E’ un po’ che mi chiedevo cosa fosse questa sensazione che mi aleggia attorno ed inizia ad avvolgermi come una pellicola trasparente per alimenti….

Pensavo che fosse malinconia, coi suoi villi appiccicosi, che riesce ad aggrapparsi alla mente tutta… ma la malinconia dà ad ogni pensiero una connotazione vagamente lugubre, pessimistica, invece io mi sento solo oppressa, soffocata, chiusa in un sacchetto nero della spazzatura, con una gran voglia di sfogarmi, di esplodere, di insultare qualcuno, magari anche di prenderlo a schiaffi.

Mi hanno chiesto ieri se in questi ultimi tempi fossi stata a volte di malumore. Ho risposto che ultimamente lo sono sempre. Sono rari, rarissimi, gli spazi in cui reagisco normalmente. Così rari che se continua così finirò per non riconoscermi, e se già non mi piacevo troppo prima, credo proprio che non mi sopporterò.

Ho analizzato con una cura maniacale che non è mia, uhm, preoccupante, ogni indizio che portasse a questo malumore, ormai diffuso, come una malattia infettiva che avanza a 360°… ho analizzato, sezionato, diviso, riunito ogni fatto, ogni sensazione contemporanea o successiva al fatto, ogni riflessione sulle sensazioni, ogni impressione, e mi sentivo patologa dei miei pensieri… scarsa però, perché ho raggiunto un risultato poco esaltante: molti fatti avrebbero potuto portarmi stress, è vero, ma non il malumore, questa nube tossica nel mio cervello.. altri fatti, o meglio i “non fatti”, le cose non accadute, le parole non dette, avrebbero potuto portare in me molto più di un semplice malumore…. Accade una cosa strana. Io, che ho un’interiorità sempre rovesciata all’esterno, che esprimo i miei sentimenti, che tranquillamente dico tutto di me e di quel che provo, ebbene sono costretta a tenere celata una parte importante del mio sentire, e non solo costretta da qualcuno, ma anche da me stessa: ho chiuso una parte di me che vorrebbe uscire, come una brava massaia ho raccolto, piegato con cura ed adagiato un morso di cuore in un cassetto, l’ ho chiuso a chiave ed ho messo la chiave in tasca. Ogni tanto la tasto con le dita, la rigiro, la accarezzo, ma la lascio lì, a scaldarsi col tepore delle mie mani, inconsapevole di quel che significa.

 

5/1/03 12.15

 

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