L’unificazione tedesca

 

1815 - 1871

 

Indice dei paragrafi:

 

Premessa

1. L'invasione napoleonica: cambiamenti

2. La Germania dopo il congresso di Vienna: agitazioni rivoluzionarie

3. Lo Zollverein e i cambiamenti economici: inizio dell'ascesa prussiana

4. L'anno delle speranze svanite: la rivoluzione del 1848

5. La piccola Prussia contro i "grandi tedeschi"

6. I fallimenti diplomatici della Confederazione Germanica:

gli effetti della guerra di Crimea e dell'unità d'Italia in Germania

7. Otto Von Bismarck: la carriera dal 1850 al 1862

8. Bismarck cancelliere

9. La questione dello Schleswig-Holstein

10. Verso la guerra: dal trattato di Gastein al 14 giugno 1866

11. La guerra delle sei settimane

12. La Confederazione del Nord

13. La strada per l'impero: i rapporti franco-prussiani dal 1866 al 1870

14. La guerra franco-prussiana

15. L'impero di Germania

16. Conclusioni

 

 

 

Premessa

 

Il diciannovesimo secolo è stato il secolo delle nazioni, fu nel lungo ottocento che tutti i popoli aspirarono a creare una propria casa nazionale da chiamare patria. Agli inizi del ‘800 tra i grandi popoli europei solo due non avevano ancora cominciato la costruzione del proprio stato nazione, si trattava di quello Italiano e di quello Germanico. 

La Germania, intesa in senso moderno, nacque dopo gli sconvolgimenti causati dalle invasioni barbariche nell’assetto sociale dell’Europa Centrale. I Germani erano anticamente i popoli che vivevano ad est del fiume Reno, nel corso dei secoli III-V d.C. l’intera regione venne sconvolta dalle migrazioni di varie etnie che dall’Europa orientale e dalla Scandinavia si rovesciarono sul Europa centro-meridionale, contribuendo al crollo dell’Impero Romano. I nuovi arrivati ben presto cominciarono ad essere influenzati dalla cultura romana e dalla religione cristiana, trasformandosi in popolazioni sedentarie. L’embrione culturale della Germania medioevale è rintracciabile nel Regno dei Franchi, una popolazione germanica che si era stanziata nella Gallia romana a partire dal VI secolo d.C. I franchi erano un popolo bellicoso e portato all’espansione, durante i secoli VIII-IX sottomisero molte regioni, che costituiscono la parte della moderna Germania. Il re franco Carlo Martello (685-741) sottomise la Bavaria, nucleo della attuale Baviera, mentre Carlo Magno conquistò la Sassonia (772-804) e sottomise al Sacro Romano Impero le regioni tra l’Elba e l’Oder (805-812). L’impero carolingio intendeva rivestire i caratteri di universalità che erano appartenuti a quello romano, di cui i franchi si dichiaravano eredi. Dopo la morte del figlio di Carlo, Ludovico il Pio, l’impero franco cominciò a sgretolarsi a causa dell’avidità degli eredi di Ludovico, i quali avevano ereditato ciascuno una parte dell’impero. L’843 è l’anno di svolta per la divisione dell’Europa e per la nascita delle nazioni francese e tedesca, fu in quell’anno infatti che Ludovico il Germanico e Carlo il Calvo, due degli eredi, divennero rispettivamente sovrani di Francia e Germania, mentre al terzo erede Lotario spettava il dominio d’Italia e la corona imperiale. Quando l’ultimo discendente di Lotario morì, la corona imperiale passò ai sovrani di Germania, che forti delle loro pretese di universalità e della vastità dei loro domini dettero vita ad una grande civiltà, cominciata con la dinastia degli Ottoni (919-1024), in grado di sfidare l’egemonia papale sulla cristianità.

Il nuovo Sacro Romano Impero era un organismo assai debole, in cui il potere dei feudatari comprometteva quello dell’imperatore e la cui grandezza, e conseguente eterogeneicità, era causa della decadenza che lenta ma costante cominciò a investire la Germania dopo la morte di Federico II, nel 1250, l’ultimo grande imperatore. La storia tedesca del basso medioevo è quella di un impero universale che perdeva potere a fronte di un paese che cresceva economicamente, i signori locali divennero gli unici dominatori della Germania, mente gli staterelli italiani, che nei secoli precedenti avevano cercato di guadagnare la propria indipendenza cominciavano a distaccarsi sempre di più dal Sacro Romano Impero.

I secoli XIV–XV sono quelli del definitivo crollo della potenza imperiale tedesca, la corona imperiale venne ereditata dagli Asburgo, i sovrani d’Austria ovvero una delle regioni colonizzate dagli Ottoni nel X secolo, mentre diveniva sempre più difficile mantenere l’unità dell’impero, che divenne oggetto dell’espansione dei nascenti stati nazionali: la Francia, la Spagna, la Polonia e la Danimarca. Nonostante la perdita di peso politico la Germania continuava a crescere economicamente e nel corso degli stessi secoli le città tedesche del Baltico divennero i principali centri commerciali dell’Europa del settentrionale.

Il destino degli Asburgo e quello della Germania finirono col legarsi a quello degli spagnoli, quando agli inizi del XVI secolo la casata degli austriaca si imparentò con i reali spagnoli.

Il 1517 è l’anno della più grande spaccatura nella storia tedesca, l’affissione alla cattedrale di Wittenberg delle 95 tesi di Martin Lutero diede luogo alla nascita di un nord protestante e un sud cattolico. Nel corso dei decenni successivi una durissima guerra di religione infuriò nel paese, con l’imperatore Carlo V che cercò di obbligare i protestanti a rinunciare alla loro fede. Ma l’imperatore nel settembre del 1555 fu costretto a firmare la pace di Augusta, con la quale i principi di  Germania acquisivano il diritto di professare la loro religione liberamente, mentre il popolo seguiva il principio del “Cuius regio, eius religio”, ovvero professare la religione del principe a di cui era suddito.

La rottura tra nord e sud della Germania era ormai un fatto e divenne ancora più evidente con la guerra dei trent’anni (1618-1648), il secondo tentativo di riconquista del sud cattolico fatto contro il nord protestante e il secondo fallimento. La guerra dei trent’anni spostò l’equilibrio di potere in Europa definitivamente dalla Spagna alla Francia, mentre la nuova nazione olandese entrava nella scena delle grandi potenze, la Germania divenne il terreno di scontro dei grandi attori della politica europea. Nel corso del conflitto vennero coinvolte tutte le maggiori potenze: l’Austria, la Spagna, la Francia, l’Olanda, la Danimarca e la Svezia, che con i loro eserciti devastarono il territorio del Sacro Romano Impero, il quale tra il 1600 e il 1650 a causa del conflitto e delle epidemie di peste perse il 10% della sua popolazione.

I cinquant’anni successivi furono di stasi, il potere degli Asburgo si consolidò progressivamente nel sud, legandosi con alleanze politiche e militari ai principali stati cattolici dell’Impero, mentre nel nord gli stati protestanti divennero oggetto dell’espansione svedese, come accadde alla Pomerania che fu conquistata dal potente stato baltico. Agli inizi del XVIII secolo un nuovo stato era destinato ad emergere nel nord dell’Impero Germanico: la Prussia.

I sovrani del nuovo stato erano a lungo tempo stati sovrani di un piccolo feudo della Germania settentrionale: il margraviato, poi marchesato, di Brandeburgo. Gli Hohenzollern grazie ad una fortunata politica matrimoniale ereditarono il ducato di Kleves e quello di Prussia, uno situato in Renania e l’altro sulla costa del Baltico orientale. Nel 1701 la nuova dinastia riunì tutti i suoi domini in un unico stato: il regno di Prussia, che comprendeva le regioni prussiane del Baltico, alcuni piccoli possedimenti in Renania e i territori del Brandeburgo. Il nuovo stato si caratterizzò immediatamente per il suo carattere militarista ed espansionista, grazie all’opera di Federico II il grande (1712-1786) il regno crebbe fino a diventare una delle maggiori potenze europee. Berlino, la capitale della Prussia, cominciò ad assumere un ruolo guida nella cultura germanica e in quella continentale, grazie anche all’ambiente illuminato creato dal sovrano presso la sua corte. Tuttavia nonostante i progressi la Prussia rimaneva un paese arretrato socialmente, in cui i gruppi di potere della nobiltà erano legati al sovrano, il quale garantiva loro privilegi e concessioni come il mantenimento in vigore dell’istituto giuridico della servitù. La Prussia nel corso del XVIII secolo crebbe costantemente, acquisendo il controllo della Slesia durante la Guerra di Successione Austriaca (1740-1748) e della Posnania nella Spartizione della Polonia del 1792. Il XVIII secolo fu un periodo di espansione e crescita anche per l’altra potenza germanica, l’Austria, uscita nel 1689 definitivamente vincitrice dal plurisecolare scontro con l’Impero ottomano e caratterizzata dalla sua dualità di stato metà germanico e metà multi-etnico, infatti i sovrani d’Austria erano detentori della corona imperiale di Germania, la quale era poco più che un simbolo, governavano un impero che per otto decimi era composto da sudditi non tedeschi. Nonostante questa debolezza l’Austria nel corso del secolo rimase relativamente salda, diventando la principale antagonista della Francia per l’egemonia sul continente europeo, controllando gran parte dei Balcani e dell’Italia.

 

1.    L’invasione Napoleonica: cambiamenti

 

Nel 1806 Napoleone sconfisse l’esercito prussiano nelle battaglie di Jena e Auerbach, mentre l’anno precedente ad Austerlitz era stata sconfitta l’Austria.

In meno di un biennio la Germania era stata umiliata e Napoleone decise che era giunta la fine del Sacro romano impero, motivo per cui costituì con gli stati tedeschi la Confederazione del Reno. Era la fine dell’ impero millenario nato con Carlo Magno e che nonostante la decadenza era sopravvissuto fino all’irruzione del piccolo caporale sulla scena europea: il primo Reich era caduto.

La scomparsa dell’impero era solo una delle umiliazioni inferte alle genti tedesche; sia l’Austria che la Prussia vennero mutilate di parte dei loro territori, inoltre a capo di molti stati della neonata confederazione del Reno vennero posti parenti dell’imperatore francese. Era il trionfo del nazionalismo francese su una Germania divisa e spaurita dalla rivoluzione avvenuta nel 1789.

Quali erano le cause della sconfitta prussiana?

Quando nel 1806 lo stato Prussiano s’era mobilitato contro Napoleone si credeva  che il paese potesse battere l’esercito francese con relativa facilità. I generali prussiani si consideravano eredi del genio militare di Federico II, che nel XVIII secolo aveva tenuto in scacco contemporaneamente Austria, Russia e Francia solo grazie alla sua abilità militare. Per questi uomini la guerra era una scienza esatta, una serie di calcoli matematici che una volta eseguiti avrebbero condotto alla vittoria. Oltre alla sicurezza ostentata dai militari si aggiunse il forte sentimento anti-francese che percorreva gran parte dell’aristocrazia guidata dalla regina Luisa-Augusta, le pressioni dei militari e dell’aristocrazia costrinsero re Federico Guglielmo a dichiarare guerra alla Francia in maniera frettolosa, senza avere un preciso piano d’azione contro il nemico.

La guerra, come già detto, si concluse in un disastro, sia a causa della superbia dei generali che credevano di poter battere Napoleone applicando strategie vecchie di decenni, sia a causa dell’assenza di appoggio popolare. La Prussia venne ridotta ad una potenza di secondo rango, con un territorio dimezzato e tutte le sue regioni occidentali assoggettate al regno napoleonico di Westfalia.

L’Austria provò anch’essa a reagire nuovamente alla marea francese che aveva sottomesso la Germania, nel 1809 a Wagram le armi austriache vennero nuovamente sconfitte dai francesi e il paese dovette accettare che una principessa della casa d’Asburgo sposasse Napoleone, l’Austria perse il controllo sul Tirolo e la Baviera e inoltre dovette riconoscere definitivamente l’egemonia francese sul vecchio Sacro Romano Impero, che pure era stato sciolto tre anni prima.

Tuttavia è proprio nel calderone ribollente di idee, che seguì i disastrosi anni del 1806 e 1809, che nacque il sentimento nazionale tedesco. L’Austria era tagliata fuori dalle faccende tedesche e la Prussia era ridotta ad un satellite della Francia. Fu nei territori della neonata Confederazione del Reno, che rimaneva uno stato fantoccio francese, che i tedeschi oppressi dal giogo napoleonico elaborarono le nuove idee di nazionalismo e nazione che caratterizzarono il XIX secolo tedesco.

Un nome su tutti: Fichte. L’autore dei “discorsi alla nazione tedesca”, nei quali delineava alcuni caratteri che avrebbero composto la superiorità del popolo tedesco, primo fra tutti la lingua: la più antica e meno contaminata dalle altre in Europa. Nel discorso Fichte incitava i tedeschi a reagire all’azione francese, per creare una nazione comprendente tutti i territori di lingua tedesca: la prima rivendicazione nazionale tedesca si sposò con la prima affermazione “pan-germanica”, naturalmente Fichte era solo la punta di diamante del rinnovamento culturale che attraversava la nazione tedesca.

Il revanscismo divenne forte anche il Prussia, una nazione intimamente legata al suo esercito non poteva accettare la sconfitta subita nel 1806 passivamente, ben presto Berlino cominciò a divenire il centro della cultura anti-francese in Germania. Gli ufficiali dell’esercito compresero che la sconfitta militare era dovuta alla lontananza che il popolo aveva dall’esercito, un’armata che era di stato ma non di popolo come invece era quella francese. Sotto la guida dei generali Scharnost e Gneisenau la scuola di guerra venne aperta ai borghesi e gli ufficiali prussiani pur di combattere contro i francesi decisero di prestare servizio nell’esercito russo, la struttura del comando veniva modificata e si apriva agli insegnamenti offerti dalla tattica militare francese. Tutti gli uomini validi venivano rapidamente istruiti alla guerra, la Prussia in breve tempo tornò ad avere un corpo ufficiali competente, che guidava un esercito preparato e modernamente strutturato.

I cambiamenti costituzionali modernizzarono il paese, venne abolita la servitù della gleba, si introdussero perfino assemblee rappresentative locali e infine si spinse per una riforma agraria. La partecipazione popolare, seppur ancora minima, derivata dalle conquiste rivoluzionarie in Francia diveniva parte della vita pubblica del regno. Infine il re Federico Guglielmo III, per accattivarsi le simpatie popolari, promise la prossima redazione di una costituzione.

La Prussia si investì della sacra missione di liberare la Germania dal giogo straniero, nonostante il rinnovamento culturale fosse iniziato fuori da essa le riforme attuate negli anni fra il 1806 e il 1813 ne fecero il centro propulsivo del nazionalismo tedesco.

La disastrosa campagna di Russia sfaldò il mito dell’invincibilità francese.

Nel Marzo del 1813 il re Federico Guglielmo III ruppe i patti con i francesi e ordinò la mobilitazione generale: la Prussia combattè nuovamente contro gli invasori, battendoli a Lipsia nel 1813 e a Waterloo nel 1815. Il sogno di liberare la Germania si avverò: la Prussia aveva dato un contributo decisivo alla cacciata dei francesi dalla Germania ed era divenuta il punto di riferimento dei nazionalisti tedeschi.

Tuttavia assieme alla rinascita prussiana anche l’Austria, l’altra grande potenza tedesca, trovava la forza di rimettersi in piedi, era destino che la sfida per la supremazia in Germania si combattesse fra questi due stati.

 

 

 

2.    La Germania dopo il congresso di Vienna: agitazioni rivoluzionarie

 

Dopo la caduta di Napoleone e l’esilio all’Elba a Vienna, capitale dell’impero austriaco, si svolse un congresso a cui parteciparono i diplomatici delle grandi potenze che avevano sconfitto la Francia. Al termine del congresso nel giugno del 1815 la carta d’Europa era stata ridisegnata sulla base del principio della “restaurazione”: ovvero i legittimi sovrani spodestati da Napoleone dovevano tornare al loro posto. Naturalmente anche la questione della Germania divenne oggetto del congresso, il cancelliere austriaco Metternich si adoperò perché si creasse una struttura quanto più simile possibile al vecchio impero ormai caduto.

L’8 Giugno 1815 venne approvato lo statuto della “Confederazione germanica”, si trattava di un nuovo organismo sovrastatale creato dal cancelliere per tenere sotto controllo i 38 stati tedeschi sopravissuti alle guerre napoleoniche.

La confederazione era un organismo molto debole, era retto da una dieta, con sede a Francoforte sul Meno, nella quale erano rappresentati tutti gli stati tedeschi, il parlamento era di fatto solo un organo di facciata senza alcun potere effettivo sugli stati. Presidente della confederazione era l’imperatore austriaco, questo secondo il cancelliere asburgico avrebbe dovuto permetterne il controllo.

Il congresso di Vienna divenne il punto di radiazione del legittimismo europeo: secondo i diplomatici che vi parteciparono l’ordine europeo pre-rivoluzionario andava restaurato senza considerare i cambiamenti sociali e politici che la rivoluzione francese e Napoleone avevano diffuso in Europa. Fu così che la Germania visse un’ondata di conservatorismo, era la reazione delle potenze vincitrici contro Napoleone che ridisegnavano la mappa del vecchio Sacro Romano Impero. Molti stati erano scomparsi durante le guerre e molti territori vennero accorpati agli stati sopravvissuti per rafforzarli: la Prussia acquisiva la Renania e la Saar; mentre il dominio di potenze straniere si confermava su alcuni territori tedeschi, come l’Hannover proprietà della corona britannica o l’Holstein in mano danese. La Germania che uscì dal congresso era debole e divisa, esattamente come quella sconfitta da Napoleone, coloro che avevano sperato in un cambiamento radicale vennero delusi, ben presto l’ondata anti-rivoluzionaria investì anche le istituzioni statali prussiane e degli altri stati tedeschi.

La costituzione promessa dal re di Prussia non venne mai realizzata e a governare il paese fu ancora la monarchia assoluta unita all’appoggio dei proprietari terrieri: gli Junker, conservatori e favorevoli alla politica di Metternich.

Fra gli stati della confederazione solo la Baviera, il Baden, la Sassonia-Weimar, il Nassau e il Wuttemberg, fra il 1814 e il 1819, concessero costituzioni moderate, su modello di quella concessa da Luigi XVIII in Francia nel 1814.

 

Il popolo tedesco assistette pressoché indifferente alla restaurazione, al contrario il malessere si propagava fra gli intellettuali ostili alla politica conservatrice di Metternich, secondo l’intellighenzia nazionalista la Confederazione era un “aborto”, con la quale vennero deluse le speranze di coloro che avevano portato avanti le battaglie per le riforme durante l’occupazione napoleonica e che avevano creduto alle promesse di cambiamento, fatte dai sovrani come quello prussiano, da attuare dopo la vittoria sui francesi.

Il progetto del primo ministro austriaco era quello di creare una diarchia austro-prussiana sulla Germania, anche se con un’evidente preminenza austriaca. Gli stati tedeschi tuttavia erano assai ostili ad un dominio del genere e le aspirazioni nazionali andarono ben presto unendosi a quelle del mondo liberale che guardava con ostilità ai regimi autocratici dei due stati più potenti della confederazione. La conseguenza di questa ostilità fu un periodo di agitazione che investì la confederazione fra il congresso di Vienna e le rivoluzioni del 1848.

 

Nel 1817 a Wartburg in occasione del tricentenario della riforma protestante gli studenti tedeschi dettero alle fiamme gli scritti reazionari. Il radicalismo dilagava fra i giovani: il 23 Marzo 1819 a Mannerheim uno studente di teologia, Karl Ludwig Sand, uccise lo scrittore August Kotzebue, consigliere dello zar di Russia per le faccende tedesche.

L’uccisione dello scrittore, rifletteva la pericolosa agitazione che percorreva il mondo universitario tedesco. Per cercare di porre un freno ai movimenti radicali fra gli studenti Metternich indisse una conferenza fra a Carlsbad in Boemia, che si tenne fra il 6 e il 31 agosto del 1819. Lo scopo della conferenza era elaborare un progetto di legge confederale sul controllo della stampa e della vita universitaria, che poi la dieta di Francoforte avrebbe dovuto ratificare promulgandolo a tutto l’impero. Il risultato della conferenza furono le “risoluzioni di Carlsbad” con le quali venivano introdotti funzionari, designati dai vari stati della confederazione, preposti alla vigilanza sull’insegnamento universitario. Questi funzionari potevano sospendere corsi e licenziare professori che avessero tenuto lezioni non consone alla morale conservatrice della cultura ufficiale. Venivano inoltre censurati preventivamente tutti i quotidiani e i periodici, infine anche opere letterarie erano sottoposte a censura, se fossero risultate ostili al regime dopo la pubblicazione.

Le risoluzioni vennero ratificate definitivamente il 15 maggio 1820 dai ministri degli stati della confederazione, riuniti a Vienna. La serie di provvedimenti decisi nella cittadina boema ebbe dure ripercussioni in Germania: molti stati approvarono le risoluzioni con riserve, come la Baviera, sancendo sostanzialmente il fallimento della politica di imposizione decisa dall’Austria, quindi da Metternich, a tavolino. Questa mossa inoltre mise in evidenza come ne gli Asburgo, ne il parlamento di Francoforte erano in grado di esercitare un’effettiva egemonia legislativa sull’intero sistema degli stati tedeschi. L’effetto delle misure tuttavia fu assai efficace, infatti per i successivi dieci anni in Germania vi fu una relativa tranquillità.

Le agitazioni ripresero verso il 1830, sulla scia della rivoluzione di Luglio in Francia. A sollevarsi furono gli intellettuali di stampo liberale, nel Braunschweig le rivolte condussero all’abdicazione del duca Carlo che venne sostituito con il fratello Guglielmo, il quale concesse una costituzione moderata. In altri stati tedeschi il principio della legittimità monarchica venne messo a dura prova e i sovrani di Assia, Sassonia e Hannover furono anche loro costretti a concedere una costituzione, infine nei paesi dove era già presente una carta costituzionale vennero allargati i diritti garantiti. Era una situazione difficile per il sistema della Confederazione, l’emanazione di costituzioni negli anni ’30 dimostrava l’effettiva autonomia degli stati tedeschi che attuavano una politica indipendente da quella voluta dall’Austria. A preoccupare sempre più i conservatori erano i repubblicani, negli anni ’30 particolarmente attivi nella sezione tedesca della “giovine Europa” mazziniana: la giovine Germania, repubblicana e pan-europea.

Nel maggio del 1832 a Hambach nella Renania-Palatinato, territorio bavarese, trentamila persone dimostrarono per una patria “unita, federale e libera” e per una “lega dei popoli”, per la prima volta venne issato il tricolore nero-rosso-oro che richiamava al vecchio impero germanico e alle guerre di liberazione contro Napoleone. Secondo Metternich quanto accaduto ad Hambach era uno scandalo, reso possibile dal governo bavarese, che aveva applicato troppo tiepidamente le risoluzioni di Carlsbad. Tuttavia tra i conservatori tedeschi dominava ancora l’idea che qualunque costituzione e apertura al liberalismo avrebbe indebolito lo stato. Questo sentimento era particolarmente vivo in Prussia, dove il re nonostante le pressioni non aveva ancora concesso la costituzione promessa nel 1813. Di conseguenza la festa di Hambach servì da pretesto ai reazionari per ulteriori azioni contro i dissidenti: vennero riproposte e ampliate le risoluzioni di Carlsbad e inoltre vennero sottoposti al diretto controllo della dieta di Francoforte anche i parlamenti locali, le cui prerogative vennero assai ridotte con l’approvazione dei “sei articoli”. Infine venne imposto ai parlamenti locali di approvare obbligatoriamente i bilanci redatti dai governi dei vari stati, esautorando le assemblee dal controllo sui governi in materia fiscale, ovviamente questo indebolì pesantemente i parlamenti.

La conseguenza di questa repressione attuata contro le assemblee locali fu una sommossa contro la dieta di Francoforte verificatasi nel 1833. Metternich approfittò della rivolta per convocare una conferenza a Vienna allo scopo di coordinare l’azione degli stati tedeschi contro le forze liberali e radicali che minacciavano la stabilità della confederazione. Il risultato della conferenza tenutasi nel 1834 furono i “sessanta articoli”: ampliamento dei “sei” promossi in precedenza, contenevano disposizioni sul controllo delle corporazioni, delle università e della stampa; inoltre per evitare che il loro contenuto fosse causa di nuove agitazioni venne deciso di mantenerli segreti.

L’anno precedente, in estate a Tepliz, si erano incontrati il re di Prussia Federico Guglielmo III e Metternich, entrambi concordavano che era necessario a tutti i costi impedire il dilagare del nazionalismo liberale. Metternich, prese accordi con il governo prussiano, sembrava avere ancora il controllo della situazione tedesca e a quanto pareva era riuscito a impedire “il crollo della diga”, con questa metafora il ministro austriaco aveva definito le eventuali conseguenze di un successo delle agitazioni degli anni ’30.

Nella realtà radicali cambiamenti stavano avvenendo nella struttura del paese, mutamenti economici che avrebbero strappato la leadership sulla Germania dalle mani austriache per portarla in quelle prussiane.

 

3.    Lo Zollverein e i cambiamenti economici: inizio dell’ascesa prussiana

 

Fino al primo ventennio del XIX secolo l’unica potenza industriale del mondo era stata la Gran Bretagna, a partire dagli anni ’40 anche il Belgio e la Francia poterono cominciare a considerarsi nazioni industrializzate. Nello stesso periodo cominciò la formidabile crescita economica della Germania, che entro la fine del secolo si trasformò nella più grande potenza economica del continente, grazie alla crescita industriale e commerciale che la interessò. La prima tappa fondamentale del processo di unificazione del paese fu la creazione di un sistema economico moderno e unitario, che avvenne ben prima della nascita del secondo Reich.

Dopo le guerre napoleoniche in Prussia cominciarono ad apparire tracce di una proto-industrializzazione nelle regioni renane, queste aree erano molto vicine alle economie avanzate di Francia, Belgio e Regno Unito e fu qui che cominciò ad emergere per la prima volta la mentalità capitalistico-industriale necessaria alla modernizzazione dell’economia. Per favorire lo sviluppo di queste aree Federico Guglielmo III fra il 1816 e il 1818 abolì i dazi interni, la Prussia creava così un mercato unitario all’interno dei suoi confini abbastanza grande da permettere la nascita di un’industria moderna. Uno dei problemi principali del territorio prussiano era la sua frammentazione, le vecchie province del Brandenburgo e della Sassonia, cioè il nucleo originario del regno, erano separate dai recenti acquisti sulle sponde del Reno, per porre rimedio a questa situazione nel 1828 il ministro delle finanze Von Motz firmò un accordo con l’Assia-Darmstadt creando un unione doganale con il piccolo stato. L’accordo suscitò l’aperta ostilità dell’Austria e dei principali stati tedeschi che decisero di creare a loro volta accordi doganali, nacquero così l’Unione del Centro che comprendeva l’Hannover, l’Assia-Kassel e il Brunswick, e l’Unione del Sud fra la Baviera e il Wurttemberg.

L’accordo con l’Assia-Darmstadt causò una notevole accelerazione dello sviluppo industriale nello stato prussiano, la possibilità di disporre di un collegamento diretto fra le due parti del regno produsse un notevole aumento del volume del commercio interno.

Nel 1833 gli stati aderenti all’Unione del centro e a quella meridionale decisero di fondersi con l’unione doganale prussiana, la decisione era motivata dalla paura di venir esclusi dall’onda della crescita industriale prussiana, nasceva così lo Zollverein. L’unione doganale entrò in vigore il 1° gennaio 1834, doveva avere una validità di otto anni e applicava a paesi terzi tariffe doganali unitarie, i cui ricavi venivano divisi fra i ventiquattro stati che vi aderivano in maniera proporzionale al numero di abitanti. Nel 1838 gli stati dell’unione doganale decisero di dotarsi di una valuta unitaria: il tallero prussiano, che cominciò a circolare liberamente nei territori dell’unione creando un mercato unitario. Vanno fatte due precisazioni riguardo allo Zollverein: primo esso escludeva l’Austria dall’unità economica che l’unione doganale e conseguentemente dal processo d’integrazione economica che coinvolgeva gli stati tedeschi, ciò produrrà un progressivo avvicinamento degli stati alla Prussia, che diventerà il nuovo punto di riferimento per i nazionalisti tedeschi; secondo la creazione di uno spazio economico unitario accelererà notevolmente la crescita economica della Germania, portando così alla ribalta la classe di industriali e commercianti della grande borghesia.

Le testimonianze della spettacolare crescita economica prussiana sono rintracciabili nella rapido sviluppo della rete ferroviaria: la prima ferrovia prussiana venne inaugurata nel 1839 fra Berlino e Potsdam, appena cinque anni dopo la rete aveva raggiunto gli 864 km, nel 1847 in Germania vi erano ormai circa 5000 km di strade ferrate e nel 1854 viene inaugurato il collegamento ferroviario Berlino-Amburgo, le regioni interne della Prussia ebbero accesso diretto al mare del Nord permettendo l’ampliamento delle reti commerciali fra la Gran Bretagna e l’interno dello Zollverein. Nel 1870, alla vigilia della fondazione dell’impero, in Germania c’erano 18.667 km di strade ferrate, il paese disponeva ormai della più grande rete ferroviaria dell’Europa continentale.

L’industrializzazione fu favorita anche dalla relativa disponibilità di materie prime. Il carbon fossile era particolarmente diffuso in Renania e Slesia, grazie al gran numero di miniere presenti nelle due regioni e al miglioramento delle tecnologie d’estrazione la produzione passò da 4 milioni di tonnellate nel 1840, a 8 nel 1856 fino a giungere a 31,5 milioni di tonnellate nel 1870.

Altrettanto rapida fu la crescita della produzione di ferro grezzo, appena 143.000 tonnellate nel 1840, che nel 1856 divennero 326.000 e oltre 1.390.000 nel 1870. I centri propulsivi della nuova crescita industriale erano la Slesia, la Renania e la città di Berlino, qui ben presto si impiantarono le prime industrie tecnologicamente avanzate come quella dell’acciaio, che vide crescere la sua produzione rapidamente grazie alla domanda di materiale rotabile, dovuta alla continua espansione della rete ferroviaria.

Naturalmente alla crescita industriale corrispose la crescita delle città: fra il 1815 e il 1840 la popolazione di Berlino passò da 190.000 a 330.000 abitanti, con un tasso d’incremento 73%. A partire dal 1850 e fino alla fine del secolo le città tedesche ebbero un incremento medio della popolazione di circa lo 0,5% annuo, nel periodo fra il 1850 e il 1870 la percentuale di popolazione urbana nel regno di Prussia crebbe dal 28% al 32,5%, infine nello stesso periodo di tempo la popolazione complessiva passava da 16,3 a 24,6 milioni.

La crescita economica della Germania, trainata da quella prussiana, fu accelerata da una serie di condizioni e sviluppi favorevoli nel sistema economico.

Lo Zollverein permise al paese di porsi come interlocutore forte sul mercato internazionale: nel corso degli anni ’30 e ’40 la Germania divenne uno dei principali partner economici dell’impero britannico. Dalla Germania gli inglesi importavano molte materie prime necessarie alla loro industria o al sostentamento della popolazione: soprattutto grano del Baltico e legname, per un breve periodo inoltre l’Inghilterra importò dalla Germania lana per le industrie tessili, tuttavia la lana tedesca perse la sua quota nel mercato inglese quando gli inglesi, a partire dai tardi anni’40, poterono acquistarla ad un costo inferiore dall’Argentina e dall’Australia. La Germania dal canto suo acquistava dall’Inghilterra e dalla Francia manufatti industriali e prodotti coloniali, gran parte di questi era però destinata a essere ri-esportata verso i paesi dell’Europa balcanica e orientale. Lo Zollverein divenne così il punto di mediazione del commercio intra-europeo, l’accumulazione di capitale che ne conseguì fu fondamentale per il successivo sviluppo economico.

A partire dalla fine degli anni ’40 la Prussia fu in grado di impiantare proprie industrie avanzate, nacquero così nuovi settori industriali: metallurgico, siderurgico e manifatturiero. Un contributo fondamentale alla nascita di un’industria moderna fu dato dalle cosiddette banche “miste” o “universali” tedesche.

Il sistema bancario tedesco si strutturò in modo da poter fornire all’industria il supporto finanziario necessario per nascere. Le banche assunsero la forma di banche “universali”, ovvero il denaro dei risparmiatori veniva investito sia in prestiti a breve termine, sia in prestiti di lunghissima durata. Questi prestiti a lungo termine (es. trentennale) permettevano, agli imprenditori che li contraevano, di impiantare stabilimenti dilazionando nel tempo la restituzione del debito, grazie a questo sistema il carico delle spese di una nascente impresa era ridotto, permettendo di investire nell’espansione delle attività produttive.

La principale conseguenza dell’industrializzazione fu la nascita di una nuova classe: la grande borghesia capitalista. I nuovi ricchi erano particolarmente numerosi nelle aree maggiormente industrializzate, fra le quali spiccava la Renania, che divenne il centro della nuova intellighenzia liberale che si creava fra gli industriali borghesi.

Nel 1840 salì al trono del regno di Prussia il nuovo re: Federico Guglielmo IV, questi da subito si dichiarò disposto a discutere con i borghesi la riforma dello stato prussiano in senso costituzionale. Fu così che fra i liberali renani si accesero molte speranze riguardo il nuovo sovrano e sulla possibilità di essere chiamati a governare al fianco dei vecchi Junker. Il re tuttavia, anche se era interessato a riformare lo stato, non voleva assolutamente aprirsi a progetti costituzionali, specialmente su modello inglese o francese anche se fortemente moderati. Persino i progetti assai conservatori proposti dai borghesi prussiani non suscitavano le sue simpatie; il re era infatti un fermo sostenitore del diritto divino e di conseguenza trovava intollerabile la presenza di organi rappresentativi che minassero la sua autorità.

Nel 1847 il sovrano decise di convocare una dieta allo scopo di ottenere finanziamenti per costruire una nuova linea ferroviaria nell’est del paese.

I membri di questo parlamento non vennero eletti ma furono “reclutati” unendo le assemblee locali delle otto province del regno. Molti liberali speravano che da questa prima convocazione potesse nascere un’assemblea eletta permanente, al contrario i conservatori Junker guardavano con ostilità questa iniziativa.

Nelle file conservatrici per la prima volta appariva alla ribalta della vita politica Otto Von Bismarck, che si pronunciò violentemente contro le riforme proposte dai liberali, durante le prime sedute della dieta.

Il 26 luglio del 1847 il re decise di sciogliere la dieta perché i parlamentari liberali, che costituivano la maggioranza, rifiutavano di approvare il prestito da lui richiesto, a meno che non fossero state attuate riforme a favore delle minoranze e non venisse concesso il diritto al parlamento di riunirsi regolarmente. Per placare gli animi venne concessa l’elezione di una commissione destinata a fungere da organo consultivo per il sovrano.

Ancora una volta sembrava che il conservatorismo avesse avuto la meglio, il re aveva messo a tacere le velleità dei deputati della dieta sciogliendola, ma la borghesia non era più disposta a lasciarsi calpestare ora che rappresentava la forza propulsiva del paese. Il re se ne sarebbe accorto l’anno successivo: il 1848.

 

4.    L’anno delle speranze svanite: la rivoluzione del 1848

 

Il 1848 concluse la serie di agitazioni rivoluzionarie che scossero l’Europa a partire dalla restaurazione. Come era accaduto nel ’30 anche adesso l’agitazione rivoluzionaria nacque in Francia: i rivoluzionari parigini avevano deposto il sovrano Filippo d’Orleans e proclamato una repubblica democratica. Quanto accaduto al di la del Reno ben presto fece dal modello per i democratici e i liberali tedeschi.

Esisteva una sostanziale differenza fra queste due fazioni: i primi erano ispirati dalla rivoluzione francese, da poco avvenuta, volevano una Germania unita e indivisibile sotto un regime repubblicano; i secondi invece auspicavano una monarchia simile a quella inglese. Tuttavia i rivoltosi del 1848 militavano tutti sotto gli stessi colori: il nero, rosso e oro, quelli della bandiera che proponevano per la nuova Germania. Chiedevano al più presto l’unificazione del paese anche a costo di sacrificare le varie teste coronate che governavano gli stati tedeschi.

La prime agitazioni investirono il Baden, il Wuttemberg e l’Assia che concessero riforme e costituzioni ai rivoltosi. A spingere i rivoluzionari, specialmente quelli delle classi meno abbienti, fu anche la crisi economica che investì il paese dal 1845. Disoccupazione e salari ridotti sono stati fra i primi punti dell’agenda dei quarantottini tedeschi e quindi furono le regioni industriali a soffrire maggiormente dell’ondata rivoluzionaria: la Renania fu la prima regione della Prussia a sollevarsi, sempre sulle sponde del Reno venne costituito un parlamento e si chiesero riforme di stampo liberale.

Il 18 Marzo 1848 la rivoluzione approdò a Berlino, quel giorno i cittadini salirono sulle barricate chiedendo riforme e l’unificazione della Germania. Intervenne l’esercito che sparò sulla folla, ma poco dopo il re decise di ritirare le truppe dalla città per evitare lo scoppio della guerra civile. Il 21 marzo Federico Guglielmo IV cavalcò per le strade di Berlino, promettendo il suo impegno per una Germania unita. L’atteggiamento del re destò la preoccupazione degli Junker, fra i quali vi era Otto Von Bismarck, che temevano una possibile unificazione del paese a scapito della Prussia, il re infatti sembrava volesse porsi a capo dei sovrani tedeschi per offrire la corona imperiale agli Asburgo. Il 2 Aprile venne riunita una nuova dieta degli stati prussiani, allo scopo di elaborare il progetto di una monarchia costituzionale, poco prima il re aveva nominato un gabinetto ministeriale liberale: sembrava che la rivoluzione avesse attecchito anche in Prussia e che fosse giunto il momento di riformare il paese.

Ben presto però iniziarono a subentrare problemi, i deputati democratici chiesero per risanare l’economia uno stanziamento di 40 milioni di talleri, il denaro avrebbe dovuto finanziare la ripresa delle città usando contributi versati dalle campagne. I proprietari terrieri e i contadini erano dichiaratamente ostili a qualunque provvedimento che potesse danneggiarli, fra questi il re cominciò a trovare gli appoggi per abbattere il nuovo regime che si era creato. Il 10 Aprile la dieta si sciolse e il 22 Maggio si insediò un’assemblea costituente eletta a suffragio universale, lo scopo di questa costituente era quello di elaborare una nuova costituzione per il regno prussiano.

La maggioranza dell’assemblea era liberale e democratica, il programma di governo prevedeva la modernizzazione del regno tramite l’abolizione dei rimanenti diritti feudali e la creazione di un sistema politico in cui a pari diritti corrispondessero pari doveri. Gli animi dell’esercito e dell’aristocrazia, i due pilastri del sistema prussiano, erano assai cupi e la speranza che finalmente il re reagisse al marasma democratico era scarsa, molta più forza di volontà del sovrano sembrava averla il principe ereditario Guglielmo, che richiamato dall’Inghilterra raccoglieva i consensi dell’esercito, i cui generali si dichiaravano pronti a marciare al suo fianco contro la costituente. Il re in realtà era assai scontento di come andavano le cose e in un colloquio informale a Sanssouci, dichiarò a Bismarck che s’era comportato “come un somaro”, durante l’incontro il re chiese al giovane aristocratico l’appoggio della sua classe per il progetto controrivoluzionario che andava approntando.

Incominciò allora un’attiva battaglia politica fra i conservatori e il parlamento eletto, una battaglia combattuta sui giornali e nell’aula: il sovrano riteneva che i democratici potessero essere sconfitti solo con le loro stesse armi.

Il 18 Agosto a Berlino i nobili si riunirono in opposizione all’assemblea nazionale un parlamento di Junker, approfittando della libertà di associazione concessa dal parlamento, l’aristocrazia cercò di contrapporsi apertamente alle iniziative che potessero danneggiarla, l’iniziativa di fatto sanciva la nascita del partito conservatore. Il nuovo partito raccoglieva i consensi della vecchia aristocrazia, dell’esercito e anche di gruppi moderati appartenenti alla grande borghesia.

Il programma dei conservatori non si limitava a cercare una “restaurazione” del vecchio sistema, vi erano all’interno anche alcuni progetti innovativi come una maggiore tutela delle classi lavoratrici vessate dal liberalismo economico, se vogliamo un’anticipazione delle politiche bismarckiane di tutela sociale. Il partito proponeva infine un progetto costituzionale di tipo moderato, simile a quello inglese ma adattato alla società prussiana.

Nonostante la crescita dei consensi fra i conservatori l’assemblea nazionale andava elaborando un progetto costituzionale radicale: veniva negato il diritto divino del sovrano e inoltre veniva riconosciuta la sovranità popolare, infine sarebbe stata abolito il valore legale dei titoli. La svolta radicale dell’assemblea nazionale permise al re di progettare il colpo di stato che avrebbe messo fine alla rivoluzione. Federico Gugliemo, aiutato dai suoi stretti collaboratori e dall’esercito, il 9 novembre aggiornò l’assemblea al 27 dello stesso mese, inoltre ne ordinò il trasferimento a Brandeburgo, dove il parlamento non poteva contare sull’appoggio dei cittadini berlinesi. Il giorno dopo l’esercito, al comando del generale Wrangel, disperse i parlamentari che rifiutarono di lasciare l’assemblea e il 12 novembre venne dichiarato lo stato d’assedio a Berlino.

Il 5 dicembre l’assemblea costituente venne sciolta definitivamente e il re impose un proprio progetto costituzionale. Vennero concesse la libertà di stampa e di associazione e veniva costituito un parlamento bicamerale, con una camera bassa eletta a suffragio universale, infine si riconosceva la responsabilità ministeriale davanti al parlamento. Il progetto costituzionale del sovrano era assai moderato, ma molto più democratico di quello che ci si aspettava e perciò placo gli animi dei liberali, mentre i democratici vennero emarginati dal potere.

 

Mentre la Prussia elaborava il suo nuovo sistema costituzionale, in Germania si cercava una soluzione al problema dell’unità. Il 5 Marzo 1848 una cinquantina di parlamentari liberali della dieta di Francoforte chiesero la convocazione di un’assemblea destinata a trovare la soluzione per la costituzione di un impero nazionale. A farne parte furono chiamati tutti i tedeschi che avevano un seggio in una qualunque assemblea, di qualunque stato della confederazione. L’assemblea nazionale si insediò il 18 Maggio con lo scopo di elaborare una nuova costituzione per la fondazione dell’impero germanico. Il problema che subito si pose fu se l’Austria dovesse far parte o meno dell’impero; l’assemblea allora si spaccò in due fazioni: “i grandi tedeschi”, che volevano la Germania unita ai territori tedeschi dell’impero asburgico, e i “piccoli tedeschi” che preferivano una soluzione tesa a escludere l’Austria dall’impero. Furono i secondi a prevalere, aiutati in questo dal cancelliere austriaco Schwarzenberg, il quale pretese l’ammissione di tutti i territori asburgici (quindi anche quelli non-tedeschi) nel natio impero, richiesta inaccettabile persino per molti dei “grandi tedeschi”. Fu così che i “piccoli tedeschi” prevalsero e i domini dell’impero asburgico vennero esclusi dal progetto per l’impero di Germania.

Nel tentativo di rinsaldare l’unità dei tedeschi l’assemblea decise di muovere guerra alla Danimarca, nella primavera del ’48, per impedire che questa si annettesse lo Schleswig, una regione a maggioranza tedesca sotto egida danese.

Tuttavia le operazioni si conclusero in un nulla di fatto poichè il 26 Agosto la Prussia decise di cessare la partecipazione al conflitto, abbandonando a se stessi gli abitanti dello Schleswig e firmando a Malmo un armistizio con la Danimarca.

Nonostante la sconfitta, o meglio la rinuncia alla conquista dei territori tedeschi caduti in mano danese, i lavori dell’assemblea nazionale tedesca proseguirono e il 28 Marzo 1849 i parlamentari di Francoforte votarono una carta costituzionale per l’Impero. Nella nuova costituzione era previsto un parlamento (Reichstag) con due camere, una alta in cui sarebbero stati inseriti rappresentanti dei governi dei vari stati tedeschi, l’altra bassa eletta a suffragio universale diretto. Il Reichstag avrebbe funto da organo legislativo per l’intera Germania, attribuendosi le prerogative del potere locale fino ad allora appartenute ai vari stati. I parlamentari di Francoforte erano convinti che era possibile passare alla realizzazione dell’impero nazionale tedesco e perciò offrirono la corona imperiale a Federico Guglielmo IV re di Prussia.

Il sovrano tuttavia era di opinione diversa, fermo sostenitore del diritto divino e dell’assolutismo prussiano, rispose rifiutando e affermando che la corona che gli si proponeva era: “impastata del fango e della creta della rivoluzione, della fellonia e dell’alto tradimento”. La causa che principalmente spinse il re ad agire così fu il dover rinunciare alla sua corona, avuta per diritto divino, in cambio di una attribuitagli dalla sovranità popolare, inoltre la fondazione di questo impero liberale avrebbe necessariamente distrutto le prerogative della Prussia e della sua aristocrazia; il re avuto quindi l’appoggio del partito conservatore aveva optato per il rifiuto: se l’impero doveva nascere si doveva partorirlo con le armi.

 

Il quadro delle speranze svanite del biennio 1848-1849 proseguì con la riforma del sistema elettorale in Prussia. Il 27 Aprile 1849 il re sciolse il parlamento, eletto secondo la costituzione emessa da lui stesso il 5 dicembre precedente. Il 30 Aprile viene riformato il sistema elettorale prussiano: alla classe degli Junker venne riservato il diritto di eleggere metà dei parlamentari della camera bassa, mentre l’altra metà veniva eletta dai ceti medi e dai popolari. Si trattava di un sistema censitario a tre classi, in cui il dominio degli Junker conservatori consentiva l’approvazione dei provvedimenti presi dal re e dal suo governo senza colpo ferire. L’assolutismo, anche se con una costituzione, continuava a sopravvivere e persino i conservatori più ostinati, fra i quali Bismarck, riconobbero che questa è la soluzione migliore che potessero aspettarsi dalla risoluzione di una crisi così difficile, la nuova costituzione raccolse i loro consensi assieme a quelli dei liberali moderati e perciò il 31 Gennaio 1850 fu approvata dal nuovo parlamento: il Landtag.

 

5.    La piccola Prussia contro i grandi Tedeschi

 

Anche se il re aveva rifiutato la proposta dell’assemblea di Francoforte le speranze di una riunficazione non erano svanite, Federico Guglielmo infatti credeva possibile realizzare l’unificazione del Reich, o almeno di parte di esso, per iniziativa dei sovrani.

Il re di Prussia cercò, attraverso una serie di accordi con gli stati tedeschi del nord, di arrivare alla creazione di uno stato unito nella Germania settentrionale.

Il 26 Maggio del 1849 venne firmata un’alleanza fra l’Hannover, la Sassonia e la Prussia, poco dopo molti dei piccoli stati settentrionali vi aderirono. Nel giugno successivo nella città di Gotha si riunirono 148 membri della vecchia assemblea costituente di Francoforte, erano quasi tutti liberali e approvarono il progetto di una “piccola Germania”, che il re prussiano si proponeva di realizzare.

I politici prussiani e il re proponevano per l’unione degli stati settentrionali una costituzione su modello prussiano: una camera alta e una bassa, elette sulla base del suffragio delle tre classi vigente già nel paese. Era un progetto ambizioso che teneva conto sia della aspirazioni costituzionali dei liberali, sia di quelle pseudo-assolutiste dei vari sovrani e garantiva ampia autonomia ai capi dei vari stati aderenti. A capo della nuova unione del nord sarebbe stato posto il re di Prussia, ma tutti i sovrani dell’unione sarebbero stati di pari rango e avendo il prussiano solo come “primus inter pares”.

Il parlamento che avrebbe dovuto ratificare il progetto costituzionale fu convocato a Erfurt il 20 Marzo del ’50. All’interno della dieta si aprirono notevoli divisioni fra i liberali e i conservatori, inoltre il re di Prussia spinse perché gli venissero concessi maggiori diritti e privilegi che agli altri sovrani, i quali per tutta risposta  si coalizzarono contro Federico Guglielmo. Il 29 Aprile il parlamento di Erfurt concluse i lavori approvando la costituzione, ma i principi del nord coalizzatisi contro la Prussia mettevano Federico in una posizione difficile, anche perché ben presto egli avrebbe dovuto affrontare la rediviva potenza asburgica.

L’impero asburgico negli anni fra il 1848 e il 1850 era stato scosso da gravi tumulti interni, restando estromesso dalle faccende tedesche, ora che le rivolte erano sedate l’Austria riprendeva l’iniziativa in Germania.

Il 2 settembre 1850 la vecchia dieta di Francoforte venne riaperta sotto la presidenza austriaca, gli Asburgo avevano bisogno di dimostrare che il loro potere sulla Germania era intatto e l’occasione fu offerta loro dalla rivolta dei cittadini dell’Assia contro il loro sovrano. Il principe elettore d’Assia per fronteggiare i rivoltosi chiese aiuto alla dieta di Francoforte e gli austriaci furono ben lieti di far approvare dalla dieta l’incarico, per se stessi e per i bavaresi, di marciare contro i ribelli.  L’Assia era una regione strategica per la Prussia poichè era vitale per i suoi collegamenti interni fra il Brandeburgo e la Renania, avere truppe austriache e bavaresi nella regione avrebbe messo il paese in una situazione assai difficile, inoltre la presenza dell’esercito asburgico così a nord era una minaccia per l’ unione costituzionale da poco creatasi.

La reazione di Federico Guglielmo fu durissima: l’esercito prussiano marciò sull’Assia e la occupò, minacciando di scendere in guerra se i bavaresi o gli austriaci vi fossero entrati. Ormai fra i prussiani e gli austriaci si era allo scontro aperto e una guerra fra gli stati i tedeschi sembrava imminente. L’Austria tuttavia poteva contare sull’appoggio di una grande potenza straniera: l’impero russo.

Lo zar Nicola I infatti non vedeva di buon occhio l’eventuale creazione di uno stato tedesco unito perché avrebbe rimpiazzato la confederazione germanica, la quale era uno dei cardini del sistema della restaurazione a cui il sovrano russo teneva particolarmente.

Perciò lo Zar inviò un ultimatum a Federico Guglielmo chiedendo il ritiro delle truppe dall’Assia e lo scioglimento dell’unione “piccolo tedesca” nel nord della Germania. Il re prussiano si rendeva conto che in una eventuale guerra contro l’Austria, i suoi alleati in Germania e la Russia, il suo regno sarebbe stato sconfitto rapidamente e perciò agli inizi di novembre decise di accettare il diktat russo. Per mettere fine alle velleità e alle speranze imperiali di Federico Guglielmo, la Russia e l’Austria lo obbligarono alla firma di un accordo. Il 29 Novembre 1850 il primo ministro austriaco Schwarzenberg e quello prussiano Von Manteuffel, firmarono a Olmutz un trattato col quale la Prussia rinunciava al suo progetto piccolo tedesco e rientrava nei ranghi della confederazione germanica, che veniva ripristinata esattamente come era stata costituita nel 1815. Si trattò di una vera e propria l’umiliazione della Prussia a vantaggio dell’Austria e dei grandi tedeschi. I fatti di Olmutz condussero i politici prussiani, Bismarck in primis, ad accettare l’idea che la leadership in Germania passava necessariamente attraverso uno scontro armato con l’Austria.

 

 

 

6.    I fallimenti diplomatici della confederazione: gli effetti in Germania della guerra di Crimea e dell’unità d’Italia

 

Dopo l’umiliazione di Olmutz il regno prussiano dovette fare i conti il tentativo austriaco di ridurre al silenzio le proprie pretese, il primo passo dell’Austria fu quello di cercare l’integrazione nel sistema dello Zollervein, una mossa che a giudizio del governo viennese avrebbe garantito all’Austria una posizione dominante nell’economia tedesca, dopo aver conseguito lo stesso risultato in politica. Gli anni dopo il 1850 furono vissuti come un accanita battaglia tra Berlino, Vienna e gli stati tedeschi per ridefinire le politiche doganali. Berlino era ovviamente sfavorevole ad un’integrazione dell’Austria nello spazio economico tedesco, sebbene questo aprisse la possibilità di conquistare nuovi mercati per la nascente industria prussiana. D’altro canto gli stati tedeschi erano frammentati su posizioni diverse, che andavano dalla proposte di integrazione doganale come quella fatta dalla Baviera all’Austria nel 1850, fino al rifiuto di ammettere l’impero asburgico per paura che danneggiasse le industrie locali.

Ne venne fuori una lotta diplomatica fra Austria e Prussia per assicurarsi il successo delle rispettive proposte di unione doganale. Nel settembre 1851 la Prussia riuscì a mettere un’ipoteca sul successo di questa lotta, infatti grazie ad un accordo fra Berlino e l’Hannover quest’ultimo venne integrato nello Zollverein, aprendo così all’unione doganale i porti del mar del Nord, che diverranno porte fondamentali per lo sviluppo commerciale dei territori prussiani.

La risposta austriaca non si fece attendere, nel gennaio 1852 Schwarzenberg indisse una conferenza a Vienna per discutere progetti di unione doganale austriaci, all’evento furono ovviamente invitati tutti gli stati tedeschi, ma la Prussia disertò la conferenza segnandone di fatto il fallimento.

In risposta alle proposte austriache i prussiani convocarono a loro volta una propria conferenza doganale per l’ottobre dello stesso anno, grazie alla loro forza economica riuscirono a imporre a tutti gli stati tedeschi un progetto di rafforzamento dell’unione doganale, un progetto che prevedeva l’integrazione di tutti gli stati della confederazione ad eccezione dell’Austria che veniva di fatto estromessa. Agli Asburgo si lasciava solo la possibilità di un’eventuale ammissione all’unione in futuro.

Gli stati medi (Baviera, Wuttemberg, Baden, Hannover e Assia) in principio favorevoli ad un’unione con l’Austria voltarono d’improvviso le spalle a Vienna, fu così che l’Austria cercò di trovare un accordo diretto con la Prussia. Nel Febbraio del 1853 venne concluso un trattato commerciale fra Berlino e Vienna, il trattato prevedeva l’abbattimento dei dazi doganali per dodici anni e immediatamente gli stati tedeschi vi aderirono. Si trattava tuttavia di una misura assai svantaggiosa per l’economia austriaca, i dazi sui prodotti industriali erano stati quasi annullati e così l’economia prussiana potè conquistare un altro mercato per i suoi manufatti. La misura incrementò il ritardo economico dell’impero austriaco nei confronti della Prussia, che invaso dai prodotti dell’industria prussiana fu incapace di ritagliarsi una base industriale propria, segnando poco a poco un sorpasso economico che diveniva sempre più visibile. C’è da dire inoltre che il trattato fu un successo per Berlino in quanto l’Austria era stata costretta a venire a patti con la propria nemica, per evitare di trovarsi esclusa dall’unione economica tedesca e i prussiani approfittando di questa debolezza avevano ricavato un trattato che non inseriva l’Austria nello Zollverein, ma che concedeva loro grandi vantaggi lasciando solo la promessa di una possibile (in realtà assai improbabile) integrazione dell’Austria nel sistema economico tedesco.

La Prussia aveva conseguito un primo successo, seppure parziale, che ripagava l’umiliazione di Olmutz. Il decennio fra il 1850 e il 1860 fu fondamentale per la storia dell’Europa e anche per quella tedesca, due avvenimenti avvenuti fuori dalla Germania ebbero notevole peso nelle faccende tedesche e nel cambiamento degli equilibri di potere nella confederazione, si tratta della guerra di Crimea e dell’unificazione italiana.

La guerra di Crimea fu il primo grande conflitto fra le potenze europee dall’epoca di Napoleone, la Russia si trovò a combattere contro la Francia e la Gran Bretagna a cui si unì in seguito il Piemonte. Le potenze occidentali arrestarono il tentativo russo di espansione nei Balcani ai danni dell’impero ottomano, cominciato nel 1853 con l’annientamento della flotta turca e proseguito con l’occupazione della Valacchia e della Moldavia, stati vassalli della Turchia. La reazione occidentale all’invasione russa era stata quella di creare una coalizione per fermare la Russia, l’espansione di quest’ultima nell’area balcanica era vista come una minaccia all’equilibrio del potere nel continente e quindi era necessario agire per impedire che i russi prendessero lo stretto dei Dardanelli che avrebbe aperto loro le porte del mediterraneo. Il conflitto che ne seguì (1854-1856) fu assai duro e vide le potenze europee divise fra i belligeranti (Regno Unito, Francia e Russia) e i neutralisti (Prussia e Austria) che cercavano di trarre vantaggio dalla situazione.

Il governo austriaco era particolarmente indeciso sul da farsi, l’imperatore Francesco Giuseppe non appena i russi cominciarono l’occupazione della Moldavia e della Valacchia aveva mobilitato parzialmente l’esercito. Tuttavia fra i ministri austriaci si scontravano diverse tesi, i più vedevano nella Russia l’alleato tradizionale dell’impero e approfittare della debolezza in cui si dibatteva a causa della guerra contro gli alleati sarebbe stato un tradimento infame. Tuttavia il ministro degli esteri, Conte Buol, proponeva che l’Austria minacciasse di guerra l’impero russo per ottenere l’evacuazione della Moldavia e della Valacchia da parte dei russi, guadagnando notevoli vantaggi nei Balcani.

L’atteggiamento della Prussia era assai contrastante, in un primo momento essa sembrò appoggiare le pretese austriache, e nel marzo del 1854 venne concluso un trattato di alleanza fra le due potenze tedesche che impegnava ad una reciproca protezione e difesa. Il 29 maggio 1854 l’imperatore austriaco inviò un ultimatum a quello russo, minacciando di guerra l’impero degli zar se questi non avessero sgomberato Valacchia e Moldavia. Tuttavia in Prussia il sentimento filo-russo era molto forte e Otto Von Bismarck, all’epoca deputato alla dieta confederale, divenne capo del movimento di opposizione ad una guerra contro la Russia. Per tutto il 1854 in seno alla dieta confederale si discusse se fosse necessario mobilitare l’esercito confederale per un’eventuale guerra contro la Russia, finchè nel Febbraio 1855 la proposta del Conte Buol di mobilitare le truppe confederali venne respinta dalla, fu così che l’Austria venne lasciata da sola a muoversi nella crisi internazionale che ruotava intorno alla guerra. L’ultimatum inviato dagli austriaci a San Pietroburgo fu accettato, tuttavia si mantenne l’esercito mobilitato costringendo le truppe russe a rimanere in allerta nei Balcani e allontanandole dal teatro di guerra in Crimea, facilitando così la vittoria dei franco-britannici. La Prussia nel frattempo s’era avvicinata sempre più alla Russia, alla quale garantiva la sua amicizia e la neutralità della Confederazione Germanica nel conflitto.

La guerra si concluse nel 1856 con la vittoria degli alleati e la Pace di Parigi, in Germania la guerra aveva contribuito non poco ad alienare le simpatie degli stati della confederazione nei confronti dell’Austria e s’era trasformata in un insuccesso diplomatico per i ministri austriaci. La confederazione aveva rifiutato di aiutare l’Austria divenendo uno strumento della politica di potenza degli Asburgo, aveva vinto la posizione neutralista della Prussia e la conseguenza era che i russi ora si sentivano incredibilmente lontani dall’Austria, lo zar Nicola I guardava all’Austria come potenza nemica, anziché che un membro della vecchia Santa Alleanza. Per l’Austria imporre un ultimatum alla Russia fu una mossa relativamente sciocca, si perse il rapporto di esclusività che c’era fra Vienna e San Pietroburgo cercando un riavvicinamento alle potenze occidentali che fu tutt’altro che effettivo, inoltre il tentativo dell’Austria di porsi come mediatore fra le parti belligeranti si risolse in un fallimento, infatti alla pace di Parigi fu Napoleone III a divenire l’effettivo arbitro della situazione europea. In Germania il fallimento fu minore perché la politica antirussa degli austriaci poteva contare comunque su molte simpatie, tuttavia fu uno scacco perché i prussiani riuscirono a impedire il controllo austriaco della dieta confederale. Infine, se prima della guerra di Crimea gli Austriaci potevano contare sul supporto russo per impedire l’espansione prussiana in Germania, ora la Russia era molto più favorevole a danneggiare l’Austria a favore della Prussia, il che ovviamente condusse alla neutralità russa nelle crisi fra il 1866 e il 1870.

 

Dopo la guerra di Crimea importanti cambiamenti politici si verificarono in Prussia, il 7 ottobre 1858 diventava reggente al trono il principe Guglielmo, fratello del re Federico Guglielmo IV. Il reggente era un uomo diverso dal fratello, la sua esperienza di governatore nella città di Coblenza lo aveva messo in contatto con le idee liberali e progressiste della borghesia renana. In realtà il re era favorevole ad un cambiamento parziale dell’assetto istituzionale prussiano, ma i due cardini del sistema (monarchia ed esercito) restavano comunque intoccabili e il liberalismo del reggente si orientava più verso la laicità dello stato, che verso un’effettiva liberalità politica. Tuttavia per dar prova del cambiamento venne deciso il licenziamento del governo conservatore del primo ministro Von Manteuffel, che venne sostituito dal principe Karl Anton von Hollenzollern e i cui ministri provenivano tutti dal “Wochenblatt-Partei” di stampo liberal-conservatore. Il nuovo capo del governo ben si avvicinava alle posizioni del reggente, il quale sperava di guadagnare il consenso dei liberali e del popolo attraverso aperture, seppure limitate, in grado di superare il conservatorismo radicale che aveva paralizzato lo stato prussiano sin dalla reazione controrivoluzionaria del 1848. Nella politica tedesca il principe cercò la riapertura del dialogo con Vienna, questo allo scopo di aprire trattative per una parificazione austro-prussiana in seno alla confederazione, fu per questo che il governo prussiano entrò in rotta di collisione con Bismarck, il quale invece diveniva sempre più ostile all’Austria e chiedeva lo scontro con Vienna per risolvere le questioni tedesche. Incominciò così un nuovo riavvicinamento fra Berlino e Vienna, che proseguirà fino alla guerra d’indipendenza italiana, quando il rapporto fra le due potenze tedesche dimostrerà nuovamente i suoi limiti.

 

Nel 1859 divenne chiaro che presto l’Austria si sarebbe trovata in guerra in Italia contro il Piemonte e la Francia, sua alleata. Il movimento che conduce all’indipendenza italiana era passato attraverso le agitazioni rivoluzionarie del 1820, del 1830 e del 1848 come quello tedesco, tuttavia in Italia non vi era una potenza che da sola possa aspirare da sola a portare a termine il processo di unificazione. Il Piemonte era l’unico stato della penisola che incarnava le aspirazioni dei patrioti, nel 1848 era stata concessa una costituzione e il piccolo paese aveva cercato di condurre una prima guerra contro l’Austria che s’era risolta in una sconfitta. Tuttavia il progetto di porsi a capo del movimento di unificazione non era mai venuto meno, quando nel 1853 divenne primo ministro il conte di Cavour il Piemonte cominciò a cercare un alleato in un’eventuale guerra contro l’Austria.

La partecipazione piemontese alla guerra di Crimea fu concepita per portare la questione italiana al tavolo delle grandi potenze, il risultato fu l’accordo di Plombiers fra piemontesi e francesi: Napoleone III si impegnava ad aiutare gli italiani nella loro lotta di liberazione nazionale contro l’Austria, in cambio della cessione di Nizza e la Savoia. Nella primavera del 1859 il Regno Lombardo-Veneto fu scosso da una serie di agitazioni anti-austriache, in risposta alle provocazioni dei patrioti italiani l’impero austriaco inviò un ultimatum al Piemonte, se Cavour avesse accettato avrebbe trasformato il suo paese in un vassallo dell’Austria.

I piemontesi comunque respinsero l’ultimatum e cominciò la guerra fra l’impero e gli alleati franco-piemontesi. In Europa l’opinione pubblica era schierata in favore del Piemonte, in quanto si riteneva che il piccolo regno italiano fosse vittima di un’aggressione, tuttavia in Germania l’opinione era ben diversa. I tedeschi ritenevano che il possesso della Lombardia fosse un diritto fondamentale dell’Austria, in quanto costituiva una parte dei domini asburgici da secoli. Il mantenimento della Lombardia nell’impero austriaco era visto come fondamentale e perciò le simpatie per un intervento confederale in favore dell’Austria diventarono molto forti. Alla fine di maggio il generale prussiano Von Willisen venne inviato a Vienna, per avviare colloqui preliminari su un eventuale aiuto militare da concedere all’Austria. Gli Austriaci si appellavano alla confederazione perché tutta la Germania si mobilitasse per la guerra, secondo quanto recitato dall’articolo 47 della costituzione confederale, che ammetteva un intervento militare fuori dai confini della confederazione, se ci fosse stato un pericolo per l’ambito confederale.

I prussiani tuttavia si appellavano all’articolo 46, che affermava che la confederazione era tenuta ad intervenire solo se si minacciava il territorio diretto di uno degli stati membri. L’atteggiamento prussiano in realtà era dettato dal tentativo di estorcere quanto più possibile all’Austria, il governo di Berlino infatti voleva prima mettere l’Austria alle corde, per poi avanzare due pretese in cambio del proprio intervento: il comando di tutte le truppe confederali per il principe Guglielmo e la concessione di pari diritti alla Prussia in seno alla confederazione.

Tuttavia gli eventi ebbero velocità tale da impedire qualunque seria intenzione di intervento da parte prussiana, l’11 luglio 1860 vennero gettati i preliminari per la pace a Villafranca e con la pace di Zurigo del 10 novembre l’Austria perse il controllo della Lombardia e dei ducati di Toscana e Modena, dove i sovrani appartenevano alla famiglia degli Asburgo. Il meccanismo della confederazione s’era nuovamente inceppato a causa delle intenzioni diverse della Prussia rispetto a quelle austriache, ne conseguiva una situazione assai difficile. La confederazione continuava a perdere di credibilità, la tensione fra Berlino e Vienna era destinata ad aumentare grazie ai “tradimenti” prussiani e infine la leadership militare dell’esercito austriaco era compromessa a causa delle sconfitte militari subite in Italia, le quali avevano minato non poco la credibilità delle forze armate austriache.

La sconfitta degli austriaci condusse a nuovi cambiamenti nella politica del regno di Prussia, le idee liberali e concilianti del re Guglielmo I avevano dimostrato i loro limiti, a partire quindi dal 1860 i conservatori cominciarono nuovamente a guadagnare consensi fra i governanti e i circoli di potere berlinesi.

La volontà di rinnovare la monarchia cominciò a manifestarsi prima di tutto attraverso il rafforzamento del suo principale strumento di potere: l’esercito.

L’esercito prussiano dall’epoca della guerra contro Napoleone s’era andato progressivamente trasformando in un’armata di coscritti scarsamente professionali, la tradizione militare prussiana imponeva invece un esercito professionista, costituito da coscritti addestrati inseriti in uno stampo fatto da ufficiali di carriera provenienti dall’aristocrazia. Il futuro re Guglielmo I aveva in mente un progetto di riforma e potenziamento dell’armata prussiana, che avrebbe dovuto trasformarla in senso professionista, fu aiutato in questo dal nuovo ministro della guerra Albrecht Von Roon nominato il 5 dicembre 1859 dal re.

Il 10 febbraio 1860 il ministro portò davanti al parlamento di Berlino la sua proposta di riforma dell’esercito: aumento degli effettivi da 150.000 a 200.000 uomini, aumento dei coscritti annuali da 40.000 a 63.000 e servizio di leva della durata di tre anni, istituzione di 49 nuovi reggimenti e infine la nomina per via gerarchica degli ufficiali. La milizia territoriale costituita dopo il 1813 doveva essere sciolta e i suoi effettivi inseriti nelle riserve in modo che l’esercito fosse costituito esclusivamente da truppe di linea, facendone così un’armata professionista.

Il parlamento in prima istanza approvò il decreto di riforma dell’esercito, ma i deputati liberali che costituivano la maggioranza ben presto si resero conto che un rafforzamento dell’esercito era il preludio al rafforzamento della monarchia, fu così che venne rifiutato il finanziamento richiesto per portare avanti la riforma militare. Il 18 ottobre del 1861 a Koenigsberg, antica capitale del ducato di Prussia, il reggente Guglielmo venne incoronato sovrano col nome di Guglielmo I, alla cerimonia il re partecipò con l’uniforme da generale e alla presenza del nuovo sovrano vi erano anche gli stendardi dei neo-costituiti battaglioni, che non avevano ancora ricevuto il beneplacito del parlamento per essere creati. I parlamentari presenti alla cerimonia furono scandalizzati da tutto ciò e perciò si scatenò un conflitto fra parlamento e corona, che ben presto divenne un tentativo di sfaldare l’autoritarismo della monarchia prussiana.

Le elezioni del dicembre di quell’anno, fatte sulla scia del conflitto fra sovrano e parlamento, finirono col donare una maggioranza schiacciante ai liberali i quali riuscirono a ottenere il controllo del parlamento, tant’è che il principale partito del Landtag divenne quello “progressista”, di chiara ispirazione liberale e democratica. La controversia con il sovrano non poteva trovare una soluzione in queste condizioni e alla fine il re si decise a cercare un nuovo primo ministro che potesse combattere con il parlamento, il ministro Von Roon allora cominciò a pensare a Bismarck come futuro capo del governo e lo convocò a Berlino.

 

7.    Otto Von Bismarck: la carriera dal 1850 al 1862

 

Dopo l’umiliazione di Olmutz l’Austria aveva vinto il primo round della battaglia politica contro la Prussia, la confederazione ridivenne il centro della politica fra gli stati tedeschi e Vienna era di nuovo in posizione dominante rispetto alla nemica Berlino. Otto Von Bismarck divenne deputato presso il Bundestag di Francoforte nel giugno del 1851, la sua nomina era dovuta alla forza con cui si era opposto ai principi riformatori avanzate dai deputati liberali in seno al parlamento prussiano, inoltre alla sua lealtà nei confronti della monarchia prussiana e del sistema sociale della Prussia. Grazie alla sua fedeltà egli potè conquistarsi l’appoggio e la stima dei suoi pari, gli Junker, che fecero di lui la loro bandiera nella lotta contro i liberali e per la Prussia.

Gli anni in cui Bismarck fu ambasciatore presso la confederazione germanica segnano l’inizio dell’ascesa del futuro cancelliere della Prussia. Il principale punto del programma del neo-ambasciatore era quello di ottenere la parificazione della Prussia all’Austria in seno all’assemblea confederale. Da troppo tempo secondo Bismarck nell’assemblea del Bundestag il suo paese era trattato con minore considerazione di quello che era il suo effettivo peso all’interno della Germania. La Prussia aveva gli stessi diritti degli altri stati medi tedeschi, ponendosi così in subordinazione rispetto all’Austria. Tuttavia la situazione per Bismarck era assai complicata in quanto nessuno degli stati medi tedeschi, i veri arbitri del conflitto politico austro-prussiano, era disposto ad appoggiare le speranze d’ascesa prussiane, in quanto speravano in una soluzione di potere che impedisse un duopolio fra Vienna e Berlino che sminuisse il loro potere nella confederazione. L’ambasciatore prussiano così si trovò a dover affrontare l’ostilità congiunta di Vienna e degli stati tedeschi più importanti, che finirono per coalizzarsi contro la Prussia in seno all’assemblea. Bismarck andava maturando un’idea radicale per far guadagnare consenso alla Prussia fra i tedeschi, non potendo conquistare il parlamento federale infatti egli sperava di poter avere l’appoggio popolare in tutta la confederazione, per fare questo egli auspicava la creazione di un sistema costituzionale in Prussia che potesse raccordare lo stato e il popolo.

La creazione di un sistema costituzionale avrebbe raccolto attorno alla Prussia i patrioti di tutta la Germania, da tempo ormai sentimenti filo-prussiani maturavano nella borghesia tedesca. Bismarck sperava di poter contrapporre al blocco politico degli stati tedeschi la popolarità della Prussia presso la popolazione della confederazione, pagando come prezzo la concessione di una costituzione in Prussia. L’idea di una costituzione cominciò a divenire realtà quando il 23 Ottobre del 1857, quando il re Federico Guglielmo IV fu costretto, a causa di una malattia mentale, a cedere le funzioni di governo al principe ereditario Guglielmo. La presenza di uno Junker di vecchio stampo come Bismarck presso la dieta di Francoforte mal si sposava con le nuove idee liberali di Guglielmo, il quale non era a conoscenza del fatto che lo stesso Bismarck aveva maturato nel contempo idee simili alle sue. Lo Junker tuttavia cercò di mettere al corrente il reggente dei suoi nuovi progetti politici per la Prussia e la Germania, e nel marzo del 1858 inviò a Gugliemo un lungo memorandum nel quale veniva tracciato il bilancio della sua attività presso la dieta di Francoforte, inoltre si delineavano i progetti politici che Bismarck proponeva per la Prussia. Tuttavia il principe decise che era meglio allontanarlo da Francoforte, dove venne sostituito dal liberale Guido Von Usedom, per indirizzarlo in un luogo dove un conservatore di vecchia stirpe come Bismarck sarebbe stato sempre apprezzato: l’ambasciata prussiana di San Pietroburgo, così il 29 gennaio del 1859 venne nominato ambasciatore presso la corte dello Zar.

Gli anni a Francoforte erano valsi a Bismarck per maturare le proprie idee riguardo la risoluzione del conflitto con l’Austria, egli cominciò il suo incarico elogiando quanto era accaduto al Olmutz, per poi finire col credere che l’ascesa della Prussia come potenza pan-tedesca dipendesse esclusivamente da un conflitto armato contro gli Asburgo. Fu così che cominciò la stesura del progetto politico di Bismarck, che lo condurrà dapprima alla carica di primo ministro nel 1862 e poi allo scontro contro l’Austria del 1866.

A San Pietroburgo il nuovo ambasciatore di Prussia potè entrare in contatto diretto con la corte russa, venne così a conoscenza di quanta ostilità ci fosse in Russia nei confronti dell’Austria, dovuta in gran parte al tradimento austriaco durante la guerra di Crimea. Mentre Bismarck era ambasciatore in Russia il governo prussiano dibatteva la possibilità di entrare in guerra contro la Francia in aiuto degli austriaci; da San Pietroburgo tuttavia egli si pronunciava contro tale soluzione affermando che se la Prussia voleva realmente conseguire la superiorità in Germania allora era il momento per allearsi con la Francia e sconfiggere gli austriaci sul campo di battaglia, la sua proposta tuttavia non venne mai presa in considerazione dal reggente.

Durante il suo soggiorno russo i rapporti di Bismarck con lo Zar furono improntati ad una grande amicizia e benevolenza, visto il collimare degli interessi russi e prussiani, i due concordavano sulla necessità del tenere represso il nazionalismo polacco e nutrivano comune ostilità contro gli Asbugo e l’Inghilterra. Tuttavia nonostante il successo, nel tessere buone relazioni fra il suo paese e la Russia, il futuro cancelliere desiderava lasciare San Pietroburgo alla volta di Berlino dove poteva entrare nelle scene politiche.

Agli inizi del 1862 a Berlino si creava un ambiente sempre più favorevole alla nomina di Bismarck a cancelliere. Tuttavia il re Guglielmo I (salito al trono l’anno precedente) era indeciso se questa fosse la scelta giusta, nel mentre della sua decisione il re decise di trasferire Bismarck come ambasciatore presso Parigi. Nell’Aprile di quell’anno quindi lo Junker divenne ambasciatore presso l’imperatore dei francesi, si trasferì a Parigi e si diede a frequentare gli ambienti della vita mondana francese, altresì stabilì contatti con Napoleone III.

La speranza di Bismarck era che gli interessi della Francia, nemico di sempre della Prussia, potessero essere corrisposti da quelli prussiani, ciò al solo scopo di affrontare il nemico di sempre: l’Austria. Tuttavia l’attività diplomatica nella capitale francese fu assai limitata perché l’incarico di Bismarck ebbe durata assai breve, il 18 settembre 1862 infatti egli venne convocato urgentemente a Berlino da un telegramma inviato dal ministro della guerra Von Roon.

 

8.    Bismarck cancelliere

 

Il 19 settembre Bismarck era già in viaggio per la capitale prussiana, qui tuttavia il re era assai titubante riguardo la sua possibile nomina a capo del governo. Il sovrano, influenzato dalle idee liberali della moglie Augusta, a causa del suo carattere conciliante mal sopportava di dover aprire un conflitto aperto con i parlamentari. Tuttavia il ministro Roon, del quale il re si fidava, affermò che Bismarck era l’unica speranza per riuscire a vincere il conflitto con il parlamento liberale e di proseguire la riforma militare. Il 22 settembre 1862 il re e lo Junker si incontrarono nella residenza estiva di Babelsberg, nel corso del colloquio Bismarck riuscì a convincere il sovrano della sua forza e della sua determinazione a risolvere il conflitto con i liberali, imponendo al sovrano l’idea che non si trattava di un semplice scontro politico ma della scelta fra un regime parlamentare e quello monarchico.

Il giorno successivo, il 23 settembre, Bismarck divenne primo ministro di Prussia e capo del governo, la nomina fu sancita ufficialmente l’8 ottobre 1862 quando assieme alla carica di ministro di stato (primo ministro) assunse la quella di ministro degli esteri. La nomina di Bismarck venne avvertita in malo modo dalla famiglia reale, fortemente influenzata dalla regina Augusta, e anche dall’opinione pubblica in generale. I liberali e la stampa a loro favorevole lanciarono una violenta campagna contro il nuovo primo ministro, mentre si prospettava una lotta durissima tra l’esecutivo e il parlamento, preannunciata dalla sospensione degli stanziamenti militari per il 1863, annunciata il giorno 23 settembre dal parlamento.

Vista la precarietà della situazione politica nel paese e l’ostilità nei confronti della sua nomina il primo ministro cercò di risolvere il conflitto con il compromesso.

Nelle sue prime comparse davanti alla commissione parlamentare per il bilancio auspicava che fosse possibile arrivare ad una soluzione di compromesso, ma i parlamentari convinti della forza della loro posizione rifiutarono di accettare qualunque soluzione che prevedesse lo scioglimento della milizia territoriale.

Bismarck tuttavia riteneva che la costituzione prussiana consentisse in mancanza di compromesso fra esecutivo e parlamento di procedere senza l’approvazione di quest’ultimo, alla base di questa concezione stava l’idea che il diritto del sovrano, quindi anche dell’esecutivo da lui nominato, precedeva in ogni caso i diritti delle assemblee parlamentari. Sulla base di questo presupposto il conflitto era destinato a proseguire in un’escalation, Bismarck cominciò a governare senza che ci fosse uno stanziamento di bilancio approvato e venne condannato più volte dal parlamento per questo suo comportamento, fino a quando il 27 Maggio 1863 il Landtag venne sciolto e i parlamentari tornarono a casa. Pochi giorni dopo, il primo giugno, veniva redatta un’ordinanza di censura contro la stampa, ne conseguì una violenta battaglia che condusse ad una nuova vittoria elettorale dei liberali che alle elezioni di Ottobre ottennero due terzi dei seggi alla camera. Tuttavia Bismarck fu abile nello sventare tutti i tentativi di indebolire la sua posizione, nonostante i liberali si dimostrassero sempre più ostili egli riusciva comunque ad attuare le sue scelte politiche, che considerava le uniche giuste, tanto all’interno quanto all’esterno del paese.

 

Sul fronte confederale nel frattempo si apriva il dibattito su quale dovesse essere il destino della confederazione: riforma, stato federale o stato centralizzato?

Bismarck aveva come assoluta priorità estromettere l’Austria dalla faccende tedesche, il 5 dicembre del 1863 ebbe un colloquio con l’inviato austriaco a Berlino conte Karoly, nel corso di questo faccia a faccia egli affermò che era giunto il momento per l’Austria di concentrarsi sull’Ungheria e i Balcani, lasciando la Germania alla Prussia. In cambio di ciò l’Austria avrebbe avuto l’appoggio prussiano in qualunque mossa di politica estera, ma in caso di rifiuto la Prussia avrebbe appoggiato la Francia in qualunque futura crisi europea.

L’imperatore Francesco Giuseppe non riteneva credibile la minaccia di Bismarck, ma dovette fare marcia indietro riguardo la sua opinione quando poco dopo la Prussia firmò un trattato commerciale con la Francia e vi costrinse ad aderire tutti gli stati tedeschi dell’unione doganale. Inoltre Bismarck si garantì l’appoggio della Russia, quando l’8 Febbraio firmò una convenzione nella quale si impegnava a garantire appoggio ai russi contro l’insurrezione nazionalista che allora si verificava in Polonia. Ai prussiani non fu necessario intervenire, ma lo Zar Nicola si ricordò a lungo che la Prussia era stata l’unica potenza europea a offrire il suo appoggio nella questione polacca del 1863.

La sensazione che ovviamente maturava nel governo austriaco era quella di un accerchiamento diplomatico, era necessaria quindi un iniziativa che spezzasse questo stato di cose. L’imperatore Francesco Giuseppe si fece carico in prima persona della situazione e decise di agire in due modi: il primo cercare un contatto diretto con il re di Prussia, il secondo convocando un’assemblea dei principi tedeschi per discutere la sua proposta di riforma della confederazione.

 

La conferenza venne convocata per il 16 Agosto del 1863 a Francoforte, per coinvolgere la Prussia, o meglio il re di Prussia, l’imperatore compì una visita a sorpresa presso Gastein, dove Guglielmo soggiornava per cure termali. Bismarck temendo una mossa a sorpresa di questo tipo aveva saggiamente seguito il suo sovrano, scopo del premier prussiano era impedire che l’imperatore potesse convincere il re a recarsi a Francoforte. I colloqui fra Guglielmo e Francesco Giuseppe furono assai cordiali, il prussiano fu colpito dalla personalità dell’imperatore e fu sul punto di cedere all’invito. Tuttavia Francesco Giuseppe non era disposto a discutere il suo progetto di riforma preliminarmente con Guglielmo, ne era disposto ad ascoltare le istanze che aveva da proporre, infine non si poteva neanche spostare la data della conferenza secondo le esigenze del re di Prussia. L’indisponibilità dell’imperatore offese profondamente Guglielmo, allora il suo primo ministro ebbe gioco facile a convincerlo a non partecipare alla conferenza, che si sarebbe tenuta di lì a poco. Impedendo la partecipazione del sovrano Bismarck aveva gettato un’ipoteca definitiva sul successo della conferenza, si trattava di un piccolo trionfo, ma di notevole importanza. Il ministro convinse il re che partecipare alla conferenza avrebbe significato avvallare il primato degli Asburgo in Germania, mentre standone lontani i prussiani avrebbero segnato il fallimento delle iniziative di Francesco Giuseppe.

 

La conferenza tuttavia fu un grosso successo d’immagine per la casata austriaca, l’imperatore venne celebrato come fautore dell’unità della Germania da molti e i sostenitori dell’ipotesi di una soluzione grande-tedesca cominciarono a guadagnare nuovamente consensi. All’apertura della conferenza erano presenti i principi di tutti gli stati tedeschi e i delegati delle città libere della confederazione, il 18 agosto l’Austria espose la sua proposta, ma l’assenza della Prussia al tavolo delle trattative si faceva sentire, tant’è che il granduca del Mecklemburg-Schwering propose l’invio di una delegazione a Baden-Baden, dove si trovava il re di Prussia, per invitarlo nuovamente alla conferenza. Dopo accese discussioni l’Austria accettò di inviare un delegato a Baden, però fu posta come condizione che il progetto di riforma austriaco fosse portato avanti intatto senza prendere in considerazione contro-proposte prussiane, inoltre la conferenza sarebbe proseguita anche se Guglielmo avesse rifiutato di parteciparvi. Venne redatto un documento e tutti i capi di stato presenti lo firmarono, il re di Sassonia si incaricò di consegnarlo.

Il progetto di riforma austriaco della confederazione prevedeva un direttorio esecutivo con rappresentati Austria, Prussia, Baviera e due stati a rotazione. A questo si doveva affiancare un parlamento confederale di 302 membri nominati dai parlamenti dei singoli stati, le decisioni di quest’assemblea dovevano essere ratificate da un consiglio delle città e degli stati di 17 membri, infine doveva essere costituita una corte di giustizia confederale. Tuttavia l’Austria si garantiva una posizione di preminenza, mantenendo il diritto di veto sulle questioni di guerra della confederazione.

Il giorno 19 Agosto 1863 il re di Sassonia giungeva a Baden-Baden, Bismarck aveva istruito il sovrano sulla pericolosità dell’accettare l’invito a Francoforte, era assolutamente indispensabile per il primo ministro prussiano mandare all’aria i piani di Francesco Giuseppe. Il re Guglielmo fu tentato dall’offerta visto che gli veniva presentata da un re a nome di trenta capi di stato, ma alla lunga Bismarck riuscì a spuntarla nuovamente esattamente come a Gastein. La giornata fu durissima, i colloqui fra il re di Sassonia e i prussiani stemprarono tutti, alla sera Guglielmo era a pezzi ed ebbe una crisi di pianto, mentre Bismarck era distrutto dal nervosismo, ma la proposta di partecipazione venne rifiutata e il primo ministro conseguì quella che egli stesso ebbe a definire come la sua più grande vittoria. Il rifiuto prussiano scatenò il putiferio in seno al congresso di Francoforte, i delegati non erano disposti a discutere niente senza che l’altra grande potenza tedesca fosse al tavolo. I capi di stato rifiutarono di proseguire nelle discussioni e la conferenza naufragò in un nulla di fatto.

Bismarck cercò di portare avanti delle controproposte, sapendo che l’Austria avrebbe rifiutato, allo scopo di dimostrarsi conciliante: primo, il diritto di veto della Prussia nelle questioni di guerra confederali, secondo uguaglianza di Prussia e Austria nello statuto confederale e terzo l’elezione diretta del parlamento federale di Francoforte. L’ultima misura seguiva una logica evidentemente populista,  il cancelliere prussiano cercava di accattivarsi le simpatie degli strati popolari tedeschi, balenando la possibilità del suffragio universale in tutto il paese. Questo sapendo che gli austriaci erano profondamente avversi a qualunque parlamento eletto in rappresentanza di tutte le fasce sociali, cosa che veniva riproposta dai rifiuti che il governo di Vienna oppose a Bismarck e che ovviamente fecero crescere la popolarità sua e della Prussia.

 

9.    La questione dello Schleswig-Holstein

 

Dopo la fine della conferenza di Francoforte un’altra questione si affacciò sulla scena della politica tedesca: il destino dei ducati dello Schleswig e dell’Holstein.

I due piccoli stati erano legati fra loro in una unione personale, la casata Von Augustenburg che li governava era strettamente legata alla monarchia danese, perciò anche se in realtà solo lo Schleswig apparteneva alla Danimarca, mentre lo Holstein era inserito nella Confederazione Germanica, erano comunque entrambi sotto il controllo della Danimarca. Sin dal medioevo questi due staterelli erano stati segnati da un destino comune e visti come indivisibili, tuttavia la Danimarca nel XIX secolo attraversava un generale processo di rafforzamento dell’autorità centrale, presto questo processo di rafforzamento nazionale investì anche i due ducati che avevano una popolazione di maggioranza tedesca.

Nel 1848, durante la rivoluzione in Germania, nei due ducati era andata maturando la speranza che un intervento della confederazione potesse riportarli in Germania entrambi, tuttavia la rivoluzione s’era conclusa con un nulla di fatto e lo Schleswig-Holstein era rimasto legato alla Danimarca, nonostante il tentativo austro-prussiano di invasione.

Nel 1852 la Gran Bretagna, preoccupata per una possibile destabilizzazione del piccolo regno danese, dovuta alle spinte autonomiste dei due ducati e alle rivendicazioni che la casata degli Augustensburg aveva sul trono danese, aveva indetto una conferenza a Londra, in tale consesso venne firmato un trattato in cui il re di Danimarca acquisiva il titolo di duca dell’Holstein e entrava nella confederazione germanica, il duca Cristiano di Augustensburg venne privato del suo titolo, e delle pretese sul trono danese, in cambio di una compensazione in denaro. Le spinte autonomistiche tuttavia non cessarono, mentre la costituzione danese del 1855 intendeva rafforzare la centralizzazione dello stato, mettendo quindi da parte i diritti feudali che la dinastia Von Augustenburg esercitava, i due ducati dovevano essere inseriti nello stato danese pur essendo a maggioranza tedesca, il duca venne quindi privato dei suoi diritti in cambio di una compensazione economica, come previsto dal trattato.

Sul destino dei due ducati ruotavano gli interessi di molti: quelli della Prussia che sperava in una possibile annessione che le avrebbe aperto uno sbocco diretto sul mare del Nord, quelli dell’Inghilterra quanto mai intenzionata a non destabilizzare una regione che costituiva la chiave di volta del commercio nel Baltico e quelli dell’Austria che voleva inserire i due ducati nella confederazione. Infine c’erano gli interessi del duca Federico di Augustensburg, che sperava di recuperare i territori della sua casata per costituire uno stato unitario con i due ducati, inserito nella Confederazione Germanica e indipendente dalla Danimarca; un progetto questo molto ben visto presso la corte dell’imperatore Francesco Giuseppe che sperava così di allargare i confini della Confederazione senza ingrandire la rivale Prussia. Dopo il 1859 si andò rafforzando in Germania l’idea di un intervento militare per liberare i due ducati, sia i sostenitori della Prussia che quelli dell’Austria si dichiaravano favorevoli ad una soluzione armata.

La nuova costituzione danese del 1863 venne estesa all’intero paese in forma unitaria, annullando qualunque autonomismo dello Schleswig e subordinando ulteriormente l’Holstein allo stato danese, si trattava di un’annessione di fatto e l’ovvia conseguenza fu una serie di agitazioni nei due ducati. La popolazione cominciò a rivendicare il diritto all’autodeterminazione dei popoli, ciò mise in moto le potenze tedesche che non aspettavano altro che intervenire nelle faccende danesi, immediatamente il duca Federico ne approfittò per avanzare la sua candidatura a sovrano dei due ducati.

Bismarck si mosse immediatamente per proporre al sovrano una soluzione bellicosa volta ad annettere i due ducati alla Prussia, ad avviso del primo ministro si trattava della soluzione migliore in quanto dimostrava tutta la forza di una grande potenza e inoltre ampliava il territorio prussiano, cosa tutti i suoi predecessori avevano contribuito a fare, disse il primo ministro a Guglielmo.

Le idee di Bismarck ovviamente erano mal sopportate dall’opinione pubblica liberale e anche da molti alti esponenti della corte e del governo, tant’è che egli dovette fronteggiare l’aperta ostilità del principe ereditario Federico Guglielmo che riteneva la politica bismarckiana quanto mai scellerata. Nonostante l’ostilità che vi era intorno al suo progetto, e la paura del re Guglielmo di intraprendere una guerra, il primo ministro cominciò le consultazioni diplomatiche per muovere guerra. Per prima cosa Bismarck si accertò che ne la Francia, ne la Russia sarebbero intervenute nel conflitto in aiuto della Danimarca, si garantì anche il non intervento della Gran Bretagna, il che fu reso possibile dal fatto che la Danimarca aveva violato il trattato di Londra del 1852 scegliendo l’annessione di entrambi i ducati, fu così che il piccolo paese si trovò diplomaticamente isolato e privo di qualunque aiuto.

Bismarck cercò poi l’appoggio dell’Austria, in una serie di colloqui con il ministro degli esteri di Vienna, Recheberg, il ministro degli esteri prussiano auspicò l’idea di un’alleanza militare fra Vienna e Berlino che prescindesse dalla confederazione. Il Rechberg venne solleticato con l’idea che Prussia e Austria si potessero spartire il controllo della Germania, il prussiani nel nord e gli austriaci nel sud, dando inizio ad un alleanza mittleuropea, che avrebbe garantito l’aiuto prussiano quando gli austriaci avessero deciso di intraprendere azioni contro il Regno d’Italia, per riprendere i territori persi nel 1859.

La macchina diplomatica di Bismarck mise in trappola gli austriaci che accettarono di firmare un’alleanza che prescindeva dalla confederazione, indebolendo notevolmente il peso di quest’ultima nella guerra. Inoltre l’impostazione della conflitto come intervento di due grandi potenze mise fuorigioco il movimento nazionale tedesco, in pratica Bismarck era riuscito nel duplice scopo di eliminare dalla partita sia il Bundestag di Francoforte, sia i rivoluzionari tedeschi.

A Vienna l’alleanza venne vista come la possibile soluzione del dualismo tedesco, la Prussia e l’Austria apparivano legate e amiche come non mai e ovviamente questo permetteva all’imperatore e al suo gabinetto di illudersi che ormai si fosse giunti ad una soluzione di compromesso sul destino della Germania: un nord prussianizzato e un sud in mano all’Austria.

 

Il 4 dicembre 1863 al parlamento di Francoforte l’Austria e la Prussia proposero una mozione che richiedeva l’intervento militare confederale per proteggere l’Holstein dalle mire danesi, il parlamento approvò e le truppe della confederazione occuparono il ducato. Quarantuno giorni dopo, il 14 Gennaio 1864, Prussia e Austria minacciarono di occupare lo Schleswig, allo scopo di garantire i diritti del trattato di Londra, e dopo altri due inviarono un ultimatum in cui si chiedeva la revoca dell’annessione dello Schleswig alla Danimarca, i danesi rifiutarono di assecondare le richieste austro-prussiane e fu la guerra.

L’unico vero ostacolo al conflitto provenne dall’acerrimo nemico di Bismarck: il parlamento prussiano, la maggioranza liberale infatti rifiutò di approvare il finanziamento per la guerra, ma conscio che l’esercito era dalla sua parte, il primo ministro ordinò all’esercito di mettersi in marcia.

Il 20 gennaio 37.000 prussiani e 20.000 austriaci cominciarono ad avanzare nell’Holstein al comando del maresciallo Wrangel, le truppe confederali furono costrette a ritirarsi e a lasciare il controllo del ducato agli austro-prussiani, L’avanzata in territorio danese non presentò particolari problemi, la resistenza fu minima e gli alleati occuparono l’intera penisola dello Jutland.

A giugno le grandi potenze occidentali, Francia e Gran Bretagna, convocarono una conferenza per risolvere il conflitto diplomaticamente. Bismarck ovviamente fu costretto a parteciparvi, ma era conscio che le divisioni di idee fra il premier britannico Palmerston e l’imperatore Napoleone III avrebbero impedito qualunque possibilità di accordo sul destino dello Schleswig-Holstein. Il 22 Giugno la conferenza venne sospesa e allora la Danimarca tornò ad essere sola contro le due potenze tedesche, il 12 luglio il re Cristiano fu costretto a chiedere la pace, era la vittoria per i tedeschi, ma soprattutto era la vittoria di Bismarck.

La pace venne firmata a Vienna il 30 ottobre 1864: la Danimarca cedeva lo Schleswig-Holstein alla Prussia e all’Austria, restava ora da definire il destino dei due ducati tra annessione alla Prussia, il condominio austro-prussiano o la cessione all’Augustensburg.

 

 

10.          Verso la guerra: dal trattato di Gastein al 14 giugno 1866.

 

La questione del destino dei due ducati creava un punto di notevole attrito fra le due potenze, era inevitabile che una situazione così complessa non desse origine ad una serie di progressive rotture fra Berlino e Vienna. La prima incrinatura nell’alleanza si verificò già nel 1864 quando la Prussia rifiutò nuovamente l’ingresso nello Zollervein agli austriaci, questi infatti s’erano illusi che l’alleanza potesse aprire le porte di un progressivo avvicinamento, anche economico, tra i due stati. L’illusione austriaca urtava contro le intenzioni di Bismarck, il quale ormai cercava apertamente il modo di risolvere la questione tedesca con un conflitto austro-prussiano. Il rifiuto della richiesta austriaca provocò la reazione del governo di Vienna, il ministro degli esteri Rechberg venne costretto alle dimissioni e fu rimpiazzato dal conte Alexander Mensdorff-Pouilly. Le trattative sul destino dei due ducati proseguirono a lungo nel corso del 1865, l’Austria voleva riunirli in un solo stato sotto la guida dell’Augustensburg, la Prussia sperava segretamente nell’annessione. Bismarck affermò che l’unico modo in cui la soluzione proposta da Vienna venisse accettata era quello di rendere l’Austensburg un vassallo del re di Prussia, un compromesso ovviamente inaccettabile per il governo austriaco. Sull’orlo di un conflitto pan-germanico le due potenze giunsero ad una soluzione di compromesso: l’Austria avrebbe occupato l’Holstein e la Prussia lo Schleswig, il tutto venne ratificato il 14 Agosto 1865 con il trattato di Gastein.

La guerra era per ora sventata, ma Bismarck si adoperava in ogni modo per aprire le ostilità conto l’Austria, il primo passo che fece fu quello di convincere il re Guglielmo che il successo della Prussia dipendeva da una guerra contro l’impero asburgico. La vittoria nel conflitto avrebbe aperto le porte di una Germania del nord unita sotto il dominio della Prussia, avrebbe consentito l’annessione dello Schleswig-Holstein e avrebbe permesso di estromettere l’Austria dalla confederazione, e quindi dalla Germania, per sempre.

Architettando un abile campagna di stampa e con interminabili discussioni il primo ministro alla fine convinse il re della necessità della guerra, durante il consiglio di stato del 28 febbraio 1866 la decisione fu presa in via pressoché definitiva, Guglielmo si convinse che era necessario lo scontro e perciò lasciò a Bismarck libertà di agire per innescare il conflitto.

I militari prussiani spinsero per un’alleanza militare con l’Italia, questo avrebbe tenuto occupate almeno metà delle forze austriache, facilitando notevolmente la vittoria dell’armata prussiana. I colloqui fra l’Italia e la Prussia cominciarono a marzo, l’8 aprile 1866 venne stipulata una convenzione militare fra le due nazioni: l’Italia si impegnava ad intervenire contro l’Austria qual’ora la Prussia si fosse trovata in guerra con quest’ultima, la convenzione aveva validità di tre mesi, ma i prussiani promisero all’Italia che entro luglio la guerra sarebbe cominciata.

Gli italiani cominciarono immediatamente la mobilitazione delle loro forze in Lombardia, la logica conseguenza fu che il 20 aprile lo stato maggiore austriaco chiese all’imperatore Francesco Giuseppe di mobilitare le armate meridionali, ciò allo scopo di impedire un’eventuale invasione italiana del Veneto. Ovviamente la parziale mobilitazione austriaca aumentò notevolmente la tensione internazionale, era palese che la guerra stesse diventando inevitabile.

Bismarck intanto continuava a tessere le sue trame, egli doveva lasciare l’Austria e i suoi alleati nella confederazione senza alcun alleato esterno. La Gran Bretagna guardava con molta simpatia ad una soluzione che portasse alla realizzazione di una “piccola Germania”, perciò si schierò su posizioni neutraliste. La Russia era ancora fortemente ostile agli austriaci a causa del loro tradimento nel corso della guerra di Crimea, inoltre era ancora vivo il ricordo dell’aiuto prussiano offerto nel 1863 durante l’insurrezione in Polonia, anche lo Zar quindi non sarebbe intervenuto giocando secondo i piani di Bismarck.

Rimaneva un’ultima questione: la Francia di Napoleone III, l’imperatore francese era un fermo sostenitore del principio delle nazionalità, guardava con favore quindi all’alleanza italo-prussiana perché questa avrebbe permesso al giovane regno d’Italia di conquistare le terre irredente, prima fra tutte il Veneto. Napoleone sperava di poter ottenere dalla Prussia cessioni territoriali sul Reno, in cambio di una neutralità nel conflitto o nel caso di una vittoria austriaca. Nel corso di un colloquio con Bismarck, l’inviato francese maresciallo Vaillant chiese in cambio della neutralità francese la cessione di Saarbrucken e Saarlouis, di parte dell’Assia e del Palatinato ad ovest del fiume Reno. Bismarck ovviamente rifiutò le richieste e questo significò l’umiliazione della Francia, perché Napoleone (già duramente impegnato in Messico) non dette luogo a nessuna azione contro la Prussia. A maggio del’66, quando ormai anche a Vienna si pensava che la guerra fosse inevitabile, anche Francesco Giuseppe cercò contatti con il suo omologo francese, Napoleone arrivò a garantire la propria neutralità all’Austria, in cambio però si sarebbe dovuto cedere il Veneto all’Italia anche in caso di vittoria austriaca. Il sovrano francese otteneva notevole prestigio imponendo un prezzo così alto per la sua neutralità, l’Austria fu poco lieta di accettare di cedere il Veneto al termine della guerra, tuttavia Francesco Giuseppe non prese in considerazione di cederlo senza combattere, questo perché un’eventuale vittoria militare a sud, contro gli italiani, li avrebbe scoraggiati dal chiedere altre terre italiane dell’impero.

La tensione in Germania era altissima, tuttavia l’Austria cercava in ogni modo di evitare il conflitto. Francesco Giuseppe credeva che appellandosi direttamente a Guglielmo I, scavalcando Bismarck, forse si sarebbe arrivati ad una soluzione di compromesso. Gli austriaci proposero una riduzione delle forze armate di entrambe le potenze allo scopo di evitare la guerra, ma la loro mobilitazione sul fronte italiano rendeva poco credibile la proposta e inoltre Guglielmo ormai s’era deciso completamente a favore delle argomentazioni del suo capo di governo, fra il 3 e il 10 marzo l’esercito prussiano cominciò a mobilitarsi in risposta alla mobilitazione austriaca in Italia.

Il 7 maggio 1866, mentre passeggiava lungo le strade di Berlino, Bismarck fu vittima di un attentato, tuttavia ne uscì illeso e sempre più determinato nei suoi scopi. Alla fine di maggio gli schieramenti si andavano designando: l’Austria alleata con la maggior parte degli stati tedeschi, fra cui quelli più importanti come la Baviera, il Wuttemberg, il Baden e l’Hannover, avrebbe combattuto contro la Prussia, i suoi alleati fra i piccoli stati della Germania centro-settentrionale e l’Italia.

Il 25 maggio il capo di stato maggiore prussiano Von Moltke espose il piano di guerra al governo, ormai qualunque provocazione o errore austriaco avrebbe condotto inevitabilmente all’apertura delle ostilità. Visto il fallimento delle proposte fatte alla Prussia, il governo di Vienna si decise a discutere la questione del destino dello Schleswig-Holstein a Francoforte, era il primo giugno 1866, questo atto fornì a Bismarck il pretesto per dare il via ad un’escalation della tensione. Il 5 giugno Bismarck dichiarò che l’Austria aveva violato il trattato di Gastein e il giorno successivo l’esercito prussiano entrò nell’Holstein, occupato dall’Austria. La pace nella confederazione germanica era definitivamente rotta, l’Austria il 14 giugno richiese la mobilitazione degli eserciti federali ad eccezione di quello prussiano, il Bundestag approvò la risoluzione con 9 voti favorevoli e 5 contrari e l’astensione del Baden. Nel corso della seduta il rappresentante prussiano presentò un documento nel quale affermava che il governo di Berlino riteneva “rotto” il trattato confederale esistente, la confederazione si spaccò immediatamente fra sostenitori della Prussia e suoi nemici: era la guerra.

 

11.          La guerra delle sei settimane

 

La guerra ebbe breve durata, appena sei settimane, tanto fu sufficiente all’esercito prussiano per riportare una vittoria decisiva sulle forze austriache e confederali. L’esercito nato dopo le riforme militari del ministro Von Room avevano creato uno strumento militare formidabile, comandato con un’organizzazione centralizzata che faceva capo alla mente militare più brillante del tempo: il maresciallo Helmut Von Moltke. Le truppe prussiane erano meglio addestrate e meglio comandate di quelle nemiche, l’artiglieria più moderna ed erano anche equipaggiate con il più moderno ritrovato della tecnologia bellica: il fucile a retrocarica. Il piano di Von Moltke prevedeva di avanzare con il grosso delle forze in Boemia, dove con una manovra concentrica avrebbero accerchiato il grosso dell’esercito austriaco, simultaneamente i prussiani sarebbero avanzati nell’Hannover e in direzione di Francoforte.

L’Austria doveva combattere su due fronti: l’Italia e la Boemia. A sud nel Veneto erano disposte le truppe (tre corpi d’armata per 190.000 uomini) comandate dall’arciduca Albrecht, scopo di questi era sconfiggere l’offensiva che gli italiani avrebbero condotto contro Venezia. Al comando del fronte principale fu posto il generale Benedek, il comandante austriaco ritenuto meglio preparato dall’imperatore Francesco Giuseppe. Benedek doveva avanzare dalla Boemia in territorio prussiano, in modo da portare la guerra direttamente in casa del nemico. Gli austriaci avrebbero potuto contare sull’aiuto degli eserciti della confederazione, se gli alleati avessero collaborato, ma ciascuno degli staterelli tedeschi era geloso della sua autonomia militare e perciò qualunque forma di coordinazione fra gli alleati fu pressoché impossibile.

Il 16 giugno i prussiani cominciarono ad avanzare nel territorio dell’Hannover, dell’Assia-Kassel e della Sassonia. La pressione dell’esercito di Berlino fu impressionante e il 20 la Sassonia fu costretta alla resa, mentre l’Hannover si arrendeva appena nove giorni dopo un inutile resistenza. L’Assia riuscì a sottrarre le sue truppe al combattimento e a indirizzarle verso sud, dove avrebbero potuto congiungersi con le truppe degli altri stati tedeschi.

A sud, in Italia, l’avanzata italiana fu assai prudente poiché il generale Cialdini, comandante delle truppe italiane, riteneva che la questione del Veneto potesse essere risolta per vie diplomatiche, evitando sacrifici fra le sue truppe. Gli italiani tuttavia furono sconfitti a Custoza il 24 giugno, si ritirarono e tornarono ad avanzare solo dopo la decisiva vittoria prussiana in Boemia, senza tra l’altro conseguire alcun successo militare. L’Austria riportò contro l’Italia anche una vittoria navale presso l’isola croata di Lissa, dove l’ammiraglio Teghetthoff mise in fuga una squadra navale italiana dopo averne affondata la nave ammiraglia.

Tuttavia il destino della guerra doveva essere giocato sui terreni della Boemia, i prussiani avanzavano a tutta forza in direzione di Praga mentre le forze austriache li attendevano attorno alla fortezza di Koniggratz, nei pressi della città di Hradec Kralove. Benedek aveva incassato duri colpi nel corso dei giorni precedenti ed era giunto alla conclusione che era impossibile sconfiggere i prussiani senza rinforzi, inoltre era impossibilitato a muoversi perché le armate prussiane lo stavano accerchiando. All’alba del 3 luglio 1866 si andava profilando lo scontro decisivo della guerra e la più grande battaglia che l’Europa ricordava dall’epoca di Napoleone: la battaglia di Koniggratz.

Bismarck e Guglielmo I avevano raggiunto il maresciallo Moltke sul campo di battaglia. L’atmosfera del governo prussiano era assai tesa e ciò rifletteva la situazione, era in gioco il destino della Prussia e il tutto si basava sulla possibilità di accerchiare l’armata austriaca, se Benedek riusciva a sfuggire e a ricevere rinforzi dall’Italia allora la vittoria diventava difficile. Tuttavia l’ottima strategia di Von Moltke permise di intrappolare le forze nemiche e sebbene queste non venissero annientate nel corso della battaglia, ne uscirono talmente malconce da segnare definitivamente la sconfitta dell’impero asburgico. Gli austriaci persero 44.000 uomini a fronte di 9.200 prussiani e furono costretti a schierarsi a difesa di Vienna ritirandosi dalla Boemia. Il 16 luglio le truppe prussiane entrarono a Francoforte conseguendo la vittoria definitiva anche in Germania. 

Guglielmo I avrebbe voluto marciare su Vienna, ma sia Von Moltke che Bismarck erano di opinione diversa, il primo perché riteneva pericoloso affrontare l’intera armata austriaca appena rinforzata con le truppe provenienti dall’Italia, perché le sue armate ne sarebbero uscite assai logorate. Il primo ministro invece non voleva infliggere una sconfitta totale a Francesco Giuseppe e preferiva una pace mitigata, l’Austria poteva pur sempre rivelarsi preziosa come amica in seguito e umiliarla non avrebbe certo giovato alla Prussia.

Il 26 Luglio a Nikolsburg venne firmato l’armistizio e il 23 Agosto a Praga il trattato di pace. L’Austria riconosceva lo scioglimento della confederazione tedesca, cedeva l’Holstein alla Prussia e il Veneto all’Italia, anche se in realtà già il 2 Luglio l’Austria aveva chiesto a Napoleone III di mediare con l’Italia il cessate il fuoco e la cessione della provincia italiana, Bismarck aveva vinto: la carta della Germania poteva ora essere ridisegnata secondo i suoi progetti.

 

 

12.          La confederazione del Nord

 

La pace di Praga modificava drasticamente l’assetto della Germania, la Prussia si annetteva l’Hannover, l’Assia, il Nassau e la città di Francoforte. La popolazione passava da 19,6 a 24,4 milioni di abitanti e la superficie da 279.000 a 352.000 chilometri quadrati. Nel corso delle trattative di pace Bismarck era stato costretto a fermare il re che voleva a tutti i costi entrare a Vienna da vincitore e nel contempo aveva dovuto accettare la mediazione di Napoleone III. La vittoria inoltre aveva rovesciato la situazione parlamentare in Prussia, alle elezioni del 1866 il partito conservatore ottenne una vittoria schiacciante grazie all’ondata di nazional-patriottica che aveva percorso il paese.

La guerra aveva spaccato la Germania in due grandi blocchi, a sud gli stati amici dell’Austria rafforzarono i legami con la casata d’Asburgo, mentre nel nord si andava profilando la costituzione di uno stato confederale che avesse come centro di potere la Prussia.

Bismarck presentò la bozza di una costituzione confederale, per il nord, il 9 dicembre 1866. Il primo ministro prussiano, nell’elaborazione del progetto, aveva dovuto tenere conto di tutti i particolari elementi che costituivano la nuova confederazione. Da un lato i sovrani sopravvissuti alla guerra e alle annessioni prussiane non volevano vedere la loro autorità sminuita, almeno formalmente, nel contempo il re di Prussia doveva necessariamente mantenere una posizione di assoluto dominio nella confederazione, infine bisognava anche tenere conto del parlamento prussiano, largamente favorevole ad una soluzione volta a centralizzare a Berlino la struttura del nuovo stato.

La confederazione nacque dalla conciliazione di queste esigenze e Bismarck si adoperò per evitare di scontentare le varie parti in causa. Ne nasceva una carta confederale nella quale i sovrani degli stati tedeschi del nord e le città libere costituivano “un’eterna unione a difesa del territorio federale e del diritto in vigore all’interno dello stesso”. La confederazione venne basata sulla sovranità monarchica, come un’alleanza dei governi dei 22 stati che la componevano, la Prussia assumeva un ruolo guida, infatti il primo ministro prussiano era anche il cancelliere (capo del governo) della confederazione e la Prussia aveva il diritto di veto sulla revisione della costituzione. Agli stati veniva lasciata la loro autonomia, perché secondo Bismarck era impossibile realizzare una centralizzazione totale del potere, a causa dello scontento che avrebbe causato presso i sovrani degli stati membri della confederazione. Il consiglio federale venne stabilito a Berlino, dei suoi membri 26 andavano agli stati della confederazione e 17 alla Prussia, la quale anche se in inferiorità poteva esercitare abbastanza influenza sugli stati da poter vedere ratificato qualunque provvedimento volesse. La differenza di voti appariva ancor più ingiustificata dal fatto che la Prussia contava venticinque milioni di abitanti, mentre gli atri stati sommati arrivavano a circa cinque milioni, ma l’egemonia prussiana non fu mai in discussione, inoltre la concessione di questa diseguale spartizione dei voti del consiglio fece in modo che l’assemblea paresse tutelare tutti gli stati e non solo la Prussia. Nella realtà dei fatti grazie al controllo della cancelleria e della presidenza, quest’ultima spettante al re di Prussia, Bismarck governava di fatto la Germania Settentrionale. Il sistema era progettato per conferire un’autonomia “ideale” ma non “reale” agli stati, in modo che se gli stati del sud avessero voluto aderirvi avrebbero potuto farlo credendo di non perdere la loro indipendenza. La carta costituzionale della Confederazione del Nord fu il laboratorio per la costituzione imperiale del 1871, che darà forma all’Impero di Germania.

Inoltre Bismarck, consci dell’importanza di coinvolgere gli strati popolari della nuova confederazione, accettò la creazione di una Dieta federale “consultiva”, con rappresentanti eletti a suffragio universale e in proporzione alla popolazione dei territori. Questo fece si che oltre tre quarti dei seggi provenissero dalla Prussia, dove il sistema elettorale a tre classi era ancora in vigore, quindi anche se il parlamento era una concessione alla “democrazia” nei fatti continuava ad essere uno strumento del cancelliere. Le previsioni di Bismarck erano esatte, alla prima riunione, avvenuta il 24 febbraio 1867 per ratificare la costituzione confederale, il parlamento contava 203 deputati di stampo conservatore sui 297 di cui era composta l’assemblea.

Il controllo che Bismarck era in grado di esercitare sull’esecutivo, la preminenza prussiana negli organi confederali, l’esistenza di un parlamento consultivo e l’indipendenza solo apparente degli stati membri della confederazione, crearono un sistema che aveva tracce di federalismo e democrazia, ma che in realtà era gestito centralmente, perché tutte le decisioni fondamentali sarebbero passate per la cancelleria confederale a Berlino, che era controllata costituzionalmente dalla Prussia, mentre l’amministrazione veniva affidata alla burocrazia che pure aveva il suo centro nella capitale prussiana. Il parlamento della confederazione confermò la ratifica definitiva della costituzione confederale il 16 aprile 1867, con 230 voti favorevoli e 53 contrari.

In Prussia l’unica opposizione alla costituzione confederale giunse, incredibilmente, dal ministro della guerra Von Roon, il quale si era dimesso per protesta contro l’articolo 53. Il quale recitava che in caso di guerra la marina confederale sarebbe stata sottoposta al comando prussiano, ma che tutti gli uomini e le navi sarebbero stati considerati al servizio della confederazione, quindi la marina avrebbe battuto la bandiera nera-bianca-rossa confederale, anziché quella prussiana. Von Roon incarnava il sentimento di gran parte delle forze armate prussiane, strettamente legate alla bandiera di Federico il Grande e Koniggratz, che avevano sconfitto le armate del Sacro Romano Impero e della Confederazione Germanica. Ma Bismarck impose al ministro di accettare la nuova costituzione e le forze armate dovettero sacrificarsi, anche se questo voleva dire comunque avere al proprio comando un esercito e una marina più grandi.

 

Gli anni tra il 1866 e il 1870 videro in Germania il consolidamento del sentimento nazionale e dell’idea che la costruzione dello stato nazionale passava attraverso l’egemonia prussiana, Bismarck era conscio di questi eventi e la situazione interna degli stati tedeschi giocava a suo favore. Un ulteriore passo verso l’unificazione del paese avvenne con la nascita dell’unione doganale nel 1867. Dopo la guerra delle sei settimane gli stati tedeschi credevano che il vecchio Zollervein si sarebbe spaccato in due sistemi economici separati, con grave danno per entrambe le parti del paese. Bismarck decise di impedire che ciò avvenisse, lo Zollervein era servito per avvicinare economicamente e politicamente gli stati membri, ma le differenze regionali continuavano a sussistere, bisognava perciò superare la semplice unione doganale arrivando ad un mercato unito a livello nazionale, sia dal punto di vista fiscale che economico. Nacque così un nuovo trattato doganale, firmato da tutti gli stati tedeschi che creò un consiglio doganale federale e un parlamento doganale per tutta la Germania, i membri del consiglio erano nominati dai governi, i membri del parlamento per il nord erano i deputati del parlamento della confederazione e per il sud i deputati locali. La Prussia manteneva la presidenza della nuova Unione doganale federale e si garantiva il diritto di veto contro le decisioni prese dai due organi, sancendo ulteriormente la leadership economica nata dalla fondazione dello Zollverein. Fu un passo importantissimo verso l’unificazione di tutta la Germania, perché fu la prima volta che un parlamento “piccolo tedesco”, quindi comprendente tutti gli stati tedeschi tranne l’Austria, si riuniva per esercitare un potere legislativo esteso a tutti gli stati unitariamente. Inoltre l’unione doganale con l’abolizione dei dazi interni agli stati facilitò ulteriormente l’unificazione economica, a cui farà seguito quella politica.

Il primo gennaio 1868 il mercato comune entrò in vigore in tutti gli stati tedeschi e il 27 aprile si riunì la nuova dieta doganale, nella quale era forte la presenza di deputati democratici e anti-prussiani, perché nel sud della Germania le elezioni s’erano svolte senza criteri censitari, quindi in Baviera e Baden le fazioni democratiche erano prevalse, con grande disappunto di Bismarck e di coloro che speravano che fosse già possibile un’annessione del sud al nord.

All’integrazione economica fece seguito anche quella militare, fra il 1867 e il 1868 molti stati della confederazione del Nord fusero i loro eserciti con quello prussiano e gli stati che mantennero armate autonome coordinarono gli stati maggiori e iniziarono a condurre esercitazioni congiunte con quelle delle armate prussiane.

Le basi politiche dell’unificazione erano state gettate, la Germania aveva un parlamento comune, anche se al momento solo su questioni economiche, mentre l’esercito nazionale stava nascendo, grazie anche all’adozione della coscrizione obbligatoria in tutti gli stati del futuro Reich. L’unico problema che si poneva di fronte a Bismarck era cercare il catalizzatore che avrebbe fuso tutti questi elementi in un'unica vera nazione, ovviamente l’unico fatto di questo tipo poteva essere solo un nuovo conflitto, con l’ultimo nemico che si poneva tra la Bismarck e la nascita del secondo impero: la Francia di Napoleone III.

 

13. La strada per l'impero: i rapporti franco-prussiani dal 1866 al 1870

 

Napoleone III aveva più volte guardato con preoccupazione all’espansione prussiana, l’imperatore tuttavia aveva sottovalutato la minaccia costituita dalla nascente potenza tedesca perché questa aveva indebolito l’Austria, che egli considerava la grande rivale per l’egemonia continentale. Dopo la vittoria prussiana del 1866 il quadro generale era definitivamente cambiato, Napoleone doveva fare i conti con una Prussia in ascesa, che poteva rimpiazzare la Francia nel ruolo di ago della bilancia europea. Inoltre Napoleone mirava ad espandere il territorio francese in due direzioni: in Belgio, magari annettendo il piccolo regno, e in Germania, sottraendo parte dei territori renani alla Prussia, oppure nel meridione al Baden e alla Baviera.

Bismarck era conscio che tutti questi elementi giocavano a suo favore, infatti nel 1868 Baviera e Baden firmarono con la Prussia un patto di mutua assistenza, il che vincolava i tre stati, e conseguentemente tutti gli stati tedeschi, a combattere contro eventuali aggressioni straniere. A questo punto il cancelliere doveva solo provocare un conflitto in cui la Francia avesse avuto il ruolo dell’aggressore, le conseguenze che avrebbe avuto gli erano ben chiare sin dal 1868, tanto che dichiarò: “Secondo i miei calcoli una tale crisi si verificherà tra due anni circa. Ovviamente dobbiamo essere prepararti a una tale evenienza, e lo siamo anche. Vinceremo noi, e l’esito sarà quindi l’unificazione dell’intera Germania a esclusione dell’Austria e, probabilmente, anche il crollo di Napoleone”, si potrebbe definire il pensiero di Bismarck una vera e propria profezia.

Nel 1866 i prussiani avevano rifiutato di cedere alle richieste territoriali della Francia, allora le intenzioni francesi d’espansione s’erano concentrate verso altri territori a cavallo tra Prussia e Francia: il Belgio e il Lussemburgo. Napoleone era impegnato in un’attiva politica d’espansione coloniale e quindi doveva evitare d’inimicarsi la Gran Bretagna, la quale era garante dell’indipendenza belga, questo finì con l’orientare le pretese di Napoleone verso il piccolo Granducato di Lussemburgo.

Il ducato era parte del Regno d’Olanda, ma fino al 1866 era stato territorio della Confederazione tedesca, quando la confederazione s’era sciolta il ducato era sfuggito al controllo della Confederazione del Nord. Napoleone III propose al re d’Olanda l’acquisto del ducato, il quale era ancora presidiato dalle truppe prussiane dopo la guerra contro l’Austria.

La reazione di Bismarck non si fece attendere, egli fece chiaramente intendere al re d’Olanda che non avrebbe consentito la vendita del ducato e a Napoleone che se avesse annesso con la forza il Lussemburgo ciò avrebbe significato la guerra. La situazione tuttavia venne risolta dalla mediazione delle grandi potenze (Austria, Inghilterra e Russia) che proposero un compromesso: i prussiani avrebbero sgombrato il Lussemburgo e la Francia non lo avrebbe annesso, lasciandolo neutrale e sotto il controllo dell’Olanda. Le parti in causa accettarono e Bismarck riuscì per l’ennesima volta a mandare in frantumi i progetti di Napoleone, contribuendo pesantemente al peggioramento dei rapporti tra Berlino e Parigi.

La crisi del Lussemburgo fece capire a Bismarck che la Prussia doveva assicurarsi la neutralità delle altre potenze europee prima di scendere in campo contro i francesi. L’Austria era estremamente ostile ai prussiani, ma alcuni fattori indussero l’imperatore Francesco Giuseppe a tenere un atteggiamento neutrale nei confronti della Prussia. L’impero austriaco, dopo il 1866, aveva attraversato una profonda ristrutturazione interna, che l’aveva trasformato nell’impero austro-ungarico, il che aveva ovviamente indebolito temporaneamente la capacità dell’Austria di agire sugli scenari europei. Inoltre la Francia aveva coinvolto l’Austria nella creazione di un impero, retto da un Asburgo, in Messico. Quando nel 1867 Massimiliano d’Asburgo, fratello di Francesco Giuseppe, venne ucciso dai rivoluzionari messicani, gli austriaci persero qualunque fiducia nella Francia e sulla sua affidabilità come amica e alleata. L’imperatore austriaco quindi garantì ai prussiani la sua neutralità nell’eventuale conflitto franco-prussiano, anche se questo contrastava con i sentimenti di molti, primi fra tutti quelli dei militari che cercavano la rivincita della sconfitta subita nel 1866.

La Russia aveva un atteggiamento assai più conciliante verso la Prussia, memore della neutralità di Berlino durante la guerra in Crimea, dell’aiuto offerto nel corso della rivolta polacca e dell’appoggio di Napoleone III alla stessa rivolta, aveva un tono assai amichevole nei confronti di Bismarck e dei suoi propositi. Inoltre sia lo Zar Alessandro II che Bismarck erano sostenitori del legittimismo e quindi ostili ad un “parvenue” quale era Napoleone III. Infine Bismarck propose ai russi la revisione del trattato di Parigi del 1856, che impediva loro di schierare una flotta nel Mar Nero, in cambio dello schieramento di un’armata in Galizia, che tenesse occupata la mente degli austriaci, evitandogli di compiere colpi di mano contro la Prussia, quando quest’ultima avesse combattuto i francesi.

La Gran Bretagna era invece in una situazione assai ambigua, i liberali di Gladstone al potere guardavano con antipatia sia a Napoleone III che a Bismarck, al primo perché minacciava l’egemonia coloniale inglese e al secondo perché antiliberale, questa pari antipatia associata ai tagli alle spese militari che il paese stava effettuando indusse gli inglesi a rimanere neutrali, nel caso dell’Inghilterra si potrebbe sostenere che Bismarck ebbe più fortuna che merito, ma certamente il cancelliere era a conoscenza della situazione interna britannica e seppe sfruttarla a suo vantaggio.

Il 1870, l’anno decisivo per l’unificazione tedesca, si aprì con un’ennesima crisi internazionale: la crisi di successione spagnola. Nel settembre 1868 la regina Isabella II era stata rovesciata da una rivoluzione popolare e s’era rifugiata in Francia. Gli spagnoli nei due anni successivi cercarono una soluzione alla crisi e optarono per chiamare una nuova dinastia sul trono, a tal scopo Bismarck, candidò, nell’aprile 1870, Leopoldo di Sigmaringen-Hohenzollern, un parente del re Gugliemo,  alla corona di Spagna. La reazione francese fu vigorosa, l’opinione pubblica si rinsaldò intorno a Napoleone III temendo che il paese potesse essere accerchiato dai territori di una dinastia nemica, come ai tempi di Carlo V. La tensione indusse la dinastia prussiana a ritirare il suo candidato, anche perché il re Guglielmo voleva evitare una guerra e così impose a Leopoldo di rinunciare alle pretese sul trono spagnolo.

Bismarck rimase scioccato dall’imposizione fatta dal sovrano e meditò di dimettersi, perché la rinuncia di Leopoldo poteva significare il fallimento della sua politica di scontro con la Francia, tuttavia prima di rinunciare al suo incarico il cancelliere provò a convincere il sovrano prussiano a concedere al nipote il suo benestare per la candidatura. La mossa di Bismarck ebbe successo e il 21 giugno 1870 il re Guglielmo annunciò ufficialmente la candidatura di Leopold al trono di Spagna: la scintilla che doveva condurre alla guerra era stata innescata definitivamente. Il governo francese cominciò a maturare l’idea di dichiarare guerra alla Prussia e anche Bismarck sperava che il conflitto si innescasse subito, ma a impedire che il governo prussiano potesse dichiarare guerra c’era ancora l’atteggiamento ambiguo della casata Hohenzollern.

Il re, anche se aveva accettato le proposte di Bismarck per la Spagna, spingeva il principe Leopold a rinunciare al trono per evitare una guerra, il 12 luglio Bismarck ricevette la notizia che il Sigmaringen aveva rinunciato al trono spagnolo definitivamente, poteva essere il definitivo fallimento del cancelliere nel ricercare la guerra con la Francia. La fortuna tuttavia giocava dalla parte di Bismarck, il giorno successivo alla rinuncia il ministro degli esteri francese Gramont ordinò all’ambasciatore a Berlino, Benedetti, di recarsi a Ems presso il re Guglielmo, dal quale doveva ottenere una promessa verbale che la candidatura di Leopold non sarebbe stata più ripresentata. Nel corso del colloquio il sovrano disse che non poteva prendere un impegno così importante col governo francese all’improvviso e senza consultarsi con i suoi ministri, poi successivamente comunicò a Benedetti che non aveva intenzione di riceverlo ulteriormente e che con la rinuncia di Leopold al trono considerava la questione chiusa e che non aveva altro da comunicare.

Bismarck approfittò della situazione, fece pubblicare una versione del colloquio fra il re e l’ambasciatore che divenne nota come “dispaccio di Ems”, nella quale i toni delle richieste francesi vennero inaspriti, fino a farli sembrare delle vere e proprie provocazioni. L’escamotage funzionò, nell’opinione pubblica tedesca si creò l’idea che la Prussia fosse vittima di un ultimatum francese, mentre il governo francese fallì nell’ottenere le promesse desiderate e decise di dichiarare guerra alla Prussia, ritenendo che fosse l’unica strategia possibile per tutelare i propri interessi. Il 19 luglio 1870 la dichiarazione di guerra francese fu consegnata al governo di Berlino e Bismarck la lesse immediatamente al parlamento, il quale la accolse esultando tra scroscianti applausi e grida d’approvazione.

 

14. La guerra franco-prussiana

 

La strategia di Bismarck aveva avuto successo: prima aveva isolato la Francia diplomaticamente e poi l’aveva indotta a dichiarare guerra alla Prussia, facendo in modo che il suo paese passasse per l’aggredito. La dichiarazione di guerra francese scatenò il nazionalismo in Germania, ben presto l’intero popolo tedesco ritenne di essere vittima dell’aggressione francese e perciò gli stati tedeschi, vincolati alla Prussia militarmente, si schierarono immediatamente dalla parte del potente regno settentrionale. Il 19 luglio, avendo saputo della dichiarazione di guerra, il parlamento di Monaco espresse parere contrario allaneutralità e re Luigi II dichiarò che la Baviera sarebbe scesa in guerra con la Prussia. Il Reichstag della Confederazione del Nord votò i crediti per la guerra all’unanimità, nessun deputato osò opporsi all’esercito, nonostante negli anni precedenti i contrasti tra parlamento e forze armate fossero stati accesi a causa della costosa politica di espansione voluta dal governo. Gli eserciti di tutta la Germania si posero sotto il comando della Prussia, in un’atmosfera che ricordava più una guerra di liberazione nazionale che una campagna militare tra grandi potenze, era questa la differenza tra la guerra del 1866 e quella del 1870.

Il piano prussiano, elaborato da Von Moltke, prevedeva di dividere l’esercito in tre armate (1a, 2a e 3a), partendo dalla regione della Saar avrebbero dovuto accerchiare l’esercito francese, schierato a difesa dell’Alsazia-Lorena. Purtroppo i generali prussiani, nell’entusiastica ricerca di una vittoria personale, si lanciarono contro i francesi troppo in fretta e nonostante Moltke riuscisse a sconfiggere MacMahon a Wissembourg, il primo tentativo di accerchiamento dell’esercito nemico fallì. Il generale francese si ritirò verso ovest con il grosso della sua armata, schierandosi attorno a Rheims in attesa, Moltke allora decise di spaccare lo schieramento nemico, spingendo la III armata francese di Bazaine, schierata in Lorena, a trincerarsi a Metz, isolandola dalle truppe di a ritirarsi verso nord per trincerarsi intorno alla città di Metz, il piano di Moltke stava avendo successo, grazie all’incalzamento che la 2a armata prussiana operò nei confronti di Bazaine.

Napoleone III raggiunse Mac Mahon presso Rheims, qui osservata la situazione strategica decise che l’armata di Bazaine rischiava di essere distrutta e che se ciò fosse avvenuto, i prussiani avrebbero avuto la strada sgombra per avanzare verso Parigi. Mac Mahon credeva diversamente, secondo il maresciallo francese bisognava aspettare che la mobilitazione francese fosse completa, per poi ingaggiare uno scontro con i prussiani. Tuttavia Napoleone impose il suo punto di vista e decise di marciare da nord-ovest (via Sedan) per soccorre Bazaine a Metz.

La manovra di Napoleone fu anticipata da Von Moltke, che muovendosi in rapidamente riuscì ad accerchiarlo a Sedan con la 1a e 3a armata. Dopo due giorni di scontri (31 agosto – 2 settembre) i francesi furono costretti ad arrendersi, i prussiani catturarono Napoleone III assieme a 118.000 uomini. Il giorno successivo l’armata (la 2a ) prussiana comandata dal principe Carlo Federico completò l’accerchiamento di Metz, dove i 140.000 uomini dell’armata di Bazaille rimasero assediati fino alla loro capitolazione, avvenuta il 23 ottobre 1870.

Il giorno dopo la cattura di Napoleone III a Parigi scoppiò un’insurrezione e in brevissimo tempo fu proclamata la repubblica, mentre il popolo parigino si dichiarava a favore della “guerra a oltranza”. Tuttavia la situazione militare francese era disperata, delle due armate che erano state costituite all’inizio del conflitto una era stata distrutta a Sedan e l’altra era sotto assedio a Metz. I prussiani poterono marciare con la 1a e la 3a armata su Parigi, che venne accerchiata il 19 settembre e messa sotto assedio. Il nuovo governo francese tuttavia riuscì a mantenere il controllo di gran parte del territorio nazionale e riuscì a portare a termine la mobilitazione di 600.000 uomini, ma i tentativi di liberare la capitale dall’assedio fallirono e Parigi si arrese alle truppe prussiane il 28 gennaio 1871.

Bismarck dal canto suo non era disposto a trattare la pace con dei rivoluzionari e perciò pretese che si costituisse un governo legittimo col quale firmare i trattati. L’8 febbraio venne eletta un’assemblea nazionale a maggioranza conservatrice, che si riunì a Bordeaux, mentre Thiers veniva nominato a capo del governo francese.

 

 

 

15. L’impero di Germania

 

Il 5 ottobre 1870 il cancelliere della Confederazione del Nord si stabilì a Versailles, da qui decise di dirigere i lavori per la definitiva unificazione della Germania. Venne convocata una conferenza con gli stati tedeschi del sud per discutere l’adesione alla Confederazione del Nord. Il Baden si mostrò relativamente disponibile a cedere la propria sovranità, maggiori resistenze vennero dal Wurttemberg e soprattutto dalla Baviera, nella quale esisteva un forte sentimento patriottico legato all’identità bavarese, molto diversa da quella prussiana.

Bismarck nel corso di lunghe trattative riuscì a convincere i delegati bavaresi ad aderire ad un nuovo organismo confederale pan-tedesco, che avrebbe adottato una costituzione ricalcata dal modello di quella della Confederazione del Nord, minacciando in caso di rifiuto bavarese di isolare il paese. Tuttavia il cancelliere si mostrò assai conciliante, la Baviera era il più forte stato tedesco dopo la Prussia, decise di cedere ai bavaresi ampi privilegi politici fra cui la presidenza della commissione affari esteri della nuova confederazione, la sovranità militare in tempo di pace, poste e ferrovie indipendenti dal sistema tedesco. Il 23 novembre 1870 il trattato di adesione della Baviera venne sottoscritto a Versailles, tuttavia ci furono accesi dibattiti nel paese alpino circa la sua ratificazione. Il parlamento bavarese riuscì ad approvare il trattato solo il 21 gennaio 1871, con 102 voti favorevoli e 48 contrari.

Ben presto sia i sovrani tedeschi che Bismarck si convinsero che il potere sull’intera Germania potesse essere incarnato solo da una figura che andasse al di sopra del re della Prussia: un imperatore, che oltre ad essere re del più potente stato tedesco, fosse anche rappresentante dell’integrità e della grandezza della nuova Germania. Il problema rimaneva che re Guglielmo non avrebbe mai accettato una corona basata sulla sovranità popolare, come quella offerta a Federico Guglielmo IV nel 1849. Bismarck trovò la soluzione, il re di Baviera avrebbe dovuto offrire la corona imperiale al re di Prussia, a nome di tutti i principi tedeschi, così Guglielmo sarebbe diventato il primo imperatore della Germania unita. Questo inoltre avrebbe facilitato la transizione dei poteri dai vari sovrani all’imperatore, perché non sarebbe stato più il semplice sovrano della Prussia, uno dei tanti stati della nuova nazione, ma l’imperatore di tutti i tedeschi.

Il re Luigi inizialmente si dimostrò restio a concedere questo privilegio al re di Prussia, ma Bismarck, facendo leva sulle difficoltà finanziarie che la casata reale bavarese attraversava, riuscì a convincere il Wittelsbach a fare quanto il cancelliere aveva programmato. Fu così che il 3 dicembre 1870 Guglielmo I ricevette una lettera del re Luigi, che lo pregava di accettare assieme alla presidenza della nuova confederazione anche il titolo imperiale.

Mentre Bismarck procurava la nuova corona al suo sovrano, il parlamento della Confederazione del Nord dibatteva i trattati di unione con gli stati del sud, il 9 dicembre vennero ratificati, quasi all’unanimità, quelli del Baden, del Wurttemberg e dell’Assia. Il trattato della Baviera richiese più tempo per essere ratificato perché molti deputati conservatori non accettavano gli ampi privilegi concessi a Monaco, tuttavia alla fine il trattato venne approvato anche se con ben 32 voti contrari. Il giorno successivo nella costituzione della confederazione comparve la nozione di “Deutsches Reich” (impero tedesco) e quella di “Deutsches Kaiser” (imperatore tedesco).

Il 18 dicembre 1870 una delegazione del Reichstag consegnò a Guglielmo I, presso Versailles, la petizione nella quale si chiedeva al re di Prussia di diventare Imperatore tedesco, per governare la neonata Germania. Guglielmo avrebbe preferito la definizione di Imperatore dei tedeschi, che avrebbe segnato una sua posizione di dominio su tutta la Germania e non il grado di “primus inter pares” tra i sovrani tedeschi, ma dovette cedere all’impossibilità di ottenere questo titolo.

Il 18 gennaio 1871, esattamente a 170 anni dalla fondazione del regno di Prussia, nella sala degli specchi di Versailles Gugliemo I venne incoronato imperatore alla presenza di tutti i capi di stato della Germania unita.

Mentre veniva edificata la struttura confederale del nuovo impero la guerra contro la Francia proseguì, Parigi capitolò dieci giorni dopo l’incoronazione e poco dopo iniziarono le trattative di pace tra Thiers e Bismarck, che giunsero ad un accordo il 10 maggio. La Francia perdette l’Alsazia e parte della Lorena, che vennero inserite nell’impero tedesco, inoltre il paese sarebbe stato sottoposto all’occupazione tedesca fino al completo pagamento di un’indennità di guerra di 5 miliardi di franchi, mentre la Francia sprofondava in una guerra civile che vedeva da un lato il governo conservatore di Thiers e dall’altro i rivoluzionari della comune parigina (proclamata il 26 marzo) e i pochi rivoltosi che fuori dalla città vi aderirono, ma questo non riguardava la Germania che ormai aveva portato a termine il suo obbiettivo: la costruzione di un impero nazionale.

Il 21 marzo 1871 a Berlino, nel castello della città, venne aperto il primo parlamento della nazione tedesca: il Reichstag, con una solenne dichiarazione Bismarck annunciò “Per ordine di Sua Maestà, l’imperatore e a nome dei governi alleati dichiarò aperto il Reichstag!”, la struttura del secondo Reich aveva preso forma. L’imperatore era posto a “presidenza” di un’unione di stati, che era il frutto di un compromesso tra i governi degli stessi, il parlamento aveva in linea teorica una funzione limitata e questo fu causa di ripetuti scontri con Bismarck che divenne cancelliere del governo imperiale, carica che mantenne fino al 1890.

 

16. Conclusioni

 

La storia dell’unificazione tedesca, come abbiamo potuto osservare, è lunga oltre cinquant’anni. Nel corso di questo periodo furono molte e molto diverse, le forze che si proposero di unificare il Reich, dapprima i rivoltosi liberal-democratici del 1848 proposero la creazione di un impero basato sulla sovranità popolare. In seguito furono gli Asburgo a proporre la creazione di un gigantesco impero mittle-europeo che fondesse la Germania con i domini extra-tedeschi dell’Austria, fallendo anch’essi come i liberali rivoluzionari. Solo la Prussia, con la sua peculiare struttura politica e grazie al cambiamento dei rapporti di forza, riuscì nell’impresa, dapprima creando l’unità economica, poi un “campo di prova” (la Confederazione del Nord) per il funzionamento strutturale dell’unità politica e infine generando il senso di nazione nei tedeschi, lottando contro il secolare nemico della Germania. Il Reich che sorse dalla politica di Bismarck, il quale ne segnò la struttura profondamente con la sua azione e che quindi può essere considerato il “fondatore dell’impero”, era un impero nazionale con una struttura federale, quest’ultima volta a garantire autonomia ai signori degli stati tedeschi, da sempre gelosi delle loro prerogative di potere.

Al cancelliere di ferro, così fu soprannominato, va riconosciuto anche il merito di aver giocato secondo le regole della "Real Politik" quando scelse di rimanere amico della Russia nel 1854 e di isolare la Francia nel 1870, il segno del genio politico che possedeva stava nell'essere riuscito a impedire per la prima volta nella storia tedesca l'intervento delle potenze europee in un conflitto interno alla Germania, tutto ciò grazie alla sua lucida capacità di calcolo delle reazioni diplomatiche dei suoi avversari.

L’integrazione voluta dalla Prussia fu un prodotto riuscito, perché frutto del compromesso tra le varie tensioni che si scontravano nella Germania del XIX secolo: il nazionalismo e il particolarismo, l’autocrazia e la democrazia, il pan-germanesimo e l’omogeneità nazionale. Il compromesso fu un’arte che riuscì molto bene grazie al genio politico di Bismarck, il quale riuscì a programmare la costruzione del successo prussiano passo dopo passo, con un’abilità di calcolo innata nel comprendere il comportamento di quelli che di volta in volta furono i suoi rivali, il cancelliere seppe condurli esattamente allo scopo che si prefiggeva per loro. La neonata Germania era una creatura incredibilmente stabile, per essere figlia di tanti compromessi, che avrebbe avuto una vita certamente più lunga se la politica bismarckiana di controllo delle potenze avversarie avesse avuto un seguito durante l’impero di Guglielmo II.

 

 

Bibliografia:

Franz Herre – Bismarck

Franz Herre – Metternich

Alan Palmer – Francesco Giuseppe, il lungo crepuscolo degli Asburgo

Henri Welschinger – La guerre de 1870, causes et responsabilités

George Duby – Storia della Francia, Vol. II

Pierre Milza – Napoléon III

Heinrich Lutz – Tra Asburgo e Prussia, la Germania dal 1815 al 1866

Poidevin/Schirmann – Storia della Germania

Eric J. Hobsbawm – Il trionfo della Borghesia 1815-1875

Gugliemo Ferrero – Il congresso di Vienna

Greg King – Ludwig, genio e follia di un Re

 

Le opere qui riportate sono a scopo indicativo e costituiscono solo una parte delle fonti del presente scritto.

 

 

 

 

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