LA COSTITUZIONE REPUBBLICANA SPIEGATA AI MIEI FIGLI

 

 

«Papà quello lì fa le leggi vero? Allora anche io da grande voglio fare il Presidente».

La curiosità naturale dei bambini. Quando parte, questo accade all’improvviso con una domanda apparentemente banale che svela subito un errore grossolano ma che, soprattutto, lascia intuire un fiume in piena colmo di curiosità la cui diga attende solo l’ultima sollecitazione per crollare.

“Quello lì” a cui si riferiva mio figlio (12 anni) era il faccione di Romano Prodi che dal TG1 delle 20 si affannava a difendere la sua finanziaria e l’errore grossolano commesso da chi, naturalmente, considerata l’età, non ha mai studiato diritto costituzionale, è stato quello di attribuire a “quello lì” il potere legislativo invece che quello esecutivo.

Mio figlio in questo non è diverso da qualsiasi bambino di ieri o di oggi. Si sa, se un adulto vuole tenere la sua “lezioncina”, l’argomento trattato, fosse anche per assurdo la tanto amata play station, risulta sempre noioso. Ma se un genitore riesce a resistere all’impulso di cogliere una domanda del genere per lanciarsi in dotte elucubrazioni, ne possono nascere confronti interessanti.

Fatta nella mia mente in un lampo questa considerazione, decisi che per non risultare noioso e stimolare la curiosità dovevo limitarmi a rispondere alla domanda nel modo più semplice possibile: «quello lì è il Presidente del Consiglio e non fa le leggi. Questo compito spetta al Parlamento».

Riuscii nel mio intento. Marco non lesse nella mia risposta asciutta una lezione scolastica fuori orario e quindi la piena del suo fiume di interrogativi, alimentata anche dall’affluente di sua sorella Martina (9 anni), si riversò sulla nostra cena davanti alla TV. Incalzato da domande semplici, ma proprio per questo di stringente attualità, mi spinsi a trattare argomenti complessi con tutta la semplicità alla quale riuscivo a ricondurli, ma al tempo stesso con tutto il rigore che sentivo di dover utilizzare. Mia moglie mi osservava divertita.

Dissi che il parlamento viene eletto direttamente dal popolo ricordando loro l’ultima volta che ci hanno accompagnato al seggio per votare. Chiesero se votare fosse obbligatorio e risposi che «no, nessuno ti punisce se non ci vai ma io e mamma lo consideriamo un nostro dovere perché … ecc. ecc.». Le considerazioni che i bambini fecero sull’ininfluenza di un solo voto sono facilmente immaginabili («ma tanto se non ci vai solo tu che cavolo cambia … quelli che votano sono milioni!») come lo sono le risposte che abbiamo tentato di dare (nel frattempo mia moglie aveva iniziato ad affiancarmi quando il fuoco incrociato di domande e considerazioni spiazzanti mi metteva più in difficoltà).

Il terzo grado mi spinse a trattare gli aspetti più importanti del nostro bicameralismo perfetto traducendoli con un linguaggio adatto all’età di chi mi incalzava con una domanda dopo l’altra. Dissi che «quel signore visto alla TV, per governare deve prima convincere il Capo dello Stato a dargli l’incarico di formare una squadra di persone che si occupino delle tante “materie” di cui saranno responsabili e che poi deve riuscire ad ottenere la fiducia di quei parlamentari che, quel giorno al seggio, avevamo contribuito a far eleggere».

Mi dissero che dovevo presentarmi alle prossime elezioni e, dopo aver appreso che per farsi eleggere non basta giurare a tutti che si vuole fare del proprio meglio nell’esclusivo interesse della Nazione («però attento Papà, quando giuri che farai il bravo non devi incrociare le dita dietro la schiena se no gli elettori se ne accorgono e non ti votano»), mi dimostrarono che i bambini sanno anche essere distruttivi e senza scrupoli.

Con una frase vanificano l’immane lavoro dell’Assemblea Costituente e non sembrano provare rimorso: «che casino complicato! E’ molto più semplice dare tutti i poteri ad uno solo, a quello che dimostra di essere il più bravo e intelligente».

Io e mia moglie partimmo subito d’istinto con la solita manfrina del pericolo che si nasconde dietro questa soluzione spiegando che «una sola persona potrebbe “montarsi la testa” e decidere che quello che è bene per lui debba per forza esserlo per tutti» sottolineando anche che questo in Italia è già successo e facendo qualche breve riferimento alla dittatura fascista.

Fu a questo punto che commettemmo forse il primo inconsapevole errore. Quest’ultimo argomento probabilmente sembrava il “pezzo forte”, quello che più avrebbe dovuto smuovere le coscienze dei nostri piccoli interlocutori. Non andò così.

L’idea che mi sono fatto è che, quando noi avevamo la loro età, l’argomento faceva facilmente presa perché a raccontarcelo c’erano genitori ed insegnanti che la barbarie, la dittatura, l’avevano vissuta in prima persona oppure si trattava di uomini e donne venuti al mondo nell’immediato dopo guerra, quando ciò che era stato, in pratica non c’era più, ma le sue terribili conseguenze si respiravano ancora come in una stanza in cui c’è stata una fuga di gas e nella quale solo adesso sono state aperte le finestre.

La nostra mancata “esposizione diretta” invece, nonostante la forte e radicata convinzione che ciò che è accaduto in quei tragici anni non deve ripetersi, probabilmente ha “diluito” la rabbia che si mette nelle parole quando si raccontano i fatti.

Ecco che di conseguenza, mio malgrado, dovetti assistere ad un repentino calo d’interesse. Il fiume in piena arrestò la sua corsa, la cena era finita ed i bambini erano tornati ad occuparsi, nelle loro stanze, di play station e computer.

 

Alfonso

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