NASCITA DEL GIAPPONE MODERNO

 

1. La grande potenza lontana dalle grandi potenze

Guardando una mappa del mondo rappresentante la divisione politica dell’anno 1914 salterebbero all’occhio due particolari caratteristiche: la prima che l’intero pianeta risulterebbe diviso, ad eccezione del continente sud-americano, fra poche grandi potenze; l’altra che l’unica di queste nazioni a non essere occidentale era il Giappone.C’è da chiedersi come mai un paese così lontano dal mondo occidentale rappresentasse già all’ inizio del ventesimo secolo il contraltare della potenza britannica in estremo oriente. Tutte le grandi potenze infatti appartenevano alla stessa area geografica e culturale, inoltre la supremazia tecnologica che consentiva loro il dominio globale era stata sviluppata pressoché contemporaneamente da tutte quante. Il Giappone invece agli inizi del XIX secolo, quando la superiorità tecnologica occidentale sul resto del mondo cominciava a divenire evidente, era invece ancora un paese retto da un antiquato sistema feudale, basato sulla tradizione e sulla divisione in caste dell’intera popolazione. Come fu possibile, nell’arco di un secolo, per un paese sostanzialmente arretrato diventare una delle potenze dominanti del pianeta?

 

2. La chiusura verso l’occidente e la divisione feudale del potere

La storia del Giappone presenta una caratteristica del tutto particolare: agli inizi del XVII secolo si decise di chiudere le porte del paese agli occidentali. Olandesi, Inglesi, Portoghesi e Spagnoli vennero espulsi in massa mentre la cultura occidentale veniva abolita e aborrita. Nei successivi due secoli i contatti con gli occidentali vennero  permessi solo in poche località e per limitatissimi scambi commerciali.

Contemporaneamente a questa chiusura il Giappone continuava internamente a vivere in un regime feudale in molti tratti estremamente simile a quello dell’Europa medioevale. Il potere centrale dello stato era nelle mani della dinastia dei Tokugawa che con la carica di Shogun (reggente) lo esercitava per conto dell’imperatore.

Il dominio dello shogunato però era limitato alle poche aree direttamente sottoposte al suo controllo, mentre nel resto del paese si affermava l’autorità di signori locali chiamati Daimyo. Il potere dei signori locali e dello Shogun si basava su una classe di militari professionisti detti Samurai. Si veniva così creando un triplice sistema di potere: da un lato l’imperatore, chiamato Mikado, che era il capo supremo dello stato e divinità, dall’altro quello dello Shogun residente nella città di Edo detentore effettivo del potere centrale e infine i vari signori locali Daimyo che detenevano il potere nelle province da loro controllate.

 

3. Le navi controvento

Quando il Giappone s’era chiuso all’occidente era sostanzialmente allo stesso livello di sviluppo tecnologico. Ma il XVIII e il XIX secolo cambiarono rapidamente questo stato di cose, le macchine a vapore, l’artiglieria moderna, la medicina e l’ingegneria occidentale divennero incredibilmente più avanzate di quelle del lontano impero insulare, che continuava a vivere nella sua stasi tecnologica dovuta all’isolamento. Ben presto gli occidentali ricominciarono a guardare al Giappone interessati a far valere i loro interessi, in realtà a espandere il loro dominio, su questa terra che viveva lontano da ogni contatto con il mondo industrializzato.

Nel corso della fine del XVIII secolo e nei primi anni del XIX furono gli inglesi e i russi che tentarono di stabilire contatti con il Giappone, tuttavia i governati nipponici erano restii ad accettare qualunque tentativo di infiltrazione occidentale. Anche gli americani verso il finire degli anni ’40 cominciarono a interessarsi all’arcipelago del sol levante. Gli Stati Uniti da quando avevano raggiunto la costa del Pacifico avevano aperto un gran numero di rotte commerciali con l’estremo oriente, in particolare con la Cina, e i loro Clipper per raggiungere i porti di Canton e Shanghai attraversavano le acque del Giappone. Per gli americani sarebbe stato particolarmente utile poter permettere alle loro navi di far scalo nei porti giapponesi per rifornirsi d’acqua e viveri. Con l’avvento delle navi a vapore divenne necessario per i mercantili americani disporre di numerose stazioni di carbonamento per il rifornimento. Ben presto quindi il governo degli Stati Uniti decise di costringere con la forza il Giappone ad aprire i propri porti alle navi occidentali.

 

Mentre in occidente si maturava una strategia aggressiva nei confronti del Giappone, nel paese alcuni giovani intellettuali capivano il pericolo a cui la nazione era esposta. Spesso questi rivolsero appelli ai Tokugawa perché permettessero agli Olandesi, che s’erano dimostrati i più amichevoli fra gli occidentali, di esportare parte delle loro conoscenze in Giappone in modo da poter riparare al ritardo sempre più evidente che c’era. Questi giovani intellettuali inoltre erano a conoscenza dell’umiliazione che la Gran Bretagna e la Francia erano riuscite a imporre alla Cina, il paese che i giapponesi consideravano madre di ogni civiltà, e perciò speravano di poter evitare un destino simile all’impero.

Nel luglio del 1853 un evento sconvolse in maniera definitiva l’isolamento giapponese: una squadra navale americana comandata dal commodoro Perry penetrò nella baia di Edo, venne consegnata una missiva ai governanti nipponici nella quale il presidente degli Stati Uniti chiedeva l’instaurazione di rapporti commerciali fra i due paesi. L’impressione che la flotta americana destò sui governanti di Edo fu totale, l’immagine delle navi americane che risalivano controvento la baia aprì gli occhi ai governanti dello shogunato: era impossibile ormai resistere alle pressioni occidentali. Perry intimò ai Giapponesi di prendere una decisione entro l’anno successivo quando egli sarebbe tornato per conoscerla.

La situazione gettò nel panico i governanti dello shogunato, il dover prendere una decisione così importante in tempi così rapidi creò una spaccatura. Da un lato c’era la minoranza costituita da giovani samurai che era favorevole all’apertura verso l’occidente, dall’altro la grande maggioranza del paese che voleva conservare lo status quo. In questo clima di incertezza lo shogunato decise di chiedere il parere dell’imperatore, una decisione che non era stata mai presa negli ultimi sei secoli di storia. Venne così permesso alla corte imperiale di esprimere una decisione, venne chiesta anche l’opinione dei Daimyo e la gran parte di questi assieme all’imperatore si dichiarò contraria all’apertura nei confronti degli americani. Questa decisione era dovuta alla scarsa percezione del pericolo davanti al quale si trovavano, la squadra di Perry era comparsa nella baia di Edo e quindi rappresentava una minaccia per lo shogunato, ma non per l’imperatore o i vari signori feudali.

 

4. L’Epoca dell’iniquità

Perry tornò con le sue navi nel febbraio del 1854 per conoscere la risposta del governo giapponese.

Nonostante la contrarietà dell’imperatore e di gran parte dei Daimyo venne concesso agli americani di poter impiantare due stazioni commerciali in Giappone. I Tokugawa non se la sentivano di sfidare la potenza militare americana e questo aprì il Giappone al mondo occidentale.

Vennero aperti due porti, uno a Shimoda e l’altro a Hakodate, dove gli americani avrebbero potuto rifornirsi, inoltre veniva istituito sempre a Shimoda un consolato americano per stabilire normali rapporti diplomatici fra i due paesi. Infine veniva stipulato un trattato in base al quale ogni altra concessione fatta ad una potenza europea era immediatamente concessa agli Stati Uniti.

Nel giro di due anni i governanti di Edo fecero concessioni a tutte le maggiori potenze occidentali. Quando venne firmato il trattato con la Russia venne aggiunto fra i porti aperti al commercio internazionale quello di Nagasaki, inoltre veniva inserito il diritto all’extraterritorialità dei cittadini europei presenti nel paese, ovvero se questi avessero commesso un crimine sarebbero stati giudicati dai tribunali del loro paese e non da quelli giapponesi.

Nel 1858 venne sottoscritto il primo vero trattato commerciale con gli Stati Uniti, con il quale veniva concesso agli americani di poter risiedere liberamente nelle grandi città di Edo e Osaka, le quali erano particolarmente attraenti dal punto di vista commerciale per i mercanti occidentali.

A breve trattati simili vennero firmati con le altre potenze e nel 1866 queste imposero al Giappone una limitazione del 5% sui dazi imponibili alle merci occidentali.

Sembrava che il paese fosse ormai avviato verso la strada del semicolonialismo come già era accaduto con l’impero cinese. Gli occidentali si stavano inserendo poco a poco nell’economia del paese invadendo i mercati con il loro prodotti a basso costo, imponendo trattati iniqui che portavano vantaggi esclusivamente ai loro mercanti, mettendo così il Giappone in uno stato di sudditanza economica.

5. Il crollo del dominio di Edo

La situazione di subordinazione del paese alle potenze occidentali cominciò ben presto a determinare un'enorme tensione fra lo shogun e i poter locali poiché alcuni Daimyo erano particolarmente ostili alla facilità con cui il Giappone si era piegato alle richieste straniere.

Ben presto questi signori locali cominciarono a commettere atti di aperta ostilità nei confronti dei cittadini occidentali.

I domini di Satsuma e Choshu si dichiararono apertamente ostili a Edo e cominciarono ad armare le proprie truppe con armi di fabbricazione occidentale.

L’ostilità contro gli stranieri cresceva: nel 1863 l’ambasciata inglese di Edo venne bruciata e nello stesso anno una squadra navale britannica distrusse la città di Kagoshima, capitale del Satsuma, in risposta all’uccisione di un cittadino britannico.

Edo cercò allora di riprendere il controllo del paese, ma nel 1866 una spedizione mandata a riprendere il controllo della dominio di Choshu venne sconfitta. Satsuma e Choshu decisero allora di allearsi per distruggere definitivamente i Tokugawa signori di Edo e marciarono sulla capitale.

Lo Shogunato si arrese pressoché senza combattere: era la fine del regime feudale creatosi dopo la chiusura del paese nel ‘600. Iniziava un nuovo periodo della storia giapponese: la restaurazione Meiji.

6. Una rinascita chiamata restaurazione.

Una volta sconfitto lo shogunato si poneva il problema di come creare un nuovo governo forte e unito, che potesse costruire un paese in grado di resistere alla pressione occidentale.

Mentre la gran parte dei domini e del popolo rimaneva indifferente e paralizzata dal crollo di Edo un piccolo gruppo di samurai del Giappone occidentale e di nobili della corte imperiale prendeva il potere, e in nome del imperatore si apprestava a costruire il nuovo governo.

Nell’autunno del 1868 venne deciso il trasferimento della capitale imperiale da Kyoto a Edo, la città allora cambiò il suo nome in Tokyo che ancora oggi conserva. Sebbene la presa di potere da parte di questi giovani soldati fosse avvenuta con lo scopo di salvare il paese dall’arrendevolezza nei confronti dell’occidente, essi capirono che era impossibile riuscire a costruire un Giappone forte senza accettare la conoscenza occidentale della tecnologia, dell’amministrazione statale e della tattica militare. Fu così che, per dimostrare apertura nei confronti delle potenze occidentali, nella primavera del 1868 permisero ad alcuni diplomatici stranieri di recarsi in udienza presso l’imperatore. Si trattava di un fatto senza precedenti, in quanto era stato impossibile vedere l’imperatore per chiunque negli ultimi secoli, ora questi giovani politici riuscivano a dimostrare con un segno incredibile la nuova apertura del paese al mondo. L’imperatore divenne il centro del nuovo regime che si stava creando e il collante dell’unità nazionale.

Il periodo dopo la caduta di Edo è definito “restaurazione Meiji” perché si ripristinò l’antico sistema imperiale centralizzato.

Questo almeno in teoria, nei fatti un piccolo gruppo di uomini prese il potere in nome dell’imperatore, al quale vennero associati “consiglieri” riuniti intorno alla sua figura, cominciò così il cambiamento dell’assetto istituzionale giapponese.

L’atto finale della restaurazione fu il “giuramento dei cinque articoli”. Con questo giuramento, avvenuto l’8 aprile del 1868, l’imperatore prometteva “la cessazione del malcostume” che aveva governato il paese fino ad allora e che “si sarebbe perseguita la conoscenza in tutto il mondo”.

Principali protagonisti di questa rivoluzione, perché di ciò si trattò, erano i giovani samurai dei domini vincitori della guerra contro Edo oppure nobili della corte imperiale. La gran parte di essi assunse incarichi di rilievo nel nuovo governo che si formò, fra tutti spicca la figura del nobile Iwakura Tomomi che divenne la principale figura politica del paese fino alla sua morte nel 1883.

 

 

7. Le riforme

 

7.1 La fine dei domini.

Era ferma convinzione dei nuovi governanti che il paese dovesse essere sottoposto ad un’autorità centralizzata e forte. Per far si che questo avvenisse, i vecchi domini dello Shogun vennero divisi in prefetture, un vecchio sistema ripreso dall’antico governo imperiale, tuttavia questo permise di mettere sotto il loro diretto controllo solo un quarto del paese. I restanti tre quarti erano infatti in mano ai domini dei vari signori feudali; ufficialmente per rafforzare il controllo dell’imperatore, in realtà del governo, venne proposto ai Daimyo dei principali domini di cedere formalmente i loro territori all’imperatore, per poi esserne nominati governatori immediatamente dopo. Fu così che il 5 marzo 1869 i domini di Choshu, Satsuma, Tosa e Hizen passavano sotto il controllo del governo imperiale, che poco dopo ne nominava come governatori i vecchi signori feudali. Il nuovo governo riuscì a imporsi su tutto il territorio del Giappone, i Daimyo cedettero spontaenamente o vennero obbligati ad accettare il nuovo sistema. Il processo di completamento dell’accentramento dello stato avvenne il 29 agosto 1871 quando i domini vennero del tutto aboliti, e furono sostituti con le prefetture, i cui funzionari erano nominati dal governo centrale.

Privare i Daimyo dei loro poteri fu tutto sommato un operazione facile, quando nel ’71 vennero tolti dai loro posti furono rimborsati con titoli di stato, questo legò il loro destino economico alla sopravvivenza del regime Meiji, rendendoli di fatto impotenti.

 

7.2 Il disfacimento della casta samurai

Ben più difficile fu la demolizione della vecchia classe dei Samurai. Questi guerrieri erano una classe di professionisti della guerra stipendiata dai vari domini, la loro era una classe assai privilegiata e rispettata da tutti; tuttavia era necessario cancellarne i privilegi per poter creare un esercito moderno di coscritti su modello di quelli occidentali. Nel 1871 il governo decise quindi di abolire tutti i privilegi di casta e stabilì l’uguaglianza di tutti i cittadini dell’impero.

Agli inizi del 1873 infine venne decisa la creazione di un esercito coscritto destinato a rimpiazzare la vecchia milizie feudali. Era un’innovazione senza precedenti che di fatto sanciva l’abbattimento definitivo del regime feudale. Il principale artefice della riforma militare giapponese fu Yamagata Aritomo, il quale fra l’altro decise nel 1878 di introdurre uno stato maggiore generale su modello di quello prussiano.

Nel 1869 vennero dimezzati gli stipendi dei samurai e nel 1876 venne imposto loro di accettare come liquidazione del rimante stipendio un valore in denaro estremamente inferiore quanto loro dovuto. Ciò condusse a forti tensione fra i guerrieri e il governo, infatti ben pochi samurai accettarono di abbandonare i vecchi privilegi di casta per inserirsi nel nascente mondo degli affari o nella burocrazia statale. Alcuni di essi passarono alla rivolta aperta: il risultato fu una rivolta che nel 1877 vide coinvolti oltre 40.000 samurai, radunatisi nel vecchio dominio di Satsuma. Capo della rivolta era Saigo, un samurai che s’era ritirato appena quattro anni prima dal governo. La battaglia si svolse fra la vecchia classe di guerrieri e il nuovo esercito istituito dal governo, fu un massacro e i samurai alla fine vennero sconfitti, la vittoria mise definitivamente fine alle speranze dei conservatori di reagire alla restaurazione Meiji.

 

7.3 Le riforme economiche e sociali.

La necessità di creare un economia industriale moderna passa necessariamente attraverso la creazione di un sistema bancario avanzato. I governanti giapponesi della restaurazione ne erano ben consapevoli e perciò cercarono immediatamente di mettere in piedi un sistema bancario simile a quello degli Stati Uniti, ovvero basato su una serie di istituti decentralizzati, questo modello tuttavia mal si adattava al Giappone per due motivi: per prima cosa il paese era troppo piccolo perché un sistema decentralizzato potesse funzionare, secondo l’economia giapponese era molto più dirigista di quella americana e quindi si rendeva necessaria l’esistenza di una banca centrale unica.

Fu preso quindi come modello il sistema bancario del piccolo Belgio, ovvero un istituto bancario centralizzato e verticistico e così nel 1890 venne creata la Banca del Giappone.

Nel 1871 lo Yen divenne l’unica valuta ammessa in tutto l’impero e due anni dopo fece seguito la riforma dell’imposizione fiscale. In precedenza il governo esercitava l’imponibilità fiscale attraverso il pagamento di una quota di beni prodotti dal terreno oggetto di imposizione, si trattava insomma del cosiddetto “pagamento in natura”. A partire del 1873 venne deciso che la pressione fiscale sarebbe stata esercitata attraverso il pagamento di una quota in denaro, calcolata proporzionalmente alla proprietà.

 

Ciò che più destava l’ammirazione dei giovani governanti giapponesi che guardavano all’occidente era l’efficiente struttura degli stati moderni, non paghi della riforme attuate decisero di imitare l’occidente anche nella strada dell’alfabetizzazione di massa. Decine di migliaia di studenti vennero mandati in Europa o negli Stati Uniti per carpire i segreti della superiorità dell’occidente. Il Giappone si apriva al mondo come non aveva mai fatto e lo scopo di questa apertura era quello di creare un paese moderno anche dal punto di vista intellettuale.

Nel 1871 venne creato il ministero della pubblica istruzione, subito dopo venne reso obbligatorio l’insegnamento elementare per la lunghezza di sei anni. Cominciava così il processo di inserimento della popolazione nel sistema scolastico, in questo i giapponesi furono molto lungimiranti capendo che solo con un gran numero di cittadini perfettamente alfabetizzati sarebbe stato possibile creare un sistema universitario davvero efficace. Questo punto fu uno dei motivi di successo del Giappone nel creare un sistema d’istruzione molto efficiente rispetto ad altri paesi in via di sviluppo, spesso infatti altre nazioni del terzo mondo crearono istituti universitari pur avendo una percentuale bassissima di popolazione alfabetizzata, ciò naturalmente determinò il fallimento dei piani d’istruzione.

Naturalmente anche l’apertura verso l’occidente fu fondamentale per riuscire nella creazione di una classe dirigente, si dagli anni ’50 scuole protestanti si erano impiantate nel paese allo scopo di diffondere il cristianesimo, tuttavia i missionari  americani cominciarono a insegnare ben presto l’inglese ai loro allievi cosa che creò un gran numero di lettori della lingua.

Questi lettori, assieme agli studenti rientranti dall’estero, nella generazione successiva formarono il nucleo dell’intellighenzia giapponese, rimpiazzarono i missionari e cominciarono a insegnare l’inglese a loro volta. Nel frattempo l’occidente divenne oggetto dell’interesse di molti studiosi fra i quali spicca Fukuzawa Yukichi, questi dopo aver viaggiato a lungo in occidente scrisse un famoso saggio “Seiyo jijo” (le condizioni dell’occidente) con il quale conquistò il pubblico giapponese, infine fondò anche l’Università di Keio, una delle più importanti accademie private giapponesi.

Naturalmente anche il governo ben presto cominciò a interessarsi allo sviluppo del sistema universitario: nel 1877 venne fondata l’Università di Tokyo, che col tempo divenne Università imperiale di Tokyo. L’istituzione delle università imperiali nelle principali città giapponesi proseguì nei decenni successivi. La creazione di un sistema universitario permise di poter disporre ben presto di un gran numero di laureati da inserire nella pubblica amministrazione dello stato, creando così la classe di burocrati professionisti presente in ogni paese moderno.

 

8. Una costituzione per l’impero

Due furono i motivi che spinsero il Giappone, da sempre paese autocratico, a ricercare una nuova costituzione politica.

Il primo era costituito dal “giuramento dei cinque articoli del ’68 nei quali l’imperatore, quindi il governo, aveva promesso che sarebbe stato consultato il popolo nella nuova gestione dello stato.

Il secondo era invece una sorta di “complesso di inferiorità” verso l’occidente. Non va dimenticato che il primo obbiettivo dei governanti giapponesi che avevano distrutto il vecchio sistema rimaneva quello di stabilire al parità con le nazioni occidentali, tale parità secondo i nuovi governanti doveva necessariamente passare attraverso l’elaborazione di un sistema costituzionale simile a quelli vigenti in occidente.

Tuttavia finché i “rivoluzionari” del 1868 rimasero al potere l’ipotesi di elaborare una costituzione venne esclusa, per paura che questo potesse portare al crollo del sistema da loro elaborato. L’assenza di una qualunque capacità consultiva nei confronti del paese aveva però condotto alla rivolta dei samurai del 1877, i guerrieri infatti privati dei loro diritti senza essere stati consultati avevano scelto di rivolgere le armi contro il nuovo regime.

Urgeva quindi dopo la rivolta elaborare un sistema costituzionale che calmasse gli animi e nel contempo mantenesse la centralità del potere dei ministeri, creatisi intorno all’imperatore dopo il ’68.

 

Sempre due furono i fatti che permisero lo sblocco della situazione: primo nel 1879 l’imperatore chiese che gli venissero sottoposti dei progetti per una riforma costituzionale, secondo fra il 1880 e il 1890 tutti i vecchi capi politici della restaurazione morirono.

La morte dei vecchi politici di gabinetto portò all’ascesa di giovani e brillanti figure politiche che s’accingevano ad esaudire il desiderio dell’imperatore di una nuova costituzione.

Il primo di questi “uomini nuovi” a proporre un progetto costituzionale fu Okuma, un brillante politico dell’Hizen che aveva partecipato alle realizzazione delle riforme economiche degli anni ’70. Questi propose di adottare copiandolo il sistema parlamentare inglese, ma la proposta suscitò lo scandalo dei suoi colleghi perché avrebbe messo alla berlina la figura dell’imperatore, dalla quale il governo traeva la sua legittimità. Okuma venne quindi allontanato dal governo mentre si cercavano nuove proposte costituzionali.

 

Ito Hirobumi, politico del Choshu, venne preposto dal governo a disegnare un nuovo progetto costituzionale. Ito si recò in giro per l’Europa a studiare i sistemi costituzionali delle quattro più grandi potenze europee: la Francia, l’Inghilterra, la Germania e l’Austria. I primi due sistemi, quelli delle democrazie liberali furono scartati a priori perché poco appropriati alla politica giapponese. Al contrario i sistemi costituzionali di Germania e Austria vennero presi come modello per redigere una carta costituzionale giapponese.

Prima che la nuova carta costituzionale venisse varata vennero create le istituzioni sulle quali essa si sarebbe dovuta reggere. Nel 1884 venne istituita la dignità di pari, simile a quella inglese, da concedere a tutti i nobili che sarebbero entrati nella camera alta del parlamento, principalmente furono i vecchi Daimyo o alcuni nuovi dirigenti della restaurazione a insediarvisi.

L’anno successivo venne decisa la creazione di un gabinetto ministeriale di tipo moderno, tuttavia esso non venne mai scritto nella costituzione come organo dello stato e quindi questo limitò l’influenza che il parlamento poteva avere sui ministri.

Alla fine si decise per la creazione di un sistema bicamerale di tipo inglese: la camera bassa, detta camera dei rappresentanti, era eletta a suffragio censitario maschile. Il voto era concesso a tutti i coloro che pagavano imposte annuali pari ad almeno 15 yen, il che permetteva ad appena l’1,26% dei giapponesi di votare. I poteri della camera bassa erano molto limitati in fatto di legislazione e di bilancio, questo perché i redattori della costituzione erano stati istruiti dai consiglieri tedeschi in modo da ridurre l’autonomia delle camere. Secondo i consiglieri infatti poteri limitati in materia di bilancio avrebbero ulteriormente ridotto l’influenza parlamentare sulle decisioni del governo.

Assieme alla camera bassa venne creata anche una alta: la camera dei pari. Si trattava di un’istituzione fondamentalmente conservatrice dotata di ampi poteri, in modo da limitare la libertà d’azione dei deputati della camera bassa.

La costituzione venne ratificata definitivamente dall’imperatore l’11 febbraio 1889. L’insieme del parlamento fu definito “dieta” e si insediò per la prima volta nel luglio del 1890.

La prima redazione della costituzione giapponese può apparire ai nostri occhi assai conservatrice, ma in realtà bisogna tenere conto di alcuni fattori: il primo è che all’epoca tutti i sistemi politici del mondo erano a base censitaria. Secondo il paese stava attraversando una fase di ritorno alla tradizione; come testimoniato dall’editto imperiale sull’educazione del 1890 col quale si celebravano i valori del confucianesimo e della tradizione, in pratica fu un manifesto del conservatorismo giapponese dopo la “mania dell’occidente” degli anni ’60 e ’70. Terzo, era volontà degli scrittori della costituzione impedire l’instaurazione di un regime parlamentare forte.

 

Il 6 maggio 1891 si insediava il governo di Matsukata, ben presto cominciarono a sorgere problemi in seno al nuovo parlamento. La camera dei rappresentanti infatti si dimostrò molto meno propensa del previsto ad assecondare le manovre del governo, i due principali partiti politici dell’opposizione, il partito liberale (Jiyuto) e quello progressista (Kaishinto), divennero il centro dell’opposizione all’oligarchia che s’era creata nella camera alta e nel governo.

Per indurre il governo a trattare la camera dei rappresentati decise di tagliare il bilancio per l’anno 1892, tuttavia l’unica risposta che il governo seppe dare fu lo sciogliemento delle camere e la convocazione di nuove elezioni.

 

Le nuove elezioni furono svolte sotto un clima di intimidazione e minacce che portò alla nomina di un parlamento conservatore che permise a Ito Hirobumi di diventare primo ministro, egli seppe far approvare il bilancio per gli anni 1893, 84 e 95; vincendo anche la guerra che il Giappone combattè contro la Cina. Nel ’96 però Matsukata tornò al potere, il suo governo tuttavia fu assai breve, tanto che nel 1898 liberali e progressisti vinsero le elezioni e scelsero come primo ministro il generale Yamagata.  Il generale scelse di escludere il controllo dell’esercito dal parlamento, vennero istituiti i ministeri dell’esercito e della marina e si disse che sarebbero stati retti solo da ufficiali militari e mai da parlamentari o membri del governo.

L’ultima grande riforma dell’era Meiji fu la revisione nel 1900 delle leggi elettorali, Yamagata ancora al potere decise di ampliare ulteriormente la partecipazione alle elezioni abbassando il limite minimo di tassazione per essere elettori a 10 yen. Così il numero di partecipanti alle votazioni raddoppiò e Ito divenne nuovamente primo ministro, tuttavia il conflitto fra parlamento e consiglio dei ministri era destinato a proseguire negli anni successivi.

A predominare tuttavia fu la logica dell’alternanza, a Ito infatti fece seguito il protetto di Yamagata ovvero il generale Katsura e a sua volta questi venne sostituito nel 1905 dal principe Saionji Kimmochi presidente del partito fondato da Ito nel 1902: il Seiyukai, il quale era diventato il principale partito del paese. Katsura e Saionji si alternarono l’un l’altro fino al 1912, si trattava della prova che il sistema costituzionale elaborato da Ito funzionava e che il Giappone s’era avviato verso un sistema parlamentare moderno, degno delle nazioni europee alle quali era ispirato.

 

9. Come costruire una moderna economia industriale…….

Naturalmente nelle aspettative dei capi della restaurazione vi era quella di poter trasformare il paese in una potenza industriale. Tuttavia era estremamente difficile per il paese poter disporre delle risorse finanziarie necessarie ad avviare l’industrializzazione; infatti i giapponesi erano assai restii a chiedere prestiti alle grandi potenze perché consci che questo l’avrebbe legati a doppio filo a eventuali ricatti di queste ultime. L’economia giapponese quindi dovette emergere con le sue proprie forze.

Fra il 1852 e il 1858, l’epoca dell’iniquità, molti Daimyo avevano cercato di creare nei loro domini industrie di tipo moderno; quando nel ’58 venne restaurato il potere dell’imperatore si decise di confiscare questi primi impianti industriali per farne le industrie pilota del paese.

Si trattava tuttavia di investimenti poco redditizi, in quanto la gran parte delle industrie create dai Daimyo operava in passivo e quindi esse andarono ad aggravare la già difficile situazione del bilancio.

A cambiare la situazione tuttavia fu una particolare coincidenza: l’epidemia dei bachi da seta in Europa fra il 1860 e il 1870. L’epidemia causò un notevole calo della produttività delle seterie europee e di conseguenza gli artigiani giapponesi poterono inserirsi nel mercato europeo con i loro prodotti di alta qualità e basso prezzo. Quando l’epidemia terminò e le industrie europee ripresero la loro attività regolarmente, il governo giapponese invitò gli artigiani a introdurre nelle loro fabbriche telai meccanici. Fu così che l’industria tessile giapponese si modernizzò, divenendo il primo comparto moderno dell’economia nazionale. Ben presto i prodotti giapponesi grazie al loro costo relativamente basso invasero i mercati dell’Asia continentale sostituendo quelli europei, in particolare quelli inglesi; il Giappone stava divenendo il principale esportatore mondiale di filati verso i paesi asiatici.

Il decennio fra il 1880 e il 1890 fu quello del boom industriale, in questo periodo nacquero la gran parte dei settori di primaria importanza: quello siderurgico, quello della cantieristica e quello metallurgico. Naturalmente lo sviluppo industriale era accompagnato da una rapidissima crescita della rete ferroviaria, questa aveva cominciato a svilupparsi dopo il 1872 quando era stata inaugurata la linea Tokyo-Yokohama ( 30 km di lunghezza); in breve tempo sorsero migliaia di chilometri di strada rotabile, che divennero in seguito la struttura portante dell’economia nazionale assieme ai porti, numerosi e in continuo ampliamento in tutto il paese.

Il successo economico del Giappone nell’emergere dallo stato di paese arretrato fu dovuto ad alcune caratteristiche che solo esso aveva. La prima era la posizione geografica privilegiata rispetto ai mercati asiatici, la seconda era una particolare combinazione di basso costo e disponibilità della manodopera, tecnologia moderna e buon livello d’istruzione. La creazione di un sistema d’istruzione moderno ebbe come conseguenza un discreto livello di preparazione.

Come accade in tutte le società in via d’industrializzazione la popolazione dalle campagne cominciò a trasferirsi in città, questo perché la crescita esponenziale (si passò da 30 milioni del 1858 a 60 milioni nel 1914) rese impossibile l’impiego della popolazione nelle campagne a causa dell’esiguità della superficie coltivabile. Da questo inurbamento scaturirono due conseguenze: la prima che i contadini rimasti nelle campagne si concentrarono sulla produzione di colture specializzate assai più redditizie delle precedenti; la seconda fu che la gran massa dei contadini inurbati era una riserva praticamente inesauribile di manodopera a basso costo, il che rendeva i prodotti giapponesi particolarmente competitivi. La conseguenza più spiacevole fu che nonostante la crescita industriale il Giappone rimase un paese dove le classi medie e basse avevano uno stile di vita molto più povero dei contemporanei occidentali, una situazione dalla quale il paese seppe uscire solo dopo la seconda guerra mondiale.

La strutturazione dell’industria giapponese venne pilotata dal governo, la prima preoccupazione fu che i nuovi industriali non venissero schiacciati dalla concorrenza delle industrie straniere e perciò si cercò di accorpare per quanto possibile le aziende in cartelli. Nacquero così le cosiddette “zaibatsu”, associazioni di imprese che si riunivano intorno allo stesso cartello per essere più competitive. In breve tempo l’economia giapponese finì in mano a poche consociate, fra queste quattro erano particolarmente potenti: la Mitsui, la Mitsubishi, la Sumitomo e la Yasuda. Queste quattro erano le più grandi imprese del paese e riunivano intorno a se decine di aziende, banche e catene di distribuzione. Le zaibatsu collaborarono strettamente con il governo alla programmazione economica, consentendo così di al paese di investire nei settori chiave lungo tutto il corso degli anni ’90 e nei primo decennio del secolo, fu così che già agli inizi del secondo decennio del XX secolo il Giappone era completamente autonomo nella produzione di acciaio, armi e navi.

10. Ascesa dell’impero del sol levante.

Fra i governati dell’era Meiji c’era la certezza che il paese avrebbe potuto liberarsi dei trattati iniqui, ma solo se si fosse dimostrato una potenza imperiale al pari delle nazioni occidentali.

Ben presto quindi i propositi di espansione del Giappone cominciarono a emergere.

Nel 1873 una parte del governo propose di impiegare i samurai disoccupati per una spedizione militare contro la Corea, un impresa del genere tuttavia sarebbe stata dispendiosa e alquanto inutile vista l’impossibilità di conquistare la penisola. L’anno successivo tuttavia venne deciso di inviare un corpo di spedizione sull’isola di Formosa, la causa di questa spedizione fu l’uccisione di alcuni marinai giapponesi delle isole Ryukyo. Questo arcipelago era da tempo conteso fra Cina e Giappone, nel 1874 i giapponesi attaccarono Formosa conquistandola e per calmare i venti di guerra nel Mar Cinese Orientale la Cina decise di pagare al Giappone un’indennità, per quanto successo ai marinai delle isole Ryukyo. L’indennità pagata dai cinesi significava per l’occidente che le isole erano legalmente parte dell’impero giapponese, quindi il Giappone era riuscito a imporsi sulla Cina esattamente come avevano fatto le potenze occidentali. Le isole vennero annesse al paese e nel 1879 costituirono la nuova prefettura di Okinawa, era la prima conquista del Giappone.

Nel 1875 il Giappone firmò con la Russia un trattato per stabilire le reciproche frontiere settentrionali, l’isola di Sakhalin veniva ceduta alla Russia in cambio delle isole Curili che venivano assegnate al Giappone, per la prima volta il sol levante aveva trattato da pari con una grande potenza.

A partire dal 1876 il Giappone cominciò a interessarsi della vicina penisola coreana, usando la minaccia della sua potenza navale (come aveva fatto Perry) costrinse la Corea a firmare trattati commerciali “iniqui”. Da allora gli interessi giapponesi nella penisola crebbero sempre di più, questo però metteva il paese in contrasto con la Cina che considerava la Corea come suo stato tributario. Nel 1885 Cina e Giappone s’accordarono per ritirare le proprie forze militari dal paese, ma nel 1894 entrambi i paesi decisero di rinviare le proprie truppe a causa delle rivolte religiose che scuotevano la Corea., la guerra era ormai inevitabile.

Il conflitto ebbe durata brevissima, cominciato il 1° Agosto del 1894 finì il 17 Aprile dell’anno successivo col trattato di Shimonoseki. Il Giappone inflisse una durissima sconfitta alla Cina grazie alla modernità delle sue forze militari e il trattato che ne scaturì garantiva al Giappone l’acquisizione definitiva di Formosa, delle isole Pescadores e della penisola del Liaotung, inoltre i giapponesi occupavano l’intera penisola coreana sottraendola ai cinesi. Infine la Cina concedeva al Giappone tutti i privilegi commerciali che erano stati accordati alle potenze occidentali.

L’occidente rimase meravigliato dalla facilità con cui il Giappone aveva sconfitto i cinesi, tuttavia decise di infliggere alla giovane potenza una nuova umiliazione. Russia, Francia, Inghilterra e Germania si unirono allo scopo di far cedere ai giapponesi parte dei territori conquistati. Il Liaotung così tornò alla Cina e appena tre anni dopo venne acquisito dai russi, mentre la città portuale di Weihaiwei finì in mani inglesi.

Fu un duro colpo, ma ormai l’occidente aveva capito che il Giappone era necessariamente da considerare una grande potenze e perciò nel 1899 vennero abrogati i trattati sull’extraterritorialità e sul limite imponibile dei dazi, era la definitiva sanzione dell’ascesa del Giappone fra le grandi nazioni moderne.

L’anno successivo le truppe giapponesi si unirono a quelle delle grandi potenze occidentali per punire la Cina. Qui il movimento xenofobo dei boxer stava creando gravi disordini e le nazioni industrializzate con interessi in Cina decisero di inviare truppe per sedare la rivolta. Anche il Giappone inviò truppe occupando Pechino e Tientsin.

La crisi fra le potenze occidentali e il Giappone, che aveva condotto alla perdita di parte delle conquiste fatte ai danni dei cinesi, fece maturare nel governo la convinzione che fosse impossibile lanciarsi in una campagna d’espansione senza scontrarsi con la Russia e senza disporre del supporto di parte dell’occidente. Per rompere il proprio isolamento diplomatico quindi il Giappone firmò nel 1902 un’alleanza con la Gran Bretagna, veniva garantito ai giapponesi che qual’ora si fossero trovati in conflitto con la Russia nessuna potenza occidentale sarebbe intervenuta. Era la prima alleanza militare su un piano di parità fra una potenza occidentale e una nazione orientale.

Nel febbraio 1904 i Giapponesi aprirono le ostilità contro la Russia, la flotta zarista dell’estremo oriente venne paralizzata da un attacco a sorpresa contro Port Arthur, la sua principale base.

La dichiarazione di guerra venne consegnata solo in seguito e questo impedì ai russi di reagire prontamente. La penisola del Liaotung e la Manciuria meridionale vennero conquistate dai giapponesi dopo aspri combattimenti mentre i russi venivano respinti verso il nord e il fiume Amur.

L’imperatore Nicola II decise allora di inviare in estremo oriente la flotta del Baltico, questo avrebbe dovuto annullare il potere navale giapponese e messo fine alla guerra. Tuttavia i giapponesi si aspettavano questa mossa e predisposero per la flotta russa un imboscata nello stretto di Corea; fu così che l’ammiraglio Togo riportò la più grande vittoria militare giapponese mai avvenuta in tempi moderni. I due contendenti si decisero a firmare la pace: il 5 settembre 1905 veniva firmato a Porthsmouth, con la mediazione di Theodore Roosevelt, il trattato con cui la Russia cedeva al Giappone il controllo del Liaotung e della Manciuria meridionale. Ormai il Giappone era una grande potenza a tutti gli effetti.

Nel 1910 veniva annessa la Corea, il Giappone si imbarcò allora in un intenso programma di sviluppo della penisola costruendo scuole, fabbriche, strade, ferrovie e infrastrutture moderne. Tuttavia il dominio giapponese si caratterizzò per la brutalità dello stato di polizia con cui fu imposto. Alla vigilia della prima guerra mondiale ormai l’impero giapponese era nato e con lui era nato l’imperialismo tipico delle grandi potenze, la creazione dell’impero era un fatto.

11. Conclusioni

Il 30 luglio del 1912 moriva l’imperatore Meiji, in realtà il suo nome era Mutsuhito, ma venne cambiato dopo la sua morte in quello che tutti conosciamo perché significa “governo illuminato”. Dopo la caduta dei Tokugawa i nuovi governanti del Giappone s’erano proposti di creare un paese moderno, industrializzato e militarmente forte. Questi obbiettivi sembravano lontanissimi guardando il Giappone pre-Meiji. Ma una politica accorta e nel contempo innovatrice valse a superare tutti gli ostacoli verso la modernità: il Giappone potè così divenire un moderno stato industriale, già a partire dagli anni ’90 del secolo XIX.

Nel contempo maturava l’idea di un paese che aveva bisogno di espandersi, esattamente alla maniera imperiale dell’occidente. Non paghi quindi di aver raggiunto il mondo occidentale sulla via del progresso i giapponesi si lanciarono verso l’imperialismo. Alla vigilia della prima guerra mondiale era ormai un fatto che il Giappone avesse assunto il ruolo di maggiore potenza dell’Asia orientale. Indiscussi quindi sono i due primati che il paese raggiunse: prima potenza industriale e prima potenza imperiale non-occidentale, per questo mi sento di definire il paese del sol levante come: la grande potenza lontana dalle grandi potenze.

A contribuire al successo del Giappone non fu infatti solo la sua voglia di apprendere dall’occidente, ma anche alcuni caratteri tipici del suo popolo come l’etica del lavoro assai avanzata, la fedeltà allo stato e la volontà di far bene più che per se stessi per la propria società.

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