3.2) Empedocle

 

    Parlerò ancor più chiaramente. Essi ritengono che il fuoco, l’acqua, la terra e l’aria sono tutti elementi naturali o frutto del caso, […] [1]

 

Con queste parole Platone, nel Libro X de le Leggi (888 b), inizia una lunga requisitoria contro quel complesso di concezioni foriere di empietà che devono incorrere nei rigori delle sue virtuose “leggi”. Qui il riferimento va ad un pensatore che certo ateo non è, ma che agli occhi del Sommo ha comunque il peccato imperdonabile di essere un casualista, mentre Aristotele, con motivazioni non inconsistenti (ma probabilmente pro domo sua), dubita che egli sia invece un necessitarista (Physica, Θ, 1, 252 a 7). Ma ciò che, in aggiunta, indigna Platone ai limiti dell’intollerabilità, è il fatto che anche Empedocle possa teorizzare un ontologia pluralistica e una causazione “fisica” dell’essere del mondo (sia pure, nel suo caso, in termini mitico-metaforici). Così, in nome della monistica “nostra famiglia eleatica”, ne fa un fascio con altri (secondo lui) “fisici” pluralisti (Sofista, 242 c-d) nei termini seguenti :

 

    Mi sembra che ciascuno ci racconti una specie di favola, come se fossimo dei ragazzini. […] Uno [Ferecide di Siro o Ione di Chio] dice che gli enti sono tre […] Un altro [Archelao?] afferma che gli enti sono due, l’umido e il secco […] La nostra famiglia eleatica, invece, che comincia da Senofane, ed anche da prima, ritenendo che sia una cosa sola quelle che sono chiamate “tutte le cose”, è in questo senso che ne tratta nei suoi miti. Ma alcune Muse della Ionia [Eraclito] e in seguito di Sicilia, ritennero che fosse più sicuro intrecciare le due concezioni e dire che l’essere è insieme molteplice e uno, e che è abbracciato da Odio e Amicizia.

 

E meno male che, secondo lui, Empedocle opererebbe una sorta di “compromesso” con la divina unità eleatica, altrimenti lo avrebbe trattato probabilmente già qui (ma si scatenerà poi nelle Leggi) molto peggio. In realtà invece (e lo vedremo) Empedocle è un pluralista puro, che pensa il mondo come costituito dai quattro elementi-base e da due forze che li separano e li connettono in un divenire cosmico continuo.  

    Il Nostro, che nasce ad Agrigento intorno al 492 e muore nel 432 a.C., pone per primo la struttura plurale dell’essenza del mondo, ed è da esso che possiamo far partire la storia del pluralismo ontologico che porterà all’ateismo teoretico, ancorché Empedocle non possa definirsi ateo. Ma tale lo considerava certamente Platone, sia per la sua cosmogonia pluralistica e sia per il suo uso del concetto di Tyche come sinonimo di caso, concetto fisico-ontologico che Platone non poteva certo tollerare. Leggiamo così, ancora, nelle Leggi (X, 891, c-d):

 

« […] V’è pericolo infatti che colui che dice queste cose ritenga il fuoco, l’acqua e la terra e l’aria come principi di tutte le cose e proprio queste cose chiami “natura” e ne derivi successivamente l’anima. Anzi mi sembra non che ci sia pericolo ma che proprio questo ci indichi in realtà col discorso. […] Ebbene, per Zeus, non abbiamo forse trovato una fonte, in certo modo, della stolta opinione di tutti gli uomini che mai abbiano messo mano alle indagini sulla natura? Esamina anche tu, analizzando [d] ogni discorso loro; perché sarebbe molto importante se a noi risultasse che coloro che si sono attaccati a dottrine empie, nelle quali guidano anche altri seguaci, neppur del discorso sanno usar bene, ma commettono degli errori.» [2]

 

Di Empedocle (che scrive in versi secondo l’uso dell’epoca) ci sono pervenute fortunatamente due opere (sia pure incomplete), il Poema fisico e il Poema lustrale, dalle quali è possibile desumere il suo pensiero con una certa chiarezza, anche se su di esso non sono mancati equivoci da parte di chi ha voluto vedere in lui un “mistico”, ben aldilà di quanto alcune sue posizioni (nel Poema lustrale) possano far pensare.  Anche nella lettura del Poema fisico occorre non cadere in quegli equivoci che talvolta possono sorgere dalla traduzione letterale; non va infatti mai dimenticato che si tratta di un poema appartenente ad un genere filosofico-letterario che doveva osservare regole formali abbastanza codificate, riferibili alla retorica mitologica e poetica dell’epoca. Ma fin dal proemio, Empedocle, nel porre chiaramente i sei fattori fondamentali dell’universo, i quattro elementi e le due forze antagoniste, che sono alla base di tutta la dinamica dell’essere, ci rivela il contenuto filosofico dell’opera. Essi sono ingenerati ed “eterni” (ma anche “eternamente instabili, come si vedrà), mentre tutte le cose inanimate e gli esseri viventi presenti nell’universo, che da essi derivano, sono “mortali” (1, 1-4):

 

Se mai per qualcuno degli effimeri tu, musa immortale

Hai voluto visitare le umane prove  del pensiero,

allorché ti pregarono, anche ora sii presente, o Calliopea,

mentre espongo il mio probo ragionamento sopra gli dei felici;

 

dove gli “dei felici” non sono evidentemente quelli olimpici, bensì i sei fattori dell’universo, che vengono specificati subito dopo (1, 5-13): [3]

 

e in mezzo porterò questo tema degli elementi non generati,

il fuoco e l’acqua e la terra e l’immenso culmine dell’aria,

che mai non hanno inizio né hanno termine alcuno,

e l’astio rovinoso, da parte, e la concordia conciliatrice.

Di qui tutte le cose che furono e saranno, e le cose che sono:

<gli uomini e le fiere ed i pesci ed i virgulti>;

perché, quanto esisteva prima, anche sussiste sempre; né mai,

per causa di uno solo

di entrambi, il tempo infinito resterà deserto. [4]

 

    Dato l’uso poetico del tempo, dopo aver invocato Calliope (quale musa della poesia epica e didattica) e dopo aver poeticamente chiamato “dei felici” gli eterni fattori dell’universo (anche Lucrezio chiamerà talvolta “dei” gli atomi democritei ed epicurei) nel ribadire il rapporto metaforico degli elementi (chiamati anche radici) Empedocle delinea il suo criterio di conoscenza col quale “il simile conosce il simile” (un criterio presente anche in Leucippo e Democrito). Così prosegue l’agrigentino (1, 53-62):

 

Senti prima i quattro nomi che sono le radici di tutto:

lo smagliante Zeus ed Hera altrice, ed Aidoneo

e Nestide, che inonda di lacrime la vasca umana.

Con la terra, infatti, noi vediamo la terra, e con l’acqua l’acqua,

e on l’etere l’etere celeste, e con il fuoco il fuoco tremendo;

e l’amore vediamo con l’amore, e così l’astio con l’astio luttuoso;

perché con i mezzi che compongono in armonia tutte le cose del mondo

con quelli pensano gli uomini, e si rallegrano e si angustiano;

e poi, quanto diversi cangiamenti hanno subito, tanto diverse immagini

ogni volta anche il pensiero suggerisce a loro nel sonno. [5]

 

Troviamo più avanti un nuovo accostamento metaforico elemento/dio nell’elogio della concordia (4, 20-24):

 

Ma la concordia tu mirala con la mente; non rimanere stupefatto con gli occhi.

Anche in mortali membra si ritiene ch’essa si generi,

ed è così che la gente nutre pensieri affettuosi, e compie azioni amorose,

chiamandola coi nomi di Gioia e di Afrodite; ma nessuno degli uomini mortali

ha imparato che turbina con tanta massa degli elementi. 

 

passa quindi a precisare meglio la natura dei quattro elementi nei termini seguenti (4, 26-39):

 

Questi fattori si equivalgono tutti, ed hanno uguale l’età,

ma ognuno possiede il proprio rango, ognuno ha l’indole propria

ed a vicenda comandano durante il tempo trascorrente,

Oltre a questi, poi, non si aggiunge nulla, e nulla neppure finisce.

Se infatti perissero nella successione del tempo, già più non ci sarebbero.

Oppure questo che è il tutto sarebbe aumentato: ma con che cosa, che pure arrivi da qualche parte?

Nel tutto non c’è un posto che sia vuoto: da dove, dunque, qualcosa può sopraggiungere?

Né poi c’è nulla di vuoto, quando sussiste l’uno, né nulla di soverchio.

E allora, come può qualcosa anche venire a mancare, quando al di là di tutto questo non c’è nulla abbandonato?

Invece esistono solo questi elementi, e gli uni trascorrendo attraverso gli altri

si presentano via via in corpi diversi, ma sempre uguali a sé permangono perpetuamente.

Infatti tutti gli elementi, l’elettro e la terra ed il cielo ed il mare,

sono bene disposti verso quelle parti di loro stessi,

che, staccate da loro, si sono prodotte in corpi mortali. [6]

 

  Ma vediamo ora come si formano le singole cose (i corpi mortali) in questa fenomenologia dell’universo empedocleo (6, 8-13):

 

Da quella materia mescolantesi alla rinfusa, molti elementi permangono distinti:

tutti quelli che l’astio, sollevato in alto, ancora tratteneva; e strenuamente giacché

non è rimasto, verso gli estremi confini dell’orbita, al di fuori del tutto,

ma dentro rimaneva in una parte dei componenti, e dall’altra era uscito;

e di quanto volta a volta gli avvenisse di cedere, di tanto subentrava, volta a volta,

il benigno slancio inestinguibile della stregua concordia. [7]

 

    I quattro elementi-base dell’universo danno luogo alla pluralità del reale percepibile in virtù della concordia-amore-amicizia e queste si disgregano a causa dell’astio-odio. Le azioni di questi due principi “dinamici” si avvicendano e con ciò determinano il ciclo cosmico, che si estrinseca nelle fasi dello sfero (quando prevale l’amore) e del caos (quando prevale l’odio). Come si noterà non si può pensare all’opera empedoclea come ad un capolavoro di coerenza; non mancano infatti dei punti del Poema fisico in cui l’autore sembra tirare in ballo una natura divina dello sfero, quale principio di tutto ciò che esiste (una specie di intelletto che muove il mondo), ma tralasciando tali sporadici elementi di incoerenza si può ragionevolmente ascrivere alla concezione del mondo di Empedocle una sostanziale coerenza materialistica. Né questa lettura può ritenersi intaccata dal successivo Poema lustrale (letteralmente Purificazioni), in realtà un’epistola di argomento etico, dove egli espone una teoria della metempsicosi [8] ed implicitamente dell’anima. [9]

    Un aspetto molto importante della fisica empedoclea è la totale assenza di una legge cosmica universale (come sono il logos in Eraclito e, in qualche misura, il noùs di Anassagora), così come manca un principio di necessità nell’esistenza dei sei fattori fondamentali dell’universo, che nella loro continua dinamica mutazionale creano la realtà. La fenomenologia formativa e distruttiva pare avvenire assolutamente “a caso” e ciò è testimoniato dai ricorrenti “a volte….a volte” (4, 7 ed 8; 4, 47 e 49; 22, 5 e 6; 44 1-3) [10]. Lo Zeller mette in rilievo che: «In realtà Empedocle spiega diversi fenomeni con un non meglio chiarito e perciò casuale moto degli elementi. Egli non ha ancora teorizzato la presenza di una legge costante in tutti i fenomeni naturali». Estremamente interessante questo “non ha ancora”, che rivela come il grande studioso della filosofia greca colga ciò come un “mancanza” e gli sfugga il fatto fondamentale che il divenire di Empedocle è del tutto differente da quello mistico che Eraclito aveva precedentemente posto, essendone un superamento che lo Zeller, nella sua intepretazione platonico-aristotelica, non riconosce. Noi riteniamo, infatti, che si potrebbe ragionevolmente ribaltare il giudizio e affermare che era Eraclito a “non aver ancora” superato il principio di necessità, come d’altra parte Parmenide, che addirittura la considerava come “perfezione dell’essere”. In realtà lo Zeller è, probabilmente, ancorato all’opinione di Aristotele, che ovviamente non poteva che  rimproverare ad Empedocle questa “indeterminazione” [11].  Ma d’altra parte lo Stagirita non poteva sapere che i fisici e i biologi di 25 secoli dopo sarebbero stati costretti a riabilitare il caso per una questione di gnoseologica “necessità” scientifica.

     Ci prendiamo qui nuovamente la libertà di astrarre per un’istante dall’ateismo antico, di cui ci stiamo occupando, per concederci un inciso. E lo facciamo cogliendo l’occasione che proprio Empedocle ci offre (in quanto primo sostenitore, accanto ad Anassagora, del pluralismo ontologico) per confermare qui il nostro punto di vista sull’essenza della teoresi atea di cui stiamo cercando le origini. Noi riteniamo che essa possa dirsi autentica soltanto ove si tenga lontana da ogni forma di metafisica, poiché questa è sempre il Cavallo di Troia del divino, e il divino messo fuori dalla porta dal naturalismo riesce sempre a rientrare dalla finestra attraverso la metafisica dell’idealismo. Un filosofia atea degna di questo nome si realizza concretamente non soltanto quando ci si liberi da ogni evidente ipostasi divina, ma quando la si basi su due fondamenti teorici irrinunciabili, che sono: la già citata pluralità delle sostanze ed il caso. Questo va ammesso (accanto alla necessità) come fattore ontologico a pieno titolo, e ciò in base al sostanziale indeterminismo del divenire macro-cosmico, a cui si accompagna quello micro-cosmico della materia elementare. Ogni sedicente filosofia atea che abbia esplicitamente o accarezzi tendenze monistiche e/o ponga la necessità come assoluta, ovvero il determinismo, a fondamento dell’essere, diventa, a nostro parere, irrimediabilmente autocontraddittoria e potenzialmente soggetta ad una sua “metafisicizzazione” che nasconde sempre una forma criptata di “telogizzazione”. Il determinismo, ponendo l’unità-totalità di un essere necessitato, non fa che ri-vincolarsi ad una metafisica che non riesce né a rinunciare alla compulsiva ipostasi dell’unitarietà dell’essere né alla soggiacenza a una qualche legge divina o pseudo-divina che elimini la casualità. Il caso, in quanto risultante di cause sconnesse [12], è secondo noi il vero “motore fisico” di ogni cambiamento macroscopico dell’universo e dei comportamenti delle particelle elementari subnucleari; come lo è anche di tutte le mutazioni genetiche che hanno determinato, determinano e determineranno l’evoluzione biologica del pianeta, in ogni suo aspetto.

    Dopo aver enucleato , sia pur sinteticamente, il pensiero empedocleo in base ai suoi scritti, seguiremo ora alcuni commenti posteriori, laddove essi assumano un particolare interesse. E tra questi vi sono certamente quelli di Aristotele, che ha considerato attentamente il suo pensiero in modo analitico, cogliendone gli aspetti (secondo lui) positivi ed altri negativi, ma, probabilmente, con qualche equivoco.  Nella Metafisica (I, A, 4, 985 a 21 – 28) si dice:

 

[…]; ed Empedocle più di Anassagora fa uso delle cause, ma neanche lui in modo sufficiente, né riesce a mettersi d’accordo con se stesso. Non poche volte pertanto secondo lui l’Amicizia disgrega e la Contesa è causa di aggregazione. Difatti, quando l’universo vien ridotto ai suoi elementi differenziali per opera della Contesa, allora si riscontra una riduzione all’unità del fuoco e di ciascuno degli altri elementi; quando, poi, questi vanno a ricomporsi in un’unità per opera del’amicizia, allora inevitabilmente le particelle di ciascun elemento vengono di nuovo separate tra loro. [13]  

 

Quello che sfugge qui allo Stagirita, che ragiona dal punto di vista di un’ontologia eminentemente “statica”, è che quella di Empedocle (aldilà dei suoi aspetti metaforici) è invece un’ontologia “dinamica” (all’incirca, un panta rei meno mistico e più intermittente di quello eracliteo). Cosa che sembrava aver meglio colto Platone, laddove nel Sofista l’aveva accostato ad Eraclito. Mentre invece Aristotele ha abbastanza ragione là dove osserva che i quattro elementi non sono del tutto equivalenti, poiché il fuoco pare assumere un ruolo “speciale”. Così egli osserva poco dopo (I, A, 4, 985 a 29 – 985 b 2):  

 

    Empedocle, comunque, introducendo questa causa, seppe operare, a differenza dei suoi predecessori, una distinzione col porre non un unico principio di movimento, bensì due che fossero anche contrari tra loro e, oltre a ciò, egli fu il primo ad affemare che sono quattro i cosiddetti elementi di specie materiale (quantunque egli non si serva di tutti e quattro, ma li riduca in realtà solo a due, ossia da una parte si serve solamente del fuoco e, dall’altra aprte, degli opposti di questo – terra, aria e acqua -, come se costituissero un’unica natura; e ciò si può evincere dall’esame dei suoi versi. [14]   

 

    Chiudiamo con Aezio, il quale (non sappiamo su quel base e col dubbio di qualche confusione con altri pensatori), ci rilascia su Empedocle alcune informazioni che suonano un po’ difformi da quelle consuete e che potrebbero essere forse (ma il dubbio è d’obbligo viste anche altre sue arbitrarietà) riferite a ciò che degli scritti dell’agrigentino non ci è pervenuto. Abbiamo così (I, 13, 1, Dox.312, Vors.31.A.43a) una nota circa il fatto che i quattro elementi sarebbero stati a loro volta costituiti da sub-elementi “minimi” della materia:

 

Empedocle parlava di frammenti minimi, anteriori ai quattro elementi, come dire, cioè, di elementi similari anteriori agli elementi. [15]

 

Se la notizia fosse attendibile Empedocle potrebbe aver anticipato Leucippo nel teorizzare gli “indivisibili”, ma non meno i “semi” di Anassagora; oppure, e sembrerebbe più plausibile, che gli fossero giunte notizie sulla filosofia di quei due suoi colleghi e che egli le avesse ritenute non inconciliabili con la propria. Ma a complicare le nostre ipotesi ci pensa lo stesso Aezio là dove accosta Empedocle a Senocrate (un post-platonico che succedette a Speusippo nella guida dell’Accademia dal 339 al 315 a.C.) in un frammento successivo (I, 17, 3, Dox.315, Vors.31.A.43b)) dove afferma:

 

Empedocle e Senocrate compongono gli elementi da masse più piccole, le quali sono minime e quasi elementi degli elementi. [16]

 

Ma Senocrate non avrebbe certo pensato tali “elementi degli elementi” in termini fisici, ma semmai puramente matematici (qualcuno ha parlato di un suo para-atomismo misticheggiante che avrebbe potuto influenzare persino Epicuro). E tuttavia Aezio insiste ancora (I, 24,2, Dox. 320, Vors. 31.A.44) accostando questa volta Empedocle ad Anassagora, a Democrito e ad Epicuro sostenendo che:

 

Empedocle, Anassagora, Democrito, Epuro e tutti coloro che costituisono l’universo per aggregazione di minuscole particelle corporee, introducono la mescolanza e la disgregazione, ma non propriamente la generazione e la corruzione; giacché queste cose [secondo loro] si hanno non per mutazione secondo qualità, ma per aggregazione secondo quantità. [17]   

 

E qui emerge il peripatetico che probabilmente eccheggia lo Stagirita, il quale, nel De cielo (III, (Γ), 5, 3 b e ss.) aveva affrontato diffusamente questo argomento. Chiudiamo con un’ultima affermazione di Aezio, anch’essa del tutto insolita in riferimento ad Empedole (I, 24,2, Dox. 320, Vors. 31.A.44):

 

Empedocle dice che vi è un solo mondo, ma che tuttavia questo mondo non costituisce il tutto, bensì solo una piccola parte del tutto. [18]

                                              

Se Empedocle avesse veramente pensato questo avrebbe anticipato (ancora una volta) di venticinque secoli quei fisici contemporanei che teorizzano essere il nostro universo soltanto uno dei moltissimi universi esistenti. [19]

 



[1] Platone Tutti gli scritti – Leggi - Bompiani, 2004, p.1676

[2] Platone Opere complete – 7 – Leggi – Laterza 1992 - p.327-328.

[3]  È Sant’Ippolito, un apologeta cristiano del III sec. d.C., a rilasciarci la più chiara definizione di che cosa siano gli “dei” per E.: «Dice Empedocle che sono sei in tutto gli elementi, di cui il cosmo è composto: due sono materiali, terra e acqua, e due organici, fuoco e aria, con cui la materia si ordina e si modifica, e due agenti, astio e concordia, che lavorano con quei mezzi organici la materia e costruiscono; dice così: Zeus è il fuoco, l’alma Hera la Terra….Aidoneo è l’aria, perché per lui vediamo tutto, ma lui soltanto non vediamo; Nestis è l’acqua…[…]» (da Testimonianze in Empedocle  Poema fisico e lustrale (a cura di Carlo Gallavotti) – Mondadori 1993 – p.131.

[4] Empedocle  Poema fisico e lustrale (a cura di Carlo Gallavotti) – Mondadori 1993 – p.7

[5] I nomi divini degli elementi sono dati a coppie: una celeste, Zeus (il fuoco) ed Hera (l’aria) e una terrestre, Aidoneo (la terra) e Nesti (l’acqua). Il Gallavotti (op.cit. pp.173-174) pone il problema dell’identificazione della seconda coppia di teonimi, anche basandosi sulle testimonianze dossografiche e letterarie, ma senza pervenire a una chiarificazione della loro origine.

[6] Ivi pp.19-21.

[7] Ivi p.23.

[8] A questo proposito lo Zeller osserva: «Ma anche se un medesimo spirito anima le teorie religiose e fisiche di Empedocle, tuttavia il filosofo non s’è curato di stabilire tra esse un rapporto di tipo scientifico, né di dimostrarne la conciliabilità. Infatti se la vita spirituale è solo una conseguenza dell’unione di sostanze materiali, è condizionata, come vita individuale, da questa determinata combinazione di sostanze , per cui l’anima non può né esistere prima della formazione né sopravvivere alla sua distruzione […[ Bisogna dunque ammettere che E. abbia derivato la dottrina della metempsicosi e le connesse teorie dalla tradizione orfico-pitagorica, senza però stabilire un nesso scientifico tra questi articoli di fede e le convinzioni filosofiche da lui in altro luogo e in altro contesto espresse.» (E. Zeller – R. Mondolfo  La filosofia dei greci – vol.V – La Nuova Italia – Firenze 1969 – pp.87-88 ).

[9]  Carlo Gallavotti ritiene che non vi sia contraddizione tra la teoria fisica e la dottrina etica: «È questo, nel poema lustrale, l’altro aspetto da rilevare per lo sviluppo storico del pensiero greco. È uno scritto di etica: sta alle origini di questa nuova disciplina filosofica, e sorge nell’ambito sociologico, in armonia (e non in opposizione) con un sistema di filosofia naturalistica già costituito, e precedentemente elaborato. È il  primo segno, per noi, di quella svolta che segnerà il pensiero filosofico attraverso i sofisti e Socrate, spostando il proprio interesse dall’indagine fisica a quella morale. […] Quindi la dottrina etica di E., e la stessa teoria della palingenesi, derivano direttamente dalla sua teoria fisica, e concordano in maniera perfetta.» (Empedocle  Poema fisico e lustrale (a cura di C. Gallavotti) – Mondadori 1993 – pp. XIV e XV).

[10] Ciò riceve anche conferma dal frammento dell’ Aristotelis Physica (331, 10) di Simplicio (I Presocratici – tomo primo - Laterza 2004, p.405) in cui si afferma (103, [312 K., 125 St.]): «E ancora molti casi si potrebbero trovare nell’opera di Empedocle Sulla natura che offrono esempi di tal genere, come anche questo: “E per tale volere della Sorte [del Caso] tutte le cose son assennate.». Abbiamo inserito [del Caso] perché non condividiamo il termine “Sorte” con cui Gabriele Giannantoni traduce il termine greco τύχή. A noi pare infatti che se da un punto di vista antropologico “sorte” e “caso” possano essere equivalenti, ma che non altrettanto lo siano sul piano ontologico (relativamente, qui, a “tutte le cose”), per cui, in questo caso, riteniamo più corretto e significativo il secondo termine.    

[11] Il Mondolfo rileva questo rimprovero in De generatione et corrupt. II,6, in Phis. II,4 e in Phis. VIII, 1.

[12] Abbiamo esposto la nostra interpretazione del fenomeno “caso” nel § 4 (Le leggi e il caso) del capitolo III di Necessità e Libertà (Editrice Clinamen 2004) alle pp.77-79.

[13] Aristotele Opere, Metafisica – Laterza 1973, p.18.

[14] Ibidem.

[15] I presocratici (Testimonianze e frammenti), tomo primo, Laterza 2004, p.347.

[16] Ibidem.

[17] Ibidem.

[18] Ibidem.

[19] Lo pensano il russo Andrei Linde e l’inglese Dennis Sciama. Ma la molteplicità dgli universi è anche implicato dalla Teoria delle Superstringhe.