasetti, il famoso regista italiano, mi chiese
se desideravo entrare al Centro Sperimentale di Cinematografia, la maggiore
scuola di cinema di Roma: "Sì, Maestro: naturalmente!" Come fu studiare al CSC? Ho sentito dire di classi cui era permesso osservare come si filmava a Cinecittà, che è proprio la porta accanto. Come scuola, il CSC era troppo teorico. Solo Blasetti era in grado di insegnare sul set. Noi avevamo teatri di posa, cineprese, attori e attrici, ma pochissimo tempo per fare pratica sul set vero e proprio. Il mio biglietto di ingresso al Centro fu un film chiamato La strada che portava lontano, il primo vetro thriller italiano, girato nel 1954! Ciò è sorprendente. Esiste ancora? Sì, ma senza suono. Aggiungevamo la partitura musicale da dischi ogni volta che il film veniva presentato. Lo doppiavamo anche ogni volta, con gli attori che parlavano da dietro lo schermo! Nel 1954 non avevamo i soldi per alcun genere di registrazione sincronizzata... Così il tuo sogno di diventare uno scrittore fu presto rimpiazzato dal sogno di diventare sceneggiatore? Macché! Pensavo di scrivere film come un mezzo per guadagnare abbastanza da sopravvivere mentre avrei scritto il Grande Romanzo! Lavorai come sceneggiatore in molte commedie all’italiana, durante il mio "periodo nero". Non mi è chiara questa espressione, "periodo nero". Scusa, "nero" è troppo... italiano. Voi direste ghost writer. Lavorai come scrittore di sceneggiature per conto altrui, scrissi più di una ventina di copioni per Ugo Guerra, lo sceneggiatore che mi presentò poi ai produttori. Quali furono i film importanti per te da giovane, e quali sono i più importanti per te ora? Io sono nato nel 1934, e frequentai il CSC dal 1955 al '57. Le pellicole più significative per me a quel tempo furono I vitelloni e La strada di Fellini. Ora mi piacciono moltissimo i film di Kubrick... e Pulp fiction di Tarantino. La tua autobiografia, "Voglio entrare nel cinema", contiene pochissimi riferimenti ai tuoi primi horror. Non ti piacciono più? Tutt'altro. Amo ogni mia sceneggiatura. Sono lieto che vi sia qualcuno al mondo che se ne ricordi ancora, ma sono rimasto sorpreso da tanto interesse… postumo! Il primo film sul quale apparve il tuo nome fu "L'amante del vampiro", del 1960. Quest'opera fu distribuita poco tempo prima de "La maschera del demonio" di Bava, e fu accolto freddamente. "I vampiri" di Freda, uscito pochi anni prima, a sua volta non era stato un successo commerciale, e il regista si era lamentato del fatto che gli spettatori, in Italia, non prendessero sul serio l'idea di un horror locale. Pertanto appare davvero insolito che a questo genere fosse offerta una seconda possibilità. Cosa accadde da incoraggiare te ed altri a insistere sull'horror italiano? Penso che fu il successo di Dracula il vampiro, con Christopher Lee, a spingere i nostri produttori. L'amante del vampiro fu il mio primo copione "ufficiale", e fui pagato incredibilmente poco! Feci anche l’aiuto regista in quel film insieme a Franco Cirino Pomicino, il cui fratello diventerà poi famoso come "o ministro"… Il film fu una idea tua? Incontrai il regista Renato Polselli, che si era fidanzato con una delle mie compagne di corso al CSC (la scuola può essere utile!) e lui aveva un primo trattamento dal titolo L'amante del vampiro, ma era completamente diverso da quello che poi è stato il film. Io scrissi la sceneggiatura per
Polselli, unicamente per mangiare. Ero davvero affamato, in quei giorni! Nel 1962 uscì una tua sceneggiatura di maggior successo, considerata una pietra miliare dell'horror italiano: "L'orribile segreto del Dott. Hichcock", diretto da Freda. Come fosti coinvolto in quel progetto? Avvenne per telefono. Il quei giorni molti produttori mi chiamavano per offrirmi di scrivere per loro. Cosa ricordi di quel film? Freda girava scene in una grande, vecchia villa, situata in una zona ricca di Roma, in via Rubens. Tutt'intorno c'era un parco selvaggio, con cripte di famiglia. Un giorno Freda mi mandò a chiamare e mi chiese il permesso di tagliare 10 pagine dalla sceneggiatura. Erano pagine importanti per comprendere la trama. Egli mi spiegò che doveva terminare di girare in pochissimo tempo... l'intera lavorazione durò meno di tre settimane! Non aveva tempo per filmare anche quelle pagine. "Fa' un po’ quello che ti pare…" gli risposi. Freda tagliò scene in cui i personaggi
spiegavano le loro motivazioni. Il film divenne incomprensibile, ma il pubblico
forse lo apprezzò per questo! Per caso, due anni prima Ugo Guerra ed io avevamo lavorato sulla storia di Robert Sheckley La settima vittima. Avevano interpellato Sheckley per i diritti: ci aveva risposto che li avremmo avuti gratis se avessimo filmato la storia esattamente così com'era. La Tuzi mi presentò a Ponti, che mi disse che dovevo riportare tutte le mie modifiche al copione su carta blu. Tornai da lui una settimana dopo con una sceneggiatura che era completamente blu, tranne la pagina frontale! Ponti scoppiò a ridere. La sceneggiatura gli piacque ma mi chiese di non rivelare a nessuno che ne ero l'autore, perché intendeva evitare ogni discussione col regista, dicendogli che la riscrittura era opera di un famoso sceneggiatore americano. Accettai e cominciai a lavorare per Ponti. Ponti vendette il film agli Usa (Joseph
E. Levine) usando solo il mio script, poi però perse ogni interesse al
progetto. La mia stesura non era satirica, perché a quel tempo non esisteva un
genere cinematografico di fantascienza in Italia ma Petri fece un film ironico
su un genere inesistente, mescolando il mio lavoro con parte di quello
precedente. Peccato. l primo film a emergere nel tuo ciclo di thriller fu "Libido", del 1965, che fu anche il tuo debutto come regista. Filmai Libido in 18 giorni: ne scrissi la sceneggiatura ma ero anche il direttore di produzione e l’architetto, mentre ai costumi pensò mia moglie, l’attrice protagonista del film, Mara Maryl. Fu un successo commerciale perché il suo costo era stato incredibilmente basso: 26 milioni di lire, e fu venduto per 25.000 dollari solo negli Usa! In realtà la regìa era stata divisa
tra me e Vittorio Salerno, fratello di Enrico Maria Salerno, attore allora molto
famoso. Con Vittorio diventammo amici e lavorammo insieme a uno dei miei
progetti, La fine dell'eternità (lo stesso titolo di un famoso romanzo
di Asimov, ma non c'era alcuna relazione). Era un film a episodi comprendente
quattro storie di fantascienza: una d'esse era molto simile a Ritorno al
futuro, un’altra venne tradotta dal grande Harry Harrison in inglese e
pubblicata sul magazine "Fantasy and Science Fiction" proprio col
titolo "The End of Eternity". Nel film c'è un testimone che ripete
per un'ora: "Mi sembra di dimenticare un dettaglio importante..." Alla
fine se ne ricorda: aveva visto una donna che cercava di uccidere un uomo, non
un uomo che cercava di uccidere una donna, come egli invece testimonia per tutta
la durata del film! Questo modo di barare mi ha sempre tenuto un po’ lontano
dai film di Argento. Quando iniziai a scrivere professionalmente, ero solito chiedere a Ugo Guerra, Rodolfo Sonego ed altri sceneggiatori, e anche ai produttori: "Perché non facciamo un western?". Tutti ridevano, infatti si pensava che gli italiani avrebbero potuto copiare tutto, tranne il western. Ma un bel giorno, appena prima che Sergio Leone girasse il suo primo film del genere, un western italiano (con un titolo americano) fu proiettato nelle nostre sale. Al pubblico piacque, probabilmente perché pochissimi capirono non era americano! Poi, dopo Per un pugno di dollari
del 1964, tutti i produttori italiani cominciarono a sfornare western. Credo che
la mia prima sceneggiatura western sia stata Arizona Colt, con Giuliano
Gemma che recitava sotto lo pseudonimo di "Montgomery Wood". Solo quando cominciai a lavorare con Sergio Leone mi preoccupai di leggere libri storici sul vecchio West, e osservare le foto originali della Guerra Civile, solo allora, quindi, scoprii che il West reale... era completamente diverso da come esso era mostrato nei film americani! Già Sergio aveva cominciato a
"sporcare" i suoi attori e ne "Il mio nome è Nessuno" tentammo
di aumentare il realismo e levare qualche stereotipo dalle mie sceneggiature
western. Non l'ho mai chiesto a nessuno che lavorasse a tale genere di film, ma che pensi di quella... definizione? Vuoi dire "western spaghetti"? Penso che fosse il giusto nome per i film che scopiazzavano i B-movie americani cercando di essere il più simile possibile; ma penso sia sbagliato applicare tale definizione ai western italiani che cambiarono il modo in cui erano fatti i film sul Far West. Dopo le opere di Leone, gli stessi western americani cambiarono parecchio, divennero più realistici. Capisco che è una grossa domanda, ma potresti raccontare qualcosa circa la tua relazione personale e professionale con Sergio Leone? Quando incontrai Sergio la prima volta, io ero un po’ presuntuoso e lo scontro fu inevitabile perché Sergio Leone usava prendere di petto collaboratori e dipendenti. Spesso umiliava la gente dall’alto del suo enorme successo. Commentando una delle mie scene, mi disse: "Questa è roba da serie C!" Io, che avevo un formidabile timbro sonoro, urlai: "Chi credi di essere? In serie A c'è Fellini, DeSica, Visconti, tu sei in serie B e ancora non hai vinto il campionato!" Me ne andai sbattendo la porta. Venti
giorni dopo Sergio mi telefonò come se ci fossimo lasciati il giorno prima,
dicendo che forse io non mi ero del tutto sbagliato su quella scena. Ho lavorato con lui splendidamente, sentendo che stavamo costruendo insieme qualcosa di buono. Rifiutai di continuare a scrivere C'era una volta in America perché egli pretendeva che la nostra collaborazione diventasse "un matrimonio", senza alcun tempo disponibile per una vita personale né possibilità di scrivere per altri, ma rimanemmo amici. Lui era un "figlio di
puttana" ma anche un genio: e io preferirò sempre un figlio di puttana
genio a una noiosa mediocrità. Il libro mi piacque molto e divenne la trama del film: era l'autobiografia di un autentico, vecchio killer, che si era ritirato nei primi anni Trenta. Due settimane dopo, Sergio mi presentò
un tranquillo signore anziano con occhi blu e uno sguardo alla Frank Sinatra:
era l'autore del libro, scritto insieme a sua moglie. Raccontò che aveva ucciso
29 persone nei tardi anni Venti a New York, usando sempre un rasoio. Ci chiese
se stessimo pensando che fosse stato una cattiva persona: lo guardammo in
silenzio. Spiegò che egli aveva ucciso solo altri gangster, solo chi era nel
"gioco" e conosceva le regole. Disprezzava, disse, gli assassini di
donne e bambini che oggi a NY ammazzano per 100 dollari. Lui incassava 25.000
dollari per ogni omicidio... e stava parlando di dollari degli anni Venti! Fin qui la storia. Il mio trattamento
cominciava così: oggi, un vecchio assassino è in fuga per le strade di NY,
tallonato dalle auto della polizia, e precipita nel fiume. La Camera lo segue
mentre scende giù nelle acque, lasciandolo mentre annega, per carrellare sui
relitti che giacciono sul fondo. C’è la storia della tecnologia in quella
melma e spostandosi sul fondo sembra di viaggiare indietro nel tempo, la
spazzatura e i gli oggetti sono ora quelli degli anni Trenta. E quando la Camera
riemerge dal fiume ci ritroviamo indietro nel tempo, appunto nella New York anni
Trenta... Eccetera eccetera. Quando Sergio morì stavo scrivendo con
lui un altro western intitolato Un posto che solo Mary conosce. Ai bei tempi in Italia si producevano
circa 300 film all'anno: scesero a 60 o 70, la maggior parte dei quali grazie ai
finanziamenti dello Stato con il famigerato "Articolo 28"...
solitamente robetta. I vecchi produttori si ritirarono, alcuni morirono, e ai
nuovi non piace affrontare rischi, per cui si rivolgono alla tv pubblica o
privata per i loro progetti e per chiedere denaro. Se qualcuno li finanzia, per
esempio, 2 milioni di euro, essi tendono a realizzare qualcosa che costi non
più di un milione e mezzo. Se ne infischiavano della qualità. Qual è la situazione oggi per i professionisti come te, se vogliono fare del cinema in Italia? Oggi è difficilissimo vendere sceneggiature in Italia, e se si riesce il compenso è ridicolo. E' il motivo per cui mi sarebbe piaciuto introdurmi nel mercato americano che paga per uno script un minimo di 75mila dollari per arrivare a cifre milionarie, mentre in Italia è ormai difficile fare contratti sopra i 50mila euro. Ernesto, tu hai scritto per quasi ogni genere di cinema: horror, dramma storico in costume, thriller, western, poliziesco. Qual è il più difficile, e perché? Nessun genere è più difficile di un altro. Tutte le storie parlano uomini e donne: il resto è ambientzione. Se tu vesti i tuoi personaggi con Stetson e pistole hai un western; se gli metti addosso un peplo, ottieni un dramma storico; se racconti una storia di segreti hai un thriller, se mostri gli incubi dei personaggi hai un horror, e così via. Le differenze nascono dai caratteri che riesci a inventare e da come riesci ad amalgamare psicologie e condizionamenti epocali, poi molto del risultato dipende dalla gente con cui lavori: alcuni registi, produttori e attori sono stimolanti, altri sono noiosi. In quanto autorevole sceneggiatore di film horror, qual è la tua opinione circa le condizioni attuali del genere? I film horror odierni mi piacciono poco. Troppo sangue, troppi effetti speciali, tanto cattivo gusto e quasi totale assenza del "plot". Penso che siano molto simili al genere porno. Quale genere di sceneggiature ti interessa ora, nel 1997? Ho scritto una commedia, una specie di favola, "La Chiave della Fortuna", ma è difficile trovare un produttore, anche se è stata premiata al B.A.FilmFestival. L’ultima mia sceneggiatura ad essere stata realizzata si chiama Crimine contro crimine. Il regista è Aldo Florio; il suo film più noto è Una vita venduta (Caralsol), del 1976. Quanto al resto, è buffo... Ho sempre proposto ai produttori storie originali ma spesso mi hanno pagato per scrivere roba di genere. Durante gli anni Sessanta e Settanta ho combattuto per convincerli a realizzare film di fantascienza, ma loro mi pagavano per scrivere di vampiri, lupi mannari e serial killer. Guardandomi indietro mi accorgo che ho realizzato soltanto un piccolo numero di film secondo le mie personali idee: I giganti di Roma, Libido, Il dolce corpo di Deborah, Milano trema, Cin...cin... cianuro!, La pupa del gangster, Il mio nome è Nessuno, Stradivari e pochi altri. Ma, secondo me, le migliori sceneggiature che ho scritto non sono mai state filmate. ------------------------------------------------------------------------------------------------------------ Filmografia
Sceneggiatore: L'amante del vampiro
(1960); regia di Renato Polselli; (Usa: The Vampire And The Ballerina) La città gioca d'azzardo
(1974); regia di Sergio Martino; (Usa: The Cheaters) Regista, Produttore, Sceneggiatore: Libido
(1966) Sceneggiatore Per Conto D'altri (Ghostwriter): Anonima cocottes
(1960); regia di Camillo Mastrocinque fine
(L'intervista di Tim Lucas era
lunga in origine 25 pagine.) |