LA RIVOLUZIONE FRANCESE   

  Dagli stati generali all’ascesa di Napoleone Bonaparte

 

La rivoluzione francese è uno di quegli eventi che segnano una svolta nella storia del mondo, solitamente gli storici identificano con questo avvenimento la fine della modernità e l’inizio del mondo contemporaneo; sebbene questa interpretazione possa suscitare critiche rimane comunque un fatto che dopo la rivoluzione il modo di fare politica, come la natura della stessa, rimasero indissolubilmente cambiati rispetto all’epoca dell’ancien régime.

La crisi della monarchia francese nel XVIII secolo

La rivoluzione non fu un fatto repentino, le sue cause e origini risalgono alla lunga crisi che scosse la monarchia francese lungo tutto il corso del ‘700. Dopo la morte di Luigi XIV e la reggenza del duca d’Orleans la monarchia assoluta perse gran parte della forza acquisita durante il regno del re sole, i parlamenti e la nobiltà ripresero parte del potere perduto cominciando a minare di nuovo le basi del potere monarchico privandolo di parte della sua capacità di intervento; la politica francese del XVIII secolo infatti ristagnava ancora nel conflitto tra sovrano e poteri locali, che nelle altre monarchie europee s’era ormai risolto nella vittoria del potere centrale, paradossalmente quindi la politica del paese, che aveva dato origine alle idee più brillanti e innovative del pensiero politico settecentesco, viveva ancora delle forme più antiquate d’Europa

L’obsolescenza delle istituzioni generava la totale incapacità da parte del re di governare, fatto che si manifestava nell’impossibilità da parte del re di risolvere il principale problema del paese: la crisi finanziaria.

Le spese, di Luigi XIV e di suo figlio Luigi XV, per portare avanti la politica di potenza della Francia, il coinvolgimento in tutte le guerre del ‘700 e le sconfitte che erano seguite avevano ridotto allo stremo il debito pubblico francese, urgevano soluzioni, la ricerca delle quali avrebbe aperto la stagione dei contrasti fra popolo, nobiltà e sovrano che sarebbero sfociati nella rivoluzione.

Il re e i ministri per risolvere la crisi proponevano la tassazione della nobiltà e del clero, questi ceti erano esentati dal pagamento delle tasse in quanto si riteneva contribuissero alle necessità dello stato tramite il servizio militare e la preghiera, tuttavia ormai gli eserciti di tutte le nazioni europee (Francia compresa) erano aperti ai borghesi mentre l’illuminismo aveva portato avanti una vivacissima polemica contro il parassitismo del clero, polemica che aveva portato a riforme in tutte la nazioni europee durante la stagione dei “despoti illuminati”.

L’esenzione fiscale costituiva il tratto distintivo dei ceti nobiliari, era quindi il simbolo del privilegio di cui i nobili francesi godevano sul resto della popolazione.

Appena asceso al trono Luigi XVI (succeduto al padre nel 1774) cercò attraverso l’opera del ministro delle finanze Tourgot di introdurre tasse a carico dei privilegiati, ma i tentativi furono sventati dalla durissima opposizione del parlamento di Parigi, il quale vista l’assenza di convocazione degli stati generali sin dal 1614, si era arrogato il diritto di rappresentare l’intera nazione.

Mentre il re metteva in mostra la sua incapacità di governare il dissenso aumentava progressivamente in tutto il regno. Grazie alla diffusione clandestina di opere di opposizione e all’impegno politico degli intellettuali illuministi si andava formando un’opinione pubblica dichiaratamente ostile alla monarchia e ai ceti privilegiati: questa opposizione andava rafforzandosi sempre più grazie alla libera circolazione delle idee nei nuovi luoghi di incontro culturale come i cafè, o attraverso la pubblicazione di riviste e periodici.

Vista l’ostilità del parlamento di Parigi e l’impossibilità di imporre nuove tasse e quindi di risolvere la crisi, Luigi XVI decise nell’estate del 1787 di affidare la ricerca di una soluzione, dell’annosa questione della crisi finanziaria, all’unico organo che costituzionalmente aveva il potere di risolverla: gli stati generali. La decisione fu dovuta in realtà alla pressione esercitata dall’opinione pubblica che attraverso la mobilitazione politica riuscì a costringere il re a tale decisione. La convocazione degli stati generali veniva così fissata per il maggio del 1789.

 

Nobiltà e terzo stato

La Francia del XVIII secolo rappresenta l’emblema della società per ordini dell’ancien règime. Divisa in caste pressoché rigide, ciascuna basata su un diritto civile diverso, si presentava come una struttura rigida in cui i vincoli sociali fermavano qualunque libertà d’ascesa personale.

Vertice di questa società era la nobiltà. I nobili francesi avevano progressivamente visto crescere il loro potere del corso del regno di Luigi XIV, tanto che alla morte del re sole fu proprio questa classe sociale attraverso la reggenza del duca d’Orleans ad assicurare la successione al trono del futuro Luigi XV. La crescita economica del regno nel corso del XVIII secolo, conseguente ad un notevole aumento della produzione agricola, avevano inoltre consentito l’accumulazione di ingenti ricchezze dei nobili che di fatto controllavano la gran parte della proprietà fondiaria del regno. La nobiltà inoltre s’era inserita appieno nelle faccende culturali dell’illuminismo fornendo molti dei più grandi intellettuali del tempo, fra tutti spicca la figura di Montesquieu. Molti intellettuali d’estrazione nobile furono inoltre impegnati nella redazione dell’enciclopedia, tuttavia nonostante il loro impegno culturale gli aristocratici erano mal sopportati dalla gran parte della popolazione, perché visti come sfruttatori e parassiti.

Ad alimentare la polemica contro l’aristocrazia era il cosiddetto “terzo stato”, in pratica l’intera popolazione francese esclusa la nobiltà e il clero. Il terzo stato era una compagine sociale estremamente eterogenea, in quanto comprendeva oltre il 98% dei 25 milioni di abitanti del paese. Al suo interno quindi rientravano sia i contadini legati alle servitù delle gleba che i borghesi delle città, erano proprio questi la parte politicamente più attiva del terzo stato perché stanchi di essere la maggiore forza imprenditoriale del paese senza godere di alcuna rappresentanza politica che permettesse di far valere la propria voce nelle questioni del paese. Tuttavia anche la borghesia urbana costituiva una minoranza in quanto la popolazione era in larga maggioranza residente nelle campagne.

Dagli stati generali all’assemblea costituente nazionale

Nel maggio 1789, come voluto dal sovrano, i rappresentanti degli stati generali si insediarono nell’assemblea. Immediatamente fra i delegati sorsero dispute riguardo il metodo di voto, la nobiltà e il clero proponevano l’espressione di un voto per ciascuno degli ordini, cosa che avrebbe messo in minoranza perenne il terzo stato, al contrario quest’ultimo proponeva che ciascun rappresentate eletto esprimesse un voto, grazie a questo metodo sarebbe stato il terzo stato a prevalere grazie all’enorme superiorità numerica in seno all’assemblea. Fautore di quest’ultima modalità di voto era il cosiddetto “partito nazionale”, espressione della borghesia liberale e illuminista, espressione della parte liberale del paese interessata alla creazione di una monarchia costituzionale su modello di quella britannica.

Nonostante il terzo stato fosse evidentemente quello più danneggiato, fra i tre ordini, dall’immobilismo politico della monarchia, tutti i delegati espressero le perplessità e proposte delle loro circoscrizioni nei cosiddetti cahiers de doléances (i quaderni di lagnanze) che divennero espressione più diretta e immediata dello stato di disagio in cui il paese viveva. Scritti su proposta del re divennero l’emblema della partecipazione politica del paese, attraverso una loro lettura si giunge facilmente alla comprensione di quali fossero le richieste di ciascuno dei tre ordini; nobiltà e clero aspiravano sostanzialmente ad ottenere una maggiore autonomia dalla monarchia, al contrario il terzo stato chiedeva la razionalizzazione dell’apparato amministrativo del paese, maggiore equità e ridistribuzione del peso fiscale e infine la validità del principio meritocratico nelle nomine dei pubblici ufficiali.

Le elezioni dei rappresentanti all’assemblea degli stati generali si svolsero in maniera diversa a seconda degli ordini, nobiltà e clero elessero direttamente i loro mentre il terzo stato passò attraverso un complicato sistema elettorale, che portò all’egemonia degli avvocati (oltre 200 su 574 rappresentanti del terzo stato) e dei commercianti, nelle file del terzo stato vennero eletti anche l’abate Seyes e il conte di Mirabeau, appartenenti agli altri ordini ma eletti perché favorevoli al processo di riforma voluto dal terzo stato. Lo schieramento del clero grazie alla nutrita presenza di abati e chierici di livello inferiore era fondamentalmente favorevole alle riforme, al contrario i nobili erano il partito dichiaratamente più ostile ai cambiamenti, sebbene circa un terzo fra di essi fra cui il marchese di La Favette, eroe della rivoluzione americana, fosse di idee prettamente liberarli. Al 5 maggio, giorno dell’insediamento dell’assemblea, lo schieramento riformista era molto più forte di quello conservatore, tuttavia a causa del voto per ordini non era in grado di far valere la sua forza, cosa che porto i deputati del terzo stato a separarsi dal resto dell’assemblea e a riunirsi in una propria, che chiamarono assemblea nazionale, nella sala della pallacorda. Qui prestarono giuramento di non andarsene fino a quando non avrebbero dato alla Francia una nuova costituzione, ben presto vennero seguiti dalla gran parte del clero. Il re infine costretto all’empasse accettò di permettere le votazioni per testa (un voto per ogni rappresentante) e costrinse i nobili (che s’erano rifiutati di unirsi all’assemblea nazionale) ad unirsi agli altri due ordini, dando così vita all’assemblea nazionale costituente.

Mentre i deputati del terzo stato riportavano la loro prima grande vittoria politica, la situazione a Parigi diveniva sempre più tesa. La città viveva in una condizione di estrema precarietà economica, il pessimo raccolto del 1788 aveva fatto lievitare i prezzi dei generi alimentari, il potere d’acquisto per gli altri beni s’era quindi ridotto per larga parte della popolazione causando un notevole aumento della disoccupazione fra gli artigiani, rimasti in gran numero disoccupati. Ben presto il popolo cominciò a sentirsi minacciato dai movimenti di truppe ordinati da Luigi XVI, i borghesi costituirono una milizia armata (nucleo della futura guardia nazionale), mentre la tensione restava altissima.

Il 14 Luglio 1789 la folla alla ricerca di armi circondò la bastiglia, la fortezza-carcere simbolo del potere regio a Parigi, chiedendo la consegna della stessa e delle armi. Il governatore della cittadella rispose facendo fuoco sulla folla, uccidendo un centinaio di persone, tuttavia senza riuscire a disperderla; decise allora di consegnare la fortezza agli insorti, ciò non impedì che alcuni militari, fra cui lo stesso governatore venissero trucidati. Mentre a Parigi il simbolo del potere sovrano a Parigi veniva conquistato dagli insorti, nelle campagne scoppiava una violenta rivolta antifeudale. La paura di complotti dei nobili e dei briganti, unita alle confuse notizie provenienti da Parigi, spinse i contadini a sollevarsi mettendo al sacco i castelli dei nobili e distruggendo tutti i documenti testimonianza dei legami di servitù. Il 4 Agosto l’assemblea nazionale decise l’abolizione dei vincoli feudali, dichiarando sciolti da ogni vincolo di prestazioni d’opera i contadini e permettendo loro l’acquisto delle terre coltivate premio pagamento di un indennizzo al nobile che le possedeva.

I due pilastri dell’anciene règime erano crollati, il potere dei nobili s’era sfaldato così come quello del re sulla città di Parigi.

Nello stesso mese, il giorno 26, l’assemblea approvava la “dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino”, ispirata ai principi dell’illuminismo, concedeva la libertà di culto e d’espressione, assieme a quella di stampa, mentre veniva espresso il diritto di eguaglianza di tutti i cittadini (demolendo un altro pilastro della società classista dell’anciene règime) e di tutti gli uomini,

Nonostante i fatti di Luglio e Agosto avessero demolito la vecchia società francese la tensione rimaneva altissima. Il 6 ottobre un corteo di donne parigine raggiunse Versailles chiedendo il trasferimento della corte a Parigi, poco dopo giunse sul posto anche la guardia nazionale comandata dal generale La Favette, il giorno dopo cedendo alle pressioni della folla il re accettò di trasferirsi alle Tuilleries (la vecchia reggia dei re di Francia) ponendosi di fatto sotto il controllo della guardia nazionale e del popolo parigino. Quest’ultimo era venuto alla ribalta dopo la presa della bastiglia divenendo il braccio violento della rivoluzione, composto in larga maggioranza da salariati, artigiani e piccoli commercianti, altamente alfabetizzato, costituiva il nerbo dell’opinione pubblica francese e divenne poco a poco il banco di prova di tutti i regimi che si susseguirono nella rivoluzione. Il 1789 si concluse alla volta di altri provvedimenti liberali, il più importante dei quali fu la requisizione dei beni ecclesiastici, i quali assieme alla vendita dei beni nazionali verranno usati per finanziare l’emissione dei nuovi titoli di stato, gli assegnati, destinati a traghettare fuori dalla crisi finanziaria la Francia. La vendita dei beni nazionali ridisegnò la proprietà fondiaria in tutto il regno, contadini liberi nelle regioni agricole e i borghesi in prossimità delle città divennero i nuovi proprietari della terra, causando un radicale cambiamento nell’economia del paese.

Infine in dicembre venivano concessi pieni diritti civili a protestanti ed ebrei, mentre l’assemblea costituente aveva ormai scritto la nuova costituzione del paese e designato i criteri di partecipazione politica dei cittadini.

 

 

 

 

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La monarchia costituzionale

Lo scenario politico

L’attribuzione dei diritti politici nel dicembre del 1789 distinse i cittadini in attivi e passivi, basandosi sulla distinzione di censo, soltanto coloro che pagavano un importo pari a tre giornate di lavoro l’anno di tasse potevano entrare nel corpo elettorale che risultò composto da 4 milioni di persone, mentre per essere eletti era necessaria una qualunque proprietà fondiaria e una rendita minima di 52 lire l’anno. Di fatto si trattava di un sistema censitario che riservava alla grande borghesia la rappresentanza politica nel paese, relegando alla condizione di cittadini passivi, escludendoli dalla vita politica, gran parte dei ceti urbani più poveri.

La nascita del nuovo regime costituzionale portò ben presto alla formazione di partiti e fazioni politiche destinate ad agire al suo interno.

Moderati e favorevoli alla monarchia costituzionale erano i membri della Federazione, guidati dal generale La Fayette, che il 14 Luglio del 1790 diedero luogo ad una enorme manifestazione pubblica chiamata “la festa della federazione” nella quale oltre 300.000 persone prestarono giuramento di fedeltà alla legge, alla costituzione e al re.

Nonostante l’ampio consenso dei federati vi erano molte altre fazioni politiche nella Francia del tempo, fra le fazioni radicali si annoveravano i membri della “società degli amici dei diritti dell’uomo e del cittadino”, detta anche dei cordiglieri, alla quale aderivano alcuni dei più importanti esponenti del movimento rivoluzionario come Camille Desmoulises, Georges Danton e Jean-Paul Marat.

Il partito tuttavia meglio organizzato era quello dei Giacobini, organizzato secondo i criteri dei partiti moderni, ramificato in ogni regione del territorio nazionale prefigurava come modello i partiti politici moderni con la loro capacità di mobilitare la massa. Maggiore esponente del partito era Maximilien Robespierre, una delle figure più emblematiche della rivoluzione.

Lo scenario politico era reso anche molto più vivace dalla libertà di stampa e di opinione concessa dalla dichiarazione dei diritti, cafè e riviste divennero centri attivi del dibattito politico, alimentando la vivacità e la partecipazione popolare al cambiamento che il paese viveva.

Mentre i filo-rivoluzionari si organizzavano in associazioni di tipo politico il sovrano diveniva sempre più impotente, Luigi XVI a causa della sua debole personalità non poteva trovare una soluzione che mettesse fine al progressivo disfacimento del potere monarchico, magari elaborando un progetto costituzionale che rendesse il sistema politico francese simile a quello inglese, invece il re si legò sempre di più al “partito” della regina Maria Antonietta, composto esclusivamente da nobili che emigravano all’estero in attesa di un rovesciamento del regime rivoluzionario, magari reso possibile dall’intervento delle potenze straniere.

I provvedimenti dell’assemblea nazionale, la nuova costituzione e la fuga del re.

Fra i provvedimenti presi nel 1790 dall’assemblea nazionale fu la scrittura della “Costituzione civile del clero”, con questo provvedimento i membri del clero divenivano di fatto pubblici ufficiali sottoposti al controllo e salariati dallo stato, inoltre veniva chiesto a tutti i prelati di giurare fedeltà alla nazione, al re e alla costituzione. Inoltre veniva attribuito alle assemblee locali, togliendolo di fatto alla santa sede e al re, il compito di gestire le nomine dei parroci e dei vescovi.

Il provvedimento naturalmente incontrò l’ostilità del clero e fu condannata da papa Pio VI, solo 7 dei 130 vescovi di Francia prestarono il giuramento voluto dalla costituzione, mentre il consenso fra i prelati di grado inferiore fu molto più ampio arrivando a una percentuale di circa il 50%. La chiesa francese s’era di conseguenza spaccata fra coloro che accettavano la costituzione, definiti “clero costituzionale”, mentre coloro che rifiutavano la costituzione vennero definiti “clero refrattario”, di fatto si trattava di un vero e proprio scisma.

Sempre nel 1790 venne intrapresa una profonda riforma di riassetto dell’amministrazione statale, rovesciando il centralismo tipico dell’anciene règime l’assemblea iniziò un percorso destinato a concedere notevole autonomia alle amministrazioni locali. L’intero territorio nazionale venne allora diviso in 83 dipartimenti, i dipartimenti a loro volta vennero divisi in circondari, allo scopo di permettere alla popolazione di recarsi nei centri amministrativi entro la giornata, infine la città di Parigi veniva divisa in 48 sezioni che corrispondevano ad altrettante sezioni elettorali.

Con la legge Le Chappelier infine l’assemblea faceva emergere la sua anima più liberale impedendo il diritto di sciopero e la costituzione di qualunque tipo di corporazione, di fatto questi provvedimenti erano destinati a liberalizzare il mercato del lavoro, espressione più evidente dell’animo borghese dell’assemblea costituente.

Il 3 settembre 1791 l’assemblea ratifico la costituzione, elaborata sulla teoria della separazione dei poteri la nuova costituzione era destinata a rimpiazzare il vecchio regime assolutistico. Il potere legislativo era affidato al parlamento, denominato assemblea legislativa, nominato ogni due anni sulla base censitaria elaborata in precedenza. Al re spettava la nomina dei ministri, responsabili solo di fronte a lui del loro operato, i ministri inoltre non potevano essere membri dell’assemblea legislativa; il re inoltre aveva diritto di veto sospensivo sulle leggi emesse dal parlamento, il quale era costretto a riapprovarle per altre due volte nel caso il sovrano avesse usato tale provvedimento. Infine le carica di giudice diventava elettiva.

Il sistema qui elaborato era destinato a creare un compromesso stabile fra la borghesia moderata e la monarchia, dando alla Francia un regime monarchico costituzionale, il tentativo tuttavia sarà reso vano dal tentativo di fuga del re in Belgio fra il 20 e 21 giugno 1791, scoperto e ricondotto sottoscorta a Parigi il sovrano perse ogni appoggio e credibilità, minando di conseguenza anche la nuova costituzione, gettando nel caos politico il paese.

 

 

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1792: L’anno della svolta

L’assemblea legislativa, la guerra all’Austria e la destituzione del sovrano.

La fuga del re aveva minato le basi della monarchia costituzionale e portato nei radicali, cordiglieri e giacobini, la speranza che fosse possibile rimpiazzare la monarchia con un regime repubblicano e democratico. Il 30 settembre 1791 l’assemblea nazionale costituente si sciolse e il 1 ottobre si riunì il nuovo parlamento, l’assemblea legislativa, eletto secondo i parametri della costituzione redatta dall’assemblea nazionale.

L’assemblea risultò composta da 250 deputati moderati, detti foglianti, 350 costituzionali, fautori della costituzione appena redatta e 136 giacobini, la parte più radicale dello schieramento politico del tempo: fra questi ultimi la parte più attiva era rappresentata dallo schieramento dei girondini, che prendevano il nome dalla regione di loro provenienza, la Gironda (i dintorni di Bordeaux).

Fu sotto la pressione dei girondini che il 20 Aprile 1792 la Francia dichiarò guerra all’Austria, i deputati erano convinti che una vittoria militare avrebbe saldato gli animi della nazione attorno al parlamento e alla rivoluzione. Inoltre si sperava che la guerra avrebbe “esportato la rivoluzione” nelle altre nazioni d’Europa, mettendo fine alle speranze nobiliari di un intervento straniero in Francia.

Il duca di Brunswick, comandante dell’esercito austriaco, diffuse allora un manifesto nel quale affermava che se vi fosse stato oltraggio nei confronti del re sarebbe scaturita una vendetta esemplare. La reazione del popolo parigino (detto spregiativamente dei sanculotti) fu una sollevazione allo scopo di ottenere la deposizione del sovrano. Da tempo negli animi dei parigini si faceva largo l’idea che il re complottasse con le potenze straniere per rovesciare la rivoluzione e il manifesto del duca diede ai parigini conferma dei loro timori, causandone la ribellione.

Il 3 agosto, 47 sezioni elettorali sulle 48 della capitale chiesero la destituzione del re.

Il 9 a mezzanotte la campana a martello chiamò il popolo alle armi e la mattina successiva sanculotti e federati si radunarono davanti alle Tuileries. La folla diede allora l’assalto al palazzo, non più difeso dalla guardia nazionale, venendo respinta dalla difesa di mercenari svizzeri e dei nobili. Il re tuttavia per evitare ulteriori spargimenti di sangue decise di consegnarsi ai rivoltosi, i quali avendo lasciato quasi quattrocento morti sul campo si vendicarono sui mercenari svizzeri massacrandoli. L’assemblea legislativa a causa dei fatti delle Tuileries fu costretta a sospendere il sovrano dalle sue funzioni e a decidere nuove elezioni a suffragio universale: di fatto era il trionfo del popolo sulla rivoluzione e costituzione volute dai borghesi.

La repubblica e la guerra contro le altre potenze europee

L’assemblea eletta a suffragio universale, che prese il nome di convenzione nazionale, venne eletta nel settembre del 1792 e tenne di fatto il potere fino al novembre del 1795.

Durante questo arco di tempo il governo della repubblica fu esercitato solo da organi straordinari, come il comune insurrezionale di Parigi. Fu proprio il comune ad avere un ruolo politico chiave, infatti teneva prigioniero Luigi XVI e organizzò un’armata di volontari per respingere i prussiani che si avvicinavano alla capitale.

Mentre le istituzioni di fatto non riuscivano ad arginare la violenza che dilagava nel paese il popolo si macchiava di atti di efferata violenza, la quale era motivata dalla paura di complotti nobiliari con le potenze straniere per mettere fine alla rivoluzione. Fu proprio il diffondersi della notizia di un complotto, che avrebbe avuto origine nelle carceri, a causare fra il 2 e il 6 settembre del 1792 l’assalto di queste da parte del popolo. Nel giro di quattro giorni oltre un migliaio di prigionieri persero la vita, la gran parte di questi era in galera per reati comuni e quindi estranei ad eventuali cospirazioni. I massacri di settembre vennero subiti passivamente dalle istituzioni, che non erano in grado di fermarli. Ascese così sulla scena una nuova realtà politica, imprevedibile e incontrollabile: erano il radicalismo dei sanculotti.

La stessa violenza e l’entusiasmo per la rivoluzione stavano alla base del successo che il 20 settembre 1792 i francesi colsero contro l’esercito prussiano a Valmy, la vittoria infervorò gli animi dei rivoluzionari che credettero fosse possibile battere l’anciene règime anche sul campo di battaglia oltre che in politica. La vittoria ebbe grandissima risonanza, tanto che il giorno successivo la convenzione nazionale dichiarò abolita la monarchia e proclamò la repubblica.

Le elezioni che portarono alla formazione del nuovo parlamento diedero un risultato schiacciante alle componenti più estremiste della rivoluzione, ciò era dovuto alla partecipazione minima degli elettori, voto solo 1 milione di sui 7 che ne avevano diritto, di quel milione gran parte erano parigini e quindi legati al movimento dei sanculotti e alla frangia più violenta della rivoluzione. Il risultato fu che l’assemblea venne di fatto egemonizzata dai girondini, ai quali si contrapponevano i deputati della montagna (i montagnardi) che sedevano in alto a sinistra (nasceva così la definizione di destra e sinistra, i montagnardi sedevano infatti alla sinistra del presidente dell’assemblea, mentre i girondini alla sua destra), infine al centro c’erano i moderati detti pianura o spregiativamente palude.

La lotta fra girondini e montagnardi segnò la politica francese dall’insediamento nel settembre ’92 fino al giugno del ’93, divennero terreno di scontro i principali temi politici del momento, fra i quali il ruolo da attribuire al comune di Parigi e ai sanculotti. Ma a segnare il parlamento fu soprattutto il processo contro Luigi XVI, i girondini erano favorevoli a una ratifica popolare della condanna a morte del sovrano, tuttavia le loro proposte vennero respinte, mentre con una maggioranza di 384 voti su 334 il sovrano venne condannato alla ghigliottina il 20 gennaio del 1793, l’esecuzione avvenne il giorno dopo. Il 21 gennaio 1793 il re, emblema per eccellenza della monarchia francese, moriva al patibolo come un cittadino qualunque: con Luigi XVI morivano centinaia d’anni di storia della Francia.

La decapitazione dell’ex sovrano ebbe come conseguenza l’aumento dell’ostilità delle potenze europee, gli austriaci furono battuti a Jemappes nel novembre del ’92 e la convenzione dichiarò che la Francia avrebbe esportato i principi rivoluzionari in tutta Europa. La sconfitta di Jemappes permise alle truppe francesi di conquistare interamente il Belgio.

La caduta di Anversa allarmò Inglesi e Olandesi che ora vedevano minacciati i loro traffici commerciali, per tutta risposta il 1 febbraio del 1793 la convenzione dichiarò guerra all’Inghilterra e all’Olanda e una settimana dopo anche alla Spagna. Di fatto la Francia era in guerra con l’intero continente europeo ad eccezione della Svizzera, della Russia e dei paesi Scandinavi.

L’esercito francese riuscì in breve tempo ad avanzare fino al Reno in Germania, mentre in Italia venivano conquistate Nizza e la Savoia. La renania, il Belgio e i territori italiani vennero annessi alla repubblica francese grazie anche all’operato politico di Brissot e Danton che dichiararono questi territori “frontiere naturali” della Francia.

Tuttavia la Francia si trovò immediatamente in grandi difficoltà a causa dell’offensive nemiche che neanche una leva di 300.000 uomini furono in grado di arginare. In marzo il generale Dumouriez, il vincitore di Valmy e Jemappes, venne sconfitto a Neervinden. Sospettato di tradimento cercò di marciare su Parigi ma fallì e decise di disertare, il fatto fu un duro colpo per i girondini ai quali il generale era legato.

Mentre le potenze straniere battevano i francesi in Belgio esplodeva una grande rivolta contadina nella regione della Vandea. La rivolta testimoniava la sostanziale estraneità e opposizione di gran parte della Francia contadina ai fatti della rivoluzione, vissuta come dominio politico ed economico della borghesia. La Vandea divenne il fulcro della resistenza cattolica e monarchica alla rivoluzione, riuscendo a sconfiggere praticamente ogni spedizione inviata a sedarla. Infine anche Parigi venne scossa da tumulti legati al prezzo delle derrate alimentari che continuava a salire, i sanculotti scesero nuovamente in piazza chiedendo un calmiere dei prezzi e l’aumento di tasse per i ceti più abbienti.

La situazione era gravissimi e perciò si verificarono dei radicali cambiamenti in seno alla convenzione nazionale, la palude trovò un accordo con i montagnardi e la nuova maggioranza della convenzione adotto una serie di provvedimenti straordinari. Venne istituito un tribunale rivoluzionario contro i sospetti controrivoluzionari e comitati di vigilanza rivoluzionaria, venivano confiscate le proprietà dei nobili emigrati all’estero. Infine per assecondare le richieste della piazza venivano fissati dei maximum dipartimentali sul prezzo della farina e dei cereali.

Veniva istituito anche il comitato di salute pubblica (del quale facevano parte anche Danton e Barère) allo scopo di vigilare sulla salvaguardia delle istituzioni, i suoi membri erano scelti dalla convenzione e rinnovabili ogni mese.

I deputati girondini videro tutto questo come una evidente cessione alle richieste dei sanculotti e temevano l’inizio di una dittatura popolare, per tutta risposta decisero quindi di accordarsi coi moderati di tutto il paese per mettere fine allo strapotere della piazza di Parigi. Alla fine di maggio i girondini e i realisti avevano acquisito il controllo di Lione e Marsiglia. La reazione dei sanculotti non si fece attendere, il 2 giugno la guardia nazionale (composta ormai in larga parte da popolani) obbligò la convenzione a decretare l’arresto di 29 deputati e 2 ministri girondini: era la fine dell’egemonia girondina nell’assemblea costituente e l’inizio del potere dei giacobini.

La dittatura giacobina e il terrore

I giacobini sotto la guida del loro leader Robespierre assunsero di fatto il controllo della repubblica. Robespierre si fece mediatore della temporanea convergenza di interessi fra la borghesia e il popolo, avvocato di Arras e ispirato alle idee di Rosseau basava il suo pensiero sulla logica della contrapposizione fra idee semplici (bene e male, povertà e ricchezza, patrioti e controrivoluzionari), era altresì intransigente e fautore delle virtù tanto che fu definito come “l’incorruttibile”.

Mentre i giacobini sotto la guida di Robespierre assumevano il controllo dello stato i girondini perdevano completamente la loro influenza. Di fatti questi non riuscivano a trovare nessun punto di incontro con il popolo alienandosene, paradossalmente proprio loro che avevano trovato in esso la forza per respingere le invasioni straniere non riuscirono a controllarlo nella politica interna.

Il governo della Francia divenne allora esclusivo appannaggio di due minoranze che controllavano la politica del paese: i sanculotti e i giacobini. L’ideologia politica di questi ultimi auspicava un paese composto da artigiani, contadini e piccoli produttori, effettivamente questa idea rientrava nello schema di una economia preindustriale come era quella francese a quel tempo. Ritenendo la democrazia in pericolo i giacobini usarono due nuovi strumenti per controllare la situazione: il terrore e il governo rivoluzionario.

Nell’agosto del 1793 venne votata una nuova costituzione che concedeva il suffragio universale maschile, assieme venivano concessi il diritto al lavoro, all’assistenza e soprattutto il diritto di insorgere nel caso il governo avesse violato i diritti dei cittadini. Sebbene la nuova costituzione promettesse maggiore democraticità rispetto alla precedente del 1791 essa non entrò mai in vigore. Infatti a detenere il potere furono organi straordinari come il comitato di salute pubblica nel quale dal luglio 1793 fu guidato da Robespierre senza interruzione per un anno. Il comitato il 10 ottobre proclamò che il governo della repubblica era “rivoluzionario fino alla pace”, di conseguenza venivano sospese di fatto molte libertà dei cittadini e instaurata la dittatura in nome del popolo e della libertà.

La reazione degli oppositori politici dei giacobini non si fece attendere, nello stesso periodo in cui essi assumevano il potere molte altre aree del paese erano scosse dall’insurrezione “federalista”, tuttavia grazie all’operato del comitato di salute pubblica fu rapidamente repressa e anche la rivolta della Vandea parve aver fine. Sul fronte della guerra contro le altre potenze europee la situazione richiese lo provvedimento straordinario della leva in massa che condusse a nuove vittorie contro i nemici della Francia.

Mentre gli eserciti francesi vincevano sui campi di battaglia europea i giacobini intraprendevano una serie di misure destinate a ridisegnare l’assetto sociale del paese. Vennero introdotti un maximum sui salari e prezzi destinato a ridurre le spinte inflazionistiche e anche un maximum sul prezzo dei cereali in modo da garantire al popolo parigino gli approvvigionamenti di grano. Il comitato di salute pubblica diede inoltre inizio immediato a una politica repressiva, aveva così inizio il “terrore”. Il terrore fu uno stato di mobilitazione perenne contro i nemici della rivoluzione, chiunque fosse sospettato di cospirare contro di essa venne arrestato, cosa che portò fra le 300.000 e le 500.000 persone in carcere, vennero inoltre giustiziati durante questo periodo l’ex regina Maria Antonietta e i capi del movimento girondino.

Il comitato di salute pubblica intraprese una profonda opera di scristianizzazione della società, vennero abolite le feste religiose e il calendario gregoriano venne rimpiazzato da uno rivoluzionario. Ben presto si diffuse il culto della dea ragione, il quale tuttavia venne scoraggiato da Robespierre il quale riteneva che la massa sarebbe diventata incontrollabile senza la coercizione religiosa e perciò decise l’imposizione del culto dell’essere supremo, ispirato alle tesi deiste.

Nel 1795 il comitato di salute pubblica decise anche di introdurre il sistema metrico decimale.

Tuttavia ben presto la repressione politica assunse dimensioni spaventose, tanto che alcuni dei più eminenti rivoluzionari francesi come Georges Danton e Camille Desmoulines vennero giustiziati.

Nonostante la vittoria riportata sugli austriaci a Fleurus, che di fatto annullava ogni ragione per proseguire la repressione di stato messa in atto dai giacobini, le persecuzioni e gli arresti continuarono fino a suscitare l’aperta ostilità dei membri moderati del comitato di salute pubblica. Il giorno 9 termidoro (27 Luglio 1794) Robespierre e San Just, Couthon e altri 19 membri appartenenti ai giacobini furono arrestati e messi al patibolo senza processo. Il giorno dopo invece i restanti robespierristi in seno alla convenzione nazionale vennero arrestati e giustiziati altresì senza processo.

Continuità rivoluzionaria e tentativi di stabilizzazione

Il direttorio, i realisti e le razioni dei giacobini

La fine del regime creato da giacobini e sanculotti mise ben presto in discussione molti dei provvedimenti da loro presi, innanzitutto la gran parte dei detenuti arrestati durante il terrore venne immediatamente liberata e anche il maximum dei salari e prezzi venne revocato.

Mentre accadeva questo in tutto il paese ad opera della gioventù dorata, i giovani nobili e i figli dei grandi borghesi, si verificava una durissima reazione contro i giacobini. I giovani ricchi attraverso violenze, arresti illegali, omicidi e azioni contro le sedi del partito ne annientarono la struttura organizzativa e ne decapitarono il gruppo dirigente.

Nel sud si verificarono altresì durissimi episodi di violenza contro giacobini e preti costituzionali, autori di questi massacri erano però i realisti, questi fatti presero il nome di terrore bianco proprio dalla bandiera borbonica che gli autori impugnavano in azione.

Nonostante tutto il nuovo governo moderato riuscì a ottenere trattati di pace con la Prussia e l’Olanda, anche se la guerra contro l’Inghilterra e l’Austria proseguiva ininterrottamente.

Venne ben presto redatta una nuova costituzione, detta Costituzione dell’anno III, che rovesciava i principi del suffragio universale e dell’uguaglianza elaborati fra il 1792 e il ’93 dai giacobini. Secondo il nuovo sistema costituzionale era il censo a concedere al cittadino la capacità di votare e di essere eletto. Si tornava insomma al modello politico della costituzione del ’91 in cui il controllo e le funzioni del potere erano affidate a una ristretta classe dirigente eletta su basi censitarie.

Il potere esecutivo veniva affidato a un nuovo organo, detto direttorio, che aveva anche la facoltà di nominare i ministri, di fatto fu questo organo a controllare il paese fino all’instaurazione del consolato.

La caduta dei girondini e il nuovo governo avevano indotto molti dissidenti realisti a credere che il governo rivoluzionario fosse sostanzialmente molto debole. Il 13 vendemmiaio (5 ottobre) 1795 scoppiò così una rivolta realista nella capitale che vide per la prima volta affermarsi il generale Napoleone Bonaparte il quale grazie all’efficiente comando del suo reggimento d’artiglieria disperse la folla di rivoltosi a colpi di mitraglia.

Tuttavia il regime creato dal direttorio si presentava sempre più debole a causa della mancanza di consenso fra le masse, i membri del governo decisero allora di permettere la rinascita di gruppi giacobini allo scopo di potersi appoggiare loro per ottenere consensi, spesso però il direttorio cercò anche l’approvazione dei gruppi dirigenti monarchici, ben presto questo tipo di politica fece emergere il dissenso dei gruppi più radicali che insorsero.

Fra questi vi erano quelli legati a Francois Noel Babeuf, un intellettuale che predicava l’abolizione della proprietà della terra e la comunità dei beni, un simile dissenso era inaccettabile per un regime censitario fondato sull’esclusività del suo ceto dirigente rispetto alla massa.

Babeuf si mise a capo di una congiura destinata a abbattere il direttorio, ma nel maggio del 1796 il suo tentativo di colpo di stato fu sventato e molti intellettuali legati alla sua figura ne fecero le spese, fra questi vi era Filippo Buonarroti il primo fondatore di movimenti rivoluzionari nella nostra penisola.

A riuscire in un colpo di stato fu invece il direttorio che il 18 fruttidoro (settembre 1797) con l’aiuto dell’esercito mise fine all’azione del parlamento e annullò i risultati elettorali delle ultime consultazioni. Il direttorio assunse il controllo diretto dello stato, eliminando gli organi camerali e

L’espansione francese e Napoleone Bonaparte.

Dopo il colpo di stato del 18 fruttidoro la principale preoccupazione dei membri del direttorio fu quella di riuscire a mettere fine alla guerra contro l’Austria cominciata nel 1792. Il continuo stato di guerra infatti richiedeva sforzi enormi sia in termini finanziari sia nell’arruolamento delle truppe, cosa che danneggiava non poco l’economia francese vista la scarsità di denaro nelle casse dello stato e di lavoratori nelle campagne. Inoltre il direttorio era fermamente convinto che la Francia dovesse estendersi fino a quelli che Georges d’Anton aveva definito i suoi “confini naturali”: il Reno in Germania, Nizza e la Savoia in Italia. A questo vecchio sogno di espansione rivoluzionaria si aggiunse l’idea che fosse utile per la Francia creare una serie stati cuscinetto in Germania e in Italia allo scopo di estendervi la propria influenza, sottraendo così quelle due regioni all’egemonia austriaca per portarle nell’orbita francese.

Per far ciò il direttorio aveva bisogno di annientare le forze militari austriache in Germania e in Italia. Il comando dell’armata del Reno, destinata da affrontare gli austriaci in Baden e Baviera, venne affidato al generale Moreau mentre quella destinata a operare nella penisola al quasi sconosciuto generale Napoleone Bonaparte.

Napoleone, futuro imperatore dei francesi, era nato nel 1763 in Corsica da una famiglia della piccola nobiltà dell’isola. Formatosi come ufficiale nella scuola militare di Brienne si specializzo come tenente d’artiglieria grazie alle sue notevoli capacità matematiche.

Negli anni del rovesciamento del regime monarchico, fra il 1791 e il 1793, tornato in Corsica venne coinvolto nelle faccende politiche dell’isola schierandosi contro l’indipendentista Pasquale Paoli. Nel 1793 fu impegnato nel primo fatto d’arme di rilievo della sua vita: l’assedio di Tolone, fu grazie al magistrale uso della sua artiglieria che la città fu strappata agli inglesi.

Rientrato a Parigi strinse una relazione con Giuseppina de Beauharnais, vedova del visconte omonimo e amante del membro del direttorio Barras. Forse fu proprio grazie all’amicizia di Barras, conquistata anche grazie al risolutivo intervento di Napoleone nella rivolta realista 5 ottobre del ’95, che il giovane generale aveva contribuito a schiacciare.

L’armata d’Italia quando Napoleone ne assunse il comando era in uno stato disastroso, malamente equipaggiata e demoralizzata fu in breve tempo trasformata nel più efficiente corpo militare francese. Con le sue truppe il generale discese in Italia dove fra l’Aprile e il Maggio del ’96 riuscì a schiacciare i piemontesi e gli austriaci in una serie di battaglie nel Piemonte meridionale per poi entrare vittorioso a Milano il 15 maggio. Sconfitti nuovamente gli austriaci ad Arcole e a Rivoli veronese varcò le alpi minacciando Vienna. Gli asburgo a questo punto chiesero la pace, che fu firmata in forma preliminare a Leohen nell’aprile del ’97.

Il trattato definitivo, quello di Campoformio, fu invece firmato nell’ottobre dello stesso anno, la carta d’Italia ne risultava sconvolta. I francesi guadagnavano definitivamente Nizza e la Savoia in Italia mentre in Germania il Belgio e la Renania divenivano possedimenti francesi. L’Austria otteneva la repubblica di Venezia e la Dalmazia mentre le isole ionie e Corfù divenivano francesi.

Il riassetto dell’Italia dopo la campagna di Napoleone.

Fin dalla primavera del 1796 Napoleone iniziò a modificare l’assetto politico della penisola italiana.

Dopo la conquista di Milano i territori sottratti all’Austria e al papato vennero organizzati in due stati: la Lombardia formò la repubblica Cisalpina mentre Emilia e Romagna divenivano la repubblica Cispadana, infine la Liguria sottratta al Piemonte diveniva repubblica Ligure.

Nel 1798 i francesi intervennero a Roma dove trassero in arresto il pontefice e proclamarono la repubblica romana comprendente i territori dell’ex stato della chiesa. L’anno successivo al formarsi della II coalizione contro la Francia anche il regno di Napoli si trovò in guerra contro di essa. Dopo aver tentato inutilmente di sottrarre Roma ai francesi, i napoletani vennero sconfitti dal generale Championet che marciato sulla capitale vi instaurò un regime repubblicano filo-francese: cominciava la repubblica partenopea.

Le repubbliche giacobine, questo il nome che indicava gli stati italiani formatisi dopo l’arrivo dei francesi nel ’96, erano di fatto stati fantoccio della Francia creati come strumenti di controllo sull’Italia. Nonostante questo molti patrioti italiani aderirono con fervore alle attività di riforma che i  francesi realizzarono nella penisola. Tuttavia il governo di questi stati non guadagnò mai l’appoggio delle classi contadine che divennero sempre più ostili ai francesi e ai loro amici. Emblematico è l’esempio di Napoli, dopo la rivoluzione del gennaio ’99 che ispirata dai francesi aveva portato all’instaurazione di una repubblica democratica guidata da borghesi illuminati. La repubblica non divenne mai popolare fra i contadini e i poveri che poco a poco cominciarono a schierarsi contro di essa intorno alla figura del cardinale Ruffo, il quale raccolse un’armata, detta armata della santa fede che presto usò per riportare i borboni sul trono di Napoli. Nel giugno del 1799 i Sanfedisti marciarono sulla città e misero fine al regime repubblicano, la reazione dei legittimi sovrani fu durissima, moltissimi esponenti della repubblica fra cui l’intellettuale nobile di origine spagnola Eleonora Pimenter Fonseca furono messi a morte.

La campagna d’Egitto e il colpo di stato del 18 brumaio.

Nella primavera del 1798 fu concesso a Bonaparte di partire alla volta dell’Egitto allo scopo di recidere una delle vene del commercio inglese. In realtà i motivi che spinsero il direttorio ad accettare questa nuova campagna furono ben diversi da quelli auspicati dal generale: il direttorio sperava che Napoleone venisse sconfitto liberandolo così dal problema della sua crescente popolarità. Le navi, una sterminata flotta di oltre 500 navi fra cui molti vascelli di linea, salpò alla volta dell’Egitto a maggio. Nel corso della traversata i francesi occuparono Malta per poi giungere in Egitto il 1 Luglio. Lo sbarco fu seguito nella baia di Abukir, dove la flotta rimase per ordine di Napoleone, da lì i francesi si mossero alla volta di Alessandria che fu conquistata senza perdite.

La vittoria poteva solo essere conseguita solo battendo l’esercito dei mammalucchi. Il 21 Luglio nella battaglia delle piramidi i quadrati francesi sconfissero la cavalleria mammelucca e liberarono la via del Cairo a Napoleone. Il 1 Agosto tuttavia la flotta francese veniva annientata nella baia di Abukir dalla squadra navale dell’ammiraglio Horatio Nelson cosa che causò in Francia l’idea che Napoleone fosse di fatto tagliato fuori da ogni comunicazione con la madre patria e sconfitto.

Frattanto in Europa s’era formata una nuova coalizione contro la Francia. Austria, Russia e Inghilterra combattevano unite per distruggere la rivoluzione, ben presto le truppe austro-russe riuscirono a riprendere il controllo dell’Italia settentrionale ai francesi mentre un corpo di spedizione russo attraversava la Germania. Le difficoltà fecero emergere ben presto il dissenso in seno al parlamento che attaccò duramente la conduzione della guerra ad opera del direttorio causando una rottura politica con i membri da poco nominati al suo interno come Seyes.

Nell’ottobre del 1799 Napoleone riuscì a rientrare in Francia, l’impresa egiziana era di fatto un disastro militare ma la gloria politica connessa alle scoperte archeologiche fatte e l’immagine di Napoleone come vincitore dei barbari mammelucchi contribuirono ad accrescerne notevolmente la popolarità. Fu infatti al corso che Seyes si rivolse per progettare un colpo di stato, l’esercito fedele al Bonaparte avrebbe assicurato la tranquillità dei progetti politici del direttore.

Il 9 Novembre 1799 i deputati vennero portati a San Cloud, nei pressi di Parigi, sotto scorta dell’esercito col pretesto di metterli al sicuro da un complotto contro il parlamento. Il 19 Napoleone stanco dei dibattiti fra i suoi sostenitori (fra i quali vi era il fratello Giuseppe) obbligò l’assemblea a ratificare il progetto di riforma voluto da Seyes. Veniva così creata una commissione esecutiva di tre consoli che avrebbe detenuto tutto il potere esecutivo della repubblica, furono nominati consoli Seyes, Ducos e Napoleone.

Napoleone come primo console della repubblica divenne allora l’uomo più potente di Francia, poco a poco monopolizzerà il potere. La costituzione dell’anno VIII infatti lo porrà al centro dei poteri esecutivi e legislativi e quella del X gli concederà la facoltà di nominare successori. Con l’ascesa del Bonaparte si conclude la rivoluzione e inizia l’epoca napoleonica che si concluderà nel 1815 con l’esilio di Sant’Elena e la restaurazione del congresso di Vienna.

L’Ottocento e la rivoluzione francese

La rivoluzione mise fine alla società dell’anciene regime spezzando definitivamente i vincoli della società basata sui ceti e le divisioni di classe. Fu la prima grande epopea rivoluzionaria della borghesia e aprì la stagione rivoluzionaria liberale del primo ottocento. Per la prima volta la politica coinvolse le masse e le rese partecipi del destino del governo e della nazione, da ciò ne scaturì il problema della rappresentanza che percorrerà la vita politica europea nel XIX secolo.

La rivoluzione funse da base, ispirazione e modello per tutto il pensiero politico delle ideologie ottocentesche: Marx la definì come il culmine della lotta borghese per l’ascesa al dominio sul mondo. Tutte le correnti politiche successive: democratiche, liberali o socialiste, aderirono o si dissociarono da ciò che fecero i rivoluzionari francesi facendo della rivoluzione francese il modello comparativo di tutte le rotture politiche violente che la seguirono.

 

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