1815-1846

Una breve panoramica dei moti che scossero l’Europa prima del 1848

 

 

Prime crepe

 

Le tre gloriose, Mazzini e il Belgio indipendente

 

Le tensioni sociali nel Regno Unito

 

 

Vienna: cardini di un sistema sbagliato

 

Gli anni dopo il congresso di Vienna (1815) furono assai traumatici per l’Europa, il mondo era stato scosso dalla rivoluzione francese prima e dalle guerre napoleoniche poi, nuove idee si erano diffuse fra le quali due erano ormai entrate nell’immaginario collettivo: la prima era la cessazione del diritto di vino come giustifica del potere monarchico, la seconda era la necessità di una costituzione che aveva il dovere di tutelare tutti indistintamente in quanto cittadini di una nazione.

I plenipotenziari riunitisi a Vienna, purtroppo per i loro sudditi,  erano dell’idea che il mondo potesse tranquillamente continuare sulla via del dispotismo assoluto e della società per ceti.

Le scelte che quindi compirono, ovvero ignorare il nascente nazionalismo, e ignorare le richieste di un sistema costituzionale; con l’eccezione della Francia, dove il nuovo re Luigi XVIII concesse una costituzione moderata nel 1814, e della Gran Bretagna che aveva una costituzione, la Magna Charta, sin dal medioevo e un sistema parlamentare già altamente evoluto; condussero nel trentennio successivo a una sequela di rivolte, rivoluzioni e vere e proprie guerre civili in quasi tutti i paesi europei. Il nuovo ordine europeo, o meglio il vecchio ordine restaurato, prevedeva il controllo delle grandi potenze su tutti i fenomeni rivoluzionari, anche in paesi terzi, allo scopo di impedire che si generasse un movimento rivoluzionario pan-europeo. Le grandi potenze inoltre si garantivano quindi il diritto di un intervento militare repressivo in caso di rivolta, e stabilivano di fatto una serie di alleanze contro i sommovimenti rivoluzionari: la santa Alleanza fra Russia, Austria e Prussia e la quadruplice che oltre alle tre precedenti nazioni comprendeva anche l’Impero Britannico. La carta politica dell’Europa inoltre era stata modifica per creare nuovi stati cuscinetto attorno alla Francia, come il Regno dei Paesi Bassi comprendente l’Olanda e le Fiandre (sottratte all’impero austriaco che però aveva ottenuto il Veneto in Cambio), il Piemonte veniva rafforzato e tutte le potenze garantivano l’indipendenza della confederazione svizzera. Il cancelliere austriaco Metternich, il leader indiscusso della conferenza, aveva poi particolarmente a cuore due questioni: la prima era la ristrutturazione della Germania in una confederazione facente capo all’imperatore austriaco, la seconda era la divisione dell’Italia in staterelli filo-asburgici. Inoltre venivano fatti valere in tutta Europa i principi del legittimismo, ovvero tutti i monarchi o loro successori spodestati dalla rivoluzione e da Napoleone dovevano tornare ai loro troni.

 

Cominciano a mostrarsi le crepe

 

Era un sistema tutto sommato troppo complicato per poter funzionare davvero, la collaborazione fra le grandi potenze venne meno quando i loro interessi si trovarono in contrasto e ben presto la Gran Bretagna scelse di chiudersi nello “splendido isolamento” che la allontanò dalle vicende continentali. Le prime crepe cominciarono a mostrarsi negli anni fra il 1820 e il 1821 quando una serie di rivolte, con scarsa partecipazione popolare ma con grande impegno di intellettuali e militari delle associazioni segrete che prosperavano nel continente, portò ad agitazioni rivoluzionarie in Spagna, nel Regno di Napoli e in Piemonte.

Fu nella penisola iberica che si aprì la stagione rivoluzionaria del 1820, la Spagna stava vivendo una difficile situazione, le colonie americane infatti avevano approfittato dell’invasione napoleonica per ribellarsi alla madre patria, con la restaurazione il re Ferdinando VII aveva naturalmente cercato di riprendere il controllo della situazione in America. Fra i provvedimenti presi da Ferdinando inoltre c’era la revoca della costituzione del 1812, concessa a Cadice su modello di quella inglese durante l’occupazione napoleonica. Le truppe spagnole di stanza a Siviglia pronte a imbarcarsi alla volta del nuovo mondo per riprenderlo ai ribelli, scelgono di rivoltarsi contro il re reazionario che c’è sul trono, costringendolo a riapprovare la vecchia costituzione. Nei tre anni successivi i liberali spagnoli cercarono di riformare il paese, proponendo trasformazioni in senso moderno fra cui una burocrazia centralizzata e un esercito nazionale moderno. Tuttavia l’ostilità del re e dei reazionari era manifesta e l’atteggiamento anti-cattolico dei governanti liberali finirono con spianare la strada all’intervento straniero. Il 24 maggio 1823 centomila soldati francesi varcarono le frontiere, dopo aver preso Madrid e sconfitti i liberali rifugiatisi a Cadice ripristinarono il regime di Ferdinando VII e il 1 Ottobre 1823 la costituzione venne abolita.

 

Nel Piemonte si trattò di agitazioni promosse dalla carboneria che terminarono in una rapida repressione. Nel regno di Napoli accadde cosa analoga solo che a intervenire furono gli austriaci, va detto riguardo ai moti italiani del ’20 che furono caratterizzati dalla richiesta di spazi costituzionali più che da motivi nazionali, solo la carboneria piemontese rivendicava apertamente guerra all’Austria e unità nazionale come obbiettivi primari. I moti furono tuttavia assai limitati dal punto di vista della partecipazione popolare, mentendosi all’interno delle associazioni segrete o degli alti circoli militari filo-liberali.

 

L’unica rivolta del periodo che ebbe successo fu quella dei greci che chiedevano l’indipendenza. Nel 1820 la società segreta Eteria, costituita in larga parte da ufficiali dell’esercito turco di origine greca determinati a disertare, scatenò una serie di sommosse allo scopo di ottenere l’indipendenza chiedendo aiuto alle potenze occidentali. La guerra che ne conseguì fu lunga dieci anni, alla fine le potenze occidentali (Russia, Gran Bretagna e Francia) si decisero a intervenire,dopo aver sconfitto la flotta turca a Navarino le tre potenze imposero il trattato di Adrianopoli alla Turchia, la quale concedeva l’indipendenza alla Grecia e ratificava l’occupazione inglese delle isole Ionie.

L’ondata rivoluzionaria del ’20-’21 tutto sommato non aveva sconvolto il sistema europeo elaborato dal congresso viennese, ma appena dieci anni dopo tutto sarebbe stato messo in discussione da una nuova ondata rivoluzionaria che stavolta potè contare su una larga partecipazione dei ceti medi e degli abitanti delle città interessate dalla rivolta.

 

La prima città a sollevarsi nel 1830 fu Palermo, i siciliani chiedevano indipendenza per la loro isola dal regno di Napoli, ma ben presto il centro degli avvenimenti rivoluzionari divenne la capitale della Francia, Parigi.

 

Le tre gloriose, Mazzini e la romagna e il Belgio indipendente.

 

Dopo la morte di Luigi XVIII al trono di Francia era asceso il re Carlo X, questi in barba alla politica moderata del suo predecessore aveva intrapreso una politica di tipo reazionario cercando di demolire poco a poco i diritti sanciti dalla costituzione del 1814. Oltretutto fra gli obbiettivi dichiarati del sovrano francese e del suo primo ministro il principe di Polignac, c’era quello di risarcire le famiglie aristocratiche danneggiate dalla rivoluzione del 1789; si trattava di una svolta conservatrice che i francesi mal sopportarono, infatti alle elezioni del 1830 a trionfare furono i liberali. Preoccupato che la situazione potesse portare ad una richiesta di allargamento della costituzione o che addirittura si paventasse la possibilità di un abbattimento del regime monarchico il re decise di sciogliere il parlamento. Il 25 Luglio il re era ormai convinto che la causa dell’opposizione al suo regime dispotico fosse la propaganda fatta dalla stampa liberale, così decise la revoca della costituzione e la sospensione della libertà di stampa. La reazione del popolo parigino non si fece attendere in quelle che furono definite le “tre gloriose”, in riferimento alle giornate del 27, del 28 e del 29 Luglio, il re fu costretto ad abdicare dalla sommossa parigina. Una sommossa alla quale presero parte bene o male tutti i ceti sociali, in quanto l’opposizione al sovrano reazionario attraversava trasversalmente la società francese. Il 30 Luglio i rivoltosi, sotto la guida del futuro presidente della repubblica (1870-1873) Thiers, redassero un manifesto a favore dell’ascesa al trono di Luigi Filippo duca d’Orleans, il 3 Agosto le camere si riunirono e dopo quattro giorni di dibattito, il 7 Agosto, Luigi Filippo fu nominato, con un voto a larga maggioranza, re di Francia.

Il nuovo re incarnava non poco le aspirazioni dei liberali che lo posero sul trono, figlio di un regicida che era stato ghigliottinato dai girondini durante la prima rivoluzione, aveva servito nell’esercito rivoluzionario combattendo nella battaglia di Jemappes, dopo negli anni di Napoleone visse in esilio presso la corte di Napoli dove sposò la principessa Maria Amelia. Il re appariva come un sovrano-cittadino e godeva di grandissimo credito presso la borghesia parigina che sostanzialmente fu la principale promotrice della sua ascesa al trono.

 

Sulla scia del incredibile successo della rivoluzione di Luglio, in meno di un mese il regime restauratore di Carlo X era crollato come un castello di carte, in Europa dilagarono i movimenti rivoluzionari.

 

La Polonia, che dalla fine del XVIII secolo era spartita fra Austria, Prussia e Russia, visse una vera e propria guerra di indipendenza, combattuta esclusivamente nei territori polacchi dell’Impero russo, che richiese due anni di battaglie contro un esercito regolare polacco, alla lunga però la macchina bellica russa si dimostrò invincibile per i rivoltosi che non potevano essere aiutati da nessuna potenza straniera. La rivolta dei polacchi, e la conseguente sconfitta, costò loro tutta l’autonomia di cui avevano potuto godere dal ‘700 fino ad allora, lo zar impose un regime di stampo poliziesco e costrinse gli intellettuali polacchi, i veri animatori della rivolta, a emigrare nel resto del mondo, specialmente in Francia e Inghilterra.

 

In Italia i moti furono caratterizzati dal medesimo insuccesso, cuore delle agitazioni rivoluzionarie del nostro paese fu la città di Bologna, qui Mazzini riuscì nel prendere la città e l’8 Febbraio 1831 a nome del governo provvisorio redasse i seguenti articoli:

Art. I   Il dominio temporale che il romano pontefice esercitava sopra questa città e provincia, è cessato di fatto, e per sempre di diritto

Art. II  Si convocheranno i comizi generali del popolo a scegliere i deputati, che costituiscano il nuovo governo.

Art. III Saranno pubblicate per l’esecuzione ciò le norme da seguirsi, tosto che sia noto, per l’unione imminente di altre città vicine, quale debba essere il numero dei deputati da scegliere, perché una legale rappresentanza nazionale cominci a esistere.

(In A, Vesi, Rivoluzione in romangna del 1831, Firenze 1851, p 15)

 

Essendo di pura ispirazione mazziniana gli articoli contengono riferimenti tipicamente democratici, anti-clericali e repubblicani, tuttavia il regime repubblicano che si riuscì di costituire in Romagna

fu assai breve e alla fine gli Austriaci, come avevano fatto nel regno di Napoli nel 1820-1821, intervennero ponendo fine alla rivolta. Va detto che questa dichiarazione di indipendenza della Romagna contiene il programma definitivo dei repubblicani e mazziniani dal punto di vista politico: democrazia e opposizione al papato temporale.

 

Le rivolte del ’30 – ’31 ebbero conseguenze più fortunate in Germania dove il principio della sovranità popolare divenne il motore delle rivolte in vari stati tedeschi, nel Braunschweig il sovrano, il duca Carlo, venne costretto ad abdicare e a essere rimpiazzato dal fratello Guglielmo dopo una rivolta popolare, il nuovo sovrano poi concesse una costituzione. Altrettanto furono costretti a fare i sovrani dell’Assia, della Sassonia e dell’Hannover, per evitare che toccasse loro la medesima sorte del duca di Braunschweig concessero costituzioni di stampo moderato. Persino la conservatrice Prussia fu sconvolta da moti, come quello di Berlino del 1830, di origine mazziniana, anche in Germania infatti aveva preso piede una sezione della Giovine Europa, l’organizzazione segreta pan-europea di Mazzini, detta Giovine Germania. Nel 1832 a Hambach in Baviera, decine di migliaia di persone manifestarono per una Germania repubblicana, unita e federale.

La conseguenza immediata delle agitazioni rivoluzionarie in Germania, specialmente quella di Hambach, fu quella di allarmare il cancelliere austriaco Metternich, questi nel 1834 indisse una conferenza a Vienna, nella quale sotto la guida di Austria e Prussia vennero redatti “sei articoli” con i quali i poteri dei parlamenti dei vari stati erano sottoposti al controllo della dieta di Francoforte, una misura che secondo il cancelliere avrebbe portato ad una riduzione dell’autonomia parlamentare, rendendo più solidi i governi reazionari degli stati tedeschi.

 

Il più importante cambiamento di questi anni tuttavia fu la nascita di un nuovo stato nella mittleuropa: il Belgio. Dopo il 1815 i territori del Belgio, in precedenza austriaci, furono concessi al regno dei Paesi Bassi per rafforzarsi in modo da divenire un più solido vicino della Francia. Gli abitanti delle Fiandre erano però assai ostili al governo olandese a causa delle differenze culturali che vi erano fra le due regioni. Le Fiandre infatti sono territorio popolato da cattolici e da gente di cultura prevalentemente francese, il regime protestante olandese non attirava le simpatie dei cattolicissimi belgi. Inoltre a partire dagli anni ’20 la regione era stata interessata da un relativo sviluppo industriale, grazie al progressivo apporto di capitali britannici che trovavano nella regione terreno fertile per l’impianto di un processo industriale simile a quello della madrepatria. Nell’Agosto del 1830 i delegati delle province belghe proclamarono la secessione dal regno dei Paesi Bassi, dopo una guerra di un anno le grandi potenze imposero il cessate il fuoco che di fatto garantì l’indipendenza della piccola nazione, la firma del trattato di Londra nel 1839 provvide alla sistemazione definitiva del territorio belga e alla garanzia di indipendenza del paese da parte della Gran Bretagna.

 

I moti del 1830 e 1831 misero in discussione alcuni pilastri del sistema viennese, alcuni paesi furono costretti a concedere costituzioni, altri invece riuscirono a proclamare la loro indipendenza, tuttavia le grandi potenze ne uscirono tutte, ad eccezione forse della Francia, sostanzialmente intatte. La partecipazione popolare era stata maggiore che in precedenza, ma non ancora totale come sarà nel 1848, inoltre anche questa volta come nel 1820 nella maggior parte dei casi il tutto si era risolto in una serie di fallimenti a causa della capacità delle grandi potenze di intervenire. Eppure il sistema come già detto mostrava le sue prime crepe, le quali sarebbero divenute evidenti fino a condurre al crollo appena diciassette anni dopo.

I moti continentali sono tutti caratterizzati delle medesime richieste: regime costituzionale, riconoscimento della sovranità popolare, indipendenza o unificazione di realtà nazionali frammentante. Ma leggermente diversa era la situazione in Gran Bretagna.

 

Il mondo già industriale: le tensioni sociali del Regno Unito.

 

Anche nel Regno Unito infatti gli anni ’30 furono un periodo difficile che condusse ad una serie di rivolte, specie da parte dei ceti popolari, che portavano avanti alcune istanze di cambiamento della società britannica. I moti inglesi che cominciarono negli anni’20 con la richiesta di pari diritti civili per i non-anglicani, proseguirono sino agli inizi degli anni’30. Nel 1832 sia i Whigs che i Tories, avvertirono la necessità di allargare la partecipazione elettorale, la quale tutto sommato rimase assai limitata anche dopo questa riforma, comprendendo infatti appena il 2,4% dei cittadini maschi. Inoltre la riforma manteneva le disparita fra le varie parti del regno, l’Inghilterra che deteneva il 54% della popolazione del Regno Unito forniva il 71% dei rappresentanti, l’Irlanda aveva un ruolo del tutto marginale. A questo squilibrio se ne aggiungeva un altro, il diverso peso delle sezioni elettorali, ad esempio i 349 elettori di Buckingam eleggevano tanti parlamentari quanti i 4172 di Leeds. Il sistema manteneva intatto il dominio della gentry della campagna sul parlamento estromettendo il proletariato urbano e anche gran parte della borghesia cittadina, causando così un notevole scontento.

Lungo tutto il corso degli anni ’30 si verificarono una serie di rivolte il cui motore ideologico fu la “carta del popolo”, un documento elaborato dalla London Working Man’s association, la quale articolava il suo programma politico in sei punti fondamentali: suffragio universale maschile, abolizione dei requisiti di censo, voto segreto, distretti elettorali e uniformi sul territorio nazionale, retribuzione dei parlamentari, legislature di durata annuale.  Il movimento che si creò attorno a questa carta fu detto “cartista” e fu il principale motore delle rivolte operaie che sconvolsero il paese negli anni’30, le rivolte ebbero centro nei grandi distretti industriali delle Midlands e a Londra, perché in queste aree il proletariato urbano si trovava a vivere in condizioni di forte disagio sociale a causa delle pessime condizioni di vita, la riprova della quali fu l’epidemia di colera del 1832 che uccise oltre 30.000 persone. Poco dopo questa mattanza, nel 1834, il parlamento votò una legge con la quale si trasferiva alle autorità locali il compito di garantire l’assistenza ai poveri, la conseguenza fu la penuria di fondi che condusse rapidamente ad un netto peggioramento dell’assistenza sociale, alimentando lo stato di tensione fino ad allora  manifestatosi nel paese. L’Inghilterra viveva una situazione assai difficile dal punto di vista sociale, ma assai diversa dal resto del continente, qui una democrazia c’era già e a chiedere maggiori spazi politici non era la borghesia imprenditoriale, come sul continente, ma la classe media e quella operaia che portarono per la prima volta all’emersione di un problema che poi avrebbe interessato la società europea: quello del welfare state, anche in questo la Gran Bretagna fu pioniera in Europa.

Di natura assai diversa fu invece l’altra grande lotta politica che investì la Gran Bretagna di questi anni: la Lega per l’abolizione della legge sul grano. Si trattava di un movimento di stampo liberoscambista che raccoglieva i consensi di molte delle più eminenti figure capitaliste della Gran Bretagna del tempo. Nata a Manchester, centro dell’industria tessile e del capitale britannico, nel 1838 per iniziativa di Richard Cobden e John Bright, la lega si riproponeva di abolire le tassazioni sull’importazione del grano, questo sarebbe stato il primo passo della creazione di un sistema liberoscambista nel quale tutte le tariffe protezionistiche sarebbero state abbattute. I liberoscambisti inglesi giocavano sull’impossibilità della Gran Bretagna di approvvigionarsi di granaglie a causa dell’insufficienza della produzione agricola, tuttavia i raccolti dal 1842 al 1844 furono assai abbondanti e quindi questo impedì alle loro argomentazioni di dimostrarsi valide. Tuttavia nel 1845 il raccolto fu rovinato dal mal tempo e nel contempo in Irlanda cominciava l’epidemia di peste delle patate, che causerà migliaia di morti per inedia. Grazie a queste circostanze il parlamento inglese fu costretto ad approvare nel 1846 un pacchetto di misure anti-protezionstiche come desideravano i promotori della lega. La lega fu un movimento legalitario che non fece ricorso a proteste in forma violenta come il movimento cartista, in ciò vediamo la sostanziale differenza fra la Gran Bretagna e il continente, qui solo l’iter legalitario permette alle proposte popolari di divenire realtà mente i movimenti violenti vengono respinti con decisione, al contrario di ciò che accade nel continente dove la protesta violenta è l’unica in grado di apportare cambiamenti.

 

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