Per non dimenticare

C'è qualcosa di noi che non comprendiamo pienamente. Qualcosa che di noi non muore mai, qualcosa che vaga nel tempo e nello spazio, qualcosa che forse non è neanche mai nato, qualcosa che probabilmente non è altro che l'essenza di noi stessi. La memoria non basta e la ragione non supplisce le troppe lacune che ci impediscono di comprendere cosa sia questo qualcosa di magico di noi che non inizia e non finisce mai. Forse esistevamo prima di nascere, e non basta il fatto che non ci ricordiamo di essere sempre esistiti a convincerci della nostra finitezza. Però a volte può capitare, non è poi così raro, che un piccolo e apparentemente insignificante evento stimoli una sensazione, una specie di memoria profonda che ci permette per un breve istante di socchiudere l'occhio sulla meravigliosa natura del nostro essere.
Questa è una breve storia fatta di promesse impossibili, di fantasmi, di sensazioni, di intuizioni, di desideri, di sogni, di ricordi sbiaditi, di vacuità decisamente assolute e certezze vaporosamente inconsistenti, ma piena di emozioni... che con gli occhi di lei sono le uniche cose che danno senso al tutto...

Incrociando i nostri occhi si sono riaccesi i barlumi di ricordi sopiti e sepolti dal tempo.

Finalmente a casa, seduto sul mio comodo divano, con le scarpe ancora ai piedi ma troppa voglia di rilassarmi subito senza perdere tempo per toglierle. Che terribile giornata oggi, ore e ore in fila davanti ai negozi, schiacciato tra la folla impazzita che si avventa come piragna su qualsiasi cosa possa essere utilizzato come regalo e poi, per concludere in bellezza, le chiavi dimenticate sul taxi. Che giornataccia! Beh quest'anno il Natale è arrivato troppo in fretta, e tutti i vermicelli della grande mela, e io con loro, si sono vomitati tutti insieme per le strade dello shopping. Speriamo almeno che al mio nipotino piaccia questo videogioco, visto che mi sono dovuto fare qualche chilometro di strada sgomitando tra la gente, un centinaio di piani di ascensore su e giù per i grattacieli e un paio di ore di fila davanti al bancone dei videogiochi assordato dalle urla dei bambinetti in braccio ai genitori. Però ne è valsa la pena, e se il videogioco non gli piace non importa, finalmente l'ho rivista.

In quella lunga e lumacosa fila oggi, stordito dalle grida dei bambini viziati, ho finalmente rincrociato i suoi occhi per un secondo, e in quel momento è avvenuta la rivelazione. Era la prima volta che vedevo quella ragazza, e rivederla è stato folgorante. D'improvviso, tutto d'un colpo ecco che l'inaspettato, ciò che non avevo neanche intuito prima di allora ma che da sempre conoscevo, si è presentato a me e con violenza ha cancellato ogni altro pensiero. Lo scambio d'occhiate assolutamente casuale, quanto mai però predestinato e ineluttabile, ha congelato il tempo, ha spalancato di botto le porte della percezione.

Rieccoti, finalmente, scusa il ritardo ma ho avuto secoli di contrattempi. Ma adesso siamo qua, abbiamo mantenuto ancora la nostra promessa. In un grande magazzino al xesimo piano di un grattacelo di ferro e vetro di New York si alza lentamente una nuvola di vapore caldo.

Nelle nebbiose terme bollenti nella foresta di bambù di Kyoto ti vidi per la prima volta. Scorsi i tuoi capelli lisci e nerissimi oltre una piccola roccia, mentre la seta del tuo ricco kimono scivolava giù scoprendoti la bianchissima pelle del collo, delle spalle e accarezzava i tuoi morbidi fianchi. Nella solitudine di quella impenetrabile foresta io, giunto là per purificare lo spirito prima della battaglia che uccidendomi mi avrebbe impedito di adempiere in quella vita alla promessa che si scambiarono i nostri occhi, fui turbato per la prima volta dal pensiero dell'esistenza di qualcosa di eterno. Soli, io e te e la sensazione che stessimo scrivendo un paragrafo di un poema senza inizio e senza fine, in quel giorno invernale ci abbandonammo rilassandoci nelle salubri acque che accarezzavano la nostra carne nuda e senza parlarci, senza toccarci, e a pochi metri di distanza l'uno dall'altro contravvenimmo ai codici dei nostri ranghi, e per l'infinito lasso di un solo batter di ciglia i miei occhi si legarono indissolubilmente ai tuoi. Inconsapevoli fino a quel momento l'uno della presenza dell'altro, ma da sempre conscenti dell'indiscindibilità delle nostre esistenze, rinnovammo la nostra sempiterna promessa. La battaglia del giorno dopo fu terribile, e il mio cadavere fu contato tra gli ultimi e gettato nel mucchio con la katana spezzata ancora stretta in mano.


Passeggiando smarrito per le strade della capitale dell'impero, distratto dal pensiero dell'innumerevole numero delle sue vie, inciampai su una vecchia spada spezzata tagliando il calzare e ferendomi il piede. Maledicendo tutto il popolo, i tribuni e i senatori romani, asciugando la ferita, alzando la testa per imprecare in direzione delle divinità olimpiche ti vidi per la prima volta e mi imbattei necessariamente nei tuoi occhi, "dicono che Roma sia più ricca e bella di quanto sia stata la stessa Alessandria", "lo dicono, perché è vero...". Mi guidasti, venivo da lontano, portandomi per giorni interi a visitare le meraviglie della città imperiale, la tua città. Eri così tremendamente bella, timidissima e col capo chino che sfuggiva gli assalti dei miei occhi avidi, che respingevi con la naturalezza di chi ben conosce la persona con cui sta parlando. E non ci conoscevamo. Mi mostrasti gli spettacolari e fastosi edifici ma io riuscii a cogliere la vera bellezza e il senso del tutto solo nei tuoi occhi, e ammirai solo te. Furono tre gironi splendidi, mi regalasti sguardi e sensazioni che mai avrei potuto dimenticare, e poi, tornato da dove ero venuto, parecchi anni dopo sopraggiunse la morte. Così ti dimenticai. Spezzato il legame col corpo, non recidesti ne' sciolsi la promessa. E neanche tu.

Passammo l'estate intera insieme, campeggiando alle pendici dell'Himalaya per quasi un mese per poi concludere il periodo di vacanza visitando il Nepal o il Tibet, e al ritorno a casa Parigi era in fiamme e dei nostri bambini non si seppe più nulla. Le tue lacrime e le mie si mescolarono. Quando moristi tra le mie braccia mentre il demone che stavamo cacciando si liberò dai sigilli che gli avevamo imposto piansi a lungo, questa volta da solo. Partii da solo sulla canoa per raggiungere l'isola più vicina dell'arcipelago, in cerca di aiuto, ma, non ricordo per quale motivo, non potei far ritorno nel nostro villaggio.

Quante vite, quante situazioni, quanti luoghi, in ogni tempo e in ogni dove ti ho incontrata... ed ogni volta è la stessa identica emozione, e la stessa identica promessa che ci scambiamo senza mai pronunciare una parola.

Se un giorno lontano, in questa vita o in un'altra, nel passato o nel futuro, magari quando sei a letto assopita, o quando passeggi per la strada in mezzo alla folla, quando mangi al ristorante o ammiri un quadro, quando leggi un libro o ascolti una canzone, se per un secondo solo, incrociando lo sguardo di uno sconosciuto, ti sembrerà di conoscerlo da sempre, beh allora quei occhi così familiari e mai visti potrebbero essere i miei. Allora in quel momento, senza esitare, senza pensare anulla e sapendo bene cosa fare, solo con gli occhi, senza proferire parola, come già hai fatto e come rifaremo in futuro promettiti ancora una volta, come se fosse la prima volta e come se fosse l'ultima, che non mi dimenticherai mai...


12/12/2000