MOVIMENTO PER LA SOCIETA' DI GIUSTIZIA E PER LA SPERANZA
PRIMI INTERVENTI
Indice:
1. Documento sull'immigrazione, 1999
1.1. Testo del Documento
1.2. Testo del progetto per l'Osservatorio, 2000
2. Sul "Chador" nelle scuole, 26/06/00
3. Sulla "Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea", 21/11/00
4. Sul problema degli embrioni congelati, all'episcopato francese, 28/06/01
5. Per una "parata civile", 14/02/01
6. Sul parlamento neoeletto, 16/05/01
7. L'adesione al Genoa Social Forum e il rifiuto dei vertici internazionali, 31/08/01
8. Per i profughi afghani, 7/10/01
9. Interventi nell'ambito della tragedia americana, della guerra afghana, della crisi palestinese, dal 27/11/01
10. Interventi sull'anomale attività del Parlamento, dal 5/19/01
11. Su Russia ed Europa, 19/04/02
12. Sulla scomunica delle donne sacerdote, 23/09/02
13. La guerra in Iraq, intervento su Chirac, 27/01/03
14. Un disegno di legge sulla prostituzione, 31/01/03
1. IL DOCUMENTO SULL’IMMIGRAZIONE
Preparato dal Gruppo di Lecce durante l’anno 1999, fu presentato nel giugno, consegnato a Giovanni Procacci, del gruppo dei Democratici e poi parlamentare europeo, affinché lo trasmettesse a Romano Prodi, allora designato, poi eletto Presidente della Commissione Europea. Il documento, partendo dalla premessa che il problema immigrazione non poteva essere adeguatamente affrontato dalle singole nazioni, chiedeva l’istituzione di un Commissariato europeo per l’immigrazione e ne indicava i compiti. Fu distribuito in circa 800 copie, oltre che agli aderenti al Movimento, a sedi istituzionali, a politici, sindacalisti, vescovi, uffici della Charitas, esponenti del volontariato; ad associazioni d’immigrati; oltre che alla stampa.
Trasmesso a Prodi, s’iniziò la trattativa. Prodi promise un incontro a Bologna nel novembre successivo, poi lo rinviò a febbraio 2000, poi scrisse una lettera dicendo che l’incontro non era per allora possibile; indicando un membro del suo staff italiano, con cui continuare la trattativa, nella persona di Giulio Santagata.
Nel maggio Santagata osservò che l’istituzione di un nuovo Commissariato non era per ora possibile, essendo di pertinenza del Consiglio d’Europa (formato dai Capi di governo); proponeva invece un Osservatorio europeo sull’immigrazione e chiedeva un progetto; che fu preparato e inviato. Ricalca il documento precedente e affida all’Osservatorio i compiti ch’erano previsti per il Commissariato. Venne la pausa estiva. Ripresa la trattativa, Santagata propose un membro dello staff di Bruxelles, Franco Mosconi, come persona in più stretto contatto con Prodi; poi che bisognava giungere ad una decisione. Mosconi chiese che gli fosse inviata la documentazione necessaria, e chiese tempo per leggere e riflettere. Nel dicembre il posto di Mosconi fu preso da Sandro Gozi; si prese contatto con lui, gli s’inviò la documentazione. Gozi condivide l’iniziativa e il progetto, ma prevede un iter che passa attraverso una decisione collegiale della Commissione europea; una decisione del Consiglio dei Ministri, necessaria per la collaborazione richiesta ai singoli stati dell’Unione; in seguito a cui potrà partire la fase indirizzata all’allestimento. La quale deve studiare quali servizi coinvolgere, quali priorità, quali esigenze di bilancio ecc.
Nel discorso del Presidente Prodi al Collège d’Europe di Bruges del 12/11/01, trattando del Mediterraneo, si parla della «costituzione di un osservatorio comune tendente a dare coerenza ed unità alle informazioni e alle statistiche sul lavoro e sull’immigrazione dei paesi della sponda sud del Mediterraneo»; mentre l’Osservatorio dovrebbe concernere l’intero processo migratorio.
Nelle «Conclusioni della Presidenza» del Consiglio Europeo di Laeken del 14-15/12/01, ai punti 38-42, «Una vera politica comune per l’asilo e l’immigrazione», si parla di «un sistema europeo di scambio d’informazioni»», di «norme comuni di procedura», s’invita la Commissione a presentare delle proposte entro il 30/4/2002; ma nulla di più. Il nostro contatto a Bruxelles, Sandro Gozi, ci dice sempre che il Presidente Prodi condivide il progetto dell’Osservatorio ed è deciso a realizzarlo.
Nel 2002 ci fu una pausa. La Regione Puglia ha dichiarato di voler creare essa un Osservatorio sull’immigrazione; con la Ragione si deve trattare in ordine ad una collaborazione. La trattativa con Bruxelles sarà ripresa in autunno, in ordine a raggiungere una conclusione e, possibilmente passare alla fase esecutiva.
1.1 Testo del Documento
ISTITUZIONE DI UN COMMISSARIATO EUROPEO PER L’IMMIGRAZIONE E DEFINIZIONE DEI DIRITTI DELL’IMMIGRATO
L'approccio alla cultura di un'Europa federata non può prescindere da due considerazioni centrali nel dibattito in corso. Una di evoluzione del diritto internazionale, che registra nella Società contemporanea un'accresciuta sensibilità verso il binomio equità-libertà, rendendo prioritario il diritto dei popoli rispetto al diritto degli stati. Un'altra di prospettiva storica, che vede nell'affermarsi delle grandi civiltà la componente multietnica sempre presente, pur nel rispetto delle singole identità culturali.
La democrazia americana è multietnica. Ma già la civiltà romana aveva riconosciuto la doppia cittadinanza a gran parte dei popoli arruolati nell'impero, che divennero "cives romani" con pari diritti civili e politici. In questa prospettiva merita attenzione prioritaria il tema inquietante delle nuove migrazioni in senso nord~sud, est-ovest, siano esse dovute a pressione esercitata da conflitti etnici o dalla semplice ricerca di migliori condizioni economiche.
l. Se lo Stato moderno non vuole difendere solo se stesso, ma promuovere uno sviluppo civile ed ordinato delle comunità che in esso si identificano, deve considerare il fenomeno della immigrazione di massa un evento-risorsa per gli anni a venire e l'integrazione come forza positiva di accrescimento.
Il semplice richiamo ai valori della solidarietà universale ci porta a constatare che il "bene terra" appartiene a tutti, senza distinzione di razza, etnia o religione. Di conseguenza il principio della fratellanza universale diventa prioritario rispetto ad ogni ipotesi di frontiera fissata per un ordine imposto dalla geografia politica. Dunque ragioni etiche, economiche e contingenti, di forza maggiore, inducono a ritenere la questione delle migrazioni del Terzo Millennio non risolvibile con leggi nazionali.
Le nuove migrazioni vanno considerate in positivo, come elemento di scambio, non di scontro, come fattore di sviluppo economico e culturale evidenziato dall'apporto di nuova creatività. Occorre distinguere tuttavia il fenomeno delle "immigrazioni" da quello più complesso delle "migrazioni".
Il primo interviene quando alcune persone decidono di trasferirsi da un paese ad un altro (gli italiani che si sono trasferiti in America o i turchi che vivono in Germania). Possono essere molte o poche ma comunque non alterano in termini statistici i valori demografici dei paesi d'origine e non pregiudicano l'identità nazionale del paese che li ospita.
Caratteristiche diverse presenta il fenomeno delle "migrazioni". In questo caso siamo in presenza non di persone ma di popoli che si spostano dando luogo talvolta a fenomeni di meticciato e di culture originali nei territori di nuovo insediamento (le migrazioni di Goti, Visigoti, Unni, Longobardi, ecc. nell'impero romano o quelle degli Spagnoli che a contatto con Indiani ed Africani d'America hanno dato luogo a lingue e popolazioni creole).
Fenomeni di questa portata sono inarrestabili, non contenibili con provvedimenti statali. È l'Europa opulenta, in larga misura quella dell'euro, la meta finale dell'esodo in corso. Certamente esistono due facce dell'immigrazione di massa. C'è quella laboriosa ed integrata nel tessuto sociale e produttivo e c'è l'altra, quella dell'immigrazione disperata, che opera nell'illegalità, aprendo nuovi fronti nel capitolo delle emergenze sociali.
Di fronte alla forza d'urto della nuova immigrazione occorre una strategia europea. Stupisce il sonno ed il silenzio dell'Europa istituzionale mentre ogni ipotesi di lavoro adottata a livello statale segnala ogni giorno gravi ed evidenti limiti di tenuta. Intanto nei paesi europei più esposti si assiste al crescente accumulo di tossine nel tessuto sociale, mentre l'agenda politica registra solo isolate proposte statali di riforma legislativa.
Più proficuo appare invece perseguire concrete politiche di accoglienza, dando ad esse orizzonte e disciplina europei. Per legittimare una Società multietnica occorre interpretare l'accoglienza come un reale momento integrativo, evitando di affrontare il fenomeno in modo adattivo, inseguendone l'evoluzione spontanea che spesso genera ghetti, tensioni ed incomprensioni. Sul piano europeo il fenomeno investe più fronti, dall'impegno politico alla gestione amministrativa, all'adozione di una normativa comunitaria.
2. L'istituzione di un Commissariato europeo per l'immigrazione sembra necessitata dall'obbligo di definire le politiche europee dell'accoglienza in ragione dell'evoluzione demografica e della domanda occupazionale di lungo periodo. La sua caratteristica di osservatorio permanente consente di produrre un lavoro di supporto essenziale per una definizione meno estemporanea delle decisioni politiche adottate dal Consiglio europeo.
2.1. Si tratta di un sito istituzionale che dovrà farsi carico della mappatura del fenomeno e del suo monitoraggio in tempo reale, avendo sotto costante osservazione le dinamiche del flusso migratorio, le esigenze sociali dell'accoglienza e le possibilità di accesso al lavoro legale, ivi inclusi i progetti per la formazione professionale.
2.2. A queste linee d'azione intracomunitaria si devono poi sommare i compiti che il Commissariato potrebbe acquisire nella gestione di un intervento diretto nei paesi dell'esodo. Tra le politiche-obiettivo emerge infatti l'esigenza di un intervento programmato di sostegno alle economie deboli dei paesi a forte flusso migratorio. Un intervento che non può essere articolato utilizzando gli esempi della cooperazione offerti dal modello terzomondista. Più affidabile appare la definizione e la cogestione di progetti strategici elaborati con risorse europee, o di più ampio respiro internazionale, per mettere in moto formazione e sviluppo tenendo in evidenza la naturale vocazione economica dei territori (progetti tecnologicamente avanzati possono favorire l'esodo, invece di contenerlo).
L'interesse europeo a dare dignità economica e sociale alle aree deboli è evidente. Gli aiuti per avviare una concreta ripresa in questi territori permettono di ridurre l'importazione di migrazione, violenza e crimine, fattori che, sommati al disagio sociale interno, possono produrre effetti destabilizzanti nell'intera Europa.
Nessuno può dirsi esente da questo rischio, per cui nel processo di aggregazione politica bisogna inserire la logica degli aiuti come costo ordinario per la stabilità e la sicurezza di lungo periodo.
3. Il rispetto dovuto alle libertà fondamentali della persona, ivi inclusa la libera opzione per il luogo di residenza, sollecita poi l'obbligo di trovare nello spazio euro altri strumenti di tutela.
Nasce da qui l'esigenza di elaborare uno status per l'immigrato che lo qualifichi come autonomo soggetto di diritto, un quadro giuridico articolato che consenta all'immigrato di avere anzitutto un permesso europeo di soggiorno provvisorio (per studio o lavoro stagionale), più oltre un permesso per lavori che consentano una produzione di reddito costante, più oltre ancora l'acquisizione di diritti civili, fino al conseguimento della cittadinanza piena che assicuri l'esercizio dei diritti politici.
L'esigenza di creare un diritto soggettivo che sovrasti i limiti angusti delle legislazioni nazionali è motivata dalla necessità di assegnare condizioni di eguaglianza e certezza giuridica all'immigrato che vive, lavora e si muove in tutti gli stati dell'Unione.
Il differente trattamento previsto dalle legislazioni nazionali modifica di fatto l'intensità dei flussi migratori, intasando i paesi che hanno una legislazione più favorevole per l'accoglienza, mentre occorre rendere disponibile un quadro organico di riferimento, affidandosi ad una gestione organica dei flussi intracomunitari. Si perfeziona così un pubblico interesse europeo che chiama le istituzioni comunitarie alla responsabilità della relativa tutela.
Se non si creano i crismi della legalità, e quindi i presupposti per perseguire diritti soggettivi legittimi, fatalmente le nuove migrazioni andranno ad occupare aree sempre più vaste di lavoro nero ed illegale. Quindi l'evoluzione della cultura multietnica e del processo integrativo non possono prescindere dalla definizione di un progetto legislativo europeo che dia voce ai diritti fondamentali dell'immigrato.
4. Per l'immigrazione clandestina, l'attuale normativa comunitaria prevede solo diritti di ricognizione ed informazione.
Il Trattato di Maastricht ne fa richiamo esplicito, inserendola nelle aree di coordinamento del settore Giustizia e Affari interni (il c.d. "Terzo Pilastro").
Di essa può occuparsi anche un comitato di funzionari di alto livello (High Level Group) che svolge un ruolo di coordinamento, consultazione e proposta nei confronti del Consiglio europeo. Va sottolineato che il Parlamento europeo ha solo diritto ad essere informato mentre la Corte europea di giustizia non ha competenza alcuna.
Il vuoto legislativo ed istituzionale è evidente. Il dramma dell'immigrazione ha portato allo scoperto contraddizioni, paradossi e limiti di un sistema istituzionale europeo che stenta a trovare compatibilità percorribili nelle aree di governo. Ora diventano pressanti le domande poste dal problema immigrazione per cui si rendono necessarie nuove coordinate in grado di perseguire gli obiettivi paralleli della coesione sociale e dello sviluppo economico. È fondamentale per lo spazio euro conciliare solidarietà e rigore, evitare il conflitto tra la logica del mercato e la logica della sicurezza.
Lungimiranza politica vorrebbe che i temi dell'immigrazione e della cittadinanza fossero sottratti alle sovranità nazionali e trasferiti alla competenza di fori super partes. Tuttavia nel rispetto delle compatibilità consentite dall'attuale stadio del processo integrativo si ritengono perseguibili nell'immediato due obiettivi di sicura valenza politica e sociale: l'istituzione di un Commissariato europeo per l'immigrazione e l'adozione di una normativa comunitaria che definisca la posizione giuridica dell'immigrato ed i suoi diritti di accesso e di inserimento nella vita economica e sociale dell'Europa produttiva.
1.2. Testo del progetto per l’Osservatorio
BOZZA DI PROGETTO PER UN OSSERVATORIO SULL‘IMMIGRAZIONE A CURA DELLA PRESIDENZA
DELLA COMMISSIONE EUROPEA
Premessa. La Proposta del Movimento chiedeva la creazione di un Commissariato europeo per l‘Immigrazione, partendo dal principio che un tale fenomeno non potesse essere adeguatamente gestito dai singoli stati membri dell‘Unione. Esso è attualmente sottovalutato nel suo reale peso, nei problemi che apre per il presente come per il futuro. Si ha l’impressione che l’Unione preferisca ignorarlo.
Questa premessa resta intatta. Essa è condivisa da Centri e Associazioni che lavorano in questo campo. Si pensa debba costituire un obiettivo da raggiungere in tempi non lunghi, data l‘urgenza del problema. L‘Osservatorio dovrebbe costituire un avvio in tal senso, dovrebb‘essere pensato e costruito mirando al Commissariato.
Il progetto
1. L‘Osservatorio è un‘agenzia autonoma, che fa capo alla Presidenza della Commissione Europea ed è finanziata con fondi appositamente stanziati. Non fa capo ad alcun Commissariato.
È composto da esperti e da tecnici, selezionati e assunti con regolare procedura concorsuale, secondo criteri di competenza e di onestà; non per semplice designazione.
Mantiene un collegamento con le Consulte nazionali per l’immigraziome, con altri organi specifici; in particolare col vasto tessuto delle Associazioni di e per immigrati, che devono considerarsi un punto di riferimento indispensabile (dovrebbero però federarsi a livello nazionale); per consultazioni e scambi, in particolare in un convegno annuale.
Redige un "Rapporto annuale sullo stato dell’immigrazione e della politica per l’immigrazione", che viene trasmesso agli organi istituzionali della Comunità e agli stati membri, e presentato al pubblico in una manifestazione di adeguata risonanza.
2. Non ha solo compiti di rilevazione ma anche di proposta e progetto in ordine ad interventi; questi ultimi diventano operativi in seguito al parere della Commissione e alla delibera del Consiglio.
3. I compiti fondamentali.
3.1. Monitoraggio dell‘immigrazione in tempo reale, con lo scopo di avere sempre un quadro abbastanza definito del fenomeno, in vista della sua ordinata ed umana gestione. Attraverso i dati che giornalmente, o ad altre scadenze stabilite, riceve
dalle Consulte nazionali per l’immigrazione e da altri organi specifici;
dai Ministeri degl’Interni;
dalle Prefetture;
dalle Questure e forze di sicurezza;
dai Consolati;
dagli Uffici provinciali del lavoro;
dalla Camere di commercio e delle Confederazioni di agricoltura, industria, commercio, artigianato;
dalle Associazioni, gli osservatori, i centri di ricerca per l’immigrazione;
da altre realtà istituzionali e associative:
usufruendo dei momenti in cui gl‘immigrati vengono comunque censiti: al loro ingresso; negl‘istituti di accoglienza: alla loro assunzione di un regolare posto di lavoro; alla concessione di un permesso di soggiorno; a un controllo delle forze di sicurezza.
Il problema della raccolta e del continuo aggiornamento dei dati sarà studiato e adeguatamente risolto dall‘Agenzia stessa.
3.2. Proposte d’intervento a sostegno delle economie dei paesi di partenza; in particolare per la cerchia mediterranea dal Marocco alla Turchia, o anche per i Balcani; pur sapendo che l‘immigrazione proviene anche da altri paesi, specie dall‘Europa Orientale. È infatti la povertà di queste economie che provoca l‘immigrazione; la quale costituisce poi per quei paesi una continua perdita di energie preziose, specialmente giovanili, un ulteriore impoverimento.
Si pensa alla creazione di un dipartimento di ricerca: per lo studio di quelle economie; per l’elaborazione di progetti d‘intervento, che l’Osservatorio ritiene debbano essere soprattutto progetti concreti di piccole imprese a basso costo e alto impiego di manodopera; evitando generici finanziamenti agli stati, così come contributi per grandi opere di tipo occidentale.
3.3. Preparazione di una legislazione europea per l’immigrazione; da rendere poi esecutiva attraverso il Consiglio d’Europa e l’adozione da parte degli stati membri.
Partendo dai supremi principi: il principio che "la Terra è di tutti" e il "principio fraterno". Perciò:
Accoglienza universalmente estesa (non solo a chi ha già un contratto di lavoro o disponibilità analoghe; le "quote" avrebbero solo funzione di previsione); congiunta con accordi coi paesi d’origine in ordine al collocamento degl’immigrati nel lavoro, al sostegno economico ai paesi stessi, alla sicurezza. Una tale accoglienza potrebbe ridurre molto il problema degli "irregolari" (detti anche clandestini).
Permesso di soggiorno, con integrazione nei servizi sociali e formativi; inteso come precittadinanza per coloro che vogliono stabilirsi.
Eliminazione dell’espulsione: trasgressione e criminalità vengono trattate come per gli altri cittadini; gli irregolari vengono portati a regolarizzazione.
Integrazione amministrativa, con diritto di voto per gli organi amministrativi, dopo tre anni. Integrazione politica e cittadinanza dopo cinque anni, previo corso ed esame di etica e diritto comunitario.
2. SUL "CHADOR" NELLE SCUOLE
Nel giugno 2000 vi fu un pronunciamento – sia pure occasionale – del Ministro della pubblica istruzione De Mauro, favorevole alla presenza del "chador" nelle scuole, per le allieve musulmane. Se ne discusse in seno al Movimento nelle settimane seguenti; si decise d’intervenire richiamando il Ministro al significato del "chador", oppressivo per la donna.
Ecco il testo del documento inviato:
Al Ministro della Pubblica Istruzione Prof. Tullio De Mauro.
Sulla possibilità che le ragazze musulmane portino il chador nelle scuole italiane
Osservazioni proposte al Ministro da parte del Movimento per la Società di Giustizia e per la Speranza
Stando a notizie di stampa il Ministro ha espresso in proposito un parere positivo. Il Movimento ne è stato vivamente sorpreso e ha discusso il problema. Il chador non è infatti solo un costume femminile ma uno strumento di oppressione della donna; strumento del potere maschile, ancora molto forte in ambiente musulmano, del suo possesso e dominio della donna; il cui corpo gli appartiene (al padre, al fratello, al marito) al punto che non dev’essere visto in nessun modo da altri, deve perciò essere il più possibile coperto.
Il chador è strumento di dominio, discriminazione, oppressione della donna. Perciò è anzitutto in contrasto con la coscienza etica che l’umanità ha maturato, e col suo vincolo; che è universale, anche se non ancora universalmente condiviso; vincolo che la scuola ha il compito di vivere e di promuovere. È di conseguenza in contrasto con l’art. 2 della Costituzione, che «riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove svolge la sua personalità», in questo caso la scuola; e con l’art. 3, dove «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale […] senza distinzione di sesso. […] È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana».
Il fatto che queste ragazze non siano ancora cittadine in senso stretto non intacca certo il vincolo etico; né può intaccare il principio giuridico di parità uomo-donna che informa la comunità di cui sono ospiti; né il dovere della loro formazione.
Il fatto che esse vogliano portare questo indumento consegue all’arretratezza e alla manipolazione della loro coscienza nell’ambito della loro famiglia e comunità. La scuola deve avviarle al processo di liberazione.
L’eventuale richiesta da parte delle comunità musulmane non è accettabile in quanto richiesta di un fatto immorale e criminoso. Immoralità e crimine non possono costituire diritto né oggetto di legittima richiesta. Sotto il profilo etico e giuridico il chador non è diverso da altri costumi musulmani arcaici e immorali, come quello di tagliar le mani al ladro.
3. SULLA "CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL’UNIONE EUROPEA"
Riconosciamo che fu fatto in ritardo. La Carta fu licenziata dal Parlamento europeo alla fine di luglio 2000; fu poi ripresa in settembre. Allora il Movimento sarebbe dovuto intervenire, prima che avvenisse l’approvazione definitiva. Sarebbe inoltre stata necessaria una considerazione e discussione a fondo del testo, sì da poterne dare una valutazione globale in termini molto ponderati. Non si riuscì, per vari motivi. Si ritenne tuttavia importante affermare il principio che la società civile ha un suo diritto (morale, se non giuridico) di parola e d’intervento, sui lavori del Parlamento; specie quando trattasi di documenti o decisioni di fondamentale peso per la comunità e per il suo futuro.
Ci si limitò inoltre ad alcuni emendamenti, che corrispondevano a lacune nella Carta stessa.
Ecco il testo inviato:
(Al Presidente del Parlamento Europeo, ai membri del Parlamento, al Presidente della Commissione Europea, al Capo governo italiano Osservazioni sulla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea
1. Il "Movimento per la società di giustizia e per la speranza" lamenta che il Parlamento europeo non abbia stabilito un tempo adeguato affinché la società civile, con tutte le sue enormi forze, potesse intervenire nella discussione sulla Carta dei diritti con le sue proposte, in ordine al miglioramento della Carta stessa; trattandosi di un documento di fondamentale importanza. Anche se riconosce la sostanziale bontà del lavoro fatto dal Parlamento, la chiarezza del disegno e la compiutezza del discorso.
2. Chiede che in futuro, in una analoga situazione, sia riservato alla società civile un tempo adeguato per una collaborazione ai lavori del Parlamento; e che tutto sia adeguatamente pubblicizzato.
3. Presenta, anche se in ritardo, le aggiunte e gli emendamenti seguenti, che ritiene comunque opportuni, con la preghiera che siano fatti conoscere e siano utilizzati per quanto è possibile (in grassetto le parti nuove):
Articolo 5 bis – Proibizione delle forme di lavoro inumano
È proibito il lavoro distruttivo o gravemente lesivo della salute, il lavoro infantile e minorile, il lavoro nero cioè senza un compenso pari a quello stabilito dai contratti di categoria e senza misure di sicurezza sociale.
Articolo 15 – Libertà professionale e diritto di lavorare
1. Ogni individuo ha il diritto di lavorare e di esercitare una professione liberamente scelta o accettata; ha il diritto di essere sostenuto nella ricerca e nel mantenimento di un lavoro corrispondente alla sua personalità e alle sue doti.
Articolo 20 – Uguaglianza davanti alla legge
Tutte le persone sono uguali davanti alla legge non solo nel senso che v’è una costituzione e un codice che è lo stesso per tutti, ma soprattutto nel senso che la legge è promotiva della eguale dignità e diritto di tutti: nei beni materiali, nel lavoro e nel reddito, nell’istruzione e nella cultura, nella moralità, nella felicità.
Articolo 20 bis – Lotta contro l’ineguaglianza
Riconoscendo le attuali condizioni di forte ineguaglianza tra i cittadini dell’Unione Europea, l’Unione promuove l’eguaglianza attraverso l’incremento dei salari, la partecipazione agli utili, la tassazione differenziata e la detassazione, il risanamento della disoccupazione e della povertà. Promuove l’acculturazione popolare.
Articolo 27 – Diritto dei lavoratori all’informazione e alla consultazione nell’ambito dell’impresa
Ai lavoratori (o ai loro rappresentanti soppresso) devono essere garantite, (ai livelli appropriati soppresso) da parte dell’impresa, l’informazione e la consultazione in tempo utile sullo stato dell’impresa stessa, in particolare sulle eventuali cessioni o fusioni.
La Presidente del Parlamento europeo, Nicole Fontaine, ha risposto in data 5 marzo con una lunga lettera, in cui spiegava lo sforzo che il Parlamento aveva fatto proprio per coinvolgere la società civile; il punto da noi rivendicato.
4. INTERVENTO PRESSO LA CONFERENZA EPISCOPALE FRANCESE SUL PROBLEMA DEGLI EMBRIONI CONGELATI
Questo problema preme da tempo ed è motivo d’ansia perché l’autorità ecclesiastica sostiene che dal momento della fecondazione l’embrione è persona umana; si tratta di centinaia di migliaia di embrioni congelati. Per la stessa ragione è motivo d’ansia la "pillola del giorno dopo". L’intervento mira a ottenere dai vescovi francesi un pronunciamento sui primi quattordici giorni, nei quali l’animazione è da escludere; per sedare quest’ansia, ridare serenità al mondo della medicina e della scienza che opera sugli embrioni; così come a tutti, in particolare alle persone che prendono la pillola. È stato inviato nel novembre 2000 ai 12 membri del Consiglio Permanente della Conferenza; e comunicato ai maggiori quotidiani francesi e italiani. Ecco il testo:
(Al Presidente Mons. Louis-Marie Billé, al Vicepresidente Mons. Jean-Pierre Ricard, al Cardinale Jean-Marie Lustiger, Alla Conferenza Episcopale Francese, al Consiglio Permanente della Conferenza
Il problema degli embrioni congelati
Un soggiorno in Francia ha contribuito a mettere in risalto questo problema. Poi che su questo era in atto una discussione. Si disapprovava da molti la decisione del governo inglese che aveva stabilito il 14° giorno come limite per l’intervento manipolativo sull’embrione umano; dando per scontato che fino a quel giorno l’embrione non fosse da considerarsi persona. Si attendeva una decisione da parte del parlamento francese, che avrebbe dovuto rivedere le leggi del ’94 in materia di bioetica. Si parlava, non senza perplessità, della sorte per ora sospesa degli embrioni congelati; cui sarebbe seguita la manipolazione scientifica o la soppressione. Si trattava di un numero di embrioni notevole, tra i 60.000 e i 150.000 (in Italia si dice siano 100.000).
Ci ha colpito quest’ansia, che del resto è presente anche in Italia; dove ha preso corpo ancora di più recentemente, quando un decreto governativo ha autorizzato la vendita al pubblico di quella che viene chiamata la "pillola del giorno dopo". Ci ha stupito che la Chiesa di Francia non intervenisse a dissipare quest’ansia, a ridare serenità e fiducia ai fedeli, e un po’ a tutti.
Il "Movimento per la società di giustizia e per la speranza" ha riflettuto e discusso questo problema. Quest’ansia non avrebbe ragione d’essere. Perché si sa che l’embrione umano nei primi quattordici giorni sviluppa soltanto un gruppo di cellule indifferenziate, che non è possibile considerare come una base fisica adeguata per l’animazione, per l’anima o lo spirito umano, la persona. In quanto la presenza dell’anima (noi usiamo senza timore questa parola, oggi per lo più evitata dai filosofi, ma pienamente valida) non può esserci se non in un corpo da lei animato e quindi a lei corrispondente; almeno in una qualche fondamentale misura, ad esempio col primo impostarsi della corteccia cerebrale, col differenziarsi delle cellule in quella direzione. In ogni caso ciò non tocca la neutralità di quei primi quattordici giorni.
È questa anche la dottrina dei maggiori teologi del ‘900, Karl Rahner e Bernhard Häring, ad esempio. Si comprende perciò il senso della decisione inglese.
Il "Movimento" chiede alla Chiesa francese un intervento chiarificatore, che contribuisca a dissipare quell’ansia. Bisogna dire alla gente che la "pillola del giorno dopo" (non parliamo qui della Ru-486, che pure in Francia è autorizzata) non è un atto abortivo, l’uccisione di un essere umano, un omicidio; bisogna dire agli studiosi e sperimentatori che la manipolazione scientifica dell’embrione entro quei limiti non è un atroce intervento del tipo di quelli che avvennero ad Auschwitz. Non bisogna addossare alla gente colpe insussistenti; la Chiesa dev’essere portatrice di gioia, non di angoscia.
Vi saranno altre ragioni che sconsigliano quegli atti, in particolare l’interruzione di un processo vitale orientato verso la genesi di un essere umano, in cui è in gioco l’ingresso di un essere umano nella vita e nel mondo. Ma quell’essere ancora non c’è, non è soggetto della dignità e diritto propri della persona; né oggetto di atroce violenza, di omicidio.
L’animazione in senso alto, spirituale e personale, fin dal primo momento della fecondazione, non è sostenibile. Anche il dubbio, quindi il rischio di uccidere, non è sostenibile. Almeno per quella prima fase, quei quattordici giorni. È necessario riconoscerlo, e proclamarlo. Noi speriamo che la Chiesa francese, nella sua intelligenza e nella sua autonomia, lo possa fare.
Lecce, il 22 novembre 2000
L’azione su questo punto è poi continuata
con richieste d’intervento al Card. Martini, arcivescovo di Milano, al direttore della rivista "Civiltà Cattolica", P. GianPaolo Salvini; due lettere con intento chiarificatore sono state inviate al Ministro Veronesi dopo le difficoltà sorte in seno alla Commissione di bioetica. Il Cardinale ha risposto richiamandosi ad un articolo apparso nel frattempo su "Civiltà Cattolica" a firma di P. Angelo Serra, già direttore del laboratorio di genetica dell’Università Cattolica. In una nuova lettera a lui il Movimento eccepiva sul fatto che l’articolo non era entrato nel merito dei "primi quattordici giorni", che costituiscono il periodo decisivo; il Cardinale rispondeva che avrebbe approfondito l’argomento.
La Conferenza episcopale francese non ha reagito; ciò rientra nello stile ecclesiastico e noi avevamo sopravvalutato la sua libertà di movimento. Permane in noi l’intento di riprendere l’azione con un intervento presso il Vaticano (Ratzinger) e una mobilitazione di altri gruppi e movimenti.
5. PER UNA "PARATA CIVILE"
Chiede che la parata che si celebra a Roma il 2 giugno, nell’anniversario della proclamazione della Repubblica Italiana, non sia più una parata militare ma una parata civile, in cui sfilino le rappresentanze di tutti i corpi della nazione; in una più alta coscienza di pace e di impegno operoso. Il 14 febbraio 2001 è stato inviato al Presidente della Repubblica, ai Presidenti delle Camere, al Capo del Governo, al Ministro dell’Interno, a un gruppo di parlamentari amici (sui quali si è anche intervenuti a voce); inoltre ai maggiori organi di stampa.
(Al Presidente della Repubblica ItalianaS.E. Carlo Azeglio Ciampi
Per una parata civile
La Sua decisione di reintrodurre la grande parata del 2 giugno, per la ricorrenza e celebrazione della Repubblica Italiana, si è rivelata particolarmente felice. Quella celebrazione ha ridestato nella nazione una identità spesso oscurata, un senso di appartenenza e di fierezza; la stampa lo ha rilevato; un senso di partecipazione che ha superato l’abituale scetticismo, l’abituale distacco, la scarsa fiducia che caratterizza il comportamento italiano in questa fase, o fors’anche sempre.
Il "Movimento per la società di giustizia e per la speranza" ha ampiamente condiviso questo evento e questa coscienza. Ha però pensato che la parata "militare" non era precisamente la soluzione giusta; visto ch’essa era stata abolita proprio perché "militare", per una più forte e visibile volontà di pace; volontà che in questi anni si va diffondendo nel mondo, si va affermando anzitutto in Europa, con l’abolizione della leva, l’istituzione di eserciti professionali con lo scopo di compiere soprattutto missioni pacificatrici nel mondo. In fondo c’era in noi anche la fierezza di aver abolito la parata militare, mentre altri paesi – come la Francia il 14 luglio- continuavano a praticarla con convinzione e con sfarzo. Perché celebrare l’avvento della repubblica, cioè di una libertà nuova, di una acquisita più ampia sovranità popolare, volontà pacifica, con lo spiegamento di strumenti di guerra, strumenti di morte? che restano tali, anche se destinati a missione di pace.
Il "Movimento" ha pensato che la soluzione più giusta e più significativa sarebbe una parata "civile"; dove sfilassero con coscienza e con orgoglio tutte le forze della nazione, i corpi del suo vivere e operare, del suo operoso pacifico costruire, le "arti", le professioni; raccolte attraverso le loro organizzazioni; fors’anche le regioni coi costumi della tradizione, la loro memoria storica; l’intera società civile; e con essa anche i militari, ma come parte di quella stessa società, come il corpo ch’essa deputa alla sua difesa e pace, alla pace nel mondo.
Qualcosa di simile a ciò che avviene nelle Olimpiadi, dove sfilano corpi di pace, che sono insieme espressione della forza e abilità e impegno umano, di tutte le nazioni; con una magnifica dimostrazione di presenza e di solidarietà, pur nell’emulazione, con un impatto profondo sulla coscienza.
Così vorremmo fosse la parata a cominciare dal prossimo anno. Pensiamo costituirebbe un esempio per tutte le nazioni che ancora dispiegano, talora sfoggiano, forze di guerra e di morte; e raccoglierebbe il più ampio consenso di tutta la nazione.
Lecce, il 14 febbraio 2001
In data 14/05/01 il Vice Segretariato Generale del Presidente rispondeva (a firma Melina Decaro) ) con una lettera che si soffermava a lungo sull’intervento del Presidente, volto a ristabilire la celebrazione della Repubblica, il suo senso, i suoi motivi; ma non entrava affatto nel merito della "parata civile". Seguiva una nostra lettera al Presidente:
Al Presidente della Repubblica Italiana
S.E. Carlo Azeglio Ciampi
Questa lettera concerne la proposta Per una parata civile che il " Movimento per la società di giustizia e per la speranza" Le ha inviato in data 14/02/01. La proposta era diretta a Lei, ma è stata inviata anche ai presidenti di alcuni dei maggiori organi istituzionali, cioè ai presidenti del Consiglio dei Ministri, del Senato, della Camera dei Deputati, oltre che al Ministro dell'Interno e al Sindaco di Roma, a un certo numero di parlamentari.
La proposta è stata molto apprezzata; si è anzi pensato che fosse la cosa più giusta abbandonare la parata militare, l'esibizione e lo sfoggio delle armi nel giorno in cui si celebra l'avvento della Repubblica; nella quale più altamente si esprime la sovranità e volontà popolare, che è volontà di pace.
Nella risposta che il Movimento ha ricevuto dal Suo Vice Segretario Generale, a firma di Melina Decaro (Prot.AGS/69379-PL), non si parla per nulla della proposta, ma solo della rinata celebrazione della Repubblica, ad opera sua, per la quale il Movimento aveva espresso grande apprezzamento. E però chiedendo, a nome di tutti coloro che sentono e vivono il grande ideale della pace, l'abolizione della parata militare per una parata civile.
Questo il Movimento Le chiede, Presidente, con la più viva insistenza. Il 2 giugno si approssima e vorremmo vedere i segni della grande volontà di pace che anima la nazione.
Lecce, il 24 aprile 2001
La risposta, del 14/05/01, sempre a firma Decaro, ribadiva il carattere pacifico delle nostre forze armate. Insomma il Presidente non accettava di trasformare la parata militare in parata civile, rivelando una singolare chiusura mentale.
In occasione della ricorrenza, compariva sul quotidiano "la Repubblica" un testo a pagamento che iniziava dicendo: «Festeggiare la Repubblica Italiana à bello e a noi piace festeggiare. Ma forse c’è un errore nel titolo. In realtà questo 4 giugno è la festa delle Forze Armate, riesumando parate delle quali proprio non sentivamo la mancanza». Il testo era firmato da numerose associazioni: Conferenza nazionale enti servizio civile, Acli, Aism, Anpas, Arci, Caritas italiana, Confederazione Misericordie d’Italia, Cenasca-Cisl, Cesc, Federsolidarietà/CCI, Italia Nostra, Legacoop, SCS/CNOS, WWF Italia, Lega obiettori di coscienza, Associazione obiettori nonviolenti. Aderivano: Forum permanente terzo settore, Pax Christi, Tavola della pace, Consorzio SC&CO, Legambiente, UISP, Ass. Lunaria, Consorzio ICS.
L’azione, dunque, dev’essere ripresa, anche cercando un contatto con queste associazioni, giungendo a un intervento comune che raggiunga l’obiettivo.
6. SUL PARLAMENTO NEO-ELETTO
In seguito alle elezioni politiche del 13 maggio 2001 risultava nel Parlamento la presenza anomala di parlamentari (oltre una ventina) inquisiti per reati comuni, a cominciare dal capo della maggioranza e candidato alla presidenza del governo. Il Movimento richiamava l’attenzione del Presidente Ciampi su questa anomalia. Il documento veniva inviato anche a un centinaio di parlamentari. Eccone il testo (del 19/05/01):
(Al Presidente della Repubblica Italiana S.E. Carlo Azeglio Ciampi, e per conoscenza ai Presidenti del Consiglio dei Ministri, del Senato, della Camera dei Deputati, ai membri del Parlamento, ai cittadini italiani
L’anomala composizione del Parlamento neo-eletto, le pendenze con la giustizia
Il "Movimento per la Società di giustizia e per la Speranza" si rivolge a Lei in questo momento difficile per la nazione italiana cui Lei presiede. Il Movimento è alieno da qualunque appartenenza o collateralità di partito, o di movimento politico concreto, mentre persegue solo le alte finalità per le quali è sorto.
In questo momento l’attenzione si porta sul Parlamento uscito dalle recenti elezioni, e di cui Lei ha lodato le garanzie di stabilità che offre alla nazione. Non si può tuttavia negare che un certo numero dei suoi membri ha pendenze aperte con la giustizia. A cominciare dal leader della nuova maggioranza, Silvio Berlusconi, le cui vicende giudiziarie, come risulta dalla stampa nazionale, sono davvero impressionanti: condannato due volte in primo grado e ritenuto responsabile in secondo grado ma con prescrizione di reato, per corruzione della Finanza, per indebito finanziamento di partito; con due sentenze pendenti in Cassazione, per falso in bilancio e per frode fiscale; tre processi in corso per corruzione in atti giudiziari e ancora per falso in bilancio; una richiesta di rinvio a giudizio per fondi neri, una di autorizzazione a procedere per frode fiscale e violazione della legge antitrust. Il quotidiano spagnolo "El Mundo" parla, con stupore, di 23 membri del nuovo Parlamento condannati e 11 sotto inchiesta.
Il principio che il Movimento crede si debba perseguire è che le persone che accedono al Parlamento e al Governo della nazione debbano essere ineccepibili sotto il profilo sia giuridico che morale. È un principio che gli altri stati dell’Unione Europea seguono abitualmente: quando una persona è indiziata di reato lascia il governo come il parlamento perché neppure l’indizio o il sospetto deve intaccare coloro che rappresentano la nazione, hanno la responsabilità della legge, la responsabilità di gestire la nazione intera. Lo si è visto recentemente in Germania nel caso Kohl, in Francia nel caso Strauss-Kahn.
La violazione di questo principio reca grave danno alla moralità della nazione italiana, alla sua dignità, al rispetto che ci si dovrebbe attendere dalle altre nazioni: l’accusa di una facile immoralità, di un costume politico corrivo colpisce noi tutti, e giustamente.
Il Movimento denunzia questa situazione come intollerabile e ritiene che il Capo dello Stato debba intervenire con misure
atte a provocare un risanamento.
Lecce, il 16 maggio 2001
7. L’ADESIONE AL GENOA SOCIAL FORUM E IL DOCUMENTO SUI VERTICI INTERNAZIONALI
Dopo aver preso in considerazione i documenti della corrente di contestazione uscita da Seattle e ampliatasi via via lungo i vertici e incontri di Praga, Davos, Göteborg, Nizza, in particolare l’appello uscito dal controvertice di Porto Alegre del 30 gennaio 2001; e dopo aver preso in considerazione i gruppi confluiti in questa corrente, il Movimento ai primi di luglio aderisce al Genoa Social Forum. Si trova infatti in piena consonanza con lo spirito, i principi, gli obiettivi del popolo di Seattle che in questi vertici internazionali rappresenta la società civile, la sua voce, la proposta, il dissenso, la protesta; o anche la disobbedienza civile, la resistenza nonviolenta.
Nell’agosto, dopo i fatti di Genova, dove le forze dell’ordine avevano dato via libera alle frange violenti e distruttrici per infierire sul corpo pacifico dei dimostranti, in particolare nella spedizione punitiva alla scuola Diaz e nella caserma di Bolzaneto, di fronte alla tendenza del governo italiano ad evitare i vertici internazionali, la tendenza generale a spostarli in luoghi isolati, per elidere la contestazione il Movimento, in un Documento indirizzato ai vertici dello stato, afferma il diritto della società civile alla presenza, parola, azione in tali vertici. Il Documento viene inviato anche a un centinaio di parlamentari. Ecco il testo (del 31/08/01):
(A S.E. il Presidente della Repubblica On. Carlo Azeglio Ciampi, e contestualmente al Capo del Governo, al Ministro dell’Interno, al Ministro degli Esteri, ai membri del Parlamento, a tutti i cittadini
Il rifiuto dei vertici internazionali
Vorremmo sottoporre alla Sua attenzione la situazione paradossale che si è creata dopo i fatti di Genova: e cioè che l’Italia, attraverso i suoi governanti, rifiuta i vertici internazionali: trovandosi di fronte a due prossimi impegni, il vertice della NATO a Napoli in settembre, il vertice della FAO a Roma in novembre, tenta di eluderli, vorrebbe spostarli altrove, in Africa ad esempio quello della FAO; o spostarli in altre città, o in zone marginali e chiuse, blindate, come l’Accademia militare di Pozzuoli. Per timore della contestazione.
Questi tentativi hanno già ricevuto la critica, quando non il sarcasmo, della stampa internazionale. Di vertici ce ne sono molti, la collaborazione internazionale è un fatto intenso e benefico; solo in settembre ce ne saranno cinque, in novembre tre; e vengono distribuiti un po’ ovunque, secondo particolari ragioni. Così Roma è sede storica della FAO, Napoli è sede di un comando NATO.
Ci si chiede che cosa si vuol fare dell’Italia: la si vuol privare dei vertici internazionali? si vuole umiliare la nazione? la si vuole emarginare dal consesso internazionale? E perché? per timore della contestazione? ma la contestazione c’è stata a Seattle come a Praga, a Davos, a Göteborg, a Nizza. Si obietta che a Genova è stata più forte e disastrosa. Lo è stata – sembra – per un errore strategico della polizia, che si è concentrata nella "zona rossa" e ha dato via libera agli spaccatori e distruttori; e per una perversione di reparti della polizia stessa, che si sono accaniti su manifestanti pacifici, e hanno consumato poi la spedizione punitiva della scuola Diaz e le "torture" della caserma di Bolzaneto. Questo, almeno, è quanto finora risulta dalle notizie ampiamente diffuse, mentre si attendono le decisioni della magistratura.
Che si vuol fare dell’Italia? una nazione di codardi? le cui forze dell’ordine sono incapaci di contenere alcune centinaia di violenti? Non erano preparate alla guerriglia urbana, alla tattica del "mordi e fuggi", ha detto il capo della polizia; come se questa tattica fosse del tutto nuova, non fosse già stata usata in quelle altre città, a Göteborg in particolare, non fosse prevedibile.
Si vuole elidere la contestazione. Ma in realtà ciò che si elide, relegando questi vertici nel deserto africano o nelle foreste canadesi, in luoghi isolati e blindati, è la presenza della società civile e il suo diritto di parola, di proposta, di dissenso, protesta, disobbedienza civile, resistenza nonviolenta. Laddove si radunano dei politici che dalla società civile sono stati eletti e la rappresentano, essa conserva ancor sempre questo fondamentale diritto; non lo ha ceduto. Beccaria diceva giustamente che "la sovranità e le leggi […] non sono che una somma di minime porzioni della privata libertà di ciascuno"; il cittadino nel costituire lo stato, come nell’eleggere i suoi rappresentanti, ha ceduto solo una piccola parte del suo diritto. Probabilmente tutto questo è poco presente al nostro Governo, come in genere ai governanti: credono che, una volta ricevuto il mandato elettorale, possono poi governare a loro talento e la società civile non ha più nulla da dire. Rifiutano e tentano con ogni mezzo d’impedire interventi che la coscienza moderna ha via via chiarito e affermato come parte di quel diritto: il dissenso, appunto, la protesta, la disobbedienza civile, la resistenza nonviolenta.
Sappiamo che Lei già è intervenuto affinché i vertici di Napoli e Roma restino in quelle città. Il "Movimento per la società di giustizia e per la speranza" Le chiede un’azione ulteriore affinché i diritti della società civile siano salvaguardati.
8. PER I PROFUGHI AFGANI
Nel settembre il Primo Ministro si rifiutava di accogliere in territorio australiano un gruppo di 450 profughi afgani che il cargo norvegese «Tampa» aveva salvato dal pericolo di affondare su di una carretta malandata e sovraccarica. Il Movimento interveniva su questo incredibile rifiuto di accoglienza da parte di una nazione vasta quanto un continente e poco abitata. Interveniva sul Primo Ministro e interessava anche i vescovi di Canberra, Melbourne, Sidney. Ecco il testo italiano (del 7/10/01):
(Al Primo Ministro, Mr John Howard
Il caso dei profughi afgani
In seguito al Suo rifiuto di accogliere i profughi afgani della nave norvegese Tampa, il "Movimento per la società di giustizia e per la speranza" sottopone al governo australiano le seguenti considerazioni.
Si trattava di circa 450 persone. Ora sulle nostre coste italiane della Puglia 450 persone sbarcano quasi ogni giorno; e l’Italia ha una popolazione di 58 milioni su un territorio di 302.000 km2, mentre l’Australia ha un territorio di 7.686.000 km2 con solo 19 milioni di abitanti (2,3 per km2). Un piccolo popolo che ha a sua disposizione un continente si è rifiutato di accogliere alcune centinaia di persone.
Ha rinnegato il principio di fraternità umana: ogni uomo è fratello, e con lui ci si deve comportare come con un fratello; e questi erano fratelli bisognosi, nel bisogno estremo.
Ha rinnegato il principio che la Terra è di tutti e a tutti dev’essere aperta.
Ha rinnegato il principio di accoglienza; il principio internazionalmente riconosciuto di soccorso ai profughi, di asilo politico ai profughi politici (e questo era il caso).
Ha rinnegato alcuni dei fondamentali principi su cui si regge la convivenza umana, e che la coscienza moderna, nella sua costruzione di una società di giustizia, ha acquisito e affermato.
Il governo australiano, e il popolo australiano in quanto appoggia questo governo, sono colpevoli di fronte all’umanità intera.
Noi non vogliamo per questo condannarli, ma implorarli affinché un simile fatto non si ripeta; affinché questo popolo si apra al riconoscimento della dignità e del diritto di ogni persona umana, allo spirito fraterno, allo spirito di fraterna accoglienza.
9. INTERVENTI NELL’AMBITO DELLA TRAGEDIA AMERICANA, DELLA GUERRA AFGHANA, DELLA CRISI PALESTINESE
9.1. Nelle settimane che seguirono la tragedia americana delle Torri gemelle e del Pentagono, mentre si attendeva la risposta americana e la pace sembrava ancora possibile, il Movimento intervenne presso il governo americano urgendo la necessità di una strategia di pacificazione, più che di una guerra. Il documento (in inglese) fu inviato anche al Sottosegretario alla difesa Paul Wolfowitz e all’Assistente per la sicurezza nazionale Condoleezza Rice; fu inviato inoltre ai vescovi di Washington, New York, Brooklin, Chicago, e al Presidente della Conferenza episcopale vescovo di Houston, anche perché si appellava all’America come nazione cristiana (il 27/11/01).
(Al Presidente degli Stati Uniti George W. Bush, al Vice Presidente Richard B. Cheney, al Segretario di Stato Colin L. Powell,
al Segretario per la Difesa Donald H. Rumsfeld:
Per una strategia di pacificazione
Il "Movimento per la società di giustizia e per la speranza" si rivolge a Lei, dopo il tragico attacco che la Sua nazione ha subito, e che tutti noi abbiamo seguito con profonda solidarietà e partecipazione, profonda sofferenza; si rivolge a Lei in questa fase in cui gli Stati Uniti, e con essi l’Europa, intraprendono il grande e complesso compito di debellare il terrorismo islamico internazionale.
La convinzione più diffusa in Europa è che questo compito non si possa adempiere attraverso una guerra, ma piuttosto attraverso un’azione di polizia internazionale che deve sì raggiungere e punire i colpevoli, e però deve soprattutto portare all’estinzione del terrorismo con la collaborazione degli stati islamici. Questa collaborazione è indispensabile, e non è certo la guerra che la può ottenere.
La può ottenere invece una generale strategia di pacificazione, che riveda e rinnovi l’intero rapporto tra Occidente e Islam.
1. Bisogna eliminare anzitutto i focolai di crisi, quelli che il mondo islamico, soprattutto il contesto popolare, sente come ferite profonde aperte nella loro comunità:
1.1. La condizione palestinese, anzitutto. Bisogna che la Palestina diventi uno stato pienamente autonomo; che Israele cessi di tenerla sotto la sua tutela; tenervi il suo controllo, il suo esercito, i suoi coloni. La Palestina ha diritto all’autonomia, il principio di autodeterminazione dei popoli gliela garantisce, così come le risoluzioni dell’ONU; e Israele non ha nulla da temere dallo stato palestinese, né dagli altri stati arabi, una volta che l’intera zona sia pacificata. Gli Stati Uniti, che con Israele hanno un legame profondo, devono anzitutto premere su di lui decisamente affinché questa autonomia sia rapidamente realizzata.
1.2. La condizione dell’Iraq. Non è giusto che, dopo dieci anni dalla guerra del Golfo, una parte del suo territorio sia tuttora sotto controllo; che di tempo in tempo il paese sia sottoposto a bombardamenti; che duri ancora l’embargo che ha provocato un milione e mezzo di morti tra la popolazione. La presenza di un dittatore aggressivo non giustifica questo trattamento, che semmai ne acuisce ancor più l’aggressività. Proprio con l’Iraq, magari attraverso la mediazione di stati che hanno con esso un migliore rapporto, dovrebb’essere avviata un’ampia trattativa volta a una definitiva pacificazione.
2. Una politica di pressione sugli stati islamici affinché cessi ogni loro sostegno al terrorismo, di ogni tipo, è certo necessaria. Ma è ancora più necessaria una politica di appoggio alla democrazia, a processi di democratizzazione. È vero che il mondo Islamico è dominato da dittature, teocrazie, monarchie assolute. Ma aperture democratiche possono essere favorite: così nell’Iran di Khatami, in Egitto; negli stati dove in questi anni ai padri sono succeduti dei figli che possono essere più aperti e duttili: Siria, Giordania, Marocco. Appoggio alla democrazia, aiuto alla povertà. Proprio l’Afghanistan potrebbe essere conquistato più che con i bombardamenti e gli eserciti, con un aiuto generoso alla sua condizione di povertà estrema.
Gli Stati Uniti sono un popolo grande e generoso; sono anche un popolo originariamente e profondamente cristiano; animato da quel cristianesimo che rifiuta la violenza, che è permeato da un principio di fraternità e di amore. Ha dispiegato finora la potenza delle armi, e probabilmente era bene che i popoli la vedessero, la sentissero. Ma qui si tratta di riconquistare la fiducia del mondo Islamico, la fiducia e l’amicizia; debellare il sospetto, l’ostilità, l’odio. Solo così la grande lotta contro il terrorismo potrà essere vinta. In un rapporto nuovo tra i due mondi l’Occidentale e l’Islamico, un rapporto di fiducia e di amicizia. Un fatto che, lungo i secoli e i millenni, non era mai accaduto, un evento storico-epocale che aprirà una nuova era per la storia umana.
9.2. Il giorno dopo l’attacco all’Afghanistan, il Movimento intervenne di nuovo presso il governo americano, premendo affinché fossero risolti i punti di crisi (e anche d’ingiustizia) che più offendevano la coscienza popolare islamica e ne potevano stimolare la reazione anche violenta; specialmente la questione palestinese.
(Al Presidente degli Stati Uniti George W. Bush, al Vice Presidente Richard B. Cheney, al Segretario di Stato Colin L. Powell, al Segretario per la Difesa Donald H. Rumsfeld:
Un grave errore nell’attacco all’Afghanistan
Un grave errore è stato compiuto nell’attacco all’Afghanistan d’ieri, domenica 7 ottobre.
Bisognava prima affrontare almeno uno dei punti di crisi, quello che il mondo islamico sente come una ferita aperta, come una profonda ingiustizia, e cioè la situazione palestinese, l’autonomia del popolo palestinese, la fine del martirio di quel piccolo popolo che Israele tiene sotto il suo controllo, che invade col suo esercito, coi suoi coloni; avendo avuto finora il sostegno forte degli Stati Uniti, la loro complicità.
Non discutiamo qui dell’attacco, ma riteniamo che prima di attaccare l’Afghanistan, e sia pure con un’azione mirata e limitata, bisognava risolvere quel problema, coprirsi le spalle dal risentimento delle masse islamiche, dalla rabbia e dal furore popolare. Voi avete trattato coi governi dimenticando la volontà popolare, la forza di quelle masse; dimenticando che se le masse insorgono travolgono i governi, primo fra tutti il Pakistan, la cui situazione è altamente precaria. Voi avete deciso l’attacco ma il mondo trema perché cose spaventose possono accadere, davvero una terza guerra mondiale, davvero la "guerra santa" tanto invocata; se solo le masse pakistane si muoveranno e il governo militare cadrà, e altre masse si muoveranno altrove, altri governi cadranno.
Il problema palestinese è il punto più urgente da affrontare, la questione da chiudere con maggiore urgenza.
Anche il problema Iraq è un punto di crisi aperto; il governo degli Stati Uniti lo tenga ben presente. Non per nulla Osama Bin Laden, nel suo messaggio al mondo islamico, si appellava a questi due punti, additava questi due punti come momenti di una grande ingiustizia in atto, di cui l’Occidente porta la colpa. Ma il problema palestinese urge con maggior forza e con forza dev’essere affrontato, Israele dev’essere piegato, se necessario una forza militare d’interposizione dev’essere creata.
Il "Movimento per la società di giustizia e per la speranza" lo diceva già nel suo precedente messaggio, e lo ripete in questo con la più profonda convinzione, con tutta la sua capacità d’implorazione: che la nazione americana, che il suo governo risolva il problema palestinese, lo risolva al più presto, che sciagure più gravi siano risparmiate all’umanità.
9.3. Lo stesso testo, in francese, con lievi modifiche, fu inviato al Presidente francese Chirac. Terminava dicendo: "Gli Stati Uniti e i loro alleati, l’Unione Europea in particolare, devono risolvere il problema palestinese, risolverlo al più presto, risparmiare all’umanità catastrofi più gravi. La Francia può fare molto a questo scopo e noi sappiamo che il Presidente Chirac è sensibile a questo problema".
Fu scelto Chirac perché la Francia è sempre stata il paese europeo più indipendente dall’alleato americano.
Lo stesso testo, con altre modifiche, fu inviato al Presidente Prodi (e ai Consiglieri politici Riccardo Franco Levi e Francesco Milner), sollecitando una mobilitazione politica dell’Europa.
9.4. Perdurando l’inerzia politica dell’Unione Europea, il suo muoversi in ordine sparso, fu fatto presso Prodi (e i due Consiglieri politici) un secondo intervento (del 19/11/01).
(Al Presidente della Commissione Europea On. prof. Romano Prodi
La guerra contro il terrorismo e l’Unione Europea
Il "Movimento per la società di giustizia" Le sottopone alcune considerazioni sul comportamento dell’Unione Europea in questo frangente della tragedia americana e della guerra al terrorismo islamico. Un comportamento debole, succube dell’alleato americano, diviso; in una questione grave come la guerra e i problemi di giustizia che le sono connessi. Nei punti seguenti.
Quando il comando NATO invocò l’art. 5 per intervenire a fianco degli Stati Uniti nell’azione bellica di risposta al terrorismo, nessuno eccepì nulla; mentre l’art. 5 parla di "attacco armato", cioè di un vero e proprio atto di guerra contro uno dei membri dell’alleanza; che qui non v’era stato.
L’Unione avrebbe dovuto insistere presso l’alleato americano per una generale strategia di pacificazione, comprensiva anche di azioni di polizia internazionale per consegnare alla giustizia i colpevoli dell’aggressione e per togliere al terrorismo il terreno su cui vive, cioè l’appoggio e il sostegno finanziario degli stati islamici; ma non la guerra. L’Unione doveva premere per la pace, non per la guerra.
Qui sono intervenute le solite iniziative degli stati più ambiziosi, l’adesione incondizionata della Gran Bretagna; gl’incontri a tre, a otto. Qualcuno dovrebbe dire che tutto ciò è rovinoso per l’Unione Europea, per la sua identità e forza politica. Si potrebbe preparare un "Libro bianco".
Non è stata presa in considerazione la più importante premessa ad ogni intervento concernente il mondo islamico: l’eliminazione dei punti di crisi, e d’ingiustizia; che sono anche i più gravi punti di risentimento delle popolazioni islamiche contro l’Occidente. Anzitutto la situazione palestinese, la condizione di un popolo cui non viene riconosciuta quell’autonomia che gli è stata garantita; il cui territorio sta sotto il controllo, l’esercito, la presenza dei coloni d’Israele; l’arroganza d’Israele, che alle sassate risponde coi carri armati. E ciò avviene sotto la protezione americana, con la connivenza o l’inerzia dell’Unione. L’altro punto di crisi è l’Iraq. Sui punti di crisi il Movimento aveva già richiamato l’attenzione del Presidente in un precedente messaggio.
Il Movimento è consapevole delle difficoltà che hanno avversato il Presidente in questo periodo; difficoltà e attacchi che non hanno nessuna base reale; ed esprime al Presidente la sua piena solidarietà. Ritiene però che la Commissione dovrebb’essere più presente in questo frangente dove è in atto un fatto così grave come la guerra; una delle maggiori atrocità di cui ancora l’umanità soffre; se non la maggiore.
9.5. Un terzo intervento insisteva sull’inconsistente presenza e politica estera dell’Unione, e chiedeva una decisione di politica estera degna di questo nome (del 9/01/02).
(Al Presidente della Commissione Europea Prof. Romano Prodi
L’Unione Europea deve affrontare la situazione palestinese
Il "Movimento per la società di giustizia" si rivolge a Lei, e alla Commissione che Lei presiede, per sottoporLe ancora una volta l’opportunità di un’azione europea per la soluzione del problema palestinese, che l’oltranzismo del governo conservatore israeliano ha portato nelle ultime settimane a punti di esasperata inumana asprezza, di acuta ingiustizia e illegalità.
L’inerzia dell’Europa, la mancanza di un’iniziativa europea per l’arresto del conflitto, per il rientro d’Israele nel suo territorio, nel rispetto del territorio palestinese, e degli accordi che lo riconoscono; anche attraverso una forza militare d’interposizione; quest’inerzia suscita nei cittadini europei una vasta ondata di stupore e d’indignazione.
Sappiamo che la Commissione, nella persona del Presidente e del Commissario agli esteri, insieme col Presidente pro tempore dell’Unione, sono intervenuti presso il governo israeliano, premendo per una composizione del conflitto; senza però nulla ottenere.
Pensiamo che sia necessario giungere ad una riunione al più alto livello, dei primi ministri e dei ministri degli esteri europei, che abbia all’ordine del giorno questo problema; e con esso l’avvio di una seria politica estera dell’Unione, che finora è mancata, e che può assumere un significato altissimo per la giustizia e la pace nel mondo. Certo l’Unione non ha che da vergognarsi di essere stata finora così debole, così assente, così facilmente remissiva con l’alleato americano; e anche così poco unita, così scarsa d’identità; di non aver significato – come tutti lamentano – nulla o quasi nulla sul piano politico mondiale.
Chiediamo questa forma d’intervento forte, che può esercitare una forte pressione sull’America, la maggiore protettrice d’Israele. Chiediamo, con questo, l’inizio di una politica estera europea degna di questo nome.
9.6. Lo stesso testo, in francese, con lievi modifiche, fu inviato alla Presidenza e al Governo francese. Terminava dicendo: "La Francia è, tra le maggiori nazioni europee, quella che ha sempre seguito una linea di spiccata indipendenza dall’egemonia americana. Crediamo che proprio la Francia, e Lei Presidente in particolare, e il Suo governo, possano farsi promotori di questo intervento; lo chiediamo. Chiediamo, a nome di tutti i cittadini europei, l’inizio di una politica estera europea degna di questo nome".
9.7. Le risposte di Prodi e di Chirac cercano di rassicurarci sull’azione dell’Unione Europea come della Francia per la soluzione del problema palestinese. In verità Prodi, insieme col Presidente pro tempore dell’Unione e col Commissario agli Esteri, ha fatto un viaggio in Medio Oriente, ha incontrato il governo israeliano e ha premuto in tal senso; ma non ha ottenuto nulla. L’Europa resta divisa e debole: l’Inghilterra di Blair legata e succube dell’America (a proposito di una possibile guerra all’Irak Blair ha dovuto fronteggiare una rivolta nel partito), la Germania impotente quando si tratta d’Israele, l’Italia nulla, manca anche di un vero ministro degli esteri.
9.8. L’azione mediativa del principe ereditario saudita Abdallah nella crisi palestinese ha segnato un passo importante, dato il prestigio che l’Arabia Saudita gode presso gli USA e l’Europa, come presso il mondo arabo. Il Movimento gli ha inviato (in inglese) un messaggio di solidarietà e di sostegno (del 17/02/02).
(A Sua Maestà il Principe Ereditario Abdallah bin Abd al Aziz al Saud:
Il Suo intervento in aiuto al popolo palestinese
Il "Movimento per la società di giustizia" plaude alla Sua iniziativa per una soluzione del conflitto tra Israele e Palestina. In questi ultimi mesi il nostro Movimento è intervenuto più volte presso il governo americano e presso l’Unione Europea, insistendo sulla necessità di una decisione che ristabilisse la giustizia e la pace.
È infatti una tremenda ingiustizia quella che si sta abbattendo sul popolo palestinese, un vero martirio per quella piccola nazione che Israele tiene sotto il suo controllo, che invade col suo esercito, coi suoi coloni; che sta distruggendo giorno per giorno, avendo goduto finora del forte sostegno, e della complicità, degli Stati Uniti, così come dell’inerzia dell’Unione Europea, della sua cecità e impotenza.
La Palestina deve diventare uno stato pienamente autonomo; Israele deve cessare di controllarla ed invaderla. La Palestina ha diritto all’autonomia, garantita dal principio di autodeterminazione dei popoli come dalle risoluzioni dell’ONU; e Israele non ha nulla da temere né dallo stato palestinese, né dalla maggioranza degli stati arabi, una volta che la pace sia stata riportata in quella regione.
Il nostro Movimento è certo che la Sua iniziativa gode della simpatia e del sostegno della stragrande maggioranza del popolo italiano ed europeo, perché noi sentiamo che cosa la gente dice su questa vicenda, lo sentiamo ogni giorno.
Noi speriamo che Lei possa continuare la sua preziosa mediazione con tutta l’autorità e il prestigio che le viene dalla Sua alta posizione politica, e dal fatto che nella Sua persona si esprime la nazione saudita, che ha sempre condotto una politica di saggezza e di moderazione, godendo così della fiducia degli stati occidentali: una fiducia che oggi risulta estremamente preziosa. Noi speriamo che Lei possa agire con decisione e fermezza per raggiungere il grande scopo: la libertà del popolo palestinese, la sua autonomia, la sua piena sovranità, la pace e la prosperità dopo tanta sofferenza.
10. INTERVENTI SULL’ANOMALA ATTIVITÀ DEL PARLAMENTO
Il Movimento si era rivolto già nel maggio 2001 al Presidente della Repubblica, facendogli notare l’anomala composizione del Parlamento neo-eletto, in cui sedevano alcune decine di persone condannate o inquisite per vari reati, a cominciare dal leader della maggioranza, che aveva una serie di pendenze con la giustizia. Nei mesi seguenti il Parlamento varava un gruppo di leggi a favore di questi suoi membri inquisiti, sovvertendo il significato della legge, oltre che la moralità della nazione. Il Movimento si è rivolto più volte al Presidente, chiedendogli ch’egli non promulgasse queste leggi, ma le rinviasse con un messaggio al Parlamento; come previsto dalla Costituzione. Questi interventi venivano inviati anche a parlamentari dell’opposizione, a parlamentari amici, e per email a un largo indirizzario di cittadini con preghiera d’inviarli a loro volta, e di diffonderli ulteriormente.
10.1. Il primo intervento avveniva dopo l’approvazione delle prime due leggi: sul diritto societario (falso in bilancio), sulle rogatorie internazionali (del 5/10/01).
(Al Presidente della Repubblica Italiana, S.E. Carlo Azeglio Ciampi, ai membri del Parlamento, a tutti i cittadini
Leggi inique dal Parlamento
Il "Movimento per la società di giustizia e per la speranza" si rivolge a Lei con la preghiera di voler porre un argine alla recente attività del Parlamento e della sua maggioranza, che invece di elaborare leggi nell’interesse generale della nazione, com’è suo compito, elabora leggi nell’interesse di singoli contro l’interesse della nazione; in questo caso l’interesse del capo della maggioranza e capo del governo, e di persone a lui legate.
Ciò è stato rilevato dalla stampa nazionale come da membri del Parlamento stesso.
Si tratta della "legge di riforma del diritto societario" (in particolare la modifica della disciplina del falso in bilancio) e della "legge sulle rogatorie internazionali", che le rende più difficili in una fase in cui dovrebbero invece essere facilitate, per la lotta in corso contro il terrorismo internazionale, lotta complessa e difficile. Un punto che ha suscitato stupore e disapprovazione nella stampa come nel mondo politico internazionale; in cui dunque è in gioco il prestigio stesso della nazione.
Leggi ingiuste, in quanto mirano a bloccare processi in cui il capo della maggioranza e del governo, e le persone a lui legate, sono coinvolte; mirano a far sì che non siano giudicate o siano assolte persone che hanno commesso reati. Leggi dannose alla nazione. La stampa ha riportato l’elenco di questi processi.
Un fatto gravissimo: il Parlamento favorisce con queste leggi persone incriminate, mentre sarebbe suo dovere perseguire il crimine, difendere la nazione dal crimine.
Un Parlamento che così agisce, in modo iniquo, tradendo la moralità e l’interesse della nazione, non può essere ulteriormente tollerato, dev’essere sciolto. Queste leggi inique approvate non devono aver corso, il Presidente non può avallarle con la sua firma.
Chiediamo al Presidente di intervenire nella pienezza dei suoi poteri e della sua responsabilità, di avere pietà di una nazione così vilmente tradita dal suo Parlamento. Essa lo ha eletto, ha eletto questa maggioranza, ma non pensava che si sarebbe giunti a tanto obbrobrio.
10.2. Il secondo dopo l’approvazione delle leggi sulle successioni e donazioni e sul rientro dei capitali (del 9/11/01).
(Al Presidente della Repubblica Italiana, S.E. Carlo Azeglio Ciampi, ai membri del Parlamento, a tutti i cittadini
Ancora leggi inique dal Parlamento
Il "Movimento per la società di giustizia e per la speranza" si era già rivolto a Lei con la preghiera di voler porre un argine alla recente attività del Parlamento e della sua maggioranza, che invece di elaborare leggi nell’interesse generale della nazione, com’è suo compito, elabora leggi nell’interesse di singoli contro l’interesse della nazione; in questo caso l’interesse del capo della maggioranza e capo del governo, e di persone a lui legate. Un’anomalia che è stata rilevata dalla stampa nazionale come da membri del Parlamento stesso.
Il Movimento si era rivolto a Lei, ma senza successo, e così l’anomala attività del Parlamento è continuata.
Ora sono già almeno quattro le leggi in questione: la "legge di riforma del diritto societario" (in particolare la modifica della disciplina del falso in bilancio); la "legge sulle rogatorie internazionali", che le rende più difficili in una fase in cui dovrebbero invece essere facilitate, per la lotta contro il terrorismo internazionale; la "legge sulle successioni e donazioni" (tutte, anche quelle concernenti grandi patrimoni, dove l’imposta seguiva un principio di ridistribuzione dei beni, principio già antico), la "legge sul rientro dei capitali".
Leggi ingiuste, in quanto mirano a bloccare processi in cui il capo della maggioranza e del governo, e persone a lui legate, sono coinvolte; mirano a far sì che non siano giudicate o siano assolte persone che hanno commesso reati; che capitali esportati illecitamente possano rientrare con facilità, con danno anche economico per lo stato. Leggi dannose alla nazione. La stampa ha anche riportato l’elenco dei processi in corso contro tali persone.
Un fatto gravissimo: il Parlamento favorisce con queste leggi persone incriminate, mentre sarebbe suo dovere perseguire il crimine, difendere la nazione dal crimine. Un fatto che ha suscitato scalpore nel mondo politico internazionale come nella stampa. E danneggia gravemente la nazione italiana, come nazione corrotta, retta da legislatori e da governanti corrotti.
Il Presidente della Repubblica ha dei doveri precisi, egli è il tutore della legalità, come della dignità morale della nazione. La Costituzione, all’art. 74, prevede che "prima di promulgare una legge, può con messaggio motivato alle Camere chiedere una nuova deliberazione". Non lo ha fatto; ha anzi dimostrato solidarietà al Presidente del Senato nelle difficoltà incontrate a far approvare una di quelle leggi inique; un gesto che suscitato meraviglia e riprovazione.
Rinnoviamo, con più forte istanza, la nostra richiesta al Presidente di intervenire nella pienezza dei suoi poteri e della sua responsabilità; con un messaggio, con un richiamo ai maggiori responsabili di questo comportamento iniquo. Riteniamo sia un suo preciso dovere.
10.3. Il terzo dopo l’opposizione del governo al mandato d’arresto europeo (11/12/01).
(A S.E. il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, al Presidente della Corte Costituzionale,ai membri del Parlamento, a tutti i cittadini
Il governo italiano e la giustizia in Europa
Ci troviamo di fronte a un governo che, in sede europea, e in contrasto con tutti gli altri membri dell’Unione, secondo quanto riferisce la stampa, si rifiuta di approvare il mandato di arresto europeo per una serie di reati, tra cui frode, corruzione, riciclaggio di denaro, crimini ambientali. E la ragione è nota a tutti, e tutti ne parlano: nel senso del timore che alcuni membri suoi, e del parlamento di cui detiene la maggioranza, possano essere perseguiti in sede europea proprio per questi reati. Ora si è trovato un compromesso, ma l’intera Europa ha giudicato con severità questo anomalo comportamento.
È invero lo stesso governo che ha fatto approvare dal parlamento le leggi inique che il "Movimento per la società di giustizia" ha già denunziato all’attenzione del Presidente (lett. del 9/11/01); chiedendo che non vi apponesse la firma ma le rinviasse al parlamento con un messaggio, com’è suo potere e dovere, secondo l’art. 74 della Costituzione; e non si rendesse corresponsabile di tali decisioni. Erano la "legge di riforma del diritto societario" (in particolare la modifica della disciplina del falso in bilancio); la "legge sulle rogatorie internazionali", che le rende più difficili in una fase in cui dovrebbero invece essere facilitate, anche per la lotta contro il terrorismo; la "legge sulle successioni e donazioni" (tutte, anche quelle concernenti grandi patrimoni, dove l’imposta seguiva un principio di ridistribuzione dei beni); la "legge sul rientro dei capitali".
Il Presidente non ha ascoltato la nostra voce e quella di tanti altri cittadini; molti hanno ricordato in proposito un altro Presidente, Scalfaro, che si rifiutò di firmare il cosiddetto decreto "salvaladri"; hanno fatto il confronto. Queste cose passano alla storia e la storia le giudicherà.
Intanto, con un parlamento e un governo di questa fatta, la nazione soffre di una grave decadenza morale, è sottoposta ad una vera rapina della sua dignità e del suo onore. Ed è oggetto di spregio e disdegno da parte delle altre nazioni.
Un parlamento che, invece di legiferare per l’interesse della nazione, legifera per l’interesse di alcuni suoi membri contro l’interesse della nazione; un parlamento che fa leggi per la salvaguardia di un gruppo che ha pendenze con la giustizia, si condanna da sé e dev’essere sciolto.
Il Presidente deve adempiere per intero il suo compito: il "Movimento per la società di giustizia" chiede anzitutto un messaggio forte, che metta parlamento e governo di fronte alle loro responsabilità, e che anche risvegli la coscienza nazionale. Dopo di che, se le cose non cambieranno, non resta che lo scioglimento (art. 88).
10.4. Il quarto dopo l’approvazione alla Camera della legge sul conflitto d’interessi (1/03/02).
(Al Presidente della Repubblica Italiana S.E. Carlo Azeglio Ciampi
Ancora una legge iniqua
Ancora una volta il Parlamento ha varato una legge, quella sul "Conflitto d’interessi", che non persegue il bene della nazione ma il vantaggio del capo della maggioranza e del governo, come anche di altri imprenditori che con lui governano il paese.
Ciò è avvenuto già con altre leggi, che il "Movimento per la società di giustizia" ha denunziato al Presidente, chiedendo il suo intervento, e sono almeno quattro: la "legge di riforma del diritto societario" (in particolare la modifica della disciplina del falso in bilancio); la "legge sulle rogatorie internazionali", che le rende più difficili; la "legge sulle successioni e donazioni" (tutte, anche quelle concernenti grandi patrimoni, dove l’imposta seguiva un principio di ridistribuzione dei beni), la "legge sul rientro dei capitali". Leggi ingiuste, in quanto mirano a bloccare processi in cui il capo della maggioranza e del governo, e persone a lui legate, sono coinvolti; mirano a far sì che non siano giudicate o siano assolte persone che hanno commesso reati; che capitali esportati illecitamente possano rientrare con facilità, con danno anche economico per lo stato. Leggi dannose alla nazione. La stampa ha anche riportato l’elenco dei processi in corso contro tali persone. Il Presidente, per quanto implorato da molti cittadini di non farlo, ha apposto la sua firma a tutte quelle leggi, e ne porta la responsabilità di fronte alla nazione come di fronte alla storia.
Quest’ultima legge è addirittura offensiva del buon senso, oltre che della moralità di noi tutti: un membro del governo può con la sua pubblica attività favorire la propria impresa anche a danno del pubblico interesse, se insieme a se stesso favorisce l’intera categoria (quindi con un danno generalizzato). L’Antitrust, che sarebbe l’organo di controllo, non può prendere nessuna decisione per fermare quell’attività ed evitare il danno, ma solo suggerire misure alle Camere; cioè a quella stessa maggioranza che ha varato leggi inique in favore del suo capo e dei suoi colleghi.
La Costituzione conferisce al Presidente il diritto-dovere di rifiutarsi di promulgare una legge rinviandola al Parlamento con un messaggio. È quanto il Movimento chiede a Lei una volta ancora in nome della giustizia, in nome dell’interesse della nazione, della sua moralità, del suo onore presso le altre nazioni.
10.5. In seguito al grande raduno romano del movimento detto dei «girotondi», il 14 settembre 2002, avendo Nanni Moretti, nel suo discorso, contestato la democraticità dei comportamenti della maggioranza parlamentare e dal suo leader Berlusconi, il Presidente Ciampi si è affrettato a rispondergli garantendola. Un pronunciamento anomalo, oltre che falso (del 20/07/02).
(Al Presidente della Repubblica Italiana, S.E. Carlo Azeglio Ciampi
Il Presidente garantisce la democraticità di chi sovverte il senso della legge
Ci ha stupito che alla dichiarazione di un cittadino (Nanni Moretti, che presiedeva una riunione popolare di grande estensione e grande significato, quella di sabato 14 settembre a Roma) sul fatto che l’attuale capo del governo e leader della maggioranza sia «estraneo alla democrazia, intimamente estraneo, perché essa è qualcosa che non conosce e non capisce», il Presidente si sia affrettato a rispondere garantendone la democraticità. Il capo del governo e il suo schieramento sarebbero pienamente democratici in quanto designati dal voto popolare, e in quanto operanti nel rispetto della Costituzione.
Ma è proprio questo che Moretti, e con lui la gente che l’applaudiva, contestavano, affermando che il capo del governo e il suo schieramento hanno «fatto a pezzi la Costituzione». Infatti hanno sovvertito il senso e lo spirito della legge, distogliendola dal vantaggio della nazione al vantaggio del singolo, contro quello della nazione; il vantaggio appunto del capo del governo, dei suoi affari, dei suoi amici. E Moretti elencava alcune di quelle «leggi inique», che il Movimento per la società di giustizia ha denunziato più volte, richiamando il Presidente al suo dovere di non promulgarle, di mettere in guardia il Parlamento da simili comportamenti ingiusti, minacciandone anche lo scioglimento. Il Presidente non ha fatto nulla di tutto ciò, ha sottoscritto quelle leggi. E con quale coraggio, di fronte alla nazione, alle altre nazioni d’Europa, sbalordite da un abuso così sfacciato della legge? di fronte alla storia che lo giudicherà, e severamente?
Quelle leggi, che il Parlamento ha varato a vantaggio del suo capo o in soccorso delle sue vicende giudiziarie, come risulta dalla stampa, il Presidente le conosce bene: la depenalizzazione del falso in bilancio; la complicazione delle rogatorie internazionali; la detassazione delle successioni e donazioni; il facilitato rientro dei capitali illecitamente esportati. E altre si appresta a vararne, in particolare quella sul «legittimo sospetto», che deve bloccare i processi in cui il capo del governo è implicato. Tutta la stampa ne parla da mesi.
Come può il Presidente garantire la democraticità di una coalizione siffatta? di chi distorce la legge a suo vantaggio contro il vantaggio della nazione, contro la sua dignità e moralità? Insomma questo Presidente promuove il bene della nazione o l’interesse perverso di singoli potenti? o si barcamena tra la nazione e i potenti, finendo sempre per favorirli?
È l’angosciosa domanda che il Movimento si pone, e con esso molti cittadini, «prima perplessi, poi esterrefatti, poi incazzati per quello che sta succedendo in Italia», per usare il linguaggio estroso ed efficace di Moretti. Il Presidente non può ignorarla, né eluderla con interventi di falso irenismo.
10.6. Continuando l’anomala attività del Parlamento, si pensò ad un’azione per il suo scioglimento: si presentava infatti un problema di legittimità, per un parlamento che sovvertiva il senso e lo spirito della legge, piegandola all’interesse del singolo contro il bene della nazione, e venendo così meno al suo compito. Si pensò di coinvolgere una sessantina di Movimenti e Associazioni, di cui si possedeva l’indirizzo, affinché da tutti insieme procedesse l’azione. L’iniziativa è in corso (lett. del 23/09/02).
(Ai Movimenti e alle Associazioni che operano per la giustizia e per la pace, a tutti i cittadini italiani
Promuovere un’azione affinché l’attuale Parlamento sia sciolto
Il "Movimento per la società di giustizia e per la speranza" si rivolge a voi per chiedervi se non si debba promuovere un’azione siffatta, per conoscere il vostro pensiero e la vostra disponibilità; e, nel caso siate d’accordo, stimolare un’azione comune, mobilitare insieme le nostre forze.
Ci si chiede infatti se l’attuale Parlamento sia ancora legittimo; dal momento che è venuto meno al suo compito che è quello della legge per il bene della nazione; mentre ha legiferato ripetutamente per il vantaggio del leader della maggioranza, dei suoi affari, dei suoi processi, di quelli dei suoi collaboratori ed amici; contro il bene della nazione.
Ha varato già una serie di leggi in tal senso: la depenalizzazione del falso in bilancio; la complicazione delle rogatorie internazionali affinché siano più difficili, sia più difficile perseguire chi ha commesso crimini; la detassazione delle donazioni e successioni di ogni tipo, anche quelle di grande entità, che doveva servire alla ridistribuzione della ricchezza; il facilitato rientro di capitali illecitamente esportati. E si appresta a vararne altre, a cominciare da quella sul «legittimo sospetto», che deve bloccare i processi in cui il leader della maggioranza è implicato. Sono fatti a tutti noti, di cui la stampa nazionale e internazionale ha scritto e discusso ampiamente.
Questo Parlamento è stato democraticamente eletto, ha avuto la delega popolare. Ma la delega è delega: il potere ha sempre la sua sede originaria nella società civile, «la sovranità appartiene al popolo», com’è detto nell’art. 1 della Costituzione. La quale conferisce al Presidente della Repubblica il potere di scioglierlo; non indica i motivi, ma di essi si trova traccia nei resoconti dell’Assemblea Costituente, nella discussione che ha preparato l’art. 88; ad esempio quando «la volontà del Parlamento risulti in antitesi con la coscienza del Paese». Probabilmente i Padri costituenti non avrebbero mai immaginato ciò che invece sta ora avvenendo, che il Parlamento avrebbe sovvertito lo spirito e il senso della legge, sovvertito la sua stessa funzione.
Noi pensiamo che quest’azione debba essere condotta, mirando con ogni mezzo al successo. In ogni caso pensiamo possa costituire un forte richiamo per la gente, per il Parlamento stesso, per il Presidente della Repubblica che ha sempre promulgato tali leggi.
10.7. Intanto la sciagurata legge Cirami, il cui scopo immediato era bloccare il processo in corso a Milano contro Previti e compagni, processo per corruzione che coinvolgeva Berlusconi, per il quale Previti agiva, era stata approvata dalla Camera dei deputati. Il Movimento interveniva sul Presidente Ciampi contro la sua promulgazione. Interveniva anche sui segretari dei partiti alleati di Forza Italia, e cioè Fini, Casini, Bossi, richiamandoli alla dignità morale e agli scopi dei loro stessi partiti, che così venivano traditi; in particolare la dignità della nazione per Alleanza Nazionale e la morale cristiana per l’Unione di Centro (del 14/10/02).
(Al Presidente della Repubblica Italiana S.E. Carlo Azeglio Ciampi, e p.c. ai Membri del Parlamento, ai cittadini italiani
La legge Cirami non può essere promulgata
Il "Movimento per la società di giustizia" si rivolge a Lei per ricordarLe che la legge Cirami, già varata dalla Camera dei Deputati e in corso di approvazione al Senato, non può essere promulgata perché è manifestamente contraria al bene della nazione. Come risulta da tutto il dibattito che l’ha accompagnata, documentato dalla stampa, ha lo scopo immediato di sospendere un processo in cui è implicato il leader della maggioranza, in fase di conclusione; e provocherebbe la sospensione di molti altri processi altrettanto e anche più gravi, in particolare contro la criminalità organizzata.
L’intero ambito dell’amministrazione della giustizia verrebbe sovvertito.
Sappiamo che il Presidente si è adoperato per "migliorare" la legge. Ma l’idea stessa del "migliorare" perdeva senso di fronte al preciso intento di questa ulteriore legge iniqua, che ha il solo scopo d’impedire che il leader della maggioranza sia processato. Un fatto di una gravità enorme, impensabile in uno stato di diritto. Ed è proprio lo stato di diritto che il Presidente ha il dovere di difendere; così come la dignità della nazione che viene fatta a pezzi da un gruppo di potere il quale è stato sì legittimamente eletto, ma ha perso ogni legittimità quando ha abusato della legge e ne ha sovvertito il senso.
In questi mesi il Movimento ha costantemente denunziato il succedersi di queste leggi inique, manifestamente contrastanti con il bene dello stato per il vantaggio del singolo: dalla depenalizzazione del falso in bilancio alla complicazione delle rogatorie internazionali, alla detassazione delle donazioni e successioni, al facilitato rientro dei capitali illecitamente esportati, alla legge sui mezzi di comunicazione. Questa volta però il sovvertimento del senso della legge è ancora più forte.
Sono molti i cittadini che si aspettano un Suo intervento; come già avvenne quando il Presidente Scalfaro rifiutò la firma a un decreto che aveva assunto il nome di "salvaladri" e provocò così un richiamo forte all’esecutivo. Ci attendiamo che il Presidente venga in soccorso della nazione, del suo diritto e della sua dignità, che soffrono per il reiterarsi di questi abusi.
(Ai Segretari dei partiti alleati di Forza Italia, On. Gianfranco Fini, Pier Ferdinando Casini, Umberto Bossi, e p.c. ai Membri del Parlamento, ai cittadini italiani
Le leggi inique e la responsabilità dei partiti alleati
Chiamiamo leggi inique un gruppo di leggi varate dal Parlamento in questi mesi per il vantaggio del leader della maggioranza contro il bene della nazione; come è risultato dalla stampa e dall’intera discussione di questi mesi.
Esse sono la depenalizzazione del falso in bilancio, la complicazione delle rogatorie internazionali (c’erano processi in corso), la detassazione delle donazioni e successioni, il facilitato rientro di capitali illecitamente esportati e, da ultimo, la legge Cirami, varata dalla Camera e in discussione al Senato, il cui scopo immediato è la sospensione di un processo contro il leader della maggioranza e la sua cerchia, in fase di conclusione.
Tutti sanno che queste leggi sono dannose alla nazione. Il falso in bilancio distorce la consistenza economica delle imprese e defrauda il fisco, cioè i cittadini che pagano le tasse; la complicazione delle rogatorie internazionali rende più difficili i processi contro ogni genere di crimine; la tassa sulle grandi donazioni e successioni era una forma di ridistribuzione della ricchezza per il bene di tutti; il facilitato rientro dei capitali favorisce quelli che li hanno illecitamente esportati a danno della comunità nazionale. La legge Cirami è certo la più scandalosa perché mira a sospendere i processi contro cittadini, il leader della maggioranza e la sua cerchia, che devono essere perseguiti come tutti gli altri; e perché provocherà la sospensione di molti altri processi altrettanto e anche più gravi, in particolare contro la criminalità organizzata; questa legge sovverte l’intero ambito di amministrazione della giustizia.
Con queste leggi la maggioranza di cui voi siete parte determinante è venuta meno al suo compito di legislatore: ha abusato della legge e ne ha sovvertito il senso.
Ci si chiede come ciò sia potuto avvenire, che interi partiti si siano messi al servizio di un individuo, contro il bene della nazione. Quando la nazione è lo scopo supremo di Alleanza Nazionale, come risulta dall’intera sua tradizione. Come abbia potuto un partito che si dice cristiano venire meno alla moralità e dignità morale che il cristianesimo imprescindibilmente esige; e come possa dirsi ancora cristiano. E anche la Lega è venuta meno alla tradizione morale del Norditalia.
Il "Movimento per la società di giustizia" vi richiama alla vostra identità e dignità di partiti autonomi, all’impegno di giustizia che avete assunto coi vostri elettori, al vostro dovere di legislatori per il bene della nazione.
11. SU RUSSIA ED EUROPA
In occasione del passo compiuto per l’aggregazione della Russia alla NATO, il Presidente Berlusconi avanzò l’auspicio di un suo ingresso nell’Unione Europea; cui Prodi oppose subito un rifiuto. Questa risposta troppo pronta ci sembrò intempestiva, gli argomenti addotti non convincenti. In tal senso s’intervenne presso Prodi (19/04/02).
(Al Presidente della Commissione Europea Prof. Romano Prodi
L’ingresso della Russia nell’Unione Europea
Ci ha suscitato stupore il Suo così pronto rifiuto di fronte all’eventualità di un ingresso della Russia nell’Unione Europea. Perché la Russia è parte dell’Europa, pur estendendosi attraverso la Siberia anche nell’Asia; e perché la sua integrazione nell’Unione europea l’acquisirebbe definitivamente a quella zona di fraternità e di pace che l’Unione sta costruendo.
Lei oppone essenzialmente un motivo di squilibrio, territoriale e demografico. Ma noi non crediamo che l’ampiezza di un territorio poco abitato abbia grande peso; quanto alla popolazione, Lei stesso notava che si tratta di 150 milioni di abitanti di fronte ai 376 attuali dell’Unione, e ai 500 circa dei prossimi allargamenti; per cui la popolazione russa conterebbe per meno di un quarto.
Vi sono inoltre motivi ben più consistenti in favore dell’aggregazione. Da un lato l’aiuto che l’Unione può dare a questo popolo per raggiungere infine un equilibrio economico e sociale, per uscire da un passato lunghissimo e tristissimo, di feudalesimo e dispotismo zarista prima, di totalitarismo comunista poi, e infine di disorientamento e impotenza; l’impegno stesso che questo popolo dovrà assumere per conformarsi ai parametri etici, politici, economici dell’Unione. Dall’altro l’apporto ch’esso potrà dare all’Unione, a cominciare dalla sua grande anima; ma poi le sue enormi ricchezze minerarie, l’avanzato sviluppo di certe tecnologie, quelle spaziali ad esempio; la sinergia che potrebbe nascere da questo apporto. In particolare ne potrebbe nascere una nuova grande entità planetaria capace di bilanciare in futuro l’egemonia americana, di cui oggi l’umanità intera sente il peso e il pericolo, essendo essa ancora animata da una volontà di potenza e di predominio, che è poi anche volontà di armamento e dispiegamento di armi. Bilanciare quell’egemonia, eliminare ogni egemonia, con uno spirito nuovo.
Il "Movimento per la società di giustizia" chiede a Lei e ai suoi collaboratori una più attenta considerazione e valutazione del caso Russia. Essa appartiene all’Europa, le appartiene certo più che non la Turchia, sia per territorio che per cultura e per tradizione; perciò dall’Europa non dev’essere allontanata, e certo, se chiede l’adesione, sarebbe un errore imperdonabile opporle un rifiuto. È giusto, invece, e benefico, per noi come per l’umanità intera, ch’essa sia integrata al suo corpo e al suo spirito; che sia acquisita a quella zona di fraternità e di pace che l’Unione sta creando, in cui speriamo vorrà perseverare, per il bene di tutti.
12. SULLA SCOMUNICA DELLE DONNE SACERDOTE
Questa vicenda si svolse durante l’estate. Il Movimento intervenne quando furono resi noti i documenti ufficiali che la riguardavano; per richiamare l’ingiustizia di quel trattamento (23/09/02).
(Al Cardinale Joseph Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, all’Arcivescovo Tarcisio Bertone, Segretario, e p.c. al Papa Giovanni Paolo II
Il sacerdozio femminile e l’intolleranza del Vaticano
La scomunica inflitta alle sette donne ordinate sacerdote il 29 giugno scorso ha turbato l’animo di molti fedeli e particolarmente dei gruppi femminili. Per almeno due motivi
Anzitutto perché l’autorità ecclesiastica non ha seguito il precetto evangelico della correzione fraterna, i suoi gradi. Bisognava prima incontrare queste donne e ascoltarle, conoscere i motivi che le avevano portate a questo passo e impegno; ascoltarle prima in incontri personali, poi in incontri collegiali, con altre donne e con altri uomini impegnati nella chiesa. Come quelle donne avevano chiesto nella loro lettera al Papa. L’ascolto e lo scambio, non la pressione e la minaccia, non l’intimazione del Monitum da Loro emesso. Secondo i principi evangelici della carità e del rapporto fraterno.
In secondo luogo, il problema del sacerdozio femminile è tutt’altro che pacifico nella chiesa. I maggiori esegeti, storici, teologi ritengono che la scelta del Cristo prima, e la tradizione instauratasi poi non abbiano originariamente nulla di precettivo, ma seguano semplicemente il costume di una società patriarcale e androcentrica da sempre; in particolare di quella ebraica, che escludeva le donne dalle mansioni sacerdotali, a differenza di altre società antiche. La tradizione androcentrica poi, perpetuandosi, ha fatto del costume una legge, e l’ha fissata a lungo nell’insegnamento teologico, pastorale, autoritativo. Il movimento femminile, e con esso la teologia femminile che ha portato luce in questo campo, è recente, e la gerarchia ecclesiastica stenta a recepirne le istanze.
Ma i fondamentali principi che sono andati illuminandosi nella coscienza moderna, la cui radice è messianica ed evangelica, contraddicono quell’androcentrismo: il principio della dignità e diritto della persona umana, della pari dignità e diritto di uomo e donna; il principio fraterno, che esalta potentemente il principio di eguaglianza, e però ne ha ricevuto luce. L’androcentrismo della gerarchia si rivela così nella sua ingiustizia: fa ingiustizia alla donna, non diversamente da quanto fa l’Islam che pure la esclude, e anche la reclude e opprime in molti modi.
Il Movimento per la società di giustizia si sente in dovere di richiamare la gerarchia ad un comportamento che corrisponda al grande progetto e precetto della giustizia e del rapporto fraterno, che si elaborano e s’impongono all’umanità nel profetismo messianico e nel vangelo.
13. LA GUERRA ALL’IRAQ: INTERVENTO SU CHIRAC
Avendo la Francia, nelle discussioni che, in seno all’ONU, hanno preceduto la guerra, difeso con insuperabile decisione le ragioni della pace contro la proterva volontà di guerra americana, un messaggio è stato inviato al presidente Chirac (gennaio 2003).
(Al Presidente della Repubblica Francese Jacques Chirac
La resistenza alla volontà di guerra degli Stati Uniti
Il "Movimento per la società di giustizia e per la speranza", e la stragrande maggioranza del popolo italiano, hanno vivamente apprezzato la fermezza con la quale il Presidente della Nazione Francese, e con lui il suo governo e l’intera nazione, hanno opposto alla volontà americana di attaccare l’Iraq le ragioni supreme della pace.
Si deve richiamare agli Stati Uniti e al suo Presidente che il trattato dell’ONU, la grande comunità planetaria dei popoli, stabilisce che tutti i conflitti tra stati devono essere risolti non con la guerra ma con la trattativa. Per cui si deve trattare con tutti i mezzi, e con tutta la benevolenza e la forza possibile, al fine di pervenire a quella soluzione che l’umanità attende per il suo bene, che è la soluzione pacifica. Gli Stati Uniti hanno sottoscritto questo trattato e hanno il dovere di osservarlo.
Si deve anche richiamare al Presidente degli Stati Uniti che l’umanità ha raggiunto questo punto di maturazione della sua coscienza storica per cui rifiuta la guerra; la rifiuta in ogni caso; perché la guerra è il punto di degradazione estrema di ogni valore umano: è il macello, il massacro, il fratello che uccide il fratello, i fratelli che tra loro si uccidono; oggi soprattutto, con la guerra totale, con le armi di distruzione di massa, le armi atomiche, chimiche, biologiche.
L’umanità rifiuta la guerra e lo ha dimostrato nella grande manifestazione planetaria del 15 febbraio: essa ha dichiarato la sua volontà, che i politici devono rispettare, perché la fonte di ogni potere e di ogni decisione di potere sta nel popolo.
In seguito a Bruxelles si è raggiunto un compromesso, che cioè la guerra all’Iraq potrà essere sferrata come "extrema ratio"; e voi avete accettato questa decisione; vostro malgrado, pensiamo. In realtà non v’è alcuna ragione, né prossima né estrema, che possa oggi giustificare la guerra. Noi speriamo che anche in futuro voi difenderete le ragioni della pace senza compromesso alcuno: per l’umanità, per l’Europa che deve dispiegare in pienezza la sua vocazione pacifica e fraterna.
14. UN DISEGNO DI LEGGE SULLA PROSTITUZIONE
Segnalato dalla stampa il nuovo disegno di legge sulla prostituzione, per toglierla dalle strade, e le reiterate dichiarazioni del ministro Bossi in favore degli "eros center", un messaggio è stato inviato per sostenere la legge e il suo valore, richiamando però l’illiceità di questi centri (31/01/03).
(Ai Ministri Gianfranco Fini, Umberto Bossi, Stefania Prestigiacomo, Ai membri del Parlamento
Il disegno di legge sulla prostituzione e il problema degli eros center
Il disegno di legge presentato nelle scorse settimane prospetta una buona legge, forse la migliore in Europa. Togliere la prostituzione dalle strade era il primo e perentorio atto da compiere: per il disagio che comportava alle donne stesse; per l’esibizione dei loro corpi e dei loro traffici, esibizione del vizio (poiché di vizio si tratta); per il disagio morale e materiale delle famiglie che su quelle strade abitavano; per un generale spirito di decenza, di dignità morale.
Si deve però dire che altro è tollerare, altro è esibire, altro è organizzare. Lo stato tollera la prostituzione, nonostante sia un atto immorale; un atto in cui la donna è soccombente come e più che in tanti altri punti del suo millenario asservimento al maschio; che perciò contrasta col principio di parità anche se esercitata in libertà piena (libertà tuttavia condizionata da quella tradizione, da quel costume). Un atto di disordine sociale cui altri disordini si congiungono: sfruttamento da parte dei "protettori", asservimento, schiavizzazione; racket dello sfruttamento e della schiavitù, crimine organizzato. Punti che lo squallore della strada aggravava.
Lo stato la tollera per tante ragioni, ma non può organizzarla, direttamente o indirettamente; come nelle "case chiuse" di un tempo, o negli eros center, con l’autorizzazione della questura, il controllo medico obbligatorio, la tassazione del reddito. Sugli eros center ritornano certe dichiarazioni del ministro Bossi, che però contrastano con questo fondamentale principio e non possono essere accettate da un retto ordinamento; anche se sono presenti in altre nazioni, come la Germania. Ma in altre nazioni perdura anche la prostituzione sulle strade (in Francia e in Gran Bretagna), come finora in Italia; o addirittura le "case chiuse" (in Spagna e in Olanda). Gli eros center sono anche contrari al principio di parità in quanto sono un servizio offerto alla trasgressione del maschio attraverso un certo grado di asservimento della donna.
Né lo stato può consentire che la prostituzione sia organizzata, come nelle cooperative autogestite auspicate da certi parlamentari. La tollera invece come un fatto privato che avviene nel privato di un appartamento; da parte di non più di due persone – si dice – affinché non si ripresenti la forma associativa: una precisazione importante, che però non compare chiaramente nella legge (cfr. art. 1, 2, 6 bis 1).
La quale affronta anche il problema della correità del maschio, che la discussione degli ultimi anni ha messo in risalto. E però questa correità dev’essere punita almeno nella stessa misura della donna; non in misura minore, come nel disegno di legge, che gli evita anche l’arresto in caso di recidiva. Nella discussione di questi anni la colpevolezza del maschio risultava anzi maggiore di quella della donna; perché egli domina tuttora nella società, e tuttora assoggetta a sé la donna; e la richiesta di prestazione sessuale a pagamento, di squallida venalità è sua. E ancora per quella ragione storica di cui si è detto, quel millenario costume di asservimento di cui la prostituzione è un gravoso penoso residuo. Su questo punto riteniamo che la legge debba essere corretta.
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