Negli anni trenta l’Etiopia era l’ultimo impero africano indipendente, si trattava di un paese relativamente selvaggio governato da un imperatore, il Negus Hailè Selassiè, che regnava come monarca assoluto su una società tribale.
L’Italia sin dalla occupazione della Somalia e dell’Eritrea, conquistate nella seconda metà dell’ottocento, aveva cercato di impossessarsi anche dell’Etiopia. Tuttavia i tentativi di sconfiggere l’esercito etiope erano culminati nel disastro militare di Adua, nel 1896, durante il quale un contingente di truppe italiane venne completamente annientato, segnando la fine delle velleità espansionistiche italiane sull’Etiopia.
Mussolini mirava a espandere la posizione italiana nel Mar Rosso e naturalmente l’Etiopia rientrava nei progetti del duce. Già nel 1925 Italia e Gran Bretagna s’erano accordate rispetto alle rispettive sfere d’influenza in Etiopia, gli inglesi si garantivano la costruzione di una carrozzabile dal centro del paese sino alla regione del lago Tana, mentre all’Italia venivano concessi i diritti ferroviari e l’eventuale acquisizione della parte occidentale del paese.
Nel corso degli anni ’20 le relazioni fra Italia ed Etiopia, nonostante le mire italiane, si sarebbero dette tutt’altro che tese. Nel 1923 l’Italia appoggiò la richiesta dell’Etiopia di entrare nella Società delle Nazioni e nell’Agosto del 1928 addirittura tra i due paesi venne firmato un trattato d’amicizia. Ancora nel 1932 il Negus concesse a Mussolini il gran cordone di Salomone, la più alta onorificenza etiope, ricevuta solennemente a palazzo Venezia tramite una visita del principe ereditario d’Etiopia.
Tuttavia la tensione andava aumentando dall’inizio degli anni’30, l’Etiopia infatti aveva concesso le licenze per la costruzione di ferrovie sul proprio territorio a compagnie inglesi, preferendole a quelle italiane. Nel 1930 inoltre Selassiè aveva firmato un accordo commerciale col Giappone che apriva le porte del mercato etiope ai nipponici, questa misura danneggiò notevolmente le esportazioni italiane e suscitò notevole rabbia fra gli industriali italiani. Infine l’Etiopia cercava di impedire l’afflusso di capitali italiani, perché una massiccia presenza di questi avrebbe significato avvallare la sudditanza economica all’Italia.
La conquista dell’Etiopia probabilmente venne decisa già nel 1932 quando Mussolini inviò in Eritrea il ministro delle colonie De Bono, in pratica il ministro aveva il compito di redarre una serie di progetti di miglioramento infrastrutturali per preparare il territorio a ospitare le truppe che avrebbero dovuto conquistare l’Etiopia. Fra il 1932 e il 1936 in Eritrea vennero costruiti migliaia di chilometri di strade e le infrastrutture portuali di Massaua vennero ampliate per poter accogliere i rifornimenti delle armate italiane che si sarebbero stanziate in Africa.
Il casus-belli per condurre una guerra contro l’Etiopia venne fornito nel dicembre 1934 dall’incidente presso il forte di Ual-Ual, al confine fra la Somalia italiana e l’Etiopia.
La fortezza si trovava presso una serie di pozzi di fondamentale importanza per i nomadi della regione, dal 1925 l’area era stata occupata dalle truppe coloniali italiane. Fra il 5 e il 6 dicembre si verificarono una serie di scontri, non provocati dall’Italia, nei quali gli etiopi cercarono di occupare la fortezza, tuttavia le truppe somale riuscirono a respingere gli assalti nemici.
Ual-Ual mise in moto i meccanismi della diplomazia italiana che approfittò della situazione per chiarire le intenzioni di Mussolini rispetto all’Etiopia. Nel Gennaio 1935 nel corso di un incontro con il ministro degli esteri francese il duce ottenne mano libera in Etiopia, i francesi erano infatti assai preoccupati dal riarmo della Germania nazista e perciò volevano evitare di inimicarsi l’Italia, preferendo tenerla dalla loro parte nel caso di un’azione contro la Germania.
Nel Regno Unito tuttavia l’opinione pubblica si dimostrò assai meno propensa ad un’eventuale conquista italiana dell’Etiopia, se gli italiani avessero preso il lago Tana avrebbero potuto controllare il volume delle acque del Nilo Azzurro, che ha origine in quella regione, regolando così la portata delle inondazioni del fiume a valle, cioè nel Sudan occupato dagli inglesi e nell’Egitto loro alleato. Il Foreign Office era inoltre deciso a impedire che la Società delle Nazioni si dimostrasse impotente di fronte ad un’aggressione fatta ad uno stato suo membro da parte di un altro membro e infine qualunque espansione coloniale, non britannica, in Africa era comunque vista malvolentieri da parte del governo inglese.
Ai primi del 1935 Hitler annunciò i piani di riarmo della Germania, Laval e Chamberlain intesero raggiungere un’intesa con l’Italia per formare un blocco anti-tedesco.
Fu così che a Marzo si tenne a Stresa una conferenza nella quale le tre potenze ribadivano che avrebbero agito comunemente contro qualunque tentativo di destabilizzare la pace in Europa, Mussolini ebbe l’impressione che a francesi e inglesi ormai poco importasse dell’Etiopia.
La società delle nazioni nel frattempo non fece pressoché nulla per scoraggiare l’Italia dall’aggredire lo stato africano, Antony Eden in qualità di ministro degli esteri inglese propose a Mussolini più volte compensazioni territoriali in cambio della pace, ma il duce non ne volle sapere perché era ormai convinto che fosse necessario per l’Italia fare una dimostrazione della sua forza.
L’Italia aveva infatti cominciato la mobilitazione dell’esercito già agli inizi del 1934, era stato previsto che entro ottobre 1935 la guerra cominciasse. Inizialmente venne deciso di inviare un corpo di spedizione di 200.000 uomini, che sarebbero arrivati a 400.000 entro la fine del conflitto, divisi in 7 divisioni, sostenuti da 1600 pezzi d’artiglieria, 500 carri armati e oltre 350 aerei.
Una mobilitazione gigantesca che mise a dura prova l’apparato militare del regime e che vedeva i capi delle forze armate assai perplessi. La marina in particolar modo venne impensierita quando, nel settembre del 1935, per impedire un’escalation della crisi la Royal Navy spostò nel Mediterraneo buona parte della Home Fleet, credendo così di indurre l’Italia ad accettare un compromesso.
Si trattava solo di un gigantesco bluff, Chamberlain non era disposto a giocare l’amicizia italiana per l’Etiopia e sapeva inoltre che la Francia difficilmente avrebbe appoggiato una minaccia di guerra all’Italia.
Senza una formale dichiarazione di guerra l’attacco italiano cominciò il 3 ottobre, la guerra d’Etiopia fu la più grande guerra coloniale da cinquant’anni a quella parte ed ebbe un notevole peso sui futuri equilibri dello scacchiere europeo.
Il 7 ottobre presso la sede della S.d.N. di Ginevra cominciarono le discussioni su un’eventuale imposizione di misure contro l’Italia. L’11 venne decisa l’applicazione di sanzioni economiche, venne proibito di esportare verso l’Italia qualunque materiale bellico e dovevano essere danneggiate le esportazioni italiane tramite l’aumento dei dazi doganali. Le misure tuttavia si rivelarono un fiasco, gli Stati Uniti e la Germania si rifiutarono di applicare le sanzioni, mentre molti paesi che avevano firmato l’atto della S.d.N. semplicemente le ignorarono continuando a commerciare liberamente con l’Italia.
Sul fronte interno le sanzioni fecero il gioco di Mussolini, l’opinione pubblica italiana si convinse che la Gran Bretagna cercava di impedire al paese di ritagliarsi il suo posto al sole e il suo impero coloniale. Il duce garantì agli italiani che sarebbe stato in grado di soddisfare le necessità del paese nonostante le sanzioni e che con la conquista dell’Etiopia si sarebbe dato inizio ad una massiccia colonizzazione dell’ex-impero africano, venne detto agli italiani che si trattava di una terra ricchissima di materie prime e adatta all’agricoltura, in milioni vi si sarebbero potuti insediare, alimentando così le speranze e il sogno di una vita migliore oltremare.
L’entusiasmo fu trascinante e gli italiani risposero in massa quando venne chiesto a dicembre agli italiani di donare il loro oro alla patria, fu la maggiore prova del consenso ormai raggiunto dal regime negli animi della gente, la guerra contribuì a rafforzare il fascismo all’interno e inoltre provocò un progressivo riavvicinamento dell’Italia alla Germania.
Nonostante la concentrazione di forze di cui disponeva De Bono si dimostrò un comandante incapace, scelse di non avanzare per paura e questo attirò su di lui le antipatie di Mussolini che voleva a tutti i costi una vittoria rapida e decisiva. Gli italiani tuttavia cominciarono una lenta e metodica avanzata dall’Eritrea in direzione di Addis Abeba, il 6 ottobre Adua venne occupata e la propaganda fascista tuonò affermando che la vendetta per quanto era accaduto nel 1896 era avvenuta. L’obbiettivo successivo fu la città santa di Axum che venne conquistata il 16 ottobre, Mussolini premeva perché ci spingesse sempre più a sud in modo da occupare quanto più terreno possibile in vista di eventuali trattative diplomatiche. Pur di riuscire a vincere rapidamente il duce avvallò l’utilizzo di qualunque mezzo, compreso il gas, per avere ragione della resistenza etiope.
Più che della resistenza però l’esercito italiano si doveva preoccupare della lentezza con cui De Bono avanzava, agli inizi di Novembre era ormai chiaro a Mussolini che il comandante in capo andava rimpiazzato e il 12 di quel mese venne deciso l’invio di Badoglio in Africa.
Anche a Badoglio fu ordinato di marciare quanto più in fretta possibile verso l’altopiano dell’Ambla-Agi, altro luogo che ricordava agli italiani le disfatte coloniali del XIX secolo, questo per ottenere un successo militare da portare ad un eventuale tavolo delle trattative.
La Gran Bretagna e la Francia non avevano rinunciato a cercare una soluzione diplomatica del conflitto, a dicembre il ministro degli esteri inglese Hoare elaborò assieme al francese Laval un piano di pace da proporre all’Italia. La pace prevedeva la cessione all’Italia di due terzi del territorio etiope a Mussolini, in cambio di uno sbocco sul mare per l’Etiopia. Il duce avrebbe ottenuto il suo impero coloniale e l’Etiopia avrebbe conservato un’indipendenza, almeno formale, diventando nel contempo un protettorato italiano.
La proposta venne sottoposta a Mussolini l’11 dicembre, ma già il 9 alcune indiscrezioni erano apparse sulla stampa inglese e francese. In Inghilterra le notizie della bozza Laval-Hoare sollevarono una ondata di proteste senza precedenti contro il governo, sia i laburisti che i conservatori si opposero alla soluzione proposta, i primi perché così si sarebbe assecondata l’aggressione italiana e la sfida fatta da Mussolini alla S.d.N., i conservatori invece perché il trattato prevedeva la cessione di regioni in cui erano presenti molti interessi britannici.
Anche in Francia Laval dovette venire meno ai suoi propositi dopo un acceso dibattito parlamentare che investì la sua condotta in politica estera, alla fine per impedire la caduta del governo fu costretto a seguire la linea di condanna imposta dalla S.d.N. Infine anche il Negus il 18 dicembre rifiutò l’accordo proposto dagli occidentali, era evidente che la questione non poteva essere risolta per vie diplomatiche.
In primavera tuttavia la situazione cominciò a cambiare radicalmente, il miglioramento delle condizioni climatiche permise agli italiani di passare ad una rapida offensiva. La resistenza etiope venne presto meno a causa della enorme superiorità della potenza di fuoco italiana, inoltre l’aviazione fascista cominciò a fare largo uso del gas d’iprite, una mossa che valse ulteriori condanne al regime di Mussolini ma che sicuramente accelerò la vittoria.
Nel marzo del 1936 Hitler procedette alla occupazione della Renania, questo attirò l’attenzione franco-britannica in Europa dove si sperava che un fronte comune fra le tre potenze, con l’appoggio della S.d.N., inducesse la Germania ad agire più cautamente. Mussolini tuttavia fece chiaramente intendere che qualunque appoggio italiano contro la Germania era impossibile, dal momento che erano state imposte sanzioni contro l’Italia il regime aveva deciso di orientarsi verso Berlino piuttosto che Parigi o Londra nella sua politica estera.
Grazie ai bombardamenti sulla popolazione civile e il largo impiego delle artiglierie la resistenza etiope venne meno, a Dessiè nel marzo del 1936 l’esercito etiope guidato dall’imperatore Selassiè tentò un’ultima resistenza con i rimanenti 20.000 uomini. Badoglio marciò contro il nemico con una forza dieci volte superiore e l’assoluto dominio dell’aria, la vittoria fu rapida e l’imperatore etiope si ritirò ad Addis Abeba.
Il 3 maggio Hailè Selassiè lasciava la sua capitale alla volta di Ginevra dove intendeva tenere un discorso alla società delle nazioni, sperando che questo potesse dare il via ad una nuova trattativa per una pace negoziata. Due giorni dopo, il 5 maggio 1936, Badoglio entrava nella capitale etiope, Addis Abeba, facendo cadere così ogni speranza di pace negoziata. Ormai sia alla S.d.N., che a Parigi e Londra si riteneva che l’Italia potesse disporre come meglio credeva dell’Etiopia.
La sera del 5 maggio Mussolini annunciò davanti a oltre 200.000 persone radunate sotto il balcone di Palazzo Venezia che la guerra era conclusa, in realtà la resistenza organizzata era venuta meno ma di fatto bande di partigiani o di capi tribù locali si opposero al dominio italiano ancora per lungo tempo.
L’atto formale di ammissione venne ratificato il 9 maggio 1936 dal Gran Consiglio del Fascismo, venne emesso un decreto in due articoli:
“Articolo primo: i territori e le persone che appartenevano all’impero d’Etiopia passano sotto la sovranità piena e intera del regno d’Italia”.
“Articolo secondo: il titolo di imperatore d’Etiopia viene assunto per lui e i suoi successori dal re d’Italia”.
Quella sera stessa da palazzo Venezia il duce si affacciò ad annunciare, ad una folla radunatasi spontaneamente, entusiasta e desiderosa di celebrare la vittoria, la proclamazione dell’impero che dopo sedici secoli tornava sui “colli fatali di Roma”
A fine mese, il 30, a Ginevra si discusse, su proposta del Negus, che la conquista italiana non venisse riconosciuta dai membri della SdN, la mozione fu respinta e il 4 Luglio quasi all’unanimità vennero revocate le sanzioni contro l’Italia.
La conquista dell’Etiopia è uno dei fatti fondamentali per la storia del fascismo e anche per la strada verso la seconda guerra mondiale. Il regime fascista raggiunse l’apice della sua popolarità dopo la vittoria in Africa, gli italiani riconobbero davvero in Mussolini un leader capace di affermare la potenza del paese nel mondo, di riscattare le sconfitte e gli smacchi subiti dall’Italia liberale (Adua in primis) e di tenere in scacco le grandi potenze, Francia e Gran Bretagna, che avevano attentato al grande futuro dell’Italia. Nessuna delle misure che le altre nazioni avevano preso aveva fermato il regime dal perseguire i suoi scopi, inoltre avevano contribuito a ridisegnare definitivamente gli schieramenti europei. Prima della guerra etiopica il fascismo non guardava di buon occhio alla Germania di Hitler, la conferenza di Stresa dimostrava esattamente questo, ma la pessima conduzione della politica estera inglese aveva finito con lo spingere Mussolini verso Hitler.
Le sanzioni, fortemente volute dall’Inghilterra, avevano cementato il legame fra fascismo e società civile in Italia e aperto nuovi legami economici con il Reich che divenne progressivamente il principale partner dell’Italia. Nel 1934 Mussolini aveva minacciato Hitler di guerra quando questi aveva annunciato la sua intenzione di annettersi l’Austria, dopo il 1936 in cambio dell’amicizia di Hitler il piccolo stato divenne una pedina del tutto sacrificabile, così si apre la stagione dell’alleanza italo-tedesca che condurrà il nostro paese alla seconda guerra mondiale.
Il dominio italiano in Etiopia assunse toni assai spiacevoli, il regime aveva progettato per il paese un futuro da colonia preposta all’insediamento di coloni italiani. Vennero innanzitutto redatti una serie di progetti per il miglioramento delle infrastrutture e delle città destinate ad accogliere gli immigranti italiani. La stessa Addis Abeba dovette subire un processo di radicale trasformazione urbanistica, mentre il ministero delle colonie pianificava lo sfruttamento delle terre etiopi sottoposte ad esproprio dai padroni indigeni. La componente razzista del regime emerse rapidamente, le città vennero progettate e divise secondo una rigida separazione razziale fra bianchi e neri, in maniera simile a quella dell’apartheid sudafricano, mentre la popolazione di colore veniva sottoposta a molteplici vessazioni. Il governatore dell’Etiopia, Rodolfo Graziani, non tenne minimamente conto della millenaria cultura etiope, i monumenti degli imperatori e degli eroi nazionali vennero distrutti mentre l’intellighenzia etiope subiva dure persecuzioni. La durezza del dominio italiano è testimoniata dalla reazione all’attentato contro Graziani nel 1937, il governatore mise in atto come risposta un duro regime di polizia nel quale centinaia di cittadini etiopi vennero fucilati, mentre migliaia furono gli arrestati e tradotti in campi di concentramento.