Non
sono ancora sicuro di quello che sarò in grado di scrivere. Sono passate alcune
settimane dai fatti che mi ero proposto di narrare. Non ho mai avuto buona
memoria, così, quando sarà necessario, mi farò aiutare dall’immaginazione,
o semplicemente lascerò che le premesse giungano da sole alle conclusioni,
senza intervenire troppo personalmente negli eventi.
Mi ricordo bene che eravamo sulla riva del mare, in un piccolo paese della costa
calabrese, era notte fonda, e lo scopo di tutti era quello di fumare un paio di
spinelli, così per riempire un’altra serata un po’ noiosa. Il Trella stava
preparando la marijuana, Bimbo si occupava dei filtri, noi restanti stavamo a
guardare, in attesa che il lavoro
fosse portato a termine e arrivasse il nostro turno per fumare. Mi piacevano
queste serate, e mi piaceva ascoltare i discorsi di questi amici così lontani dalla realtà che mi era consueta. L’argomento
forte era una telefonata che Gabriele aveva ricevuto da casa. In realtà non era
molto chiaro di cosa si trattasse, ma solo che i Carabinieri lo avevano cercato
presso la sua abitazione di Roma, ma per i particolari doveva aspettare il
giorno dopo. Così già da alcuni minuti stava elencando una serie di infrazioni
fatte con il camion oltre che diverse bravate che aveva compiuto con i suoi
amici. Gabriele era una persona massiccia pieno di tatuaggi e dalla parlata
facile, e mentre parlava delle sue mini avventure con la legge, sembrava
semplicemente curioso, piuttosto che preoccupato per quello che lo avrebbe
aspettato a casa.
Il primo spinello stava già girando, Bomber lo passò a Carmine, che lo diede
direttamente a me. Carmine non fumava quasi mai. Aspiravo lentamente, cercando
di non esagerare con le boccate di fumo, soprattutto perché non volevo correre
il rischio di tossire e fare la figura del novellino. Dopo tre tiri lo ridiedi
al Trella, mentre notavo che il secondo che avevano confezionato aveva già
iniziato il giro in senso opposto. E che mi sarebbe arrivato in pochi secondi.
Stavamo tutti guardando il cielo, stellato come era impossibile vederlo a
Bologna, quando Bimbo soffiò fuori il fumo e chiese quale fosse il Grande
Carro. Era il solito rituale delle serate sulla spiaggia sotto le stelle,
"qual è il Grande Carro, qual è il Piccolo Carro…", forse qualcuno
era anche in grado di riconoscere Sirio, anche se la maggior parte delle volte
nessuno aveva la minima idea di quello che stava dicendo. Probabilmente il
segreto era indicare un gruppo di stelle qualsiasi, sparare il primo nome
credibile e il gioco era fatto.
Bimbo stava raccontando della ragazza francese con cui ieri guardava le stelle,
mentre Gabriele, come al solito, lo punzecchiava e lo prendeva in giro. Anche
questo ormai era un classico intrattenimento. I romani raccontavano di come
tutti abusassero di Bimbo, penetrandolo con tutto quello che era disponibile nel
loro appartamento, il solito manico di scopa, che ormai non stimolava più
nessuno, fino a oggetti più intriganti ed esotici, come il barattolo del Badedas,
o la bottiglia di Vodka. Bimbo come al
solito rispondeva per le rime, mentre Gabriele mimava la forma ondulata della
bottiglia, diceva: "A Bimbo, fra due giorni parto e te lascio in custodia a
Bomber, devi farlo divertì!".
Noi ridevamo, mentre Bimbo da sdraiato gridava: "Si, si.. fammelo sentire
tutto…".
Stavo già fumando per la seconda volta, quando passò una stella cadente, Bimbo
urlò: "Non voglio più prenderlo nel culo, non voglio più prenderlo nel
culo!".
Bomber gli fece capire che un altro desiderio avrebbe avuto più speranze di
venire esaudito, diceva: "Domani ti voglio a disposizione in piscina".
Ridemmo ancora, quando Trella vide un’altra stella. Lui aveva delle necessità
molto più materiali. La notte seguente sarebbe tornato a Roma, per riprendere
il lavoro di consegne con il furgone, dopo che era riuscito a rubare un giorno di ferie in più raccontando di avere una specie di
irritazione cutanea dovuta alla vita balneare. Diceva: "Voglio smettere di
lavorare, quanti soldi devo trovare per smettere di lavorare?".
Così iniziammo tutti a discutere su quanti miliardi fossero necessari. Secondo
me, mantenendo lo stesso tenore di vita forse cinque
potevano essere sufficienti, Bomber (villa con piscina) sparava più alto,
mentre qualcuno stava già facendo i conti per vivere con gli interessi. Credo
che almeno una volta nella vita ognuno di noi abbia desiderato di trovare la
pentola d’oro alla fine dell’arcobaleno.
Gabriele era seccato, essendo l’unico del gruppo che non aveva ancora visto
una stella cadente. Non avevo idea di quale potesse essere il desiderio che
Gabriele avesse in serbo. Purtroppo, per il momento, qualcuno aveva chiuso il
rubinetto delle stelle cadenti. Così riprendemmo a parlare delle costellazioni,
e della Via Lattea. Era proprio lì, sopra di noi, chi diceva fosse un ammasso
di stelle, chi di galassie, ancora una volta non avevamo le idee molto chiare.
Qualcuno fece notare che dal bar vicino alla spiaggia arrivava della musica, era
Bob Marley, non mi era mai piaciuta la musica Reggae, anche se in quel momento
era sicuramente adatta. La stessa persona fece anche notare la tragica assenza
di donna nella nostra compagnia. Ma ci importava veramente? Non so come la
pensassero realmente gli altri, per quanto mi riguarda la risposta era
certamente no. Certo, le donne hanno
le loro qualità, e possono anche essere una piacevole compagnia a
volte. Ma in quel frangente non ne sentivo la mancanza. Avevo tutto quello
che mi serviva, mi bastava quella sensazione di cameratismo che quel gruppo di
amici riusciva in parte a
trasmettermi.
Sia chiaro, quando parlo di amici intendo dire che loro erano amici tra loro.
Le nostre vite si sono incrociate per una settimana e probabilmente non avrò più
niente a che fare con loro. Intanto Bomber, Bimbo e Carmine stavano tornando al
bar, mentre il Trella e Gabriele si erano addormentati. Rimasi qualche minuto a
pensare. Non avevo nulla in comune con queste persone, probabilmente
rappresentavano molto di quello che mi era stato insegnato fosse un non-
obiettivo. La mia vita era stata pianificata per tenermi lontano da loro.
Liceo e Università, quest’ultima trascinata il più possibile per cercare di
non crescere, di avere delle non –
responsabilità. L’avevo finita da pochi mesi, a 27 anni. Adesso ero anche
laureato, senza la minima idea di quello che avrei dovuto fare.
Così mi trovavo ad invidiare la loro solidità, la dignità dei loro lavori,
che il mio inconscio medio borghese dipingeva come umili, ma quale diritto avevo
io per sentirmi superiore? Ero il più
vecchio di tutti, e dovevo ancora andare dai genitori a chiedere i soldi. Così
la realtà delle cose era evidente, io ero l’unico che non era ancora arrivato
a niente nella propria vita, ed ero quello che ci aveva perso più tempo. Ma non
era l’unica sensazione di disagio, invidiavo anche la loro unione, la loro
amicizia. Io ero sempre stato bene da solo.
Non dico che non avessi degli amici, ne avevo una marea, ma con nessuno
probabilmente avrò mai il legame che vedevo in questi tre ragazzi di borgata.
Guardavo il cielo, in attesa di una stella cadente che non arrivava, così
decisi di incamminarmi verso il bar, avevo bisogno di una birra e, soprattutto,
di qualcos’altro a cui pensare.