MOVIMENTO PER LA SOCIETÀ DI GIUSTIZIA E PER LA SPERANZA

Lecce

 

 

DOCUMENTI  E INTERVENTI 2005

 

                                                                                        

 

Indice:

Continua l’ingerenza del potere ecclesiastico nel politico in Italia, 29/11/05

L’insegnamento della religione nelle scuole pubbliche non può essere obbligatorio, 28/11/05

L’affronto fatto all’amore e alla convivenza dev’essere riparato (la compagna di S.Rollo, eroe a Nassiriya), 13/11/05

Urge che la Chiesa francese intervenga in modo forte in favore degl’immigrati, 7/11/05

Urge la creazione di Centri di accoglienza per gl’immigrati, 31/10/05

Urge la creazione di Centri di accoglienza per gl’immigrati, 25/10/05

L’interferenza del potere ecclesiastico nel politico in Italia, 3/10/05

I crimini degl’immigrati e il nonsenso degl’interventi repressivi, 25/07/05

L’espulsione dei migranti deve cessare, deve subentrare l’accoglienza, e l’intervento di aiuto economico

presso i paesi di provenienza, 24/07/05

I Cpt devono essere trasformati in Centri di accoglienza, 24/07/05

L’accordo sulle importazioni dalla Cina non risponde a giustizia, 11/07/05

La legge n. 2005-258 sulla guerra d’Algeria dev’essere emendata, 25/065/05

I Centri di accoglienza per gl’immigrati devono essere reintrodotti, 16/06/05

Il quartiere a luci rosse non può essere accettato, 18/05/05

I recenti avvenimenti papali e gli errori della stampa italiana, 16/05/05

Il ticket moderatore sui medicinali non dev’essere abolito, 10/05/05

Il silenzio dei vescovi italiani sul referendum dopo la direttiva di astensione, 9/05/05

L’esortazione ad astenersi nel prossimo referendum deresponsabilizza i fedeli, 10/04/05

È tempo di trasformare la Fiat in una Public company, 4/04/005

L’intervento sul referendum per la “legge sulla procreazione assistita” viola il giusto rapporto tra chiesa e  stato italiano, 6/03/05

Il Mammona iniquitatis, il denaro iniquo dev’essere rifiutato, 3/03/05

Non è lecito a un vescovo fare propaganda elettorale, 2/03/05

Il riarmo dell’Europa, 20/02/05

Il Partito Radicale, le sue contraddizioni, la sua debolezza, 6/02/05

Una nuova legge iniqua che non può essere approvata, 13/01/05

La vicenda della Fiat e la responsabilità del sindacato, 13/01/05

 

                                                                                               

                                

 

                                                          (Al Presidente della CEI Card. Ruini, ai Vescovi membri della Conferenza, ai fedeli della Chiesa italiana

Continua l’ingerenza del potere ecclesiastico nel politico in Italia

 

Il Movimento, in un passato recente, si è già rivolto all’episcopato italiano, richiamandosi a diversi interventi della Conferenza episcopale e del suo Presidente, che avevano direttamente investito l’attività del Parlamento e avevano suscitato forte apprensione nella coscienza dei cittadini.

Questa interferenza, purtroppo, è continuata.

Nell’Assemblea generale della CEI, che si è tenuta il mese scorso ad Assisi, nel discorso di apertura, il Presidente Card. Ruini ha addirittura passato in rassegna l’attività del Parlamento e del Governo, con precise valutazioni e anche prescrizioni. Sul servizio sanitario, che dev’essere migliorato specie nel Meridione; sulla nuova legge elettorale, che potrà generare profonde modifiche nell’assetto politico; sulla riforma della Costituzione, assai controversa; sulla riforma dell’università, che ha dato luogo ad “eccessive” manifestazioni di protesta; sulla finanziaria, che “non deve” comportare una riduzione dei fondi per i più poveri e per la cooperazione, e che non aiuta adeguatamente la famiglia; sulla pillola abortiva, che “tende a non far percepire la reale natura dell’aborto”.

 

È difficile sostenere che una rassegna così puntuale, con sottolineature prescrittive, non interferisca con l’attività del Parlamento e del Governo. Perciò, nel mondo politico e culturale, le reazioni sono state assai forti. Si è detto che l’episcopato pretende dettare l’agenda politica italiana; pretende stabilire via via un indice di gradimento ecclesiastico dell’attività politica; esercitando così una forte pressione, anzi una vera “azione di lobby” su di una classe politica debole e che, particolarmente in questa fase preelettorale, teme l’azione avversa della gerarchia e fa di tutto per ingraziarsela; comportamento certo riprovevole.  Si è persino chiesto, da taluni, una revisione del Concordato: se le cose vanno così – si è detto – se v’è questa continua ingerenza, ciò significa che il Concordato non è più in grado di regolare  questo rapporto; dev’essere garantita la laicità dello stato, la sua piena concreta libertà; dev’essere garantito il libero Stato accanto alla libera Chiesa, una condizione in cui nessuno dei due intervenga nelle decisioni dell’altro.

 

In realtà questo principio nel Concordato è già presente. Persino nel Vaticano II è detto che “la comunità politica e la Chiesa sono indipendenti e autonome l’una dall’altra nel proprio campo”. Si tratta dunque di essere fedeli a quel dettato e a quello spirito. È quanto il Movimento e i cittadini tutti chiedono all’episcopato.

Ci conforta un intervento del Patriarca di Venezia, Card. Angelo Scola che, in un’omelia nella basilica della Salute, afferma che la Chiesa può esercitare il suo benefico influsso sulla società senza “indebite invasioni di campo”, senza “ingerenze”, senza “pretese di privilegio”; mentre invoca invece il “libero contributo” di tutti, di “cittadini cristiani che laicamente s’impegnano con tutti ad edificare una vita buona nella nostra società plurale”.

Lecce, 29 novembre 2005  

                                                                      

 

                                                                                     (Al Presidente della Conferenza Episcopale Spagnola, ai Vescovi e ai fedeli della Chiesa spagnola

L’insegnamento della religione nelle scuole pubbliche non può essere obbligatorio

 

Si apprende dalla stampa che l’Episcopato spagnolo preme affinché l’insegnamento della religione cattolica entri nella legislazione scolastica come obbligatorio per ogni ordine di scuole – com’era previsto da una norma del governo precedente – e avversa la decisione dell’attuale governo che blocca quella norma e rende facoltativo per gli studenti tale insegnamento.

 

Ora la riflessione degli ultimi decenni, nei paesi cattolici, ha chiarito che il luogo appropriato per l’insegnamento della religione è la chiesa, o la comunità ecclesiale, la parrocchia in particolare; o l’associazione.

Nella scuola dovrebbe trattarsi piuttosto di un corso sulla Religiosità e sulle Religioni, con particolare attenzione al Cristianesimo, che è parte integrante, e anzi fondamentale, della cultura europea. In tal caso potrebbe forse essere disciplina obbligatoria, come parte della formazione culturale; pur con la dovuta attenzione alle minoranze di altre religioni e ai non credenti. Il principio della libertà di coscienza essendo sempre fondamentale anche nello studente e nella sua formazione.

Tale insegnamento dovrebb’essere confidato ad insegnanti specificamente preparati, ma in nessun caso con l’obbligo di un’autorizzazione o di un nulla osta dell’autorità religiosa.

La Chiesa non deve pretendere dallo Stato ciò che non le compete, la scuola essendo un compito squisitamente suo, come formazione del cittadino.

Lecce, il 28 novembre 2005

 

 

                                                                            (Al Presidente  della Conferenza Episcopale Francese, ai Vescovi e ai fedeli della Chiesa francese

Urge che la Chiesa francese intervenga in modo forte in favore degl’immigrati

 

La rivolta degli immigrati, prima nella banlieu parigina, poi in tutta la Francia, pone alla Chiesa francese un problema forte di amore e rapporto fraterno, e d’intervento in tal senso.

Si è parlato di eccesso di violenza (almeno sulle cose), e anche di presenza di professionisti della violenza; e questo ha una sua verità; ma tutti gli spiriti  più attenti parlano di un problema di emarginazione.

Un’emarginazione che concerne anzitutto le cinture suburbane in  cui l’emigrazione è stata ammassata; i quartieri dormitorio privi di verde e di servizi, di strutture sportive e ricreative, strutture associative, luoghi d’incontro; il mancato rapporto col popolo ospite, trattati sempre come “diversi”, cui si rifiuta l’appartamento, il lavoro, si rifiuta il gesto amico, la parola. Si tratta essenzialmente di accettazione, per gl’immigrati il fatto di non sentirsi accettati, trattati come diversi, estranei o anche nemici. È questo il punto più dolente, specie per la cristianità. Ed è il punto più difficile perché vi è in gioco la coscienza e il comportamento abituale della gente.

 

Ma è proprio su questo punto che la Chiesa può intervenire con forza; può sviluppare un intervento capillare, attraverso le parrocchie e le associazioni, per  ricondurre i fedeli al genuino spirito evangelico, spirito fraterno, per il quale “non v’è né gentile né giudeo, né barbaro né scita”.

E però la Chiesa, attraverso le sue opere caritative e le sue associazioni, può fare molto anche sul piano culturale e su quello del tempo libero.

Può darsi che una certa misura di repressione da parte dello Stato sia necessaria; ma v’è qui anzitutto un problema di giustizia, di dignità e diritto della persona, e un problema di rapporto fraterno. È necessario che la Chiesa francese si mobiliti per affrontarli in termini autenticamente evangelici, com’è suo dovere e sua gioia il farlo.

Il Movimento chiede alla Chiesa francese questa mobilitazione.

Lecce, il 7 novembre 2005

 

 

                                                                             (Al Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, al Ministro della Difesa Antonio Martino e a tutti i cittadini

L’affronto fatto all’amore e alla convivenza dev’essere riparato

 

Nella cerimonia per onorare le vittime dell’attacco di Nassiriya, due anni dopo il loro sacrificio, attraverso la Croce d’onore e l’abbraccio del Presidente ai parenti, che era poi l’abbraccio dolente e riconoscente della nazione, di noi tutti; in questa cerimonia è stato compiuto un grave affronto.

La compagna di Stefano Rollo, una delle vittime, Adelina Parrillo,  è stata esclusa, bloccata e trascinata a forza da tre gendarmi, piantonata per un’ora, con metodi violenti che purtroppo ogni tanto si ripetono, da parte di forze che non sono state formate al rispetto della “dignità e diritto   della persona umana”. Esclusa perché non sposata con la vittima.

 

Il fatto è grave perché è vero che non c’era il matrimonio, il vincolo coniugale; ma c’era il vincolo dell’amore che è fondamento e anima del matrimonio; senza il quale il matrimonio stesso perde senso, e anche la sua pretesa indissolubilità cade; nonostante la chiesa vi si opponga, ma irrazionalmente. E v’era l’unione, la vita condivisa, dodici anni di vita insieme.

La costituzione riconosce la famiglia fondata sul matrimonio, e i suoi diritti; ma non dice di riconoscere solo quel tipo di unione. Anche se non ne nomina altre, che in seguito si sono sviluppate, in particolare l’unione di fatto, che la maggior parte delle nazioni occidentali ha anche convalidato in vario modo.

In ogni caso non può essere misconosciuto e disprezzato il vincolo amoroso, e l’unione vitale che esso ispira ed anima, e gli anni di vita vissuti in questo vincolo e questa unione; di cui il matrimonio è solo la sanzione giuridica. Perché non può essere misconosciuta la dignità della persona, e la dignità e la sublime e decisiva forza di quel vincolo di amore, e di quell’unione di vita che esso ispira.

Il torto subito dalla compagna di vita di Rollo dev’essere riparato. Attraverso un atto pubblico e una pubblica dichiarazione che coinvolga la nazione. Perché la nazione in essa è stata ferita.

Questo Le chiede il Movimento per la società di giustizia, affinché giustizia sia fatta.

Lecce, il 13 novembre 2005

 

 

                                             (Al Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, Card. Camillo Ruini, ai Vescovi italiani, alla Caritas nazionale, alla Fondazione Migrantes

Urge la creazione di Centri di accoglienza per gl’immigrati

 

Avvenimenti recenti hanno sottolineato l’urgenza d’intervenire su questo punto dolente, lesivo della dignità e del diritto della persona. Così l’inchiesta di un giornalista dell’«Epresso», che ha disvelato gli orrori di un Centro di permanenza temporanea come quello di Lampedusa: il trattamento inumano, le umiliazioni, le violenze. Così la rivolta di un gruppo d’immigrati che su due autobus venivano portati di forza a un aeroporto per esser rispediti in patria.

 

La legislazione italiana, in particolare la legge Bossi-Fini, ha abolito l’accoglienza per gl’immigrati, istituendo i cosiddetti Centri di permanenza temporanea, che sono strutture detentive in attesa dell’espulsione. Si tratta di una legge ingiusta perché contraria a fondamentali principi etici propri della tradizione occidentale e cristiana, come il principio che “la Terra è di tutti” e il “principio fraterno”; e contraria a norme giuridiche come quella che un cittadino non può essere trattenuto in stato di detenzione oltre le 48 ore, senza un’ordinanza del giudice.

Perciò non è opportuno che diocesi o istituzioni cristiane gestiscano Cpt, secondando una legge ingiusta e adempiendo ad una funzione direttamente detentiva. Invece è urgente che si aprano Centri di accoglienza. Centri, cioè, dove l’immigrato viene accolto e aiutato a inserirsi nella società attraverso un lavoro, un alloggio, un’assistenza. Viene aiutato anche nelle pratiche burocratiche, già difficili per noi, e tanto più per loro. Le contestazioni che possono provenire dalla legge Bossi-Fini, si possono superare col fatto che la diocesi, o l’istituzione cristiana, la Caritas in particolare, anche a livello nazionale, garantiscono per l’immigrato e per la sua immissione nel lavoro.

 

La Chiesa italiana non può continuare a ignorare questo grave problema. Deve prenderne coscienza e sviluppare un’azione forte e globale di autentico spirito evangelico e cristiano. Un’azione che non cerca il sostegno finanziario dello Stato – perché questi Centri non sarebbero finanziati come i Cpt – ma si avvale della carità dei fedeli, dell’aiuto di tutti. Deve anche sviluppare un’azione di pace, di riconciliazione, specie in quei quartieri in cui la presenza dell’immigrato è sentita con spirito ostile; e in tutta la comunità cristiana.

Il Movimento per la società di giustizia chiede che la Chiesa italiana s’impegni a riconoscere e trattare l’immigrato come “fratello”; s’impegni affinché sia riconosciuto e trattato da tutti come tale.

Lecce, il 31 ottobre 2005

 

 

                                                                                                (Ai Presidenti delle Regioni italiane

Urge la creazione di Centri di accoglienza per gl’immigrati

 

Avvenimenti recenti hanno sottolineato l’urgenza d’intervenire su questo punto dolente, lesivo della dignità e del diritto della persona. Così l’inchiesta di un giornalista dell’«Epresso», che ha disvelato gli orrori di un Centro di permanenza temporanea come quello di Lampedusa: il trattamento inumano, le umiliazioni, le violenze. Così la rivolta di un gruppo d’immigrati che su due autobus venivano portati di forza a un aeroporto per esser rispediti in patria.

 

Un gruppo di Presidenti di Regione si è dichiarato mesi fa per la soppressione del Cpt. Ma dichiararsi non basta. La legge che istituisce i Cpt è ingiusta perché contraria a fondamentali principi etici propri della tradizione occidentale e cristiana, come il principio che “la Terra è di tutti” e il “principio fraterno”; e contraria a norme giuridiche come quella che un cittadino non può essere trattenuto in stato di detenzione oltre le 48 ore, senza un’ordinanza del giudice.

Posto che una legge ingiusta non è vincolante, i Cpt possono certo essere soppressi; o meglio, per non provocare conflitti, possono essere gradualmente trasformati in Centri di accoglienza; quelli privati, anzitutto, col sostegno delle Regioni.

In Centri, cioè, dove l’immigrato viene accolto e aiutato a inserirsi nella società attraverso un lavoro, un alloggio, un’assistenza. Viene aiutato anche nelle pratiche burocratiche, già difficili per noi, e tanto più per loro. Le contestazioni che possono provenire dalla legge Bossi-Fini, si superano col fatto che la Regione, e il Centro ad essa collegato, garantiscono per l’immigrato e per la sua immissione nel lavoro.

 

Le Regioni devono anche intervenire sui sindaci, delle città in particolare, affinché sia risolto umanamente e dignitosamente il problema dell’alloggio. Non si può ulteriormente tollerare che gl’immigrati abitino in fabbriche dismesse, in edifici abbandonati e fatiscenti, in locali sovraffollati, privi di servizi igienici. Un intervento deciso dev’essere fatto su questo punto: per la sua stessa dignità, la città non deve tollerare queste forme di marginalità deteriore, che secondano anche la delinquenza e il crimine.

Il Movimento per la società di giustizia preme per un risveglio della coscienza e dell’azione; e si attende che infine s’incominci ad affrontare il problema degli immigrati in termini umani e fraterni.

Lecce, il 25 ottobre 2005

 

 

                                                         (Al Presidente della Conferenza episcopale italiana Card. Camillo Ruini, ai vescovi membri della Conferenza, ai fedeli della Chiesa italiana

L’interferenza del potere ecclesiastico nel politico in Italia

 

Questa interferenza è andata aumentando negli ultimi anni, e in particolare negli ultimi mesi.

La gerarchia ecclesiastica, infatti, non si esprime più nei termini che le sarebbero consoni, l’affermazione dei grandi principi etico-religiosi; senza entrare nel merito delle decisioni politiche; lasciando questo compito al laicato cattolico che in politica è impegnato, e che in politica opera in parità con gli altri, senza una particolare carica di potere religioso. Interviene invece direttamente, in termini prescrittivi, nell’attività del Parlamento, nelle sue decisioni, e nell’attività politica in genere.

Così in gennaio il Consiglio permanente della CEI si dichiara contrario a che il Parlamento modifichi la legge sulla procreazione assistita. In giugno il nuovo Papa, incontrando per la prima volta il Presidente della Repubblica, gli rivolge tre precise richieste legislative (parla di preoccupazioni, ma non senza un preciso riferimento ai legislatori italiani): contro il “patto sociale” per le coppie di fatto e le coppie omosessuali; contro la modifica della legge sulla procreazione assistita; per una legge che garantisca ai genitori la “libera scelta educativa”, cioè la scuola cattolica.

Nella riunione di settembre del Consiglio permanente CEI, il Card. Ruini, che lo presiede (ma poi anche il Consiglio nel Comunicato finale), afferma che le unioni di fatto non devono essere legalmente riconosciute; afferma anche che la prossima Finanziaria deve prendere sul serio le fondamentali esigenze delle famiglie (qui usa la parola “auspicio”); che l’abuso delle intercettazioni telefoniche deve aver fine (qui la parola “necessità”). Si tratta comunque sempre di punti precisi del processo legislativo in atto; su cui il potere ecclesiastico interviene con tutto il suo peso.

 

Questa avanzata del potere ecclesiastico nel politico è certo un fatto anomalo e dev’essere rigorosamente combattuta; all’interno della Chiesa stessa. Può essere spiegata in parte con la passività e mera esecutività cui è abbandonato il laicato cattolico; contro il dettato del Vaticano II. E in parte con la deriva assolutistica di papa Wojtyla, anch’essa in contrasto con la linea conciliare e collegiale; che porta ad un rafforzamento e accentramento del potere; elidendo l’autonomia e autonoma vitalità del laicato, non solo, ma quella stessa dei vescovi. Specie di quelli italiani; dai quali scompare ogni pluralità di voci. Ogni discussione, ogni vitale e vivace differenza e creativo apporto viene a mancare. Lo si è visto ad evidenza alcuni mesi fa, quando fu stabilita l’astensione nel referendum sulla “procreazione assistita”; una decisione talmente discutibile; e su di una materia talmente problematica ed aperta; dove la pluralità di voci sarebbe stata la più ovvia, e anche la più salutare. Nessun vescovo in carica osò alzare la sua voce. Un fatto estremamente, dolorosamente significativo.

Il Movimento chiede all’episcopato italiano una riflessione seria su questo delicato problema.

Lecce, il 3 ottobre 2005                          

 

 

                                                                    (Ai Sindaci di Bologna, Milano, Varese, Sergio Cofferati, Gabriele Albertini, Aldo Fumagalli, ai Sindaci delle maggiori città italiane

I crimini degl’immigrati e il nonsenso degl’interventi repressivi

 

Alcuni crimini succedutisi in breve tempo il mese scorso – lo stupro compiuto da due marocchini a Bologna, l’altro compiuto da cinque rumeni a Milano, l’accoltellamento compiuto da un albanese a Varese – hanno suscitato reazioni scomposte e insensate.

È vero che quei crimini furono compiuti da immigrati cosiddetti “clandestini”, cioè privi di permesso di soggiorno in quanto privi di un regolare lavoro;  ed è vero che la quasi totalità degl’immigrati incarcerati, per crimini vari, appartengono alla categoria dei clandestini. Ma questo non è se non la riprova dell’inopportunità e dell’iniquità della legge Bossi-Fini che, come molti avevano previsto, è diventata una fabbrica di clandestini.   

 

Perciò la legge dev’essere corretta, dev’essere riaffermato il principio che quella legge ha negato, principio umano e cristiano, proprio di tutta la tradizione occidentale, il “principio di accoglienza”, e con esso il “principio fraterno”. E quindi i Centri di accoglienza, e l’intera prassi che accoglie l’immigrato come fratello bisognoso e lo aiuta a trovare lavoro, casa, assistenza; lo aiuta a integrarsi nella nostra società, a diventare cittadino a pieno titolo come noi siamo. Cosa che si può fare, modificando via via gli attuali Cpt con funzioni di accoglienza.

 

Su questo punto è in corso l’azione di un importante gruppo di Presidenti di Regione.

Ma l’azione dei Sindaci non è meno importante né meno urgente. Dove bisogna passare con decisione e rapidità dalla repressione all’integrazione. La repressione non risolve; i commissariati di polizia e le telecamere non risolvono.

Bisogna sviluppare una politica degli alloggi. Non è ulteriormente tollerabile che gl’immigrati vivano in baraccopoli, in fabbriche in disarmo, in alloggi pubblici abbandonati e fatiscenti, occupati abusivamente. Hanno diritto alla loro casa, nella quale possano vivere dignitosamente, e che costituisce un punto essenziale per la loro dignità e il loro comportamento dignitoso.

I centri storici degradati e abbandonati a loro devono essere risanati e riportati ad una normale o anche superiore abitabilità. Senza però che gl’immigrati siano espulsi e costretti ad altre soluzioni d’emergenza.

I Comuni devono istituire degli uffici di accoglienza che si occupino dei clandestini, come di coloro che sono – o sono rimasti – senza lavoro  o/e casa; e con grande umanità li aiutino, li sostengano, li guidino.

Questo è anche il parere dei maggiori studiosi ed esperti del problema. Il Movimento per la società di giustizia ritiene che questo sia il dovere delle amministrazioni comunali e il vero bene delle loro comunità.

Lecce, il 25 luglio 2005                                               

 

 

                                                                      (Al Ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu, ai Membri del Governo e del Parlamento

L’espulsione dei migranti deve cessare, deve subentrare l’accoglienza, e l’intervento di aiuto economico presso i paesi di provenienza

 

Il Movimento è già intervenuto altre volte presso il Ministro contro l’azione repressiva dell’immigrazione cosiddetta “clandestina”, che non fa se non incentivarla, e sospingerla verso la criminalità. Il Ministro ha sottolineato il fatto che la quasi totalità degl’immigrati in carcere è clandestina; ma non ha riflettuto sulle ragioni del fatto, e cioè che è proprio l’emarginazione di quest’immigrati a spingerli verso la criminalità. Questo punto era chiaro fin dall’inizio a tutti gli esperti e studiosi del problema; fin da quando si varò la legge Bossi-Fini; ed è oggi davanti agli occhi di tutti.

Il Ministro, che pur si proclama cristiano, sembra avere completamente dimenticato il principio cristiano dell’accoglienza, il “principio fraterno”. Oppure pensa che altro è la fede cristiana, altro è la coscienza umana e umanitaria, altro è la politica di governo; sottraendola così ai fondamentali principi che strettamente la vincolano, che ne costituiscono uno stretto dovere.

E così, invece di coinvolgere gli altri governi europei nell’accoglienza, li ha coinvolti nella repressione; portando l’Europa lontano da quel compito di umanità e di pacificazione che ha ispirato finora la sua linea; anche se non senza contraddizioni.

La via da seguire è la trasformazione degli ingiusti Cpt in Centri di accoglienza, e la creazione di nuovi Centri; lo sviluppo dell’accoglienza su larga scala. Assecondando così l’azione dei Presidenti di Regione e della parte migliore della pubblica opinione.

 

Si è parlato di un progetto Africa, che è rimasto generico e fumoso. È invece un punto di estrema importanza. Sappiamo che l’emigrazione costituisce per quei popoli una grossa perdita, una emorragia di intelligenze e forze giovanili. Che può essere tamponata con la  creazione e il sostegno d’iniziative economiche in quei paesi. Il Movimento aveva già proposto alla Commissione europea la creazione di un Istituto Europeo per l’elaborazione di progetti economici mirati nei paesi africani, a cominciare dalla fascia mediterranea; proposta che la Commissione aveva condiviso, senza riuscire poi a realizzarla.

Il Movimento chiede che le forze e i mezzi impiegati nella repressione siano invece impiegati nell’accoglienza. In particolare chiede la costituzione di un Istituto Italiano d’intervento economico, e più oltre di un Istituto Europeo, come realtà del progetto Africa.     

Lecce, il 24 luglio 2005

 

 

                                                                                      (Al Segretario dei Democratici di Sinistra Piero Fassino, ai membri del Partito, ai Presidenti di Regione

I Cpt devono essere trasformati in Centri di accoglienza

 

Il Movimento trova inopportuno l’intervento del Segretario, che contrasta l’azione dei Presidenti di regione contro i Centri di permanenza temporanea. Strano che egli si appelli ad una legge tanto ingiusta, e ingiustamente repressiva; che egli parli di contrasto e lotta all’immigrazione cosiddetta “clandestina”, quando è proprio quella legge repressiva che provoca la clandestinità; che invochi l’ostilità dei cittadini, sostenendo in qualche misura l’atteggiamento xenofobico.

 

Il Segretario deve riflettere sul fatto che quella legge ha soppresso completamente il principio di accoglienza; principio che corrisponde ad altri grandi principi della tradizione occidentale, e cioè il “principio che la terra è di tutti”, per cui il fatto che un popolo ne occupi una parte non può escludere affatto gli altri popoli; e il “principio fraterno”.

Accoglienza significa che il migrante che viene a noi spinto dall’estremo bisogno, dev’essere da noi accolto comunque; e non solo se ha già il posto di lavoro. Dev’essere accolto, alloggiato, curato, aiutato a trovare un lavoro e, col lavoro, la casa e l’assistenza; e quindi l’integrazione nella nostra società.

Quando il ministro lamenta che la quasi totalità degl’immigrati che stanno in carcere è formata da clandestini, ci dà una riprova dell’iniquità di questa legge e di questo comportamento; perché è proprio la mancata accoglienza che sospinge questi fratelli nella marginalità, e quindi nella criminalità. Su questo punto gli studiosi ed esperti non hanno dubbi: questa legge è una fabbrica di clandestinità, e quindi di criminalità.

 

Perciò non ha senso che il partito dei Democratici di Sinistra contrasti l’azione dei Presidenti di Regione. Deve invece sostenerla, allargarla ad una discussione e ricerca comune su come uscire  da una situazione inumana e anche giuridicamente insostenibile. In attesa di poter cambiare la legge.

Sviluppando negli attuali CPT la funzione di accoglienza, limitandone la funzione repressiva, creando per l’accoglienza altri centri. Agendo anche a livello parlamentare per la correzione della legge, trattando con la controparte. Sviluppando la discussione a livello nazionale, sì da ottenere il sostegno dei cittadini.

Il Movimento per la società di giustizia, e molti altri con esso, pensa che sia questa la via da percorrere, e si attende che il partito la percorra.

Lecce, il 24 luglio 2005                                               

 

 

 

                                                             (Ai Sindaci di Bologna, Milano, Varese, Sergio Cofferati, Gabriele Albertini, Aldo Fumagalli, ai Sindaci delle maggiori città italiane

 I crimini degl’immigrati e il nonsenso degl’interventi repressivi

 

Alcuni crimini succedutisi in breve tempo il mese scorso – lo stupro compiuto da due marocchini a Bologna, l’altro compiuto da cinque rumeni a Milano, l’accoltellamento compiuto da un albanese a Varese – hanno suscitato reazioni scomposte e insensate.

È vero che quei crimini furono compiuti da immigrati cosiddetti “clandestini”, cioè privi di permesso di soggiorno in quanto privi di un regolare lavoro;  ed è vero che la quasi totalità degl’immigrati incarcerati, per crimini vari, appartengono alla categoria dei clandestini. Ma questo non è se non la riprova dell’inopportunità e dell’iniquità della legge Bossi-Fini che, come molti avevano previsto, è diventata una fabbrica di clandestini.   

 

Perciò la legge dev’essere corretta, dev’essere riaffermato il principio che quella legge ha negato, principio umano e cristiano, proprio di tutta la tradizione occidentale, il “principio di accoglienza”, e con esso il “principio fraterno”. E quindi i Centri di accoglienza, e l’intera prassi che accoglie l’immigrato come fratello bisognoso e lo aiuta a trovare lavoro, casa, assistenza; lo aiuta a integrarsi nella nostra società, a diventare cittadino a pieno titolo come noi siamo. Cosa che si può fare, modificando via via gli attuali Cpt con funzioni di accoglienza.

 

Su questo punto è in corso l’azione di un importante gruppo di Presidenti di Regione.

Ma l’azione dei Sindaci non è meno importante né meno urgente. Dove bisogna passare con decisione e rapidità dalla repressione all’integrazione. La repressione non risolve; i commissariati di polizia e le telecamere non risolvono.

Bisogna sviluppare una politica degli alloggi. Non è ulteriormente tollerabile che gl’immigrati vivano in baraccopoli, in fabbriche in disarmo, in alloggi pubblici abbandonati e fatiscenti, occupati abusivamente. Hanno diritto alla loro casa, nella quale possano vivere dignitosamente, e che costituisce un punto essenziale per la loro dignità e il loro comportamento dignitoso.

I centri storici degradati e abbandonati a loro devono essere risanati e riportati ad una normale o anche superiore abitabilità. Senza però che gl’immigrati siano espulsi e costretti ad altre soluzioni d’emergenza.

I Comuni devono istituire degli uffici di accoglienza che si occupino dei clandestini, come di coloro che sono – o sono rimasti – senza lavoro  o/e casa; e con grande umanità li aiutino, li sostengano, li guidino.

Questo è anche il parere dei maggiori studiosi ed esperti del problema. Il Movimento per la società di giustizia ritiene che questo sia il dovere delle amministrazioni comunali e il vero bene delle loro comunità.

Lecce, il 25 luglio 2005                                               

 

 

            (Al Presidente della Commissione Europe José Manuel Barroso e ai membri della Commissione, al Presidente del Parlamento Europeo Josep Borrell Fontelles

                e ai membri del Parlamento, al Commissario al Commercio Peter Mandelson

L’accordo sulle importazioni dalla Cina non risponde a giustizia

 

L’accordo concluso dalla Commissione Europea, nella persona del Commissario Mandelson, con la Cina il 10 giugno scorso, per limitare l’alluvione di esportazioni cinesi a prezzi stracciati in Europa,  a parte il suo restringersi a 10 prodotti tessili, sbandierava il solito principio del libero mercato, principio che con la sua affermazione dogmatica già tanti danni ha prodotto ovunque; in quanto è chiaro che il mercato dev’essere gestito secondo ragione e giustizia.

Non prendeva invece in nessuna considerazione il fatto umano e sociale; e cioè il fatto che i prezzi stracciati dei prodotti cinesi non sono dovuti soltanto ad un più basso livello dell’economia, quindi dei costi, dei salari, della vita; ma ad un sistema oppressivo e schiavistico del lavoro.

In cui sono sfruttati, e anche annientati, 10 milioni di bambini (ma secondo altri sarebbe l’11,9% della forza lavoro, quindi diverse decine di milioni), che lavorano dall’alba al tramonto.

In cui il lavoro adulto si estende fino a 18 ore al giorno, per 7 giorni su 7, con solo un giorno di riposo al mese; in condizioni spesso distruttive; in condizioni coercitive, intimidatorie, e talora di violenza fisica; senza possibilità di difesa e protesta per l’assenza di organizzazioni sindacali, per la connivenza delle autorità.

 

I prezzi stracciati dei prodotti cinesi sono frutto di un sistema oppressivo, cinico, che per raggiungere il successo economico, per conquistare i mercati, per diventare potenza economica mondiale, annienta i lavoratori. L’Europa non può ignorare questa ignominia; non può sottacerla per mantenere buoni rapporti con la Cina. E ha non solo il diritto ma anche il dovere di rifiutare quei prodotti, e non per protezionismo economico, ma perché frutto di un sistema criminoso.

In cui si configura non solo una concorrenza sleale, ma un crimine contro l’umanità.      

Il Movimento per la società di giustizia chiede che l’intero rapporto economico dell’Europa con la Cina sia riveduto sulla base dei diritti fondamentali dell’uomo, della loro affermazione e difesa.

Lecce, l’11 luglio 2005

                                                                                            

 

                                                                                              (Al Presidente della Repubblica Francese Jacques Chirac, al Primo Ministro Dominique de Villepin

                                                                                               al Presidente dell’Assemblea Nazionale Jean-Louis Debré

La legge n. 2005-258 sulla guerra d’Algeria dev’essere emendata

 

Nelle ultime settimane la stampa italiana ha diffuso la notizia di una legge che è stata approvata dall’Assemblea Nazionale nel febbraio scorso, ma che soltanto ora ha avuto una certa risonanza, in seguito alle rimostranze del governo algerino.

La legge in questione è la n. 2005-258 del 23/02/2005 e concerne la “riconoscenza e il contributo della Nazione in favore dei Francesi rimpatriati”, in particolare per “per le vittime di massacri o di esazioni commesse durante la guerra d’Algeria”.

E però all’art. 4 v’è un passaggio che parla del “ruolo positivo della presenza francese oltremare, particolarmente in Nordafrica”, e chiede che i programmi scolastici lo riconoscano e accordino alla storia e ai sacrifici dei combattenti dell’esercito francese in quei territori il “posto eminente” a cui hanno diritto.

 

Si tratta forse di un emendamento il cui peso è sfuggito al legislatore. Poiché tutti sanno che la guerra d’Algeria ha significato una volontà di dominio coloniale e di colonialismo, e un’azione repressiva che si è estesa per circa vent’anni, dal primo movimento indipendentista del 1943 agli  accordi di Évian del ’62. Quando la Francia aveva già aderito al Trattato dell’ONU in cui si riconosceva il diritto di autodeterminazione dei popoli, il diritto di ogni popolo all’autonomia. E tutti sanno che la repressione in Algeria è stata violenta e crudele, contrassegnata da sanguinosi massacri.

Perciò la presenza francese in Nordafrica non può essere assolta come un “fatto positivo”, ed è difficile assegnare ai combattenti di quella guerra un “posto eminente”; anche se di quella infelice politica non sono stati autori ma vittime.

Il Movimento per la società di giustizia chiede che l’art. 4 di questa legge sia soppresso o ulteriormente emendato. Trova infatti sconveniente lo spirito che anima questo articolo; e trova particolarmente diseducativo che nelle scuole i giovani non vengano formati ad una coscienza retta, che riconosca anche gli errori commessi e ne assuma la responsabilità collettiva. Riconoscendo così  pienamente la dignità e il diritto del popolo algerino, e il suo particolare sacrificio; come quello di ogni popolo che il colonialismo ha oppresso.

Lecce, il 25 giugno 2005

 

 

                                                                          (Ai Presidenti delle Regioni

I Centri di accoglienza per gl’immigrati devono essere reintrodotti

 

Abbiamo letto con profonda soddisfazione le considerazioni del Presidente Vendola sulle condizioni inumane in cui vengono a trovarsi in Italia gl’immigrati al seguito della legge Bossi-Fini, che ha di fatto soppresso il principio di accoglienza; e sulla necessità di porvi rimedio, anche attraverso interventi di disobbedienza civile, perché al disopra della legge civile v’è la legge della coscienza e la legge divina.

Sopprimendo ogni forma di accoglienza del povero che viene da noi da terre anche lontane e attraverso immensi sacrifici, respingendolo brutalmente, caricandolo addirittura a centinaia su aerei per riportarlo e abbandonarlo nel deserto africano; per accettare solo quegli immigrati che hanno già un posto di lavoro e quindi corrispondono al nostro interesse; con questo comportamento la nazione italiana è venuta meno a due fondamentali principi umani e cristiani.

 

Il principio che “la terra è di tutti”, per cui  quella che è abitata da noi non è nostra in esclusiva, ma resta sempre aperta all’altro, che ha diritto di entrarvi, abitarvi e operarvi.

Il “principio fraterno”, per il quale tutto ciò che è nostro non può essere egoisticamente riservato a noi soli, ma dev’essere condiviso col fratello, e ogni essere umano è nostro fratello; principio supremo dell’annunzio evangelico e cristiano al mondo, e che la coscienza moderna ha assimilato, proclamandolo nella Rivoluzione francese, nel movimento operaio, nel movimento per i diritti civili dei neri in America, in tante occasioni.

Questi principi non possono essere ulteriormente conculcati. Il fratello che viene a noi da un paese povero e non ha un lavoro né un permesso di soggiorno dev’essere accolto e alloggiato e curato; e quindi aiutato a trovare un lavoro – e non sarà certo difficile trovarlo; e con esso una sicurezza sociale e un alloggio definitivo.

Per questo è necessario creare  Centri di accoglienza che a questo provvedano. E, possibilmente, accordarsi anche tra regioni affinché si creino simili Centri; e un servizio interregionale potrebb’essere approntato (in Puglia v’è un Osservatorio sull’immigrazione che potrebbe coordinare quest’azione); e le Regioni dovrebbero poi premere sul Governo affinché quella ingiusta legge sia corretta.

Il Movimento ha fiducia che la particolare sensibilità del Presidente Vendola, e di altri Presidenti, possano affrontare questo spinoso problema.

Lecce, il 16 giugno 2005

 

 

                                               (Al Prefetto di Roma Achille Serra, al Sindaco di Roma Walter Veltroni, al Ministro per le Pari Opportunità Stefania Prestigiacomo

                                                               ai membri del Parlamento, a tutti i cittadini

Il quartiere a luci rosse non può essere accettato

 

Il Movimento riconosce che la proposta del Prefetto muove da una necessità urgente: togliere la prostituzione dalle strade. Stupisce anzi che un provvedimento simile non sia stato ancora varato,  se si pensa ai tanti mali che la strada comporta, a cominciare dall’esibizione del vizio (poiché di vizio si tratta), dal complesso disagio dei cittadini, delle famiglie che su quelle strade abitano; dal disagio delle prostitute stesse nel loro triste inumano mestiere; dall’aumentato bisogno di protettori con tutto il malaffare, l’asservimento, la criminalità che vi si collega.

 

Il Prefetto, però, sembra dimenticare due cose.

La prima: che la prostituzione, essendo un fatto immorale e di disordine sociale, può essere sì tollerata dallo stato, ma non organizzata come il Prefetto propone: in zone protette e controllate, con controllo medico ecc. Una forma analoga alla casa chiusa e all’eros center; che contrastano con la libertà e pari dignità della donna; e recuperano il vecchio maschilismo, offrendo al vizio del maschio, che in questi decenni era stato costretto a ricercare per le strade la sua sordida soddisfazione, il quartiere sicuro e la garanzia sanitaria.

La seconda: il disegno di legge che giace in Parlamento, e che è molto più avanzato, ed è forse il migliore oggi in Europa. Che colloca quest’attività nel privato, nell’abitazione della donna; lasciandola alla sua libertà e responsabilità. Continuando a perseguire con durezza ogni forma di protezione-sfruttamento, asservimento, schiavismo. E prevede anche una multa fino a 5.000 euro per le donne che esercitano in strada, e fino a 10.000 euro per i loro clienti; colpisce cioè il cliente con forza maggiore, e ciò è giusto. La colpevolezza del cliente si è imposta negli ultimi anni alla coscienza collettiva. Il Prefetto ritiene questa soluzione di fatto impossibile per l’opposizione dei coinquilini, ma è noto che già ora molte donne esercitano in casa.

 

Se c’è una misura da prendere è quelle di sollecitare la discussione e approvazione di questa legge; e in questo senso dovrebbero premere sia il Prefetto che il Sindaco, che i parlamentari e tutti i cittadini che sono solleciti di una convivenza sociale più ordinata e moralmente dignitosa.

Non si può certo addurre l’esempio di altre nazioni che non hanno risolto correttamente questo problema: dove perdura la prostituzione sulle strade (in Francia e in Gran Bretagna), o perdurano addirittura le “case chiuse” (in Spagna e in Olanda), o gli eros center tedeschi (preferiti dal Ministro Bossi) che dalle case chiuse sostanzialmente non differiscono.

Lecce, il 18 maggio 2005

   

 

                                                          (Ai Direttori dei quotidiani italiani

I recenti avvenimenti papali e gli errori della stampa italiana

 

Alcune settimane ormai ci separano da quei due avvenimenti che tanto scalpore hanno suscitato, in Italia particolarmente: la morte di papa Wojtyla, l’elezione del nuovo papa. E una riflessione su di essi s’impone.

Vi si deve distinguere un evento popolare, e un evento mediatico; con influsso reciproco, con un’incidenza a catena. Un evento popolare inizialmente spontaneo, su cui sono intervenuti i media che l’hanno ulteriormente stimolato, ricevendone un ulteriore stimolo. Sì che ne è venuto qualcosa di enorme, un ciclone mediatico-popolare.

 

Ai quotidiani italiani il Movimento rimprovera due cose.

L’eccesso, anzitutto, le decine di pagine che giorno dopo giorno amplificavano gli avvenimenti. E il carattere laudativo, trionfalistico; la scarsità di spirito critico, di valutazione critico-creativa degli avvenimenti e delle persone.

Poiché si trattava di papi, cioè di monarchi di tipo assoluto, di vertici di un modello imperiale che si è instaurato lungo la decadenza e la caduta dell’Impero romano, mutuandone la struttura lungo il primo millennio, per affermarla incondizionatamente dall’inizio del secondo (con Gregorio VII, Innocenzo III, Bonifacio VIII). Un modello di potere assoluto che ancora oggi è rimasto intatto. Poiché  la decisione ultima spetta sempre al papa e nessun organo o maggioranza la può contrastare; non il Concilio, non la maggioranza dei  cardinali in Concistoro. E analogo è il potere dei vescovi nelle diocesi.

E si trattava di un papa, Wojtyla, che in nulla ha allentato questo assolutismo, ma semmai lo ha  potenziato (si veda il codicillo a proposito dell’insegnamento ordinario; la ripresa della scomunica; le condanne dei migliori teologi, come Küng e Bof, e la teologia della liberazione). Un papa che ha fatto dei passi  nella riconciliazione (gli ebrei, la modernità) e ha molto viaggiato; ma non s’è impegnato su nessuno dei grandi problemi, non ha mobilitato concretamente la chiesa per la pace o per debellare la povertà e la malattia; l’Aids in particolare, mentre si è barricato ridicolmente (o tragicamente) sull’interdizione del preservativo.

 

Con questo comportamento la stampa non ha assecondato certo la laicità, la distinzione dei campi, il distacco critico dall’invadente potere ecclesiastico. Né la religiosità autentica, ma solo una maggiore esteriorizzazione e superficialità, la degradazione popolare del fatto religioso.

Lecce, 16 maggio 2005   

                                                                                 

 

                                                                                             (Ai Presidenti delle Regioni italiane

Il ticket moderatore sui medicinali non dev’essere abolito

 

Durante la campagna per le recenti elezioni regionali si è parlato di abolire il ticket sui medicinali. Si è trattato probabilmente di un fatto elettorale e propagandistico. Sul quale il Movimento pensa si debba riflettere a fondo.

Questo ticket ha infatti anzitutto lo scopo di moderare l’acquisto altrimenti facile; cui consegue lo spreco. V’è in proposito una larga esperienza.

Ma ha anche lo scopo di non aggravare le difficoltà dello Stato Sociale, che sono a tutti fin troppo note, e le cui cause vengono molteplicemente indicate:

nell’allungamento dell’età media, che provoca maggiori spese previdenziali e assistenziali;

nella diminuzione delle entrate statali a causa dei processi di globalizzazione e di delocalizzazione delle imprese; a causa anche della crisi di produzione causata dalla concorrenza dei paesi a basso costo di lavoro e bassa incidenza fiscale; in particolare dei paesi dell’Estremo Oriente;

nell’aumento delle spese per ammortizzatori sociali causate da tali processi e crisi.

 

Perciò altri paesi europei, come la Francia, contemplano anche un ticket di degenza ospedaliera, che attualmente è di circa dieci euro al giorno;  e ha anche lo scopo d’impedire che la degenza si protragga inutilmente, sottraendo posti ad altri pazienti bisognosi.

Il Movimento ritiene che il ticket sui medicinali, laddove c’è, debba essere mantenuto; e introdotto laddove non c’è. Ritiene che si debba pensare seriamente anche al ticket sulla degenza ospedaliera per tutti i cittadini che sono soggetti all’Irpef, o secondo altri giusti e opportuni criteri, invitandoli a questo ulteriore contributo, piccolo in sé, ma prezioso per il mantenimento del Servizio sanitario nazionale, che a tutti provvede; per il  suo mantenimento e anche per il  suo miglioramento.

Lecce, il 10 maggio 2005

                                                                                          

 

                                                                         (Al Presidente della CEI Card. Camillo Ruini, all’Episcopato italiano

 Il silenzio dei vescovi italiani sul referendum dopo la direttiva di astensione

 

Il Movimento ha già richiamato l’inopportunità della decisione dell’Episcopato italiano in questa materia; e cioè della direttiva di astensione che mantiene la gente nell’ignoranza e nell’indifferenza su di un problema così delicato e complesso.

Ciò che ora meraviglia è il silenzio dei vescovi. Nessuna voce si è levata ad esprimere almeno perplessità sulla scelta dell’astensione. O, più oltre, perplessità sull’Istruzione dell’87, sul suo presentarsi come dottrina “immutata e immutabile”, sul suo carattere autoritativo e autoritario, anziché di proposta aperta alla discussione e all’apporto di tutti. Sull’opportunità che questa materia, tutt’altro che definita nonostante le pretese dell’Istruzione, fosse affidata alla coscienza dei fedeli, a quella libertà di coscienza, che è prerogativa fondamentale della dignità e diritto della persona umana, e che la Gerarchia ecclesiastica continua ad ignorare.

Quando ci fu il referendum abrogativo della legge sul divorzio, nonostante che la direttiva ecclesiastica fosse per il sì, voci autorevoli di vescovi si alzarono ad invocare proprio la libertà di coscienza; e certo il matrimonio indissolubile non si poteva imporre per legge agli ebrei, ai protestanti, ai non cattolici in genere.

Ora la stampa ha riferito una sola voce di dissenso, quella del vescovo emerito di Foggia, Giuseppe Casale; ma di nessun vescovo in carica.

 

E questo, mentre i maggiori teologi non accolgono il “principio di natura” su cui si basa l’Istruzione, ma lo trascendono nel “principio di persona”; dell’uomo che, fatto ad immagine di Dio, ha ricevuto un potere sulla natura, e quindi anche sulle proprie funzioni biologiche; specie quando la natura vien meno. Come in questo caso. Valga per tutti il documento su La sessualità umana, curato dall’Associazione dei teologi cattolici americani.

Inoltre i maggiori teologi non riconoscono all’embrione lo statuto di persona. Valgano per tutti i nomi di Karl Rahner e di Bernhard Häring, il maggiore teologo teoretico e il maggiore moralista del ‘900. Sembrerebbe giusto che le ricerche, gli studi, l’esperienza dei teologi, specie dei maggiori, fossero tenute in grande considerazione; che anzi i maggiori teologi fossero interpellati prima di sottoporre un documento all’attenzione della chiesa intera.

Il Movimento si aspetta che le voci dei vescovi si alzino in qualche misura a confortare le attese dei fedeli, che non sono univoche, che dalla chiesa si aspettano un’adeguata vivacità e vitalità d’idee e di posizioni; specie in materia etica, in materia discussa. Oppure dovremmo condividere la persuasione del vescovo Casale che “i vescovi tacciono, confondendo spesso l’obbedienza con l’acquiescenza e forse temendo anche per la loro carriera”?

Lecce, maggio 2005

                                                                             

 

                                                  (Al Presidente della Conferenza episcopale italiana, Card. Camillo Ruini, ai Vescovi membri della Conferenza

L’esortazione ad astenersi nel prossimo referendum deresponsabilizza i fedeli

 

Il Presidente della Conferenza episcopale italiana ha più volte esortato i fedeli all’astensione nel prossimo referendum sulla “procreazione assistita”, come alla via più semplice ed efficace per bloccare il  referendum stesso; e in tal senso ha mobilitato l’episcopato e le associazioni cattoliche.

Questa via dell’astensione sarà semplice ed efficace, ma non contribuisce certo al formarsi e approfondirsi della coscienza dei fedeli su questo delicato argomento; non contribuisce ad una decisione consapevole e responsabile in questa materia. Spinge anzi al disinteresse e alla passività: sì che la gente, la quale già ora a stento si orienta in questa materia, continuerà ad ignorarne non solo i delicatissimi problemi, ma i contenuti stessi.

 

Il Movimento si chiede se sia questa la via per  la formazione della coscienza dei fedeli; di una coscienza che i problemi li conosca e li discuta, di una coscienza illuminata e critica. Poiché tale è la natura della coscienza umana; tale è il dono di Dio all’uomo. Se ci si rifà, ad esempio, al testo del Siracide (17, 6-7): «Diede loro un cuore per pensare, […] accordò loro la conoscenza, […] li riempì di scienza e d’intelligenza e fece loro conoscere il bene e il male». Questa intelligenza che discerne il bene e il male è proprio la coscienza critica, che la modernità ha riscoperto, e che appartiene ormai al patrimonio umano, alla dignità della persona umana.

Il Movimento pensa che, invece che all’astensione, i fedeli dovevano essere esortati alla conoscenza del problema, per decidere secondo illuminata coscienza e personale responsabilità; e una discussione doveva aprirsi nella chiesa italiana, e svilupparsi ad ogni livello.

Oppure si deve pensare che la gerarchia preferisca una massa di fedeli ignorante e inconsapevole, e quindi più facilmente succube del potere centrale? Una domanda che questo comportamento ha suscitato in molti spiriti che amano e cercano onestamente la verità.

Lecce, 10 aprile 2005

 

 

                         (Ai Segretari dei Sindacati Confederali CGIL, CISL, UIL Guglielmo Epifani, Savino Pezzotta, Luigi Angeletti, Ai Segretari dei Sindacati Metalmeccanici

                                  FIOM, FIM, UILM Gianni Rinaldini, Giorgio Caprioli, Antonino Ragazzi, e p.c. a Presidente della Regione Puglia Nichi Vendola

È tempo di trasformare la Fiat in una Public company

 

Il Movimento si richiama al documento inviato al Sindacato il 13 gennaio scorso sul tema “la vicenda della Fiat e la responsabilità del sindacato”; centrato nel principio che l’impresa, e tanto più la grande impresa, non è degli azionisti né dei padroni ma è un patrimonio  sociale; e nella constatazione, difficilmente confutabile, che né i lavoratori né il sindacato non l’hanno mai veramente capito, e non vi si sono mai impegnati.

Il Sindacato deve assumersi le sue responsabilità; e proprio nei riguardi della Fiat, che è la più grande impresa italiana, e l’unica impresa automobilistica. Il momento è difficile, c’è un calo in tutta la produzione, e sarebbe per la nazione una vera sciagura se perdessimo questa impresa chiave.

Il Movimento avanza una triplice proposta.

 

1. La prima, coerentemente col principio dell’impresa come patrimonio sociale, è la trasformazione della Fiat in una Public company, cogliendo il momento in cui le banche dovranno trasformare i loro prestiti in azioni; e premendo affinché questo avvenga, in quanto le banche, che raccolgono il denaro dei cittadini, rappresentano già una parte sociale. Con le banche dovrebbero entrare la Regione Piemonte e il Comune di Torino; e, possibilmente, il Sindacato stesso.

2. La  seconda concerne l’intervento dello Stato che, come da più parti si propone, potrebbe operare attraverso la creazione di un centro di eccellenza per la ricerca, l’innovazione, il design; per lo sviluppo di un motore ecologico; centro che sarebbe pure al servizio della Fiat. Potrebbe anche fissare tempi più ristretti per l’eliminazione di motori inquinanti. E il Sindacato dovrebbe premere in tal senso.

3. La terza concerne una campagna di sensibilizzazione dell’italiano nei riguardi del prodotto nazionale Fiat; campagna che rientrerebbe poi in un corretto ulteriore sviluppo della coscienza nazionale; che da noi è debole (si veda l’azione del presidente Ciampi in proposito). Se ad esempio la si confronta con la Francia o con la Germania; dove ha un effetto visibile proprio anche nell’acquisto del prodotto automobile. Di questa campagna il Sindacato potrebbe farsi promotore, assieme ad altre forze; e sarebbe sempre collegata alla Public company, dove il Sindacato sente l’impresa come sua.

Lecce, il 4 aprile 2005

                                                                       

 

                                                           (Al Presidente della Conferenza episcopale italiana, Card. Camillo Ruini, ai Vescovi membri della Conferenza

L’intervento sul referendum per la “legge sulla procreazione assistita” viola il giusto rapporto tra chiesa e  stato italiano

 

Il Movimento per la società di giustizia ha considerato con attenzione le posizioni del Consiglio permanente della CEI del gennaio scorso, espresse nel comunicato finale. Dove si dichiara contrarietà a modifiche della legge sulla procreazione assistita, sia da parte del Parlamento, che per referendum popolare (modifiche “peggiorative”, si dice, nel senso che renderebbero la legge meno proibitiva); e si considera questo referendum come mezzo “per esprimere la propria contrarietà alle modifiche proposte”, avvalendosi “di tutte le possibilità previste in questo ambito dal legislatore”, cioè il no e l’astensione.

Dove quindi il corpo dell’episcopato italiano afferma espressamente la sua opposizione a che il Parlamento prenda una certa decisione in materia; così come la sua opposizione ad una decisione referendaria che, accettando i quesiti proposti, modifichi la legge.

 

Il corpo dell’episcopato italiano, dunque, come organo dotato di potere giurisdizionale e coattivo,  si oppone ad una possibile libera decisione del Parlamento italiano; laddove l’art. 1 del Concordato afferma che “lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani, impegnandosi  al pieno rispetto di tale principio nei loro rapporti”.

Come organo dotato di tale potere, con tutto ciò che esso implica per la coscienza e il comportamento dei fedeli, si oppone alla loro libera espressione in quanto cittadini, indicando questo referendum solo come mezzo per esprimere contrarietà piuttosto che accettazione. E con questo interferisce in una funzione dello stato che non è di sua pertinenza.

 

Il Movimento ritiene che il corpo episcopale possa legittimamente soltanto esortare i fedeli, che sono cittadini, a votare “secondo retta coscienza”, tenendo anche presente l’insegnamento della gerarchia. Ma non di più.

 

Quanto a questo insegnamento (espresso nell’Istruzione del 1987 e in altri interventi), il Movimento lamenta ciò che è già è stato lamentato da molti, uomini di scienza e di teologia, e cioè che esso pretende fissare\ in termini definitivi e autoritativi una materia che non attiene alla rivelazione e alla fede; e che, nella sua attinenza morale, è oggetto ancor oggi di ricerca e discussione sia in campo scientifico che teologico; dove i maggiori teologi cattolici del ‘900 si sono espressi in modo difforme. Dove la gerarchia dovrebbe, umilmente e cristianamente, invitare alla ricerca, piuttosto che bloccare la ricerca stessa attraverso le sue definizioni. Le quali, poi, non sono altro che illazioni basate sul “principio di natura”, che la migliore teologia ha superato col “principio di persona”, cioè di una persona cui Dio ha dato potere sulla natura, quindi anche sulle sue funzioni di natura.

Con queste illazioni la gerarchia, da un lato grava inutilmente la coscienza dei fedeli di vincoli e di sensi di colpa; dall’altro si espone all’accusa di autoritarismo e, fatto altrettanto grave, a dover disdire in futuro ciò che oggi ha solennemente affermato e imposto. Come altre volte è avvenuto.

Lecce, 6 marzo 2005                                                      

 

                                                                          

                                                                                     (A Don Pierino Gelmini e a tutti i membri della Comunità Incontro

Il Mammona iniquitatis, il denaro iniquo dev’essere rifiutato

 

In gennaio Don Pierino ha celebrato gioiosamente i suoi ottant’anni, circondato dall’affetto della Comunità e degli amici. E a questa celebrazione, che suggellava una lunga attività consacrata al recupero della tossicodipendenza e dell’emarginazione, noi tutti ci siamo uniti in spirito.

 

In quell’occasione, tuttavia, c’è stata un’erogazione di dieci miliardi di lire in favore Suo e della Comunità. Che Lei ha accettato senza remora alcuna, senza pensare al Cristo, a quanto il suo atteggiamento verso il denaro ci debba rendere cauti e pronti anche al rifiuto.

Ha ricevuto quella somma da un personaggio che in questioni di denaro è compromesso in modo molteplice; un  personaggio che è entrato in politica carico di processi concernenti affari e denaro, dai quali finora è uscito per lo più attraverso la prescrizione.

Un personaggio che ha varato una serie di leggi per liberarsi da quei processi, leggi inique Lei non può ignorare e il cui elenco è fin troppo lungo. Che hanno modificato la disciplina del falso in bilancio (così le imprese possono dichiarare tranquillamente il falso); hanno reso più difficili le rogatorie internazionali (così i processi che hanno bisogno di documentazione dall’estero si rallentano, e più facilmente vanno in prescrizione); hanno facilitato il rientro dei capitali (favorendo l’esportazione fraudolenta); hanno eluso il conflitto d’interessi (un membro del governo può favorire la propria impresa se favorisce insieme l’intera categoria; così il danno si generalizza). Con la legge Cirami si sospendono e spostano i processi attraverso il “legittimo sospetto”  (con grave danno per i processi in corso; lo scopo è sempre quello di ritardarli e così portarli a prescrizione); col “lodo Schifani”, poi depennato dalla Consulta, si tenta di bloccare tutti i processi alle alte cariche dello stato (ma la carica interessata è sempre una sola); con la legge Gasparri, si favoriscono le televisioni di quel personaggio, la sua presenza nei giornali e nell’editoria, la raccolta di pubblicità, quindi l’accumulo di ricchezza.

 

V’è in tutto questo una immoralità radicale. Nessun rispetto per la dignità e l’alto tenore morale che una responsabilità politica esige; che esige l’azione politica in quanto deve perseguire il bene della nazione (e non il proprio a scapito della nazione), l’osservanza della legge (e non la sua manipolazione), l’eguaglianza di tutti di fronte alla legge (e non il proprio privilegio).

Da questo personaggio proviene il denaro che Lei ha solennemente accettato: davvero il mammona iniquitatis di cui parla il Cristo. Non solo, ma il personaggio ha approfittato di quell’occasione per affermare cose false e ingannevoli, che “siamo in campo per un fatto spirituale: vogliamo che sia il bene a trionfare e a governare per noi e i nostri figli”. Che Lei ha avallato con la Sua presenza, il consenso, la riconoscenza. Di cui si è fatto spettacolo e propaganda elettorale.

Quel denaro non può  essere onestamente accettato. È questo il richiamo che Le rivolge il Movimento, che Le rivolgono le persone che lottano per l’onestà.

Lecce, il 3 marzo 2005

                                                                             

 

 

                                                                                (Al Presidente della Conferenza Episcopale Italiana Card. Camillo Ruini, ai Vescovi membri della conferenza,

                                                                                 al Vescovo di Frascati Giuseppe Matarrese

Non è lecito a un vescovo fare propaganda elettorale

 

Il Movimento per la società di giustizia non può che esprimere sconcerto e indignazione per il  ripetuto intervento del Vescovo di Frascati Giuseppe Matarrese, in pubbliche riunioni, in favore di un candidato alla presidenza di una regione nelle prossime elezioni; e anche in favore di una coalizione. La stampa ne ha ampiamente parlato.

 

Non è lecito ad un vescovo, come in genere ad un esponente di una religione o confessione, nell’esercizio delle sue funzioni, intervenire nella dinamica politica in favore dell’una o dell’altra fazione:

per l’interferenza di poteri che crea, in quanto porta il peso del suo potere religioso nell’ambito della funzione e del potere politico, nell’esercizio della sovranità popolare;

per il rispetto che deve alla libertà di coscienza e di decisione politica dei suoi fedeli come cittadini, nell’esercizio di quella funzione.

Questa anomalia si è ampiamente verificata nella prima fase della Repubblica italiana, quando la lotta era aspra, e nel clero stesso la mente era confusa. Finché non ci furono interventi autorevoli: a Milano, ad esempio, l’allora Arcivescovo Montini intervenne escludendo ogni pronunciamento del clero nelle campagne elettorali; riportando così chiarezza di competenza e di comportamento.

 

Il Movimento ritiene che la Conferenza Episcopale debba operare affinché in tutto il clero, che detiene ed esercita il potere ecclesiastico, sia raggiunta questa chiarezza di coscienza e di comportamento, e nessuna interferenza indebita sia esercitata.

Lecce, il 2 marzo 2005

 

                                               

 

(Al Presidente della Commissione Europea e ai membri della Commissione, al Presidente del Parlamento Europeo e ai membri del Parlamento

                                                al Vicepresidente Franco Frattini

Il riarmo dell’Europa

 

Si parla, da qualche tempo, di un riarmo dell’Europa. Il riferimento va all’America, alla sua strapotenza militare, alla sua possibilità d’intervenire unilateralmente scavalcando l’Onu come la Nato, come ogni alleanza che comunque possa interferire nei suoi piani egemonici; che finiscono poi magari nella disfatta, come sta accadendo in Iraq. Si pensa che la Comunità Europea dovrebbe avere un esercito che possa reggere il confronto con quello americano, possa rappresentare degnamente l’Europa sul piano militare internazionale, possa condizionare quella egemonia.

 

Il Movimento per la società di giustizia è convinto che una tale concezione sia completamente errata, completamente in antitesi con la statura umana ed etica della Comunità, con la sua presenza e missione nel mondo.

La Comunità Europea è nata dopo la triste esperienza delle due guerre mondiali, la tristissima esperienza di un passato di stati-nazione coinvolti in una «guerra perenne», una guerra che ha  riempito l’intera modernità; è nata da una volontà che quel passato fosse superato per sempre. È nata da una volontà di pace e si è posta come un centro di pace nel mondo.

Questa statura etica è stata in certa misura danneggiata dai leader che si sono accodati all’America in questa disgraziata guerra irachena che i loro popoli rifiutavano: Blair in particolare, Aznar, Berlusconi. Leader che sono stati duramente ripagati già dall’andamento della guerra, dalla guerriglia in cui si sono ritrovati invischiati e impotenti.

 

L’Europa deve restare una Comunità di pace.

1. Non si deve parlare di riarmo, ma semmai del costituirsi di una comune forza di pace, dell’unificarsi degli eserciti nazionali in questa forza; concepita soltanto in ordine al mantenimento o al ristabilimento della pace nel mondo, qualora conflitti locali dovessero insorgere (quanto al terrorismo, non lo si combatte dispiegando eserciti). E tale il Movimento pensa debba essere il senso dell’“Agenzia europea per la Difesa”, recentemente costituita; nella quale perciò non deve svilupparsi nessun processo di riarmo o di potenziamento degli armamenti.

2. Al contrario deve continuare il processo di disarmo: la scomparsa della leva, la riduzione delle armi, l’annientamento delle armi atomiche e di ogni arma di distruzione di massa.

3. Un’azione dev’essere dispiegata su tutti gli stati membri, a cominciare da quelli che posseggono armi atomiche, che producono e vendono armi nel mondo; questa vendita dev’essere vietata. Quest’azione deve dispiegarsi anche sull’alleato americano, sulla costellazione islamica, all’interno dell’Onu.  

4. Si deve premere sull’Onu affinché allo scoppio di conflitti l’intervento sia pronto; pensiamo al Sudan, ad esempio. Si deve operare con forza, cercando alleanze, per risolvere gli attuali punti di crisi: la Palestina, la Cecenia, la sorte del popolo curdo, il Sudan appunto.

Nell’umanità intera l’Europa deve brillare come principio di pace.

Lecce, il 20 febbraio 2005    

                                                                                           

 

 

                                                                               (Al Partito Radicale, a Marco Pannella, Emma Bonino, Daniele Capezzone, Luca Coscioni. alla Direzione del Partito 

Il Partito Radicale, le sue contraddizioni, la sua debolezza

 

Il Movimento per la società di giustizia ha sempre guardato al Partito Radicale come ad una forza innovativa e critico-costruttiva per la nazione italiana; un punto di forza nella lotta per i diritti civili, in particolare attraverso la mobilitazione popolare del referendum come grande strumento di difesa della legge; o di una sua correzione, contro l’inerzia o la prevaricazione politico-partitica che nella legge talora si esprimeva. In tal senso hanno operato i grandi referendum sul divorzio e sull’aborto, che appartengono ormai alla storia della nazione; e in tal senso ha operato, a livello planetario, l’azione per la moratoria sulla pena di morte, l’azione “nessuno tocchi Caino”.

 

Il Movimento ritiene tuttavia, che nella fase più recente il Partito radicale sia incorso in gravi errori di collocazione e di strategia; in particolare nei seguenti:

Ha abusato del referendum, proponendo alla decisione popolare decine di quesiti, sui quali era impossibile che la gente raggiungesse un grado adeguato di conoscenza, quindi una reale capacità di decisione personale, consapevole e responsabile. Ha così svalutato lo strumento referendario, ha provocato nella gente sazietà e rifiuto, con grave danno per una democrazia più autentica, un danno per la nazione intera. Il Movimento ritiene che il referendum debba porsi su un solo quesito, o  su pochi quesiti coerenti.

Attraverso  l’alleanza e la collateralità con la Destra si è collocato nell’area più contrastante con la sua identità e vocazione:

l’area della conservazione contro l’innovazione, soprattutto in termini di giustizia sociale, di ridistribuzione dei beni, di eguaglianza nella dignità e diritto della persona;

l’area del capitale e dei poteri forti; contro il lavoro, e l’imperativo di una lotta a sostegno dei deboli;

l’area dell’abuso della legge, che in questa fase è stato costante, col moltiplicarsi delle leggi “ad personam”, per il vantaggio del singolo contro il bene della nazione.

Ha assunto così un carattere di ambiguità che gli ha alienato un largo consenso popolare e gli ha impedito di crescere in quella misura che si sarebbe potuta auspicare per il bene di tutti.

Anche quell’espressione tanto ripetuta, e che si trova pure in documenti ufficiali, quel preteso ribadirsi della libertà nel “liberale, liberista, libertario” è un segno di questa ambiguità e confusione: perché se liberale può intendersi nel senso della libertà individua, liberista è l’incondizionata libertà d’iniziativa economica che porta alla schiavitù dei più deboli; e fa a pugni con libertario, con la libertà in senso ampio e globale.

Il Movimento si augura che i Radicali possano ritrovare una linea di più forte coerenza e di più alto prestigio.

Lecce, il 6 febbraio 2005                                                                                                      

 

                                                                                  

                                                                                     

                                                                                                         (Al Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, ai membri del Parlamento

Una nuova legge iniqua che non può essere approvata

 

È la legge che nel dibattito politico è stata chiamata «salva Previti», che abbrevia i tempi della prescrizione; che è stata poi ampliata con altri temi concernenti la criminalità; ma la cui originaria sostanza è quella, così come il suo scopo. Già approvata dalla Camera, ora al Senato.

Una delle molte leggi ad personam fatte da questo indegno Parlamento, che promuove anzitutto gl’interessi del suo capo (le imprese, i processi, i complici), anziché quelli della nazione; li promuove a tutto danno della dignità morale e del prestigio della nazione.

Una legge rovinosa che, secondo le previsioni degli esperti, abbatterà tutti i processi per corruzione e per truffa (si arriverà al massimo alla sentenza di primo grado); perché i tempi di prescrizione diventano troppo brevi, e la prescrizione decorre da quando il reato viene commesso, non da quando viene scoperto o dall’avviso di garanzia. Si parla dell’abbattimento di oltre 200.000 processi in corso. Nell’Italia futura si potrà corrompere e truffare impunemente.

 

Il Presidente, che si è dimostrato sollecito della dignità e dell’onore della nazione; che l’ha promossa, per certi versi; ha però apposto sempre la sua firma a tutte le leggi inique che si sono succedute in questi anni (tranne che per la Gasparri, che promoveva le imprese del capo); leggi che ora non val la pena di elencare, avendolo il Movimento già fatto tante volte, ogni volta che una di queste leggi inique si è presentata. Apponendo la sua firma, il Presidente ha avallato la profonda corruzione di questo Parlamento anomalo, e ha contribuito così al degrado morale della nazione, e al disprezzo che su tutti noi è ricaduto da parte delle altre nazioni europee, che da un siffatto abbietto comportamento sono talmente lontane.

La ragione sempre addotta, che l’una o l’altra legge non contrasta la Costituzione, non regge sia perché tutte le leggi ad personam contrastano l’art. 3 in quanto ledono la parità dei cittadini; sia perché, dalla discussione che ha preparato l’art. 74 sul rinvio delle leggi, risulta che il rinvio può avvenire per ragioni di legittimità (e qui la Costituzione) come di merito (e qui la legge iniqua).

Questa legge non può essere approvata. Il Movimento per la società di giustizia chiede che il Presidente richiami il Parlamento ad una legislazione giusta e dignitosa, respingendo questa legge.

Lecce, il 13 gennaio 2005

                                                                                        

 

                                                                                        (Ai Segretari dei Sindacati Confederali CGIL, CISL, UIL, Guglielmo Epifani, Savino Pezzotta, Luigi Angeletti,

                                                                                          ai Segretari dei Sindacati Metalmeccanici FIOM, FIM, UILM, Gianni Rinaldini, Giorgio Caprioli, Antonino Ragazzi

La vicenda della Fiat e la responsabilità del sindacato

 

Le trattative di queste settimane tra la Fiat e la General Motors sulla famosa “put option”, hanno messo in risalto un fatto, che ci era noto, ma sul quale forse non avevamo ben riflettuto, e cioè che nel patto con l’impresa americana la Fiat aveva sì ceduto solo il 10% del suo capitale, ma con un impegno di quell’impresa a prendersi anche il restante 90%; che cioè la Fiat, la maggiore impresa italiana, l’unica grande impresa in un settore chiave come quello automobilistico, si era venduta agli americani. E questo per una semplice decisione del Consiglio di amministrazione o degli Agnelli, che sono i maggiori azionisti, senza che né i lavoratori né i sindacati sapessero nulla;  senza che, una volta saputolo, facessero nulla.

 

A quanto pare, né i lavoratori, né i sindacati sono consapevoli dei loro diritti; e non ne sono consapevoli i comuni, né le banche (che coi loro prestiti maneggiano il denaro di noi tutti), né il governo e l’intera nazione. La Fiat non appartiene anzitutto agli azionisti, ai padroni, alla famiglia Agnelli. Appartiene anzitutto ai lavoratori, ai produttori, a coloro che l’hanno costruita, mantenuta, sviluppata col loro lavoro; appartiene ai comuni che hanno ospitato le fabbriche, realizzandovi le necessarie infrastrutture in fatto di terreni, strade, condutture, luci; appartiene alle banche che vi hanno messo il denaro di noi tutti; appartiene alla nazione che vi ha messo enormi somme attraverso gl’incentivi, le facilitazioni fiscali, le rottamazioni.

L’impresa, e tanto più la grande impresa, è un patrimonio  sociale. Questo principio si era già affermato nell’800, col socialismo e con Marx; il capitalismo ovviamente non lo ha mai accettato; ma anche il sindacato non vi si è mai impegnato; forse non lo ha neppure capito.

Nessuna decisione concernente il destino dell’impresa può essere correttamente assunta senza il consenso dei lavoratori dell’impresa stessa; sia che concerna la crescita; sia che concerna sospensione o riduzione della produzione, trasferimento o delocalizzazione, cessione parziale o totale a terzi, cessazione. La rappresentanza eletta dei lavoratori dev’essere edotta di ognuna di queste decisioni; deve anzi sedere nel Consiglio di amministrazione dove queste decisioni si discutono e si prendono; ma non si possono prendere senza il consenso dei lavoratori. Su questo punto la legge è carente, ma ciò non tocca il diritto dei lavoratori e del corpo sociale.

 

Il sindacato deve farsi cosciente del suo compito e della sua responsabilità.

Per quanto concerne la Fiat, deve intervenire con forza presso l’impresa come presso le comunità locali e presso la nazione e il suo governo.

Lecce, il 13 gennaio 2005