I film del 2015
Indice
febbraio
Mike Leigh – Turner
James Marsh – La teoria del tutto
Ava DuVernay – Selma – La strada per la libertà ●
Sam Taylor-Johnson – Cinquanta sfumature di grigio
Angelina Jolie – Unbroken
marzo
John Curran – Tracks - Attraverso il deserto
Sergio Castellitto – Nessuno si salva da solo
aprile
Olivier Nakache e Eric Toledano - Samba
maggio
Nanni Moretti – Mia Madre
Ruben Ostlund – Forza maggiore
giugno
Teneramente folle
Francesco Munzi - Anime nere
David Ayer - Fury
luglio
Alex Garland - Ex machina
settembre
Antoine Fuqua - Southpaw-L'ultima sfida
Jake Schreier - Città di carta
Jonathan Demme - Dove eravamo rimasti
Marco Bellocchio - Sangue del mio sangue
Thomas Vinterberg - Via dalla pazza folla
Claudio Caligari - Non essere cattivo
Baltasar Kormákur - Everest
ottobre
Gabriele Muccino - Padri e figlie
Maria Sole Tognazzi - Io e lei
Nancy Meyers - Lo stagista inaspettato ●
Marco Ponti - Io che amo solo te
Yorgos Lanthimos - The Lobster
Stefano Sollima - Suburra
novembre
Peter Bogdanovich - Tutto può accadere a Brodway
Guido Chiesa -Belli di papà
Claudio Cupellini - Alaska
Billy Ray - Il segreto dei suoi occhi
dicembre
Sergio Rubini -Ddobbiamo parlare
Maïwenn Le Besco - Mon roi-Il mio re
dicembre
Maïwenn Le Besco - Mon roi-Il mio re
Al Cinema d'essai di Lecce il 14 dicembre 2015.
Attrice cinquantenne francese con anche cinque film piuttosto mediocri come regista. Questo è l'ultimo e il titolo "Il mio re" non sembra adatto, a meno che sia ironico; o forse vuole esprimere l'amore grande con cui la donna ha accolto quell'uomo, che poi è Vincent Cassel, un tipo presuntuoso e arrogante, pieno di sé, che fa quel che vuole a prescindere da lei. Ma il film è tutto in retrospettiva. Sono passati dieci anni e lei ha anche avuto con lui un bambino; ma ecco, in una vacanza solitaria in montagna, in una discesa di sci, l'incidente, la rottura di una gamba; sì che tutto il film si svolge durante il trattamento, ed è come un'onda di ricordi di ciò ch'è stato. Lei donna dignitosa, avvocato, con l'amore per quell'uomo che va via via decrescendo; lui lo sbruffone, il mascista. Così è andata. Film molto parlato, non privo di vivacità, con una sua forza.
Sergio Rubini -Ddobbiamo parlare
Al Massimo di Lecce, il 2 dicembre 20\5.
Una serata e nottata nel soggiorno di una coppia più giovane, uno scrittore e la sua compagna che lo aiuta nel lavoro; dove irrrompe una coppia di amici più matura,, di un chirurgo e una dottoressa, che a vicenda si tradiscono, che ovviamente non si amano più, e che qui sfogano il loro malessere. Stranamente anche la copia più giovane a un certo punto diventa conflittuale e su di lei si trasferisce l'attacco reciproco, al punto chr alla fine la ragazza se ne va.
Film chiuso, claustrofobico, non mal condotto, ma che on fondo nulla dice.
novembre
Billy Ray - Il segreto dei suoi occhi
Al cinema d'essai il 15 novembre 2015.
Uno sceneggiatore americano di successo che ha fatto anche tre film, e questo è l'ultimo. Che poi è il remake di un film argentino del 2010, che a sua volta si basa su di un romanzo dallo stesso titolo; ma questo film ha una sua forza.
Gli occhi sono quelli di Jess (Julia Roberts), investigatrice, collega dell'investigatore Ray al centro della vicenda in quanto, terminata la carriera all'FBI, torna da New York a Los Angeles per indagare attorno ad un delitto che lo ha sconvolto. Che è poi l'uccisione della giovane figlia di Jess, stuprata, uccisa e gettata in un cassonetto della spazzaturai. Jess, i cui occhi sono appunto sempre velati di tristezza. Il film porta innanzi la ricerca di Ray, che punta su di un ragazzo che già era stato arrestato ma poi rilasciato col motivo che le prove non erano sicure. In realtà il ragazzo è un informatore della polizia (c'è una moschea lì vicino, e il terrorismo islamico, dopo le torri gemelle, è sempre temuto) la quale non vuole perderlo.
La realtà sta negli occhi di Jess e si scopre alla fine. Lei ha trovato l'assassino, lo ha ferito, lo ha portato e rinchiuso in una vecchia casa di campagna, chiuso dietro le sbarre a soffrire del suo orrendo delitto. Diceva infatti sempre che l'omicida, se scoperto, non doveva essere condannato a morte ma all'ergastolo, sì da scontare per l'intera sua vita l'orrendo delitto.
Questo segreto è scoperto per caso da Ray. Jess allora uccide il prigioniero, e a Ray non resta che scavarne la fossa. Nessuno dovrà sapere.
Claudio Cupellini - Alaska
Al Massimo di Lecce l'11 novembre 2015.
Regista quarantenne al suo terzo film. Difficile dire se questo abbia un senso alcuno, al di fuori del legame tra la ragazza Nadine che diventa modella quasi per caso; ma la cui carriera è presto troncata da un incidente d'auto che la mette in stampelle, fa poi la cameriera in un locale; e un ragazzotto che se ne innamora, un certo Fausto impersonato da Elio Germano. Un tipo violento, scarso di personalità e di passione, che fa il cameriere, finisce un prigione per aver aggredito un cliente; poi tenta di mettersi in affari nel locale Alaska che dà il titolo (alla cui apertura è dedicata una lunga scena assordante di ballo). Ad un certo punto, non si sa come, lo troviamo direttore di un grande albergo, altamente e incredibilmente apprezzato dal personale, in una scena che del resto rimane isolata. Bazzica di qua e di là, e alla fine si ricongiunge con Nadine, dopo che Lei ha accoltellato e ucciso (sta in una gran pozza di sangue) l'uomo cui aveva sottratto centomila euro, e che per questo l'aggrediva; e certo non era quello il momento adatto alle espansioni. La dolorosa vita di Nadine e quella gigionesca di Fausto; in ambienti equivoci e violenti.
Il film, poi, segue una via tutta sua. Si fa apprezzare per il grande schermo, per la frequenza dei primi piani; ma insieme sbalordisce per i salti improvvisi (le guarigioni dei due dopo l'incidente, ad esempio; il Fausto direttore amato di grand'hotel), gl'improvvisi mutamenti, per una sua estrosa personalità e forza, pur nelle contraddizioni. Estroso. Alla Nadine che è finita in prigione per quattro anni, Fausto, con la sua faccia da schiaffi dice sposiamoci.
Guido Chiesa -Belli di papà
Al Massimo di Lece il 10 novembre 2015.
Regista cinquantenne politicamente sensibile, attivo nel documentario con qualche film, come Il partigiano Johnny, dal romanzo di Fenoglio.
Film di formazione, alquanto irreale ma originale comunque, e forte nell'intento.
Un padre industriale che ha creato un'impresa (ed è Diego Abatantuono), i cui tre figli, cresciuti nel benessere, si rivelano incapaci di lavoro e di realizzazione, finge il fallimento dell'impresa e con loro fugge in Puglia, nella vecchia e malandata casa dei genitori, con pochi soldi e la necessità di guadagnarsi la vita. Ciò che avviene, in vario modo. Al punto che, quando un amico (e pretendente della ragazza) arriva e rivela che a Milano tutto va bene, e a Milano tornano, i ragazzi si ribellano alla finzione, e preferiscono tornare al loro lavoro in Puglia.
Film simpatico (anche se i critici vi trovano parecchi difetti), dominato dalla saggezza del padre.
Peter Bogdanovich - Tutto può accadere a Brodway
Al cinema d'essai il 1° novembre 2015.
Un regista di valore che però ha sofferto di mediocri accoglienze di pubblico e ritorna ora al cinema dopo alcuni anni.
Il film parte da una cattiva-buona azione di un regista teatrale che sta per montare una commedia a Broadway e si concede un incontro rilassante con una giovane escort; la quale ha però aspirazioni d'attrice; ed egli le regala 30.000 dollari affinché lasci quel mestiere e realizzi il suo sogno. Ma ecco che lei si presenta proprio ai provini della sua commedia, e viene assunta, entra nella compagnia; dove comprimaria è la moglie del regista. A parte la presenza di una terapeuta (Jennifer Aniston) da cui molti vanno.
Il film è un intreccio piuttosto scatenato d'incontri e scontri, con molta e fine comicità, con attori bravi e in parte. E però, in fondo, nulla succede.
ottobre
Stefano Sollima - Suburra
Al Massimo di Lecce il 27 ottobre 2015.
Un regista cinquantenne che ha fatto solo due film, ACAB e questo; ma ha lavorato molto alla televisione, e in particolare con tre serie criminali, Crimine, Romanzo criminale, Gomorra.
Questo film vorrebbe narrare l'ambiente criminale romano e la sua collusione politica; lo fa in una serie di sette giorni che precedono l'apocalisse, cui segue il giorno dell'apocalisse stessa. In quei sette giorni v'è un complicato intreccio di criminali e fatti criminosi, troppo complicato per comporre una storia di rilievo. In cui emergono tuttavia due nodi: il parlamentare colluso Malgradi (Pierfrancesco Favino), già in uno dei primi episodi in cui s'incontra con due escort (piuttosto goloso il tipo), una delle quali muore per eccesso di droga; il grande progetto malavitoso di sviluppo del litorale di Ostia in un grande centro del gioco d'azzardo, una Las Vegas italiana e romana. Progetto che il parlamentare colluso (cui, tra l'altro, hanno sequestrato il figlio) riesce a far approvare. E però in quel giorno cade il Governo Berlusconi, cui è legato; e nello stesso giorno avrebbe dimissionato papa Ratzinger, che compare nella prima scena. In quello stesso giorno muoiono alcuni dei maggiori malavitosi. Ma dall'apocalisse siamo molto e molto lontani.
Film d'alto intento, ma che lascia perplessi. Ha alla base il romanzo omonimo di Bonini e De Cataldo.
Yorgos Lanthimos - The Lobster
Al cinema d'essai il 25 ottobre 2015
Quinto film di un regista quarantenne greco variamente premiato, e quest'ultimo con un immeritato grand prix di Cannes. Lobster è l'aragosta.
Qui una vaga società futura fatta solo di coppie sposate; mentre i celibi vengono reclusi in alberghi dove entro 45 giorni devono trovare un partner, altrimenti saranno trasformati in un animale a scelta. Davvero una trovata capotica ed ingenua di cui non è data spiegazione alcuna; né è detto come avvenga la strana trasformazione, quale forza celeste o diabolica la possa compiere. Nella foresta invece, dove riesce a fuggire il protagonista (che è nientemeno che uno sbiadito Colin Farrell), che aveva pensato di trasformarsi in aragosta in caso d'insuccesso, il prezioso crostaceo, vivono i contestatori del sistema, i "solitari" che, al contrario, devono restare celibi. Dove allora il protagonista tenterebbe di fuggire in città insieme con una donna. Ma il film è una insipida sequela di scene senza capo né coda, e ovviamente senza principi etici; una noiosissima montatura che i critici hanno preso sul serio. Come talora capita.
Marco Ponti - Io che amo solo te
Al Massimo di Lecce il 21 ottobre 2015.
Regista ormai sessantenne con cinque o sei film (ma attivo come cineasta solo dal 2001), di cui il più noto è forse Santa Maradona.
Film in cui capito per caso; non l'avrei certo scelto. Di bello c'è il paesaggio: Polignano a mare con la sua singolare spiaggetta che s'infila tra le case, con la bellissima costa rocciosa, con certi angoli pittoreschi, Non v'è storia. V'è la vigilia e il giorno del matrimonio di due ragazzi (ma ambedue danno l'addio al celibato con un altro partner. Curioso), col suo sfarzo paesano. E v'è il vecchio amore del padre di lui, il possidente locale, con la madre di lei, che non può adempiersi, anche se lui vorrebbe. Strano il titolo, che si banalizza in una notissima canzone di oltre cinquant'anni fa.
Nancy Meyers - Lo stagista inaspettato ●
Al Massimo di Lecce il 17 ottobre 2015.
Figura di rilievo, sessantenne ormai, che ha lavorato prima come sceneggiatrice e ha fatto poi sei film; di rilievo in particolare per il ruolo che attribuisce alla donna. Anche in questo film l'imprenditrice è donna (Anne Hathaway).
Film significativo perché in certo modo affronta il problema del pensionamento, di uomini nel pieno della loro vitalità ed esperienza; un pensionamento che non dovrebb'essere fissato per legge, ma lasciato alla situazione e volontà di ciascuno.
Qui un'impresa decide di assumere stagisti pensionati; uno di questi è il settantenne Ben Whittaker, che poi è Robert De Niro; davvero straordinario nella sua capacità operativa congiunta a discrezione e serenità e finezza di tratto. Diventa il consigliere dell'imprenditrice, o anche l'amico, come dice lei stessa.
Maria Sole Tognazzi - Io e lei
Al Massimo di Lecce il 7 ottobre 2015
Un film inusuale, almeno finora, un amore lesbico. Tra Marina e Federica, Sabrina Ferilli e Margherita Buy, due grandi attrici: Marina col suo carattere solare, forte, romano; Margherita col suo più tenero e sfumato. Qui anche oscillante e dubbioso perché non è una lesbica costitutiva, ma lo è divenuta in seguito ad un matrimonio fallito, e ha un figlio. Perciò la crisi che s'apre a un certo punto; l'incontro con un uomo e una convivenza sia pur breve con lui, dopo che Marina lo ha saputo e con decisione ha rotto (o sospeso) il rapporto. Che alla fine si ristabilisce. Ma già prima un rapporto convinto e forte da Marina, più esile da Federica; per le stesse ragioni, e per carattere.
Una storia non molto consistente, con belle musiche. Un film tuttavia coraggioso.
Gabriele Muccino - Padri e figlie
Al Massimo di Lecce, il 3 ottobre 2015.
Quarto film americano e certo il più significativo di Muccino, il più forte, il più intenso. Forse qui ha raggiunto quella maturità che gli era sempre mancata prima.
L'amore del padre per la piccola figlia. Di un padre che ha perso la moglie in un incidente d'auto, e che per un tratto si ritrova solo in un ospedale psichiatrico a curare lo squilibrio nervoso che l'incidente e la perdita gli hanno provocato. Sette mesi. Segue poi un brano di vita con la piccola come amore unico e supremo, e suprema fonte di consolazione; mentre tenta di affermarsi nel romanzo senza riuscirci (la critica lo demolisce ferocemente); mentre i cognati, che hanno tenuto la piccola nei mesi di ospedale, tentano di averla per loro, propongono l'adozione, avviano il processo basandosi sul suo squilibrio nervoso; processo che si dissolve per l'infedeltà di uno dei coniugi. Terribili le crisi di epilessia, nell'ultima delle quali egli perde la vita. Il dolore supremo.
A questa vicenda s'intreccia quella della figlia 25 anni dopo; che è diventata psicologa, ma soffre di una terribile instabilità di rapporti; certamente perché legata a quell'amore paterno che tutta la possedeva e la possiede..
Opera originale, intensamente umana, drammatica, dolorosa. Notevole Russell Crowe nella figura del padre.
settembre
Baltasar Kormákur - Everest
Al Massimo di Lecce il 25 settembre 2015
Regista islandese sessantenne con una decina di film. Apprezzato.
Questo però è un film particolare, in cui c'è questa montagna, altissima e durissima, vista appunto in questa durezza, anche a prescindee da quando i scatena la tempoesta; e c'è l'impresa di scalarla. Un'impresa altrettanto dura, nulla di romantico o di poetico. Forse anche per come si fa ora, abusando, troppa gente, forse anche non abbastanza preparata; e troppa organizzazione, quattro campi base, collegamenti telefonici ecc.
Il gruppo raggiunge la vetta, anche se non tutti ci arrivano; ma poi la discesa si rivela ancora più difficile, perché c'è pure la fatica, il corpo provato; e c'è poi la tempesta che si scatena.
Quasi un documentario.
Claudio Caligari - Non essere cattivo
Al Massimo di Lecce il 24 settembre 2015
L'ultimo di Caligari, postumo, curato da Valerio Mastandrea.
Il titolo sta sul bavaglino della nipotina di Cesare, malata di AIDS come sua madre che di AIDS è morta.
Un ambiente di ragazzi sbandati che spacciano droga, rubano, truffano. Un altro è Vittorio, che però incontra Linda, che pure ha già un figlio, ma non importa; è la sua via per uscire da quell'ambiente. Dei due amici, dunque, uno si redime, l'altro continua nello sbando. Non v'è molto altro da dire. Il film è debole, scarsamente caratterizzato; la storia non si costruisce.
Thomas Vinterberg - Via dalla pazza folla
Al cinema d'essai il 20 settembre 2015
Un regista quarantenne danese, uno dei fondatori di Dogma.
Qui riprende il romanzo di Thomas Hardy. Il titolo allude forse alla vita nei campi in cui si svolge questa storia? E certo nel film la campagna è molto presente, e talvolta anche suggestiva; ma non assume un particolare risalto.
Anche la storia. Al centro v'è una ragazza che vive in una modesta casa con una zia, e che rifiuta l'offerta del pastore che possiede cento pecore, e però le perde una notte in cui tutte muoiono cadendo da un dirupo sul mare (forse anche sospintevi?). Mentre la ragazza eredita da uno zio una tenuta e lui, modestamente, vi lavora. Questa vita. V'è poi l'offerta di un vicino possidente che pure lei rifiuta; mentre accetta il giovane militare borioso e sprecone, che poi nuotando si disperde in mare e viene dato per morto; onde il vicino si avanza di nuovo. Quando poi il soldato si ripresenta (era stato salvato da certi pescatori), il vicino infuriato lo uccide con un colpo di coltello; e finisce in prigione. Alla fine la ragazza accetta il pastore che fin dall'inizio e sempre l'amava. Un romantico trionfo dell'amore? della povertà amorosa sulla ricchezza? Ma il film non convince molto.
Marco Bellocchio - Sangue del mio sangue
Al Massimo di Lecce il 14 settembre 2015
Strano film, questo che ci dà il caro Bellocchio, che certo stimiamo sempre.
Ma qui c'è una prima storia che starebbe nel '500, di una giovane suora che si è lasciata traviare da due ragazzi e viene condannata ad essere murata viva, come usava allora. Ma ecco che dopo trent'anni, quando il suo corruttore è diventato cardinale (i corruttori fanno carriera), viene liberata ed esce giovane e fresca dal muro; mentre il cardinale è certo invecchiato.
Su questa sì inserisce una seconda storia nel contemporaneo, piuttosto fumosa, di affaristi tipici dell'Italia d'oggi, corrotti e corruttori. Che però ha scarsa consistenza.
Il male, dunque, domina sempre?
Jonathan Demme - Dove eravamo rimasti
Al Massimo di Lecce l'11 settembre 2015.
Demme, regista notevole (Il silenzio degl'innocenti, L.A. Confidential), torna qui, con un film significativo, anche se il titolo è insignificante, Ricki and the Flash. Meglio l'italiano. Ricki è il nome d'arte di Linda, la protagonista.
Due i temi, quello della vocazione, da seguire anche a costo d'infrangere vincoli profondi (materni, familiari) e lasciare il benessere per la vita dura. Così Linda, la protagonista, che il film lo riempie tutto, ed è Meryl Streep, per seguire la sua vocazione d'arte e canto, e formare una sua band, e cantare, e suscitare partecipazione ed entusiasmo; anche se si tratta di una piccola band sconosciuta e povera. E la vita è difficile, specie se confrontata alla dimora e vita sontuosa di quello che fu suo marito.
La spaccatura della famiglia che Linda ha lasciato, e in cui compie una visita perché la figlia maggiore e sposata, e poi abbandonata, ha tentato di uccidersi, e vive ora come un'alienata; mentre dei due ragazzi grandi uno è gay, l'altro è fidanzato; più meno indifferenti verso la madre, troveranno comunque la loro strada. Una situazione di grande sofferenza, la crisi oggi della famiglia; e il fatto che il padre si sia risposato non colma la frattura.
Il finale è catartico: c'è la grande festa per le nozze del figlio (l'altro ha ora un compagno) e Linda vi partecipa quasi come un'estranea, che la gente invitata ignora o disprezza; ma ad un certo punto sale lei sul palco dell'orchestrina e con la sua band inizia a cantare, e a lei si unisce il ballo degli sposi, e poi a poco a poco di tutti, in una esplosione di gioia.
Jake Schreier - Città di carta
Al Massimo di Lecce il 10 settembre 2015.
Secondo film di un regista e produttore statunitense quarantacinquenne, dopo Robot & Frank del 2012.
La storia di un amore timido di un adolescente, Quentin, per una ragazza con la quale pure è cresciuto insieme, Margo (Cara Delavigne), e con la quale frequenta lo stesso liceo, ormai all'ultimo anno. Amore che nasce in una notte in cui Margo lo invita con lei ad una strana impresa di piccole vendette per amici infedeli.
Ma dopo quella notte scompare.
Intanto continua la vita adolescente e studentesca con le sue amicizie e le sue piccole avventure. E però Quentin viene a sapere dov'ella si trova e trascina gli amici ad un lungo viaggio da New York ad Orlando; viaggio in macchina, viaggio gustoso di amici, con qualche imprevisto; alla fine del quale gli amici lo lasciano per tornare (hanno tra l'altro disertato la scuola). Quentin resta solo, alla ricerca di Margo, ma quasi subito la intravvede e la incontra (un po' troppo improvviso questo incontro); e per un poco parlano, e lui le dichiara il suo amore e si baciano. Ma stranamente non sa decidersi a restare – nonostante il lungo viaggio – e subito monta sull'autobus del ritorno.
Questo finale è forse lo spunto più originale del film, anche se troppo rapido, non abbastanza motivato – certo sorprendente, ed amaro, la sorpresa di un adolescente immaturo.
Un film dal tocco leggero, simpatico anche, pur se non sempre ben costruito né motivato nei passaggi.
Il tema delle "città di carta" è accennato ma inconsistente.
Antoine Fuqua - Southpaw-L'ultima sfida
Al Massimo di Lecce il 4 settembre 2015.
Decimo film di un regista statunitense cinquantenne, forse il suo migliore. Southpaw significa mancino.
La storia di un pugile che è campione mondiale imbattuto dei pesi medio-massimi; che non ha mai perso un incontro. Che poi sia impersonato da Jake Gyllenhaal non è molto credibile; anche se Gyllenhaal lo impersona in modo appropriato e originale.
La storia dolorosa di un pugile vittorioso, con una moglie bella e sensibile che lo sostiene appieno, con una piccola figlia; la cui vita è infranta dalla malvagia invidia di un altro pugile, che una sera all'uscita da una cena lo assale, c'è una rissa in cui è coinvolta la moglie che viene uccisa non si sa bene da chi e come (un proiettile vagante, si dice). Resta solo, perde l'incontro seguente, perde poi la casa, la figlia gli è sottratta in un asilo. Risale poi a poco a poco frequentando una scuola di pugilato per ragazzi, dove un anziano ex-pugile nero diventa il suo maestro e lo riplasma, lo riforma, recupera via via la figlia, gli propongono un incontro per il titolo a Las Vegas, lo vince, seppure all'ultimo round, con difficoltà estreme e incertezze della giuria.
Dunque una discesa amarissima e una inaspettata risalita, sia pur sempre nel dolore.
luglio
Alex Garland - Ex machina
Al Massim o di Lecce Il 10 luglio 2015.
Garland, sceneggiatore inglese di talento, quarantenne, qui al suo primo film.
Un film fine, un po' lento; un film soprattutto problematico sul quesito se l'intelligenza informatica dei robot possa giungere non solo all'espressione e al colloquio, ma andare oltre nel fatto volitivo e personale, così nel rapporto amoroso, nell'amore, e nel fatto creativo.
Il quesito è posto nel grandioso e segreto laboratorio, sperduto tra i monti e a tutti inaccessibile, che il proprietario di un'impresa informatica conduce dassolo, e in cui invita per una settimana un giovane ed esperto informatico della sua impresa. Nathan e Caleb, cui si aggiunge Ava, la giovane robot.
Qui la vicenda va oltre le previsioni. Ava prova un sentimento per Caleb e gli chiede di fuggire con lui da quella prigione; Caleb è d'accordo. Nathan sorveglia tutto e sa tutto, rinchiude il giovane e tenta di procedere alla demolizione dei robot ribelli, Ava e la cinese, che non ha la parola ed è suo abituale strumento sessuale. Ma, mentre tenta di demolire Ava, la cinese lo trafigge con un pugnale da dietro, poi Ava lo trafigge al ventre. Nathan si trascina alquanto perdendo enormemente sangue, e cade morendo: Caleb è stato rinchiuso, vede la scena ma non riesce a liberarsi. Ava allora esce dassola, monta sull'elicottero che attende sempre, raggiunge la città, dove la vediamo passeggiare stupita.
Resta sempre il problema se il robot non solo raggiungerà il livello umano, ma lo sorpasserà, come già ora lo sorpassa nella velocità e complessità del calcolo. Ed è il parere di molti studiosi, dimentichi tuttavia che per avere la persona umana è necessaria la coscienza, l'autonomia interiore, il vincolo etico; che lo strumento meccanico o informatico può imitare ma non realizzare.
Quanto ai personaggi, i migliori sono le due donne robot. Nathan, massiccio e barbuto, non ha nulla dell'intellettuale; Caleb ha piuttosto un'aria di ragazzo impacciato e inesperto.
giugno
Maya Forbes - Teneramente folle. 2014
Al Cinema d'essai il 21 giugno 2015.
Primo film di una sceneggiatrice quarantacinquenne statunitense, in parte autobiografico in quanto il padre era affetto da un disturbo psichico bipolare come appunto il protagonista del film. Che ne porta anche il nome, Cameron (ed è Mark Ruffalo).
La storia di un uomo psichicamente instabile, rampollo di una importante famiglia bostoniana. È forse questa tara che lo emargina dalla famiglia e dai suoi beni, e gli consente di sposare solo una nera, non una bianca. Con cui ha due figlie.
All'inizio del film è in una casa di cura; da cui esce forse perché la moglie ha bisogno di lui in quanto vuol perfezionare i suoi studi a New York e a lui affidare le figlie. Come di fatto avviene.
Il corpo del film è la narrazione di questa vita di un padre psichicamente instabile e insieme profondamente legato alle figlie, del suo vivere con loro nella sua anomalia che in nulla turba il rapporto affettuoso. Ed è insieme la storia della sua ulteriore e definitiva emarginazione in quanto la madre prima risiede a New York per gli studi, poi vi ritorna per un impiego, e infine chiama a sé le figlie. Che è poi la scena conclusiva dell'estremo saluto e del suo restare solo, mentre le figlie si allontanano.
Film inusuale, e doloroso, anche se il dolore non sempre si manifesta.
Francesco Munzi - Anime nere. 2014
Al Massimo di Lecce
La mafia calabrese, la ndrangheta .Un villaggio in Aspromonte. Con raccordi a Milano.
Uomini che complottano, misteriosamente, nel dialetto locale (con sottotitoli italiani). Ci sono le famiglie, le mogli e madri, i figli. C'è un figlio adolescente che vuol crescere, maneggiare armi, va a Milano a conoscere quelli di lassù. Ma l'intreccio o intrico criminale non è ben noto.
Ad un certo un uomo del gruppo è ucciso, di sera, mentre tranquillo esce da un locale. Si tratta di uccidere il rivale, ma il fratello si oppone; il figlio lo vuole uccidere lui, ma invece resta ucciso, come anche suo padre, quello che alla vendetta si era opposto. Così finisce.
Film suggestivo, molto bello nelle atmosfere e nei personaggi; come nell'immagine e nel colore, il blu scuro che lo caratterizza. Assenza, quasi, del suono, della musica. Suggestivi i personaggi, che poi sono gente del luogo. Resta oscura la vicenda, ma forse così doveva essere. Il timbro della ndrangheta.
David Ayer - Fury 2014
Al Massimo di Lecce, il 10 giugno 2015.
Regista statunitense al suo quinto film. Fury è il nome del carroarmato protagonista.
Difficile dire che cosa si possa ricavare da questo film, se non l'orrore della guerra, il più orrido crimine umano (qui la Seconda guerra mondiale), perseguito con piena coerenza attraverso la storia di un carroarmato statunitense che, con altri due, percorre le retrovie tedesche per raggiungere un certo punto strategico; poi resta solo perché gli altri due vengono distrutti in vari attacchi lungo il percorso; e alla fine decide di affrontare dassolo un gruppo di alcune centinaia di SS che percorrono la sua stessa strada. È la grande eroica battaglia in cui è destinato a soccombere coi suoi uomini, troppo inferiore alle forze che lo assediano.
Qui la figura del sergente (Brad Pitt), notevole come stile, coerenza, tenacia; che però si sfasa nell'unica forse azione criminosa, in cui uccide un prigioniero; forza anzi la giovane recluta ad ucciderlo, forza la sua resistenza premendogli lui la mano e il dito. Scena immonda, ma ch'egli intende come iniziazione del giovane puro, limpido, ostile a tutto quel mondo di uccisione e di morte. Il giovane è la controfigura di quel mondo, al quale, pur facendo il suo dovere, resta estraneo, limpido l'animo come il volto. È forse la stretta via attraverso cui il regista cerca di salvarsi dall'orrore. Ed è l'unico che si salva.
maggio
Ruben Ostlund – Forza maggiore, 2014
Al cinema d’essai il 10 maggio 2015.
Regista svedese. Ha un film notevole, Play.
Qui una coppia borghese con due figli piccoli in vacanza sci. Siamo in Svezia, naturalmente. Mentre pranzano su di una terrazza di fronte alla china di una montagna innevata, una grossa valanga si stacca e scende, e si abbatte sull’albergo e sulla terrazza. Il colpo è quasi improvviso, e però la terrazza viene solo fortemente spruzzata di neve. Ma, nel momento dell’urto, il padre è scappato all’interno, mentre la madre è rimasta accanto ai bambini.
Di qui il dramma, La moglie rimprovera al marito un comportamento vile ed egoista, noncurante dei figli; mentre lui non sa che rispondere, perché non sa che cosa è accaduto in lui in quel momento
Il giorno dopo la donna esce sola a sciare, segno di risentito distacco. La sera, mentre s’intrattengono con un'altra coppia e la donna racconta ciò ch’è accaduto, con grande sofferenza del marito, l’uomo dalla grande barba tenta di spiegare che si tratta di una reazione spontanea, automatica, che per nulla si può imputare; perché in momenti simili tali reazioni avvengono.. Ma non riesce a convincere la donna.
Il giorno dopo, uscendo col padre a sciare, il barbuto si accorge del grande peso psichico che lo aggrava e lo invita a gridare forte per liberarsene; ciò ch’egli fa più volte, ma senza effetto.
Il giorno dopo ancora, dopo essere uscito solo a sciare, quando rientra nel pomeriggio, trova la stanza chiusa, nessuno risponde; allora lo prende un pianto convulso, prolungato, un pianto enorme; la donna torna coi figli ed egli ancora piange sull’uscio. La avrà liberato questo pianto? non sappiamo.
Il giorno dopo esce la famiglia e c’è una grande nebbia e sciano comunque. Ma la donna si perde; lui la chiama, lei risponde, la cerca e torna portandola in braccio.
Il giorno dopo scendono, tornano e, nell’autobus che percorre la stretta e lunga strada che costeggia la montagna, accade un episodio curioso: un autista improvvido o magari ebbro, che non sa prendere le curve; per cui la donna chiede di scendere e gli altri la seguono, e li vediamo camminare per strada mentre scende la sera..
Ma il problema della riconciliazione resta aperto. Il nodo psichico nell’uomo probabilmente si è sciolto, ma non sappiamo se la donna lo ha compreso ed accolto.
Nanni Moretti – Mia Madre
Al Massimo di Lecce, il 6 maggio 2015.
Il film è diviso in due parti o luoghi molto dissimili. Da un lato si gira un film su di una fabbrica venduta agli americani che vogliono ristrutturarla con licenziamenti ed altro; quindi operai in lotta. E dove ad un certo punto arriva il manager (Turturro) che parla ovviamente un italiano approssimativo ed è come un pesce fuor d’acqua (c’era bisogno di scomodarlo per quelle quattro scene, quattro frasi che dice malamente?). Ma tutta questa parte del film non funziona e non convince; anche se l’intenzione era quella di collocare un fatto intimo, come la morte della madre, nel quadro della situazione italiana d’oggi. Forse però era meglio che, più che un film, ci fosse una vera lotta operaia nella Roma di quei giorni.
L’altro lato è il nocciolo vero del film, la malattia e morte della madre. Che sta in ospedale, riceve certe cure, è abbastanza vitale; poi viene portata a casa per morire; come sempre accade. Accanto a lei c’è il figlio Giovanni, che poi è Nanni, affezionato, devoto; ha preso un’aspettativa, poi addirittura si licenzia, tanto il distacco dalla madre, la perdita l’ha colpito, l’ha straziato nell’intimo (ma non dimostra strazio, quanto devozione, intimo legame). E c’è Margherita, l’ineffabile dolcissima Margherita Buy che da quarant’anni ci delizia con quella sua naturale dolcezza sempre eguale, sempre inimitabile. La sorella che poi è la regista del film, e lo sta girando, sia pur senza grande convinzione, e si prende delle pause per correre al capezzale della madre; dove soffre, e anche un poco piange.
La madre muore, il film finisce, noi restiamo un po’ sofferenti, un po’ incerti.
aprile
Olivier Nakache e Eric Toledano - Samba
Al Cinema d’essai, 20 aprile 2015.
Due registi francesi che avevano girato prima “Quasi amici”, un buon film di grande successo.
Samba è il nome del nero immigrato, un colosso dalle grandi labbra non molto espressivo.
Ma il nucleo del film è il problema dei sans papiers in Francia, le loro difficoltà di lavoro, le fughe per poter restare clandestini nel paese tanto desiderato, gl’interventi della polizia. Ê un film doloroso; temperato in qualche misura da un certo rapporto affettivo che lentamente s’interpone tra Samba e Alice, una giovane donna che opera temporaneamente in un’associazione che si occupa d’immigrati; affetta da stress, in congedo di lavoro, introversa e timida (Cherlotte Gainsbourg); un rapporto lieve, un lieve compenso. Il finale è doloroso, Samba dovrà tornare in patria. O almeno così sembra.
marzo
Sergio Castellitto – Nessuno si salva da solo
Al Massimo di Lecce il 18/03/015
Il quinto film di Castellitto, sempre da un romanzo e con sceneggiatura di Margaret Mazzantini, la moglie..
Potrebbe anch’essere originale: la cena al ristorante di una coppia divisa che deve decidere l’estate dei due bambini, e che occupa l’intero film in quanto su di essa s’inserisce via via in flash back l’intera vicenda della coppia. In realtà diventa esasperante, spossante. E anche ossessivo, in quanto tutto il film è occupato dalla coppia, con poche varianti, che anche non giocano bene; particolarmente nella prima parte, con protratte scene di sesso che generano noia. E brutte musiche urlate, esasperanti. E anche la scarsa presenza del lavoro, specie della donna, contribuisce. Questa vicenda amorosa e familiare, poi (i due si sposano e hanno due figli, due bambini maschi), ha qualcosa di particolare, di vivo e caratterizzante? Ha una sua vivacità, diremmo? Forse il tipo piuttosto duro della donna (Jasmine Trinca) rispetto all’uomo (Scamarcio)? Estroso lo spunto dell’anziana coppia, che mangia al tavolo vicino, l’uomo malato di tumore su cui si affaccia la morte, che ha seguito le vicende della lunga cena, che li invita a pregare perché «nessuno si salva da solo»; e la preghiera che segue (dove l’uomo è renitente) sul sagrato deserto di una chiesa la sera.
John Curran – Tracks - Attraverso il deserto – 2013 ●
Al Massimo di Lecce il 10/03/2015
Regista americano sessantenne con cinque film. Qui si riprende l’eccezionale impresa di una ragazza venticinquenne, Robin Davidson, che nel 1977 ha attraversato il deserto australiano, da Alice Springs, al centro, fino al Pacifico: 2700 km. in nove mesi. Un’impresa reale. Tracks, cioè tracce, piste.
Un film certo coraggioso. L’epopea del deserto, potremmo, dire, la grandiosità di quella natura che è immensa e insieme arida e vuota di vita. Qui la ragazza (Mia Wasikowska) è singolare: non dà mai una ragione della sua impresa (perché l’hai fatto? perché no?). Una tendenza incoercibile alla solitudine: che, passati i mesi del training coi cammelli, non accoglie con piacere neppure i parenti (il padre e la sorella che vengono a trovarla), e tanto meno il fotografo che la National Geografic le ha assegnato, avendo accettato di sponsorizzarla. Il fotografo che la rifornisce di cibo, di acqua; col quale anche le sfugge un’effusione e una notte; ma che poi rifiuta. Dietro questa esasperata solitudine c’è probabilmente una nevrosi, innestata dalla tragica morte della madre. E l’impresa stessa ha probabilmente una funzione catartica. Forse dopo sarà diversa. Ma il film non entra mai in questi problemi; giustamente, forse; anche se alcuni critici ne lo hanno rimproverato.
L’unico suo amico, cui vanno tutte le effusioni, è il cane; l’animale che sa essere incondizionatamente fedele; ma che certo non chiede alcun impegno morale. Ma all’infuori di questo, e in certa misura dei cammelli, non vi sono altri momenti di simpatia o di affetto. Piuttosto il tipo scontroso, che fugge il mondo per non avere impegni verso nessuno.
L’ammiriamo, ma non possiamo simpatizzare
febbraio
Angelina Jolie – Unbroken
Al Massimo di Lecce il 16/02/015
Da decenni si voleva fare un film sull’avventurosa, e anche dolorosa storia di Louis Zamperini, il Zamp, morto poi a 97 anni nel 2014 mentre si preparava questo film: Unbroken, l’intatto, l’invitto; che è poi il titolo di una sua biografia (ma v’è anche un’autobiografia scritta con un giornalista) di grande successo. Finché non arriva la Jolie che di Zamperini è vicina di casa. E la sceneggiatura è dei fratelli Coen.
Ora la critica lo ritiene mediocre, il film, e che in realtà non dice nulla di nuovo. E poi troppo lungo, due ore e un quarto. Il film si svolge in tre fasi. La prima è quella dell’adolescente che si trasforma in atleta e vincitore olimpico. Sempre modesto, quel suo volto serio. La seconda è la lunga lunghissima erranza sul gommone nelle acque del Pacifico dopo che l’aereo è precipitato, lui e gli altri due avieri (ma uno muore di sfinimento). Lunghissima certo, 147 giorni, e lunga anche nel film, ma di una lunghezza che non si dimentica. La terza è la prigionia giapponese, anch’essa lunga e penosissima. Questa crudeltà giapponese, questa inciviltà che non riconosce nel prigioniero, ormai inerme, la dignità della persona umana; questa crudeltà barbara l’avevamo già vista in altri film; ma era bene che la vedessimo ancora. Che in particolare vedessimo quel povero cristo costretto a tenere sollevata in alto, sopra la testa, la trave, la traversa della sua croce.
Per la liberazione c’è solo il finale, rapidissimo.
Un film che non si dimentica,
Ava DuVernay – Selma – La strada per la libertà ●
Al Massimo il 15/02/015.
Secondo film di una regista quarantenne statunitense. Opera di grande respiro, che riprende la lotta del popolo nero nell’Alabama, uno stato del Sud razzista in cui, contro la legge, gli viene impedito di votare; e in cui il suo richiamo alla legge e al proprio diritto viene trattato a duri colpi di bastone, colpi d’inaudita barbara ferocia. Siamo nel 1965. Lì c’è Martin Luther King, il leader carismatico, con i suoi discorsi pieni di forza e di determinazione, di fuoco. Figura seria, di alto rilievo morale; non esente da umane incertezze ma deciso nella sua linea nonviolenta; magnificamente impersonata dall’attore angloafricano David Oyelowo Di fronte a lui il governatore Wallace (Tim Roth) con la sua fredda boria; e più oltre il presidente Johnson, che dapprima gli resiste ma poi, sotto il peso del risentimento del suo popolo che alla televisione ha assistito a questi atti di barbarie, nel 1965 vara il Voting Rights Act che interdice ogni opposizione al voto nei diversi stati.
Selma è la cittadina da cui partono le marce dimostrative, marce silenziose, nonviolente, decise; in particolare quella da Selma a Montgomery, alla cui testa c’è il leader.
Sam Taylor-Johnson – Cinquanta sfumature di grigio
Al Massimo di Lecce, il 10/02/016.
Dal famoso romanzo di sadismo esce un film quasi casto. Da un lato il giovane Grey, il ragazzo serio, dove a stento spunta un sorriso; le scene sessualsadiche quasi non si vedono nell’atmosfera del film sempre oscura, notturna. Dall’altro la giovane Anastasia, ragazza un po’ paffuta, per nulla sexy, brava ragazza popolare, diremmo (se non di campagna), certo molto dolce e arrendevole, si direbbe estranea al dolore. C’è un contratto molto complesso e preciso per quest’avventura sadico-affettuosa (contratto mai firmato dalla ragazza); un certo affetto c’è, anche da parte dell’inattaccabile Grey; tanto più di Anastasia. Perciò l’atmosfera è simpatica. Un po’ troppo ricco Grey, ma non sfoggia, troppo serio. Ripetitivo, monotono, dicono i critici; ma non poi così tanto. È vero che si aspetta a lungo il grande sadismo, che però non viene mai. L’attesa non è di per sé noiosa. Anastasia alla fine se ne va, ma la fuga non convince. Quanto a Grey, uomo serio e sofferente, ci fa un po’ simpatia anche per quella sua infanzia abbandonata e desolata che gli rende difficile-impossibile amare. Tanto più la dolce Anastasia innamorata.
James Marsh – La teoria del tutto
Al Cinema d’essai il 4/02/015.
Il tentativo di trasporre nel cinema la figura e la vicenda di Steven Hawking, il matematico e fisico inglese colpito ancora nella giovinezza dalla sclerosi laterale amniotica o da un suo analogo, che prima gli deforma le gambe, poi lo costringe sulla sedia a rotelle (magari con motore), gli storpia la parola oltre che la bocca e lo costringe infine ad un sintetizzatore vocale. Il film si avvale di uno straordinario interprete, Eddie Redmaine, che assume in pieno la personalità di Hawking in una straordinaria identificazione. Straordinaria anche la vitalità, l’incontro con Jane Wilde, le nozze, i tre figli, quando la malattia è già operante, la loro vita insieme. Si sa poco invece delle idee, del loro avanzare; oltre alla prima fondamentale intuizione di un non inizio ma di un universo che si estende indefinitamente nel tempo; rispetto a Jane che postula l’inizio creativo divino. Vi sono altri accenni, ma troppo rapidi. Forse, insieme con la sua vita personale e sociale, doveva emergere anche il percorso del suo pensiero. Jane subisce ad un certo momento l’attrazione di un pastore nella cui corale canta; ma il pastore sa che non deve andare oltre. Ci sarà però in seguito il divorzio, di cui il film non parla.
Un film che ha avuto molto successo.
Mike Leigh – Turner
Al Cinema d’essai il 1/02/015
Il tentativo di ricostruire la figura e la vicenda del grande paesaggista inglese dell’800, uno dei più grandi.
In realtà la figura grossa e tozza, bonaria tuttavia, che si aggira nel mondo e nella natura inglese, in visioni talora bellissime, ma prevalentemente in un ambiente popolare,. C’è per un certo tempo la figura del padre, che era fabbricante di parrucche (la madre era morta giovane), poi la solitudine. Ma egli non sembra soffrirne, sempre uguale a sé stesso. Forse soffre di più per lo scarso apprezzamento delle sue opere nelle varie mostre (in particolare il comportamento della principessa reale), ma non lo dà a vedere. Ma di come nacque la grandiosità e la magia dei suoi paesaggi nulla sappiamo, come anche del suo lavoro, del suo tormento di artista.