Di nuvole e di felicità.

Non so perché scrivo questa storia, non so se sia vera o inventata, non so se ha un senso, non so, se ce l'ha, se mai lo capirà qualcuno, non so chi sono io, non so dire che forma hanno le nuvole, né la felicità. So solo che se parla di qualcosa, questa mia storia parla di nuvole, e di felicità.

Il caldo fuso fondeva l'asfalto delle città deserta, e, man mano che appoggiavo i tacchi sul marciapiede, forse per via del peso dei sacchetti della spesa che portavo, forse per la spossatezza dovuta al clima e alla settimana intensa di lavoro appena terminata, mi sembrava di sprofondare. Il sole non dava tregua, quasi mancava il respiro. Dopo un'altra giornata intera di lavoro, estenuante lavoro, questa soffocante afa era la ciliegina sulla torta. Comunque la prospettiva sarebbe stata quella del solito mio fine settimana estivo, io, bloccata nella città deserta, in compagnia soltanto della città deserta e del caldo. E poi, mancavano solo pochi metri prima di raggiungere il portone di casa, quel soffio di vento. Una fresca, inaspettata quanto gradita leggera folata d'aria sulla schiena sudata. Un secondo di fresco, solo un secondo è vero, ma sufficiente a redimere una giornata degna soltanto di essere dimenticata. Pochi passi ancora, e avrei raggiunto il mio appartamento. La strada era deserta, fino a un attimo prima ero sicura che non ci fosse nessuno alle mie spalle quanto in quel momento lo ero di avere qualcuno attaccato alle mie spalle. Per lo spavento mi girai di scatto, rovesciando tutto il contenuto dei due grossi sacchetti e strappandone uno. Chi poteva essere? Forse un malintenzionato! Invece… sorprendendomi di me stessa non gridai né scappai via, rimasi là, ferma, immobile, senza preoccuparmi del pericolo di un'aggressione e senza neanche accorgermi della spesa che rotolava lungo il marciapiede.
Fu così che lo vidi.

Era robusto, ma non grasso, spalle larghe, alto poco più di me, capelli neri molto corti, occhi neri, carnagione scura. Il classico tipo mediterraneo, decisamente un bel ragazzo, vestito con una semplicissima maglietta bianca e un paio di jeans chiari. Quello che mi colpì di più al primo impatto, e di impatto si trattava davvero, visto che mi aveva urtato, fu la sua espressione: si teneva la testa come se si fosse schiantato correndo contro un muro, sembrava frastornato e dolorante, cosa francamente inspiegabile per me dato che non mi ero accorta affatto del nostro scontro, ricordavo solo quella leggera folata d'arietta fresca e i sacchetti rovesciati. Eppure doveva avermi sbattuto addosso con forza, viste le conseguenze, o magari era solo molto delicato. Ci volle qualche secondo prima che entrambi realizzassimo quello che ci era capitato, e il più scosso dei due era sicuramente lui. Pur tenendosi la testa, doveva essersi fatto veramente male per lo scontro, le sue labbra non avevano mai smesso di accennare un lieve, quasi impercettibile sorriso. Un sorriso disarmante, che non lasciava adito a scatti d'ira, o rancore per aver causato questo incidente. Ripresosi dal colpo fu lui il primo a parlare. Mi disse "mi scusi tanto, spero non si sia fatta male, la prego di accettare le mie scuse, adesso devo proprio scappare". Un atteggiamento così educato, e parole pronunciate con un tono tanto sincero erano un ottimo biglietto da visita, soprattutto visto che erano accompagnate da un aspetto fisico così attraente. Peccato che però stava già sparendo dalla mia vista. Beh, pensai si fosse trattato di un incontro fugace, ma piacevole, e niente di più, quando però stava per svoltare l'angolo oltre casa mia, guardando tutta la mia spesa sparsa per la strada, lo chiamai, con tono un pochettino risentito. "Hey ragazzo, hai visto che guaio hai combinato?" nel momento stesso in cui finii di pronunciare questa parole già me ne ero pentita. Queste parole erano chiaramente una scusa per non farlo scappare via così e tornare in un attimo nel nulla da cui era venuto, purtroppo però si trattava di una scusa palesemente improvvisata e la forma di questo mio sotterfugio, soprattutto in confronto al suo modo di presentarsi, risultò davvero poco garbata. Tono arrogante, aspetto sconvolto da interminabili ore di lavoro, tutta la spesa abbandonata per terra, pensai che si sarebbe girato senza fermarmi solo per urlarmi dietro qualche insulto e sarebbe sparito dalla vista. Invece, in fondo in fondo lo sapevo, me lo sentivo che lo avrebbe fatto, tornò indietro impeccabile, si fermò davanti a me e cominciammo a parlare.
"Mi scusi, non avrei voluto causarle questo fastidio, ma mentre… mentre… insomma, mi sono distratto. Cosa poso fare per rimediare? Posso aiutarla in qualche modo?"
Poiché mi ero pentita del tono con cui l'avevo quasi aggredito, decisi di rimediare in qualche modo.
"No mi scusi lei, non si è rotto niente, vedo che ha fretta, qui ci penso io a raccogliere tutto, grazie per essersi fermato, vada pure"
Avevo detto nel modo che volevo quello che non volevo. Non volevo se ne andasse, volevo che per almeno qualche secondo si fermasse a parlare, mi dicesse qualcosa, qualsiasi cosa, che mi permettesse di ascoltare il suo tono di voce suadente, le sue parole gentili, che mi permettesse di deliziare gli occhi ammirando il suo lievissimo sorriso, i suoi occhi profondissimi, tristi, dolci, che sembravano aver visto tutto il mondo e contenerlo per intero. Quell'aria serena, leggera, quella sua calma che riusciva a mantenere malgrado si capisse che avesse così tanta fretta, come se…
"…se deve prendere l'autobus vada pure, qui ci penso io" ma da dove mi uscivano queste frasi! Meno male che lui invece manteneva il sangue freddo.
"Vorrei che accettasse il mio aiuto, non si preoccupi, vado di fretta è vero, ma porre rimedio al guaio che ho combinato è la prima cosa da fare".
Era così strano sentirlo parlare. Pur essendo un ragazzo molto giovane, molto più giovane di me, parlava con la calma e la sicurezza di chi sa sempre cosa dire e cosa fare, doveva essere una persona davvero eccezionale. E per di più sembrava leggermi nella mente…
"E se desidera il mio aiuto non esiti a chiederlo".
Non so chi fosse, da dove venisse, e non volevo saperlo. So solo che stando vicino a lui quei pochi istanti mi avevano fatto passare la stanchezza, avevano rotto la noia e, quando si accostava a sufficienza, sembrava addirittura che il caldo si attenuasse. Mi fidavo, mi fidavo ciecamente come non mi era mai capitato mai con nessuno prima di quel momento, e lui lo sapeva, e sapeva che io lo sapevo. Non mi chiese neanche se poteva entrare in casa mia sistemare la spesa lo fece e basta e, per dire la verità, per tutto il tempo che rimanemmo insieme, mi rivolse la parola solo altre due volte. Era un incanto, un illusione, un sogno, quindi non avrebbe avuto senso tentare di fermarlo, o di farlo andare via, né a maggior ragione chiedergli chi fosse e dove stesse andando di fretta. Tutto era un sogno, fosse stata la scena di un film sarebbe stata rappresentata dentro una nuvoletta, coi bordi dello schermo sfumati, magari in bianco e nero. Ormai era ora di cena, e mentre io mi ero andata a fare una doccia, lasciando la porta d'ingresso aperta così che potesse uscire quando avesse voluto, lui mi preparò una cenetta davvero favolosa, con un gusto delicato ma intenso. Beh, semplicemente perfetto, un sogno.
Mentre facevamo l'amore rimasi stupita da come riuscisse ad avvolgermi tutta, di come sembrasse cambiare forma e adattarsi alle posizioni del mio corpo, di tanta esperienza in un ragazzo tanto giovane. Era così lieve, delicato, leggero, aleggiava sopra di me come se fosse una nuvola. Quando inspiravo mi sembrava di percepirlo come uno spirito che, mescolato all'aria, entrava nelle narici, pervadendo tutti i meandri del mio corpo con una sorta di nebbia tiepida senza odore, si spingeva dentro fondendosi con me. Quando espiravo al contrario sentivo il suo corpo essere sospinto via, come modellato dalla tagliente emissione d'aria che proveniva dalla mia bocca seguirne i flutti, e ad un tratto ero io a essere risucchiata e divenire parte della sua essenza vaporosa. Un ritmo circolare senza interruzioni, naturale, che mi portò all'estasi totale.
Non volevo dormire, non volevo chiudere gli occhi, perché riaprirli avrebbe significato svegliarmi e capire che era tutto un sogno. E lui, che mi leggeva nel cuore e nei pensieri, allora mi parlò per la penultima volta.
"Ho girato il mondo migliaia e migliaia di volte, mutando infinite forme, ho osservato tutti gli uomini, e tutti gli animali senza fermarmi mai neanche un istante, tu mi hai fermato, e finché potrò, rimarrò con te. Dormi, non sparirò questa notte".
Rimase con me altri due giorni, non uscimmo mai di casa. Sembrava curioso, molto curioso, leggeva spesso quei libri di poesia che io tenevo in libreria solo per bellezza, e che mai avevo anche solo pensato di sfogliare. Lui mi guardava, e più passavano le ore più sembrava avido di poesie e di fare l'amore con me.
L'ultima notte che passammo insieme portò sul comodino un libro di poesie cinesi, un foglio, una penna e mi parlò per l'ultima volta.
"Io amo te, e amo la poesia. In questi giorni mi hai reso molto felice, ma tu sai bene che il mio tempo ormai sta per finire, devo riprendere il mio inarrestabile cammino, se chiudi gli occhi io risponderò alla domanda che vuoi farmi. Chiudi gli occhi, non dirmi addio, e non dimenticarmi mai".
Nel caldo afoso di quella notte estiva una fresca, inaspettata quanto gradita leggera folata d'aria sulla schiena sudata. Come era venuto così se ne era andato. Come mai prima di conoscerlo avevo pensato potesse esistere una persona del genere, così dopo di lui mai ne incontrai altri.
L'avrei anche cercato se non fosse stato per le parole di quel foglietto sul cuscino.

Sospinta da soffi, sbuffi, aliti di vento
puoi riuscire a sfiorarmi soltanto un momento.
In una forma, in un luogo, non puoi congelarmi
sognami e scegli tu soltanto come chiamarmi.