SEGNATI DALLE MINACCE DEL POTERE
Chi
entra nella nostra baracca si trova davanti ad una croce dove c'è
scritto: Soweto on the Cross (Soweto sulla croce). È un po' il
segno della nostra solidarietà con la martoriata gente di Soweto.
Soweto
è ormai diventata simbolo di resistenza per i baraccati di
Nairobi, la capitale del Kenya, che sono circa due milioni su una
popolazione di tre milioni. Soweto (South-West Township) è il
nome della più famosa delle periferie di Johannesburg (Sudafrica):
cuore della resistenza nera contro il regime dell'apartheid. Ben
cinque baraccopoli (nate negli anni ' 70) hanno preso questo nome.
Una di queste è assurta recentemente agli onori della cronaca.
Si tratta di una piccola baraccopoli (2-3 mila abitanti) situata
a nord-ovest di Nairobi, incuneata in una delle zone residenziali
più eleganti della Regina degli altopiani. Un boccone troppo
ghiotto per l'insaziabile avidità degli straricchi di Nairobi.
Il
calvario di Soweto iniziò lo scorso ottobre con un incendio che
lasciò centinaia di persone sul lastrico. Si pensava fosse un
incidente. Il 20 ottobre scoppiò un secondo incendio, che divorò
buona parte delle baracche. Doloso. Perfino il governo si "commosse"
e promise una "sistemazione" per i baraccati. Il giorno
dopo arrivarono i camion dell'esercito che trasportarono gli
abitanti di Soweto verso un'altra zona, che risultò essere una
vera e propria fogna.
L'indomani,
visita di cortesia del sindaco di Nairobi e del commissario
provinciale, i quali annunciarono che i baraccati non potevano
rimanere perché quel terreno era di un privato! Costernati,
parecchi ritornarono a Soweto per ricostruire con i pochi rimasti
le loro baracche. Ma ormai questi dovevano fare i conti con il
proprietario che si era finalmente tolto la maschera e si scoprì
essere nientemeno che il miliardario Stanley Mugo Gidhunguri,
padrone del famoso Hotel Lilian Towers.
Con
lui non si scherza. Infatti la notte del 10 dicembre i baraccati
scoprirono e arrestarono una squadra di sedici suoi prezzolati,
inviati per distruggere quello che gli abitanti avevano
ricostruito. La polizia, pagata dal famoso faccendiere, li
rilasciò subito. Dieci giorni dopo inviò un altro squadrone
della morte che penetrò a Soweto nel cuore della notte e
distrusse una chiesetta, unico rifugio sicuro per i baraccati. Fu
l'inizio di uno scontro violento fra i due gruppi, uno degli
assalitori fu preso e bruciato vivo dai baraccati. Soweto divenne
un caso nazionale. Ma nulla impedì a Gidhunguri di spazzare via
l'ultima resistenza.
9
gennaio: questa volta la polizia si toglie la maschera, demolisce
le ultime tre chiesette e arresta sei persone con l'accusa di
omicidio e sovversione. Due sono mamme con bambini: devono anche
loro subire la prigione.
Sull'onda
di questi eventi si creò lentamente una ragnatela di solidarietà
attorno alla martoriata gente di Soweto, che portò ad una
giornata di solidarietà e di preghiera ecumenica. Il governo
dichiarò tale incontro illegale e ordinò alla polizia di
disperderlo. Chi vi partecipò dovette subire tutta la rabbia
delle forze dell'ordine al soldo del Grande Capitale che governa
Nairobi.
Non
ci perdemmo d'animo (in particolare padre Antonio, che vive e
lotta con noi a Korogocho ed è stato l'anima di questa
resistenza) e decidemmo una riunione ecumenica di preghiera, che
si tenne il 9 febbraio 1997 al Santuario della Consolata. Fu un
momento importante. Per la prima volta rappresentanti delle varie
baraccopoli di Nairobi si ritrovarono insieme a pregare e a dirsi
la loro drammatica esperienza. Piansi ascoltando quelle
drammatiche testimonianze, soprattutto quelle delle donne: sono
loro le voci più potenti dentro la baraccopoli.
Questa
mobilitazione ha dato fiato all'azione legale lanciata dai
baraccati di Soweto (sei di loro) che avevano deciso di portare
Gidhunguri davanti alla Corte. "Gidhunguri in tribunale!",
titolava a piena pagina il quotidiano "Standard".
Era
la prima volta che la "poveraglia" di Nairobi,
sostenuta da un gruppo di avvocati che difendono i diritti dei
poveri, portava un miliardario alla sbarra. Sette fra i migliori
avvocati di Nairobi hanno difeso i baraccati, sostenendo che vent'anni
di occupazione pacifica della terra sono titolo sufficiente per
la proprietà.
Il
28 maggio c'è stata l'ultima udienza in tribunale. A giorni ci
sarà il verdetto. Il problema centrale su cui la Corte dovrà
pronunciarsi è questo: la proprietà è più importante della
vita di un cittadino? La giustizia protegge la proprietà o la
vita? Se la Corte deciderà a favore dei baraccati sarà davvero
buona novella per loro e aprirà strade nuove per i poveri. Se il
verdetto sarà negativo... a luta continua!