Articoli On-line



Di seguito troverete la sintesi di alcuni
articoli che sono stati pubblicati
negli ultimi tempi sulla
questione del Mobbing.
Cliccando sui titoli è possibile
vedere gli originali.
Tali articoli assieme ad altra documentazione
sono stati distribuiti ai partecipanti al Convegno




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LA FABBRICA DEI MOSTRI



E’ come un incubo, un film di Hitchcock, una sbronza triste e allucinata. Il giovane dirigente in tasmanian arriva in ufficio, trafelato come si conviene a un giovanotto in carriera: il suo codice personale, però, non apre la porta. Il giorno dopo, il cellulare che ha in dotazione da anni risulta disattivato e di lì a poco la sua segretaria gli comunica, imbarazzata che va restituito all’ufficio tecnico. E’ poi la volta di restituire la segretaria, le pratiche importanti che ha per le mani, le chiavi della macchina aziendale. Questa è la dura vita del manager, ma scendendo nella gerarchia le cose non migliorano: una tranquilla impiegata può vedersi sparire improvvisamente i documenti dalla scrivania, gli effetti personali dal cassetto, i file dal computer. Senza contare la sgradevole e ricorrente sensazione che avverte quando entra nella sua stanza: i colleghi abbassano la voce, tossiscono, cambiano palesemente argomento. Rimanere lucidi non è tanto facile, le vittime di queste situazioni che sembrano ai confini della realtà si chiedono ben presto se per caso stanno impazzendo loro o se invece sono diventati matti gli altri. Ma cos’è: un complesso di persecuzione o una congiura? Probabilmente è "mobbing", termine inglese rubato all’etologia, che indica il comportamento aggressivo messo in atto da alcune specie si uccelli nei confronti dei contendenti intenzionati a invadere il loro nido. L’estraneo viene accerchiato, intimorito, ferito, respinto. Il lavoratore, invece, viene chiacchierato, isolato, sabotato, deriso, sminuito, reso inutile. Comincia ad avere crisi d’ansia, attacchi di panico, cade in depressione. Il mal di testa, le vertigini, la morsa allo stomaco, gli eritemi sono i sintomi fisici di un disagio emotivo che può portare a disturbi del comportamento e a un rapporto alterato con la realtà. Di solito non sono i lavativi le vittime predestinate di queste perfidie, ma gli stakanovisti, gli impiegati modello che, nel giro di pochi mesi, dopo aver collezionato più malattie dei professionisti dell’assenteismo, sono costretti a dimettersi o a chiedere il prepensionamento. O a vegetare su una scrivania dove si accumula polvere .... .......


LE SEI FASI DELLA PERFIDIA
come nasce e si sviluppa il mobbing

Gli svedesi, che sono un'autorità inmateria, dicono che non si può parlare di mobbing se il lavoratore non è perseguitato per almeno sei mesi. Il ricercatore tedesco Harald EGE, che lavora a Bologna ed ha scritto alcuni libri sul fenomeno, ha adeguato gli standard nordeuropei alla più conflittuale cultura aziendale italiana, evidenziando le sei fasi in cui il mobbing si sviluppa:
1 - Viene individuata una vittima su cui dirigere la conflittualità generale;
2 - Cominciano ad inasprirsi i rapporti fra vittima e coleghi;
3 - Il mobbizzato ha i primi sintomi psicosomatici del disagio;
4 - L'Ufficio del personale inizia ad occuparsi del caso giudicando male la vittima ed il suo scarso rendimento;
5 - Il mobbizzato cade in depressione, si ammala seriamente, ha problemi in famiglia;
6 - Si arriva alle dimissioni o al licenziamento e se va bene alla pensione;
7 - Nei casi estremi si può arrivare al suicidio.



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Dall'articolo de "Il Venerdì" del 19 febbraio 1999
di Paola Zanuttini






Ecco il Mobbing
veleni in ufficio


di BARBARA ARDU'

ROMA - "Quando lavoravo negli Stati Uniti notai che le grandi company, quando volevano sbarazzarsi dei dipendenti troppo in là con gli anni, gli organizzavano un giro per il mondo, una visita alle sedi in Europa, Australia, Asia. Il programma di viaggio era così stretto e massacrante che al ritorno i manager, stremati, si convincevano che era arrivata l'ora di andare in pensione". Per Giancarlo Tapparo, senatore dei ds, il mobbing non è per niente una novità. Ma avergli dato un nome, pur se preso in prestito alla lingua inglese, è già un passo in avanti. Per anni l'Italia ha ignorato il mobbing, letteralmente quel "comportamento aggressivo messo in atto da alcune specie di uccelli nei confronti dei propri simili". Ora invece medici del lavoro, sindacalisti e anche il Parlamento, scoprono che dietro alle depressioni, agli attachi di panico, ai sudori, alla perdita di capelli o di identità di cui soffre almeno il quattro per cento dei lavoratori italiani, ci sono le angherie di colleghi e capi, consumate nel chiuso degli uffici. Un terrore psicologico, una guerra dei nervi capace di trasformare un semplice lavoratore in una vittima. Così la Uil del Piemonte ha deciso di avviare un'indagine tra i suoi iscritti. E in Lombardia, la sezione salute e sicurezza della Cgil, si prepara a inviare un questionario ai lavoratori della regione. Mentre Giancarlo Tapparo chiederà alla commissione Lavoro del Senato l'istituzione di un comitato che indaghi su un fenomeno che rischia di dilagare negli uffici italiani. "Vogliamo ascoltare i medici delle cliniche del lavoro", spiega Tapparo, "ma anche i magistrati, perché alla fine spesso è in tribunale che finiscono i mobizzati". L'obiettivo è studiare il fenomeno, comprenderlo, sensibilizzare i medici e quindi presentare una proposta di legge. Ma perché questa attenzione proprio ora? Semplice distrazione sugli studi dei colleghi del Nord Europa che da anni vanno raccontando che il mobbing è in agguato nei posti di lavoro, oppure qualcosa è cambiato? "Il mobbing c'è sempre stato", conferma Domenico Marcucci della Cgil lombarda, "ma oggi è forse più frequente. E soprattutto si consuma là dove sono in atto fusioni di società, o ristrutturazioni aziendali con cambi di management ai vertici delle aziende. Sembra che gli uffici italiani siano in realtà malati di un tipo di mobbing che potremmo chiamare di tipo "verticale", messo in atto cioè dai datori di lavoro". Per capire: se due società si fondono, spesso, per una stessa poltrona o per una stessa scrivania ci sono due persone, ma il posto è uno solo. Una deviazione, anche se non meno grave del mobbing "orizzontale", quello cioé messo in atto dai colleghi di lavoro a danno del vicino di scrivania con tecniche sottili e invisibili come le battute e l'isolamento, comportamenti che in alcuni paesi, come gli Stati Uniti, sono condannati. Ma i due tipi di mobbing alle volte finiscono per intrecciarsi, per confondersi. Come possa accadere lo spiaga bene un caso curato da Renato Gilioli, direttore del Centro disadattamento lavorativo della Clinica del lavoro di Milano. Ogni giorno nel suo studio, che è un osservatorio privilegiato, si presentano in media cinque persone. Questa è la storia di uno dei suoi pazienti. "Francesco lavorava da anni per una società finanziaria di Torino, era un funzionario-quadro, stimato e apprezzato. Negli anni gli furono affidati compiti delicati tanto che lui si guadagnò la stima dei vertici aziendali. Ma poi arrivò un cambio di management: a Francesco venne chiesto di aprire e dirigere una filiale nella provincia, dove vennero inviati tutti quei dipendenti che il nuovo management considerava di basso profilo. E a Francesco fu fatto capire, anche se mai in modo esplicito, che avrebbe dovuto "farli fuori". Non gli fu detto però che nella lista c'era anche lui". Duilio Gandolfi della Uil di Torino, che invierà agli psicologi i risultati dei tremila questionari dei lavoratori del settore, è proprio su questo aspetto che vuole indagare: "Le fusioni di aizende, i cambi di management, le ristrutturazioni, spesso finiscono per creare tensione sul posto di lavoro. Poi c'è da indagare su quei casi di riqualificazione professionale che appaiono un po' troppo forzati e che alla fine che finiscono per diventare casi di mobbing". Ma pensare che sia il solo settore privato a essere "ammalato" è un errore. "Il mobbing è un fenomeno che non risparmia nessun ambito lavorativo - spiega Domenico Marcucci - anche se colpisce soprattutto il terziario, i quadri e gli impiegati con un'età media intorno ai quarant'anni e un buon livello di istruzione, senza distinzione di sesso. Ma c'è, o c'è stato, anche negli uffici pubblici. All'epoca di Tangentopoli è accaduto che chi non condivideva la politica delle mazzette veniva emarginato, isolato dai colleghi". Giancarlo Tapparo, che ha contribuito alla stesura della legge sulle molestie sessuali sui luoghi di lavoro, si è convinto che è arrivato il momento di prepararne una anche per le "molestie morali". Ma stendere una legge che regolamenti i comportamenti, che definisca cos'è il mobbing e che, nel caso, sanzioni compagni o datori di lavoro, è tutt'altro che semplice. "Ci troviamo di fronte allo stesso rischio che abbiamo dovuto affrontare quando è stato scritto il disegno di legge sulle molestie sessuali - spiega Tapparo - e la via che sceglieremo sarà la stessa, quella di allargare quanto più possibile gli ambiti di informazione e prevenzione. E il modo migliore per farlo è coinvolgere i sindacati, dandogli un ruolo di ascolto e, nel caso, di intervento". Un po' come hanno fatto i sindacati tedeschi alla Volkswagen, dove un capitolo sul mobbing è già stato inserito nel contratto. Cauti anche i sindcati. "Ciò che dobbiamo evitare è di ingabbiare troppo la materia, con il risultato di fare una legge che non si riesce ad applicare - dice Domenico Marcucci - semmai il primo passo è riuscire a inserire il mobbing in accordi aziendali o nazionali che facciano storia. Ma soprattutto sobbiamo avvicinarci ai lavoratori, dobbiamo imparare ad ascoltarli, cosa che oggi spesso non accade". E i datori di lavoro come affrontano un fenomeno, che oltre ad avere costi sociali finisce per diventare un boomerang, perché i lavoratori scontenti finiscono per diventare un costo? "Per ora lo affrontano come si affronta un tabù", dice Domenico Marcucci. E Gilioli lo conferma. "Io curo le depressioni e tutte quelle patologie scatenate dal mobbing - dice Gilioli - che però, bisogna dirlo e ripeterlo, non è una malattia, semmai è la causa scatenante. Quando ricevo i pazienti li lascio raccontare e poi chiamo direttamente i loro datori di lavoro. Il risultato? Mi trovo davanti a porte chiuse".

(Da La Repubblica del 24 luglio 1999)




Mobbing
i comportamenti di vittime e aggressori


ROMA - Dal mobbing, il comportamento aggressivo di colleghi o datori di lavoro, alle vere e proprie malattie il passo è breve, ma il percorso può durare anche anni. La vittima inizia a soffrire di depressione oppure di attacchi di panico, fino alla lunga lista delle malattie psicosomatiche di varia intensità. Insomma si ammala e più il conflitto va avanti, più la malattia persiste. La stigmatizzazione del lavoratore inizia con un conflitto irrisolto e finisce con l'emarginazione, passando attraverso varie fasi di differente gravità: l'isolamento, il discredito, l'incomprensione. I mobizzati spesso non si accorgono di cosa stia accadendo e il più delle volte finiscono per incolpare se stessi, isolandosi sempre di più o portando a casa, quando possono, le loro lamentele.

(Da La Repubblica del 26 luglio 1999)






Persecuzioni in ufficio
Torino, corso anti-mobbing


In Francia e Svizzera le molestie sul lavoro
sono la causa del dieci per cento dei suicidi

TORINO - Parte dal capoluogo piemontese la crociata contro le molestie sessuali e morali sul luogo di lavoro. Trecento dirigenti del Comune di Torino hanno partecipato al primo corso di formazione "anti-mobbing" (parola inglese che indica le persecuzioni che si subiscono in uffici e fabbriche), fenomeno che in alcuni Paesi europei come la Francia e la Svizzera è considerato la causa del dieci per cento dei suicidi. Finora i casi denunciati dai dipendenti comunali torinesi sono solo una decina, otto da uomini e due da donne. Pressioni psicologiche, maltrattamenti, aggressioni verbali, segnalazioni anonime che hanno spinto le vittime a rivolgersi al Comitato per le pari opportunità di Palazzo Civico. Ma si tratta di rare eccezioni, perchè, spiega Maria Adriana Vindigni del comitato, non sempre chi è vittima del mobbing ha la forza di venire alla scoperto. "In Italia - sostiene Renato Giglioli, direttore del Centro Disadattamento Lavorativo della clinica del lavoro dell' Università di Milano - più della metà dei casi denunciati sono di mobbing strategico, cioè una persecuzione psicologica finalizzata. Si ricorre al mobbing, insomma, perchè è difficile licenziare". Il 13 ottobre scorso il senatore dei DS Giancarlo Tappano ha presentato un disegno di legge sul fenomeno delle molestie sul posto di lavoro. "Un provvedimento legislativo - sottolinea il senatore diessino - che serva a riconoscere il mobbing e permetta di intervenire quando le violenze psicologiche non abbiano ancora prodotto danni". Al primo corso di formazione anti-mobbing ha partecipato anche il procuratore aggiunto di Torino, Raffaele Guariniello, che ha citato due casi esaminati dalla Cassazione. Il primo è quello di un consigliere comunale che per spronare il custode di un cimitero a spostare del materiale lo aveva minacciato dicendogli che non sarebbe rimasto in carica oltre l'età minima della pensione. La corte di cassazione ha confermato la condanna per violenza privata aggravata. Nel secondo caso, un sindaco è stato condannato per avere affidato a una dipendente, con tre ordini di servizio, mansioni inferiori alla propria funzione. Per Guariniello, "il problema del mobbing va collocato nella legislazione sociale sulla tutela e la salute nei luoghi di lavoro, in quanto, se è protratto nel tempo, può produrre vere e proprie malattie".

(Da La Repubblica del 25 ottobre 1999)





IERI IL PRIMO CORSO DI FORMAZIONE A TORINO


Mobbing, tutti a lezione
per imparare a difendersi
dalle molestie sul lavoro

di ITALO NAPOLI

26 ottobre 1999

Prima in Italia, l’amministrazione comunale di Torino interviene sulle molestie sessuali e morali sul luogo di lavoro. Trecento dirigenti hanno partecipato ieri al primo corso di formazione anti-mobbing (parola inglese che indica le persecuzioni che si subiscono in uffici e fabbriche), fenomeno che in paesi come la Francia e la Svizzera è considerato causa del 10% dei suicidi. Finora i casi denunciati dai dipendenti comunali torinesi sono solo dieci, 8 da uomini e 2 da donne: sono pressioni psicologiche, maltrattamenti, aggressioni verbali, segnalazioni anonime che hanno spinto le vittime a rivolgersi al Comitato municipale per le pari opportunità. «Occorre configurare - ha osservato Cesare Vaciago, manager del Comune - un sistema di prevenzione e repressione del fenomeno. Finora il mobbing non era emerso come fenomeno a sè, in quanto le persone colpite si consideravano colpevoli e tendevano a non denunciarlo». Ma le denunce sono ancora poche, se si considera che i dipendenti comunali sono 13 mila (di cui 7 mila donne). «Non sempre chi è vittima del mobbing - spiega Maria Adriana Vindigni, del Comitato pari opportunità del Comune - ha la forza di venire alla scoperto. Eppure nei casi finora affrontati abbiamo dimostrato che le cose si possono affrontare, con tempi più o meno lunghi, ma ciò che importa è farsi avanti, non chiudersi in se stessi». «In Italia - sostiene Renato Giglioli, direttore del Centro disadattamento lavorativo della Clinica del lavoro dell’Università di Milano - più della metà dei casi denunciati sono di mobbing strategico, cioè una persecuzione psicologica finalizzata, non emozionale, perché la legislazione sociale è molto protettiva. Si ricorre al mobbing perché è difficile licenziare. Proprio per questo in Italia è paritario fra i due sessi, mentre in America sono più colpite le donne». Il procuratore aggiunto di Torino, Raffaele Guariniello, ha citato due casi esaminati dalla Cassazione. In uno si è trattato di un consigliere comunale che, per spronare il custode di un cimitero a spostare materiale accantonato dopo lavori, lo aveva minacciato dicendogli che non sarebbe rimasto oltre l’età minima della pensione. La Cassazione ha confermato la condanna per violenza privata aggravata. Nel secondo caso un sindaco è stato condannato per avere affidato a una dipendente, con tre ordini di servizio, mansioni inferiori alla propria funzione. Per Guariniello il problema del mobbing si colloca «nella legislazione sociale sulla tutela e la salute nei luoghi di lavoro», nel tempo, può produrre vere e proprie malattie. Quindi «può costituire un reato di lesione personale colposa». Fin qui la decisione del Comune di Torino. «A causa del mobbing ho perso il lavoro. Ora sono un cadavere perché nessuno mi vuole. La mia vita e quella della mia famiglia non sono più come prima». Claudio Macario, torinese, 52 anni, sale sul palco e racconta la sua storia di «violenze morali e persecuzioni psicologiche». «Lavoravo in una grande azienda, ho denunciato un caso clientelare, è stata disposta un’ispezione, non è accaduto nulla, ma mi è stata tolta la struttura con 80 persone che dirigevo». Cominciano anni difficili: Macario viene trasferito a Milano, in una struttura nuova, ma di nuovo entra in conflitto con la direzione «per avere indicato alcune cose da cambiare». Poi il rientro a Torino, senza mansioni, e dopo la protesta un nuovo trasferimento, a Roma. «Impugnai il trasferimento - racconta ancora Macario - e, dopo sette mesi, venni richiamato a Torino ancora senza funzioni. Presentai una denuncia per demansionamento. Diventai la pecora nera per i dirigenti, mentre non ho mai subito mobbing orizzontale, cioè dai colleghi. Nel '95 ebbi un nuovo incarico a Roma e quando rientrai a Torino fui licenziato in tronco. Ho presentato ricorso per licenziamento dovuto a ritorsione. Ho già speso trenta milioni in avvocati, ma anche se dovessi avere ragione, la mia vita non sarà più quella di prima». Macario è in cura presso la clinica del lavoro dell’Università di Milano.



"Italiani bravagente"
reportage di Marrazzo


Da domani il nuovo programma di RaiTre

"LA TELEVISIONE non può esaurirsi solo negli studi televisivi, bisogna tornare al reportage, lì dove accadono le cose". È con questo spirito che Piero Marrazzo presenta "Italiani bravagente", il nuovo programma di RaiTre in onda da domani alle 23.05, con un ciclo iniziale di sei puntate domenicali ("siamo pronti a continuare"). A firmare il programma, insieme a Piero Marrazzo, gli stessi autori di "Mi manda RaiTre" (Andrea Barberi, Annamaria Catricalà e Stefano Coletta), la fortunata trasmissione che continuerà regolarmente ad andare in onda il mercoledì in prima serata su RaiTre. Nella prima puntata di "Italiani bravagente" (il titolo viene dall'omonimo film di Giuseppe De Santis) sarà proposto un reportage sul mondo degli invalidi: in Italia sono 2 milioni 623 mila. Nella altre puntate, tutte di cinquanta minuti, si parlerà quindi di incidenti sul lavoro, delle truffe della magia, del disagio di vivere (i malati di mente e i loro diritti), delle violenze psicologiche nei posti di lavoro (il mobbing) e dei problemi della casa. "La struttura del programma" dice Piero Marrazzo "è quella di proporre una storia portante con in parallelo tutta una serie di storie parallele che approfondiscano il tema". L'intento di Marrazzo "molto contento come giornalista di tornare a fare il cronista" è quello di rendere "l'altra Italia veramente protagonista" e tornare "alla grande tv d'inchiesta come "Tv7", "Tg2 Dossier" e "Mixer"".

(da la Repubblica del 15 gennaio 2000)


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Redazione di Torino di
Nuova Unità
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Mobbing: l'accerchiamento aziendale

Ovvero il terrorismo psicologico sul posto di lavoro


Il 4 novembre si è svolto a Torino, presso la sede del sindacato alternativo FLMU, un incontro dibattito organizzato dal Coordinamento lavoratori comunisti piemontesi sul "mobbing", il terrorismo psicologico sul posto di lavoro. Alla presenza di una platea folta ed attenta, il dott. Harald Ege, relatore e studioso di questo fenomeno, ha spiegato come il mobbing (l'accerchiamento) comprenda dinamiche di comportamento che nei luoghi di lavoro accadono di frequente e spesso con la complicità dei quadri dirigenti allo scopo di eliminare i dipendenti "scomodi". Le forme che esso può assumere sono molte: dall'emarginazione alla compromissione dell'immagine nei confronti di colleghi e superiori, dalle critiche continue alla sistematica persecuzione mediante l'assegnazione di compiti dequalificanti, fino al sabotaggio del lavoro e ad azioni legali nei casi più gravi. Si esercita una forte pressione sulla psiche di un singolo lavoratore per distruggerlo socialmente o indurlo alle dimissioni. Le ricerche dimostrano che sulle note dinamiche di comportamento conflittuale vigenti negli ambienti di lavoro (antipatia, gelosia, competitività) spesso in atto fra colleghi in modo spontaneo, s'innestano regie dirigenziali finalizzate all'eliminazione di dipendenti indesiderati, aggirando così le difese sindacali. Non si licenzia, si perseguita sottilmente fino a spingere il soggetto a licenziarsi da solo! Esistono vere e proprie strategie aziendali messe in atto a questo scopo, esemplare il caso di un'azienda statale che ha snellito il numero dei propri quadri mediante la sistematica eliminazione degli status-symbol acquisiti da quei dipendenti, fino a provocarne il licenziamento. Il mobbing causa alla vittima gravi danni: disturbi psicosomatici e depressione, nonché il calo della produttività. Gli studi condotti all'estero hanno dimostrato che esso può portare fino all'invalidità psicologica e che, quindi, si può parlare anche di malattie professionali o d'infortuni sul lavoro. In Svezia ed in Germania, dove questo genere di ricerche sono sviluppate da qualche tempo, i dati percentuali relativi ai danni del terrore psicologico sono notevoli. In Svezia tra il 10 ed il 20% del totale dei suicidi in un anno hanno avuto come causa scatenante fenomeni di mobbing, mentre in entrambi i paesi centinaia di migliaia di vittime sono finite in prepensionamento o addirittura in clinica psichiatrica. Secondo le prime ricerche, in Italia oltre un milione di lavoratori soffre per questo fenomeno e, coinvolte in modo passivo o attivo, sarebbero circa cinque milioni di persone. Gli interventi dei lavoratori e compagni presenti hanno contribuito a fornire altre personali testimonianze circa l'esistenza del fenomeno, hanno inoltre allargato i termini del problema indicando come la prospettiva d'analisi del mobbing, che segue una metodologia in cui è l'individuo il protagonista assoluto, non riesce, da sola, ad inquadrare il fenomeno del dominio classista, pur essendo il mobbing, un elemento di questo dominio. Sensibili all'inquietante esistenza di tale pratica terroristica come politica aziendale, i lavoratori presenti hanno denunciato il drammatico disagio di chi è sottoposto a pesantissimi condizionamenti culturali e comportamentali, oltre che d'oggettiva subalternità, riconoscendo nel mobbing, una metodologia che arricchisce al società a capitalismo avanzato di un ulteriore strumento per il dominio dell'uomo sull'uomo.


Hanno parlato di noi
Rassegna della stampa sul Convegno





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gli atti saranno disponibili dopo l'8 marzo