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                    Il maestro segreto dell’horror: Ernesto Gastaldi

(da: Perché quelle strane gocce di sangue sui copioni di Ernesto Gastaldi? di Tim Lucas, pubblicato su WideoWatchdog, traduzione e riduzione di Vittorio Catani)

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Tra i grandi maestri del cinema fantastico, accanto ad Argento, Fulci, Bava, ce n'è uno quasi segreto, poco conosciuto. Che ha messo la sua firma su tanti film, e su tanti altri ha lavorato anche senza poterla mettere, e che ha scritto anche romanzi di fantascienza sotto pseudonimo. Vittorio Catani ce lo presenta su questo numero, con l'intervista che segue, una presentazione dell'autore nella sezione Quando le radici, uno stralcio dal romanzo Iperbole infinita e un racconto completo.

Quando sulla stampa si discute del cinema horror italiano, si dice a solitamente che gli anni '50 appartengono a Riccardo Freda, i '60 a Mario Bava, i '70 a Dario Argento e gli '80 a Lucio Fulci; ma esiste un'altra persona — raramente menzionata in quegli articoli — la cui fruttuosa carriera abbraccia tutte e quattro le decadi, e tuttora ha successo:
Ernesto Gastaldi è nato il 10 settembre 1934 a Graglia (Vercelli). Egli si diplomò in Regia e Sceneggiatura nel 1957, presso il Centro Sperimentale di Cinematografia: la prova d'esame, ispiratagli dalla sua predilezione per i "gialli" Mondadori, fu La strada che porta lontano, forte candidato alla qualifica di "primo vero thriller italiano". (Un altro fu Delitto al luna park realizzato lo stesso anno dal regista Renato Polselli, che fu il primo thriller italiano ad essere anche distribuito nelle sale).
Favorevolmente impressionati da questa produzione, che aveva conseguito dei riconoscimenti, e dagli incassi di Dracula il vampiro, che era appena uscito, due produttori contattarono Gastaldi con un'interessante offerta: era disposto a mettere a frutto la sua attitudine ai thriller, scrivendo qualcosa di analogo?
Gastaldi accettò, e nella zona d'ombra tra il fiasco commerciale de I vampiri di Freda (1957) e il successo mondiale de La maschera del demonio di Bava (1960), l'estro di Gastaldi lanciò la tradizione italiana dell'horror degli anni Sessanta con L'amante del vampiro, distribuito negli Usa come The Vampire and the Ballerina. Per la prima volta, Gastaldi appariva col proprio nome su una sua sceneggiatura.

Da allora, fu dalla fertile immaginazione di Gastaldi che nacque un archetipo "italiano" degli scenari horror. Egli avrebbe scritto molti classici dell'orrore gotico degli anni Sessanta, divenendo uno dei massimi architetti del cinema popolare italiano.


Come ti interessasti la prima volta a una sceneggiatura?

Agli inizi sognavo di diventare uno scrittore. Ero impiegato in banca nella città di Biella, nell'Italia Settentrionale. Fu in quel periodo che incontrai un giovanotto incredibile, Peppo Sacchi. Lui e un suo gruppo di amici filmavano storie in 16 mm.

Nel 1953 Peppo girò il primo western italiano, Cowboy Story, e nel 1954 vinse la Coppa Agis a Montecatini dove esisteva, ed esiste tuttora, un festival per autori di film amatoriali.
Io non sapevo nulla di cinema, e fu così che in una sola notte Peppo mi spiegò ogni cosa, mentre sedevamo nel parco principale della mia città... C'erano due metri di neve e 20 °C sotto zero! Mi unii al suo gruppo, e proposi di girare un film scandaloso, allo scopo di attrarre l'attenzione della gente importante del cinema italiano. Presi appunti circa l'azione e le parole che gli attori avrebbero dovuto pronunciare: solo più tardi scoprii che avevo fatto una "sceneggiatura"!

Andammo al festival e ottenemmo davvero un grosso successo. Alessandro Blasetti, il famoso regista italiano, mi chiese se desideravo entrare al Centro Sperimentale di Cinematografia, la maggiore scuola di cinema di Roma: "Sì, Maestro: naturalmente!"

 

Come fu studiare al CSC? Ho sentito dire di classi cui era permesso osservare come si filmava a Cinecittà, che è proprio la porta accanto.

Come scuola, il CSC era troppo teorico. Solo Blasetti era in grado di insegnare sul set. Noi avevamo teatri di posa, cineprese, attori e attrici, ma pochissimo tempo per fare pratica sul set vero e proprio. Il mio biglietto di ingresso al Centro fu un film chiamato La strada che portava lontano, il primo vetro thriller italiano, girato nel 1954!

Ciò è sorprendente. Esiste ancora?

Sì, ma senza suono. Aggiungevamo la partitura musicale da dischi ogni volta che il film veniva presentato. Lo doppiavamo anche ogni volta, con gli attori che parlavano da dietro lo schermo! Nel 1954 non avevamo i soldi per alcun genere di registrazione sincronizzata...

Così il tuo sogno di diventare uno scrittore fu presto rimpiazzato dal sogno di diventare sceneggiatore?

Macché! Pensavo di scrivere film come un mezzo per guadagnare abbastanza da sopravvivere mentre avrei scritto il Grande Romanzo! Lavorai come sceneggiatore in molte commedie all’italiana, durante il mio "periodo nero".

Non mi è chiara questa espressione, "periodo nero".

Scusa, "nero" è troppo... italiano. Voi direste ghost writer. Lavorai come scrittore di sceneggiature per conto altrui, scrissi più di una ventina di copioni per Ugo Guerra, lo sceneggiatore che mi presentò poi ai produttori.

Quali furono i film importanti per te da giovane, e quali sono i più importanti per te ora?

Io sono nato nel 1934, e frequentai il CSC dal 1955 al '57. Le pellicole più significative per me a quel tempo furono I vitelloni e La strada di Fellini. Ora mi piacciono moltissimo i film di Kubrick... e Pulp fiction di Tarantino.

La tua autobiografia, "Voglio entrare nel cinema", contiene pochissimi riferimenti ai tuoi primi horror. Non ti piacciono più?

Tutt'altro. Amo ogni mia sceneggiatura. Sono lieto che vi sia qualcuno al mondo che se ne ricordi ancora, ma sono rimasto sorpreso da tanto interesse… postumo!

Il primo film sul quale apparve il tuo nome fu "L'amante del vampiro", del 1960. Quest'opera fu distribuita poco tempo prima de "La maschera del demonio" di Bava, e fu accolto freddamente. "I vampiri" di Freda, uscito pochi anni prima, a sua volta non era stato un successo commerciale, e il regista si era lamentato del fatto che gli spettatori, in Italia, non prendessero sul serio l'idea di un horror locale. Pertanto appare davvero insolito che a questo genere fosse offerta una seconda possibilità. Cosa accadde da incoraggiare te ed altri a insistere sull'horror italiano?

Penso che fu il successo di Dracula il vampiro, con Christopher Lee, a spingere i nostri produttori. L'amante del vampiro fu il mio primo copione "ufficiale", e fui pagato incredibilmente poco! Feci anche l’aiuto regista in quel film insieme a Franco Cirino Pomicino, il cui fratello diventerà poi famoso come "o ministro"…

Il film fu una idea tua?

Incontrai il regista Renato Polselli, che si era fidanzato con una delle mie compagne di corso al CSC (la scuola può essere utile!) e lui aveva un primo trattamento dal titolo L'amante del vampiro, ma era completamente diverso da quello che poi è stato il film.

Io scrissi la sceneggiatura per Polselli, unicamente per mangiare. Ero davvero affamato, in quei giorni!

Cosa puoi dirmi di Polselli?

Poi persi i contatti con lui, ma so che lavora nel campo dell'editing, supervisionando il doppiaggio italiano di film americani. Quando lo conobbi, era un uomo di grandi ambizioni più che di talento.

 

 

 

Nel 1962 uscì una tua sceneggiatura di maggior successo, considerata una pietra miliare dell'horror italiano: "L'orribile segreto del Dott. Hichcock", diretto da Freda. Come fosti coinvolto in quel progetto?

Avvenne per telefono. Il quei giorni molti produttori mi chiamavano per offrirmi di scrivere per loro.

Cosa ricordi di quel film?

Freda girava scene in una grande, vecchia villa, situata in una zona ricca di Roma, in via Rubens. Tutt'intorno c'era un parco selvaggio, con cripte di famiglia.

Un giorno Freda mi mandò a chiamare e mi chiese il permesso di tagliare 10 pagine dalla sceneggiatura. Erano pagine importanti per comprendere la trama. Egli mi spiegò che doveva terminare di girare in pochissimo tempo... l'intera lavorazione durò meno di tre settimane! Non aveva tempo per filmare anche quelle pagine.

"Fa' un po’ quello che ti pare…" gli risposi.

Freda tagliò scene in cui i personaggi spiegavano le loro motivazioni. Il film divenne incomprensibile, ma il pubblico forse lo apprezzò per questo!

Il film venne considerato scandaloso negli Usa perché presentava la necrofilia, in un periodo in cui anche il normale sesso era trascurato negli horror. Avevi la sensazione di infrangere un tabù, con questo film?

No. Quando sei costretto a scrivere molti horror o thriller, l'importante è trovare nuovi argomenti per il soggetto. La necrofilia fu appunto uno di questi. In Italia, nessuno ne rimase turbato.

La scelta del nome "Hichcock" ovviamente non fu accidentale: fu una tua idea? Perché venne omessa la "t"?

Donati e Carpentieri, i produttori, temevano che Alfred Hitchcock avrebbe potuto reagire se noi avessimo usato lo stesso spelling del suo cognome, così fu deciso di eliminare una lettera. Ma quasi nessuno in Italia si accorse della differenza!

A parte le sceneggiature "fantasma" per Ugo Guerra, ne hai scritte altre in cui il tuo nome non era citato?

Sì, molte volte.

Per esempio?

Be', La decima vittima, un film di fantascienza del 1965, per Carlo Ponti. La regia era di Elio Petri. Recitavano Marcello Mastroianni, Ursula Andress, Elsa Martinelli, Salvo Randone, Massimo Serato...

Davvero! La sceneggiatura è attribuita a Tonino Guerra, Giorgio Salvioni, Ennio Flaiano e al regista, Petri. Cosa mi narri di questa esperienza?

Era da molto tempo che cercavo di persuadere i produttori italiani a fare un film di fantascienza. La signora Tuzi, manager di Ponti, sapeva della mia fissazione e mi chiamò quando il produttore le disse di essere scontento della sceneggiatura presentata da Ettore Scola, Elio Petri, Tonino Guerra e altri importanti sceneggiatori italiani.

Per caso, due anni prima Ugo Guerra ed io avevamo lavorato sulla storia di Robert Sheckley La settima vittima. Avevano interpellato Sheckley per i diritti: ci aveva risposto che li avremmo avuti gratis se avessimo filmato la storia esattamente così com'era.

La Tuzi mi presentò a Ponti, che mi disse che dovevo riportare tutte le mie modifiche al copione su carta blu. Tornai da lui una settimana dopo con una sceneggiatura che era completamente blu, tranne la pagina frontale!

Ponti scoppiò a ridere. La sceneggiatura gli piacque ma mi chiese di non rivelare a nessuno che ne ero l'autore, perché intendeva evitare ogni discussione col regista, dicendogli che la riscrittura era opera di un famoso sceneggiatore americano.

Accettai e cominciai a lavorare per Ponti.

Ponti vendette il film agli Usa (Joseph E. Levine) usando solo il mio script, poi però perse ogni interesse al progetto. La mia stesura non era satirica, perché a quel tempo non esisteva un genere cinematografico di fantascienza in Italia ma Petri fece un film ironico su un genere inesistente, mescolando il mio lavoro con parte di quello precedente. Peccato.

 

l primo film a emergere nel tuo ciclo di thriller fu "Libido", del 1965, che fu anche il tuo debutto come regista.

Filmai Libido in 18 giorni: ne scrissi la sceneggiatura ma ero anche il direttore di produzione e l’architetto, mentre ai costumi pensò mia moglie, l’attrice protagonista del film, Mara Maryl.

Fu un successo commerciale perché il suo costo era stato incredibilmente basso: 26 milioni di lire, e fu venduto per 25.000 dollari solo negli Usa!

In realtà la regìa era stata divisa tra me e Vittorio Salerno, fratello di Enrico Maria Salerno, attore allora molto famoso. Con Vittorio diventammo amici e lavorammo insieme a uno dei miei progetti, La fine dell'eternità (lo stesso titolo di un famoso romanzo di Asimov, ma non c'era alcuna relazione). Era un film a episodi comprendente quattro storie di fantascienza: una d'esse era molto simile a Ritorno al futuro, un’altra venne tradotta dal grande Harry Harrison in inglese e pubblicata sul magazine "Fantasy and Science Fiction" proprio col titolo "The End of Eternity".

Arriviamo agli anni Settanta: i thriller di Argento sono molto diversi dai tuoi, perché tu scrivi sceneggiature che sono sempre ben pianificate. In te non ci sono mai buchi logici o false informazioni. E' un peccato che tu non abbia mai scritto per Argento, che grande thriller sarebbe venuto fuori!

Quando vidi L'uccello dalle piume di cristallo lo apprezzai come fattura, ma a me non piacciono i thriller basati sugli espedienti.

Nel film c'è un testimone che ripete per un'ora: "Mi sembra di dimenticare un dettaglio importante..." Alla fine se ne ricorda: aveva visto una donna che cercava di uccidere un uomo, non un uomo che cercava di uccidere una donna, come egli invece testimonia per tutta la durata del film! Questo modo di barare mi ha sempre tenuto un po’ lontano dai film di Argento.

Tra gli anni Sessanta e Settanta hai scritto un gran numero di "western-spaghetti". Con i tuoi precedenti, da dove scaturì questa nuova avventura?

Come ho raccontato all'inizio, Peppo Sacchi realizzò il primo vero western italiano, Cowboy Story, nel 1954.

Quando iniziai a scrivere professionalmente, ero solito chiedere a Ugo Guerra, Rodolfo Sonego ed altri sceneggiatori, e anche ai produttori: "Perché non facciamo un western?". Tutti ridevano, infatti si pensava che gli italiani avrebbero potuto copiare tutto, tranne il western. Ma un bel giorno, appena prima che Sergio Leone girasse il suo primo film del genere, un western italiano (con un titolo americano) fu proiettato nelle nostre sale. Al pubblico piacque, probabilmente perché pochissimi capirono non era americano!

Poi, dopo Per un pugno di dollari del 1964, tutti i produttori italiani cominciarono a sfornare western. Credo che la mia prima sceneggiatura western sia stata Arizona Colt, con Giuliano Gemma che recitava sotto lo pseudonimo di "Montgomery Wood".

Questi film richiedevano molte ricerche storiche?

Macché, non era necessaria nessuna ricerca! Come chiunque altro al mondo, avevo visto migliaia di western americani. Dovevo semplicemente copiarne le atmosfere... se i western dell'America fossero stati fasulli, lo sarei stato anch'io!

Solo quando cominciai a lavorare con Sergio Leone mi preoccupai di leggere libri storici sul vecchio West, e osservare le foto originali della Guerra Civile, solo allora, quindi, scoprii che il West reale... era completamente diverso da come esso era mostrato nei film americani!

Già Sergio aveva cominciato a "sporcare" i suoi attori e ne "Il mio nome è Nessuno" tentammo di aumentare il realismo e levare qualche stereotipo dalle mie sceneggiature western.

 

 

Non l'ho mai chiesto a nessuno che lavorasse a tale genere di film, ma che pensi di quella... definizione?

Vuoi dire "western spaghetti"? Penso che fosse il giusto nome per i film che scopiazzavano i B-movie americani cercando di essere il più simile possibile; ma penso sia sbagliato applicare tale definizione ai western italiani che cambiarono il modo in cui erano fatti i film sul Far West. Dopo le opere di Leone, gli stessi western americani cambiarono parecchio, divennero più realistici.

Capisco che è una grossa domanda, ma potresti raccontare qualcosa circa la tua relazione personale e professionale con Sergio Leone?

Quando incontrai Sergio la prima volta, io ero un po’ presuntuoso e lo scontro fu inevitabile perché Sergio Leone usava prendere di petto collaboratori e dipendenti. Spesso umiliava la gente dall’alto del suo enorme successo.

Commentando una delle mie scene, mi disse: "Questa è roba da serie C!"

Io, che avevo un formidabile timbro sonoro, urlai: "Chi credi di essere? In serie A c'è Fellini, DeSica, Visconti, tu sei in serie B e ancora non hai vinto il campionato!"

Me ne andai sbattendo la porta. Venti giorni dopo Sergio mi telefonò come se ci fossimo lasciati il giorno prima, dicendo che forse io non mi ero del tutto sbagliato su quella scena.
Io ho amato Sergio e ho sofferto enormemente la sua perdita. Era un genio senza cultura, un "figlio di puttana", ma gli volevo davvero bene.

Ho lavorato con lui splendidamente, sentendo che stavamo costruendo insieme qualcosa di buono. Rifiutai di continuare a scrivere C'era una volta in America perché egli pretendeva che la nostra collaborazione diventasse "un matrimonio", senza alcun tempo disponibile per una vita personale né possibilità di scrivere per altri, ma rimanemmo amici.

Lui era un "figlio di puttana" ma anche un genio: e io preferirò sempre un figlio di puttana genio a una noiosa mediocrità.

Un momento: stai dicendo che tu lavorasti anche a" C'era una volta in America"? La sceneggiatura era accreditata a Leone, Leonardo Benvenuti, Piero De Bernardi, Enrico Medioli, Franco Arcalli, Franco Ferrini...

Io scrissi il trattamento originale. Le cose andarono così: stavo scrivendo Un genio, due compari e un pollo con Sergio (per Damiano Damiani) e lui mi diede un libro da leggere, "Mano armata" di Harry Grey (pseudo di David Aaronson), killer di Cosa Nostra.

Il libro mi piacque molto e divenne la trama del film: era l'autobiografia di un autentico, vecchio killer, che si era ritirato nei primi anni Trenta.

Due settimane dopo, Sergio mi presentò un tranquillo signore anziano con occhi blu e uno sguardo alla Frank Sinatra: era l'autore del libro, scritto insieme a sua moglie. Raccontò che aveva ucciso 29 persone nei tardi anni Venti a New York, usando sempre un rasoio. Ci chiese se stessimo pensando che fosse stato una cattiva persona: lo guardammo in silenzio. Spiegò che egli aveva ucciso solo altri gangster, solo chi era nel "gioco" e conosceva le regole. Disprezzava, disse, gli assassini di donne e bambini che oggi a NY ammazzano per 100 dollari. Lui incassava 25.000 dollari per ogni omicidio... e stava parlando di dollari degli anni Venti!
Il libro raccontava la storia di come, in quei giorni, egli avesse contattato la polizia per salvare uno dei suoi più cari amici che stava impazzendo a causa della sifilide, nell'intento di prevenire il suo suicidio durante un’assurda rapina che voleva fare contro una banca della Federal Reserve. La polizia, invece, uccise l'amico e i suoi compagni. Il killer fuggì da New York e se ne andò in Florida, dove sposò una giovane insegnante ed ebbe numerosi figli. Viveva la sua nuova vita senza problemi, quando un mattino fu raggiunto da una telefonata: era la mafia e qualcuno gli spiegò che doveva tornare a New York per pagare il suo antico debito. Il vecchio killer non poté che obbedire. Tornò a New York, e la mafia gli commissionò l'assassinio di un senatore degli Usa. Ai committenti premeva stornare sospetti politici circa questo omicidio, e il vecchio killer sarebbe stato un buon alibi. L'uomo uccise il senatore, ma poi fuggì e simulò di essersi tolto la vita gettandosi con la sua auto nel fiume Hudson.

 

 

Fin qui la storia. Il mio trattamento cominciava così: oggi, un vecchio assassino è in fuga per le strade di NY, tallonato dalle auto della polizia, e precipita nel fiume. La Camera lo segue mentre scende giù nelle acque, lasciandolo mentre annega, per carrellare sui relitti che giacciono sul fondo. C’è la storia della tecnologia in quella melma e spostandosi sul fondo sembra di viaggiare indietro nel tempo, la spazzatura e i gli oggetti sono ora quelli degli anni Trenta. E quando la Camera riemerge dal fiume ci ritroviamo indietro nel tempo, appunto nella New York anni Trenta... Eccetera eccetera.
Certo io non avrei mai permesso che un noto gangster si fingesse morto e poi diventasse senatore… il pubblico americano rise nel finale del film scoprendo quell’assurdità.

Quando Sergio morì stavo scrivendo con lui un altro western intitolato Un posto che solo Mary conosce.

Anche i tuoi figli sono stati avviati al cinema?

Per ora no. Uno, purtroppo, morì nel 1989, aveva appena 23 anni. Amarilli, la mia prima figlia, ha tre bambini e solo da poco si è messa a scrivere. Sciltian, il più giovane, si è laureato in Scienze politiche e Storia. Fa il giornalista free lance e scrive romanzi e racconti. Quando era undicenne interpretò un personaggio in La fine dell'eternità.

In questo momento il cinema italiano appare in crisi. Secondo te, per quale motivo?

I nostri film non vengono quasi mai doppiati negli Usa e noi invece doppiamo tutta la produzione americana. Un tempo c’era una tassa sul doppiaggio, e quanto i distributori americani guadagnavano in Italia doveva essere investito qui. Il nostro governo stranamente abolì la tassa sul doppiaggio. E fu un primo colpo. Poi nel 1978 il mio amico Peppo Sacchi vinse un processo a Bruxelles contro il monopolio delle tv pubbliche. Io previdi che per il nostro cinema era l’inizio della fine. Noi non abbiamo mai avuto un'industria davvero solida, i nostri produttori erano degli speculatori più che uomini d'affari. Un'incredibile numero di stazioni televisive cominciò a funzionare programmando film per i quali non venivano pagati i diritti. Fummo inondati da film che si potevano vedere stando a casa e gratis, e ovviamente nessuno più andò a pagare il biglietto nelle sale.
Dopo pochi anni, quando ormai tutti i film italiani e non, erano stati visti in televisione, molte TV fallirono e Berlusconi, in combutta con un nostro presidente del consiglio, mise su un monopolio privato e cominciò una gara col monopolio pubblico a chi mostrava più film americani, soap operas, sitcom, eccetera. Questo ridusse la nostra percentuale di produzione quasi a zero.

Ai bei tempi in Italia si producevano circa 300 film all'anno: scesero a 60 o 70, la maggior parte dei quali grazie ai finanziamenti dello Stato con il famigerato "Articolo 28"... solitamente robetta. I vecchi produttori si ritirarono, alcuni morirono, e ai nuovi non piace affrontare rischi, per cui si rivolgono alla tv pubblica o privata per i loro progetti e per chiedere denaro. Se qualcuno li finanzia, per esempio, 2 milioni di euro, essi tendono a realizzare qualcosa che costi non più di un milione e mezzo. Se ne infischiavano della qualità.
Alla fine degli anni Ottanta la tv di Berlusconi tentò di distruggere i pochi produttori indipendenti rimasti. Cominciarono a pagare la gente tre volte, quattro, fino a dieci volte più delle tariffe correnti. Nessun altro avrebbe potuto competere. (A Vittorio Salerno e a me fu pagato un miliardo di lire per una sceneggiatura di Stradivari!) Poi mollarono tutto e rimase solo Medusa.

 

 

Qual è la situazione oggi per i professionisti come te, se vogliono fare del cinema in Italia?

Oggi è difficilissimo vendere sceneggiature in Italia, e se si riesce il compenso è ridicolo. E' il motivo per cui mi sarebbe piaciuto introdurmi nel mercato americano che paga per uno script un minimo di 75mila dollari per arrivare a cifre milionarie, mentre in Italia è ormai difficile fare contratti sopra i 50mila euro.

Ernesto, tu hai scritto per quasi ogni genere di cinema: horror, dramma storico in costume, thriller, western, poliziesco. Qual è il più difficile, e perché?

Nessun genere è più difficile di un altro. Tutte le storie parlano uomini e donne: il resto è ambientzione. Se tu vesti i tuoi personaggi con Stetson e pistole hai un western; se gli metti addosso un peplo, ottieni un dramma storico; se racconti una storia di segreti hai un thriller, se mostri gli incubi dei personaggi hai un horror, e così via. Le differenze nascono dai caratteri che riesci a inventare e da come riesci ad amalgamare psicologie e condizionamenti epocali, poi molto del risultato dipende dalla gente con cui lavori: alcuni registi, produttori e attori sono stimolanti, altri sono noiosi.

In quanto autorevole sceneggiatore di film horror, qual è la tua opinione circa le condizioni attuali del genere?

I film horror odierni mi piacciono poco. Troppo sangue, troppi effetti speciali, tanto cattivo gusto e quasi totale assenza del "plot". Penso che siano molto simili al genere porno.

Quale genere di sceneggiature ti interessa ora, nel 1997?

Ho scritto una commedia, una specie di favola, "La Chiave della Fortuna", ma è difficile trovare un produttore, anche se è stata premiata al B.A.FilmFestival.

L’ultima mia sceneggiatura ad essere stata realizzata si chiama Crimine contro crimine. Il regista è Aldo Florio; il suo film più noto è Una vita venduta (Caralsol), del 1976.

Quanto al resto, è buffo... Ho sempre proposto ai produttori storie originali ma spesso mi hanno pagato per scrivere roba di genere. Durante gli anni Sessanta e Settanta ho combattuto per convincerli a realizzare film di fantascienza, ma loro mi pagavano per scrivere di vampiri, lupi mannari e serial killer. Guardandomi indietro mi accorgo che ho realizzato soltanto un piccolo numero di film secondo le mie personali idee: I giganti di Roma, Libido, Il dolce corpo di Deborah, Milano trema, Cin...cin... cianuro!, La pupa del gangster, Il mio nome è Nessuno, Stradivari e pochi altri. Ma, secondo me, le migliori sceneggiature che ho scritto non sono mai state filmate.

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Filmografia

 

Sceneggiatore:

L'amante del vampiro (1960); regia di Renato Polselli; (Usa: The Vampire And The Ballerina)
Che femmina... e che dollari! (1961); regia di Giovanni Simonelli
Lycanthropus (1961); regia di Paolo Heusch; (Usa: Werewolf In A Girl's Dormitory)
Rocco e le sorelle (1961); regia di Giovanni Simonelli
Ultimatum alla vita (1961); regia di Renato Polselli
Il mostro dell'Opera (1961/64); regia di Renato Polselli
Marte, dio della guerra (1962); regia di Marcello Baldi
L'orribile segreto dal Dott. Hichcock (1962); regia di Riccardo Freda; (Usa: The Horrible Dr. Hichcock)
Pesci d'oro e bikini d'argento (1962); regia di Carlo Veo
La frusta e il corpo (1963); regia di "John M. Old" (Mario Bava); (Usa: What!)
Perseo l'invincibile (1963); regia di Alberto de Martino; (Usa: Medusa Against The Son Of Hercules (Tv)
Divorzio alla siciliana (1963); regia di Enzo Di Gianni
La cripta e l'incubo (1963); regia di Camillo Mastrocinque; (Usa: Terror In The Crypt, Tv)
I giganti di Roma (1964); regia di Antonio Margheriti
Scandali nudi (1964); regia di Enzo Di Gianni
1 lunghi capelli della morte (1965); regia di Antonio Margheriti
Le spie uccidono a Beirut (1965); regia di Mino Loy/Luciano Martino; (Usa: Secret Agent Fireball)
A 077 sfida ai killers (1966); regia di Antonio Margheriti; (Usa: Killers Are Challenged, Tv)
A... come Assassino (1966); regia di "Ray Morrison" (Angelo Dorigo)
Arizona Colt (1966); regia di Michele Lupo; (Usa: The Man From Nowhere)
Duello nel mondo (1966); regia di Luigi Scattini
Delitto quasi perfetto (1966); R: Mario Camerini
Flashman (1966); regia di Mino Loy/Luciano Martino
Furia a Marrakech (1966); regia di Mino Loy/Luciano Martino
Giorno caldo al Paradiso Show (1966); regia di Enzo Di Gianni
La lama nel corpo (1966); regia di "Michael Hamilton" (Lionello De Felice); (Usa: The Murder Clinic, Revenge Of The Living Dead)
10.000 dollari per un massacro (1967); regia di Romolo Guerrieri; (Usa: $10,000 Blood Money)
Cifrato speciale (1967); regia di Pino Mercanti
Il giorni dell'ira (1967); regia di Tonino Valerii; (Usa: Day Of Anger)
Mille dollari sul nero (1967); regia di Alberto Cardone
Per 100.000 dollari ti ammazzo (1967); regia di Giovanni Fago
Troppo per vivere, poco per morire (1967); regia di Michele Lupo
La battaglia di El Alamein (1968); regia di Giorgio Ferroni; (Usa: The Battle Of El Alamein)
Il dolce corpo di Deborah (1968); regia di Romolo Guerreri; (Usa: The Sweet Body Of Deborah)
Uno di più all'inferno (1968); regia di Giovanni Fago
I vigliacchi non pregano (1968); regia di Mario Siciliano; (Usa: Taste Of Vengeance)
Così dolce... così perversa (1969); regia di Umberto Lenzi
La battaglia del deserto (1969); regia di Mino Loy; (Usa: Desert Battle)
Arizona si scatenò... e li fece fuori tutti (1970); regia di Sergio Martino
La foto proibite di una signora perbene (1970); regia di Luciano Ercoli; (Usa: Prohibited Photos Of A Lady Above Suspicion)
Sono Sartana, il vostro becchino (1970); regia di Giuliano Carmineo
La coda dello scorpione (1971); regia di Sergio Martino; (Usa: The Case Of The Scorpion's Tail)
La morte cammina con i tacchi alti (1971); regia di Luciano Ercoli
Lo strano vizio della signora Wardh (1971); regia di Sergio Martino; (Usa: Next! aka The Next Victim)
L'uomo più velenoso del cobra (1971); regia di Adalberto Albertini
La morte accarezza a mezzanotte (1972); regia di Luciano Ercoli
Perché quelle strane gocce di sangue sul corpo di Jennifer? (1972); regia di Giuliano Carmineo; (UK: Erotic Blue)
Si può fare, amigo! (1972); regia di Maurizio Lucidi; (Usa: It Can Be Done, Amigo!)
Il tuo vizio è una stanza chiusa e solo io ne ho la chiave (1972); regia di Sergio Martino
Tutti i colori del buio (1972); regia di Sergio Martino; (Usa: They're Coming To Get You!)
Una ragione per vivere e una per morire (1972); regia di Tonino Valerii;
Anna: quel particolare piacere (1973); regia di Giuliano Carmineo
I corpi presentano tracce di violenza carnale (1973); regia di Sergio Martino; (Usa: Torso)
Il grande duello (1913); regia di Gancarlo Santi
Il mio nome è Nessuno (1973); regia di Tonino Valerii; (Usa: My Name Is Nobody)
Milano trema: la polizia vuole giustizia (1973); regia di Sergio Martino; (Usa: The Violent Professionals)
Troppo rischio per un uomo solo (1973); regia di Luciano Ercoli

 

 

La città gioca d'azzardo (1974); regia di Sergio Martino; (Usa: The Cheaters)
Milano odia: la polizia non può sparare (1974); regia di Umberto Lenzi; (Usa: Almost Human)
La pupa del gangster (1974); regia di Giorgio Capitani: (Usa: Poopsie aka Gun Moll)
L'uomo senza memoria (1914); regia di Duccio Tessari
La città sconvolta: caccia spietata ai rapitori (1975); regia di Fernando Di Leo
Un genio, due compari, un pollo (1975); regia di Damiano Damiani
Fango bollente (1975); regia di Vittorio Salvino
Morte sospetta di una minorenne (1975); regia di Sergio Martino
Il cinico, l'infame, il violento (1977); regia di Umberto Lenzi
Concorde Affaire '79 (1979); regia di Ruggero Deodato
Il fiume del grande caimano (1979); regia di Sergio Martino; (Usa: The Great Alligator)
Mi faccio la barca (1980); regia di Sergio Corbucci
Assassinio al cimitero etrusco (1982); regia di Sergio Martino; (Usa: The Scorpion With Two Tails)
2019: dopo la caduta di New York (1983); regia di Sergio Martino; (Usa: After The Fall Of New York)
C'era una volta... in America (1984, uncredited); regia di Sergio Leone; (Usa: Once Upon A Time In America)
L'assassino è ancora tra noi (1985); regia di Camillo Teti
Sicilian connection (1988); regia di Tonino Valerii
Stradivari (1988); regia di Giacomo Battiato
Casablanca Express (1989); regia di Sergio Martino; (Usa: Casablanca Express)
Jiboa, il sentiero dei diamanti (1989); regia di Mario Bianchi
La storia di Olga O. (1995); regia di Antonio Bonafaccio
Crimine contro crimine (1997); regia di Aldo Florio

Regista, Produttore, Sceneggiatore:

Libido (1966)
Cin... cin... cianuro (1968)
La lunga spiaggia fredda (1971)
Notturno con grida (1981)
The End of Eternity (1984)
L'uovo del cuculo (1993)

Sceneggiatore Per Conto D'altri (Ghostwriter):

Anonima cocottes (1960); regia di Camillo Mastrocinque
I pirati della costa (1960); regia di Domenico Paolella
Il terrore dei mari (1960); regia di Domenico Paolella; (Usa: Guns Of The Black Witch)
Akiko (1961); regia di Luigi Filippo D'Amico
Le avventure di Mary Read (1961); regia di Umberto Lenzi
Caccia all'uomo (1961); regia di Riccardo Freda
Il giustiziere dei mari (1961); regia di Domenico Paolella; (Usa: Avenger Of The Seven Seas, Tv)
I lancieri neri (1961); regia di Giacomo Gentilomo
I Mongoli (1961); regia di Andre de Toth; (Usa: The Mongols)
Le prigioniere dell'isola del diavolo (1961); regia di Domenico Paolella; (Tv: Women Prisoners Of Devil Island)
Duello nella Sila (1962); regia di Umberto Lenzi
Buffalo Bill, l'eroe del Far West (1963); regia di Mario Costa; (Tv: Buffalo Bill, Hero Of The West)
Golia e il cavaliere mascherato (1963); regia di Piero Pierotti
La pupa (1963); regia di Giuseppe Orlandini
Sodoma e Gomorra (1963); regia di Robert Aldrich; (Usa: Sodom And Gomorrah)
Ursus nella terra di fuoco (1963); regia di Giorgio Simonelli; (Usa: Ursus In The Land Of Fire)
Golia alla conquista di Bagdad (1964); regia di Domenico Paolella
La vendetta di Spartacus (1964); regia di Michele Lupo; (Usa: Revenge Of The Gladiators)
La decima vittima (1965); regia di Elio Petri; (Usa: The 10th Victim)
Operazione Goldman (1966); regia di Antonio Margheriti; (Usa: Lightning Bolt)
Diamanti a colazione (1968); regia di Christopher Morahan; (Usa: Diamonds For Breakfast)
Il prezzo del potere (1969); regia di Tonino Valerii

fine

 

(L'intervista di Tim Lucas era lunga in origine 25 pagine.)

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