kanthorf

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Amor mortem superavit 

  Molta gente dice che la Piazza Virgen de los Reyes è uno dei posti più

romantici del mondo. Dato che io sono di Siviglia, non credo di essere la persona più adeguata per lodare le qualità di questa bella città andalusa. Ma quello che posso affermare è che non ci sono molti posti che riflettano così bene la coesistenza delle civiltà araba e cristiana . Da una parte, questa piazza è custodita da una torre che nell’antichità fu il minareto di una moschea e che dopo la conquista cristiana fu incoronata con un campanile che, per mezzo di una fragorosa scampanata, ricordava ad ogni ora la grandezza del Nostro Signore Gesu. Per lodare il Dio cristiano, si pensò che sarebbe stata una bella idea trasformare la vecchia moschea accanto al minareto in una cattedrale degna di essere il focolare di tutti gli angioletti del cielo.

   E gli angioletti diventarono felici quando videro che l’Alcazar, un vecchio palazzo arabo, passò ad essere la residenza di tutti quei re che avevano liberato Siviglia dagli infedeli che credevano ad Allà e Maometto. Ma quello che gli angioletti ignoravano era che coloro che si proclamavano inseguitori della fede cattolica erano più crudeli dello stesso diavolo. Infatti i muri del bel palazzo testimoniano ancora le vecchie lotte fratricide tra Pedro I el Cruel e Don Fadrique.

   Tra questi monumenti pieni di storia ed antichi intrighi cortigiani, si può discernere una piccola fontana alla quale nessuno fa attenzione perchè non è molto bella se paragonata alla cattedrale o l’Alcazar. Ma vi assicuro che questa umile fontana è il centro della storia per me; una storia che non troverete su nessun libro perchè appartiene soltanto alla mia anima e quindi è impresa nell’angolo più nascosto del mio cuore. Tutto cominciò in aprile dell’anno 1992. Il centro storico di Siviglia era inondato da un fragrante e penetrante aroma di fior d’arancio; la gente camminava come se il tempo si fosse fermato e le colombe volavano intorno all’umile fontana senza accorgersi della presenza di una fanciulla, la cui bianca pelle denotava un’origine straniera. I suoi capelli d’oro cadevano sulle sue spalle mentre la sua mano destra sosteneva delicatamente un pennello blu col quale cercava di dipingere un ritratto della nostra cattedrale. Quello fu una scusa perfetta per avvicinarmi a lei ed intavolare una conversazione:

-         Buon giorno signorina. Spero di non disturbarLa .

-         No per niente – rispose lei- E per favore, ti prego di non darmi del lei. E una cosa che mi fa sentire vecchia.

-         Ho visto che dipingi molto bene. Non è facile plasmare la maestosità della nostra cattedrale su un semplice pezzo di carta.

-         A dir la verità – disse lei – non credo che questo sia un capolavoro. È da due mesi che ho cominciato a studiare belle arti all’università. A parte di essere una principiante, sono anche straniera e, siccome non conosco bene l’idiosincrasia di questa città, non riesco a riflettere la sua essenza nei miei quadri.

-         Io sono di Siviglia e ti assicuro che non sono ancora sicuro di aver scoperto l’essenza di questa città. Ma conosco certi locali che ti aiuterebbero a scoprirla.

-         Mi sa che sei un pò furbo te – disse la ragazza con un bel sorriso sul viso – A proposito mi chiamo Lucia

-         Io mi chiamo Pablo.

-         Molto piacere- rispose lei- Non so che tipo di locali conosci tu, ma non sono sicura se devo fidarmi di te. Dicono che i sivigliani sono  come Don Juan Tenorio.

-         Me don Juan Tenorio?. Ti assicuro che io non sono così donnaiolo come lui. E da tanto tempo che non sono con una donna….

       Lucia cominciò a ridere mentre diceva ad alta voce: Non ci credo.

-         Ok. Non me ne frega niente se ci credi o non ci credi ma c’è una cosa che vorrei sapere

-         Cosa?- chiese Lucia

-         Vorrei sapere – dissi io mentre la mia gola diventava un nodo che non permetteva alle parole di scappare dalla mia bocca – vorrei sapere se….se…se…ti piacereb..b..b.e uscir..uscir..uscire con me

-         E la prima volta che vedo un sivigliano timido – disse Lucia – Anche se non so se dovrei fidarmi di te, mi sa che ti darò un’opportunità e uscirò con te.

-         Davvero?

-         Si davvero. Dimmi dove possiamo vederci?

-         Ti va bene se ci incontriamo qua alle 10?

-         Per me va bene. E un pò tardi e ho lezione di disegno. Quindi devo lasciarti. Ciao

-         Ok. Ci vediamo. Anche io devo scappare via. Ciao.

      Me ne andai velocemente. Ero tutto nervoso perchè non potevo credere che un ragazzo timido e piuttosto brutto come me avesse trovato il coraggio per intavolare una conversazione con una ragazza così attraente come Lucia e che lei avesse accettato di  avere un appuntamento con me.  Tutti questi pensieri mi facevano sentire euforico e pieno di fiducia. Non so perchè ma pensavo di avere il fascino di Don Juan Tenorio che con un solo occhiolino era capace di sedurre qualsiasi donna. Ma tra lui e me c’era una grande differenza : i compromessi  non mi facevano paura. Anche se era la prima volta che avevo parlato con Lucia, avevo l’impressione che lei fosse la donna della mia vita.

  Ma quando mi avvicinai a casa, un senso di frustrazione si impadroni del mio cuore. Non so perchè ma cominciai a pensare che Lucia si fosse burlato di me. Aveva accettato la mia proposta solo perchè io mi allontanassi da lei al più presto. Mentre mi facevo la doccia pensai: “lei non ci verrà” Dopo la doccia mi feci la barba, mi misi addosso la mia migliore roba, mi pettinai e guardai lo specchio che rifletteva il viso dell’uomo più brutto del mondo e pensai: Quando mi vedrà scapperà via.  Subito avevo perso tutto il  fascino. Partii per l’umile fontana convinto che Lucia avrebbe trovato qualcosa meglio da fare  e quindi non ci sarebbe stata. Ma quando mi avvicinai alla fontana vidi un’ombra bionda. Incredibile: c’era Lucia. Era così bella. Portava un vestito bianco che si muoveva al passo della morbida brezza primaverile, compagna inseparabile di una luna piena che,mentre illuminava il cielo di Siviglia , era testimone muto di una storia di amore che era sul punto di cominciare. Io mi avvicinai a Lucia e dissi: Ciao.

  Lei rispose: “Ciao. E l’unica cosa che hai da dire?”- chiese lei –Non mi dai nemmeno un bacio? Pensavo che i ragazzi sivigliani fossero meno timidi.

  Le diedi un bacio sulla guancia.

“Quello mi piace di più” – rispose lei – Dove andiamo?

“ Vorrei portarti a La Carbonería. E un locale dove si può sentire un pò di flamenco mentre si mangia un pò di chorizo al infierno e si beve un pò di vino.

“Quello mi sembra una bella idea. Andiamo avanti!”

   Ci incamminammo verso La Carbonería attraverso un sacco di strette vie che riflettevano l’origine araba di Siviglia…Tutte quelle vie erano piene di case bianche e gialle che nascondevano i tradizionali « cortili sivigliani »,  nel mezzo dei quali si trova sempre un pozzo che è sempre circondato da un sacco di vasi dove crescono orgogliosi i gerani e le ortensie. Dopo alcuni minuti, arrivammo alla Carbonería, un locale rustico nel mezzo del quale si trova un piccolo scenario sempre disposto ad accogliere  tutti i cantanti che vogliono mostrare la loro arte. Quella notte cantava: “Camarón de la Isla”. Quando la chitarra cominciò a suonare, Lucia ed io cominciammo a ballare tra le tavole e sedie di legno che si distribuivano lungo il locale.

“Sai una cosa?” chiese Lucia

“ Dimmi”

“Mi piace molto questo locale. E bellissimo”

“Sono contento che ti piaccia. Per me è un sogno essere con una donna come te. Devo confessarti una cosa”

“Dimmi”

“Tu sei il mio primo appuntamento”

“Non ci credo”

“Puoi crederci”

    Dopo quella confessione, Lucia mi abbracciò e  subito mi baciò sulla bocca. Era la prima volta che sentivo il dolce sapore di una bocca femminile. Fu un bacio breve ma intenso che fu capace di agglutinare tutta l’eternità in un solo minuto. La notte trascorreva lentamente al passo dei gemiti strazianti della chitarra andalusa che Camarón de la Isla suonava così bene . Era incredibile come un semplice legno con sette piccole corde era capace di trasmettere perfettamente l’essenza del popolo andaluso; un popolo che aveva sofferto molto ma che allo stesso tempo aveva trovato la capacità di godere le cose piccole della vita come un buon bicchiere di vino accompagnato di una bella melodia. In quel momento, Lucia pensò: Non c’è un popolo nel mondo che sappia vivere la vita così bene.

  Alle 4, Lucia mi disse che si sentiva stanca e aveva voglia di tornare a casa. Io decisi di accompagnarla con l’intenzione di prolungare una notte che mi sembrava magica e che, secondo me, non doveva finire mai. Di passaggio al quartiere di Triana, che era il posto dove abitava lei, incontrammo il fiume Guadalquivir e lo contemplammo durante alcuni minuti.

-         Lucia

-         Dimmi Pablo

-         Non credi che i fiumi siano un’allegoria perfetta della vita?

-         In che senso?

-         C’era un poeta spagnolo che diceva: “le nostre vite sono fiumi che vanno a morire al mare”. E aveva ragione. Quando il Guadalquivir nasce a Cazorla, è solo un piccolo filo d’acqua che sembra di essere una semplice pozza. Dopo diventa un torrente d’acqua capace di inondare e distruggere una città ed alla fine, in un piccolo paese chiamato Sanlucar de Barrameda, si unisce al mare e diventa parte di un’ingente massa d’acqua che sembra di non finire mai.  Quando un uomo nasce, è una creatura piccola e indifesa. Dopo si trasforma in un adulto capace di amare ed odiare allo stesso tempo. Ed alla fine arriva la morte e, come il Guadalquivir, l’uomo diventa parte dell’eternità.

-         Credi all’eternità?

-         Credere all’eternità è una scusa per conservare la speranza – risposi io – Ooops mi sa che sto diventando troppo malinconico. Spero di non averti annoiato troppo ma questo fiume mi fa pensare troppo.

-         Senti, era da molto che non mi divertivo tanto- disse Lucia- e ti assicuro che mi piacerebbe avere un’altro appuntamento con te. Domani ho certe cose da fare e non so se potrò uscire. Ma facciamo una cosa. Ti do il mio numero di telefono e mi chiami alle 9 più o meno. Ok?

-         Domani ti chiamo

-         Aspetto la tua telefonata con ansia.

    Dopo questa piccola conversazione mi congedai da lei e ritornai a casa col cuore pieno di felicità. Era la prima volta che una ragazza mi faceva sentire speciale. Finora, le ragazze non avevano mai fatto attenzione a me : dicevano sempre che io ero un ragazzo noioso e piuttosto brutto. Ma Lucia era diversa…si era divertita con me e mi aveva dato il suo numero di telefono. Non potevo aspettare fino alle 9 per sentire la sua dolce voce con quel morbido accento svizzero.

  Le ore del giorno seguente passarono lentamente. Il mio cervello era occupato con un solo pensiero: Lucia. Sentivo la sua voce ad ogni ora, mi sembrava di vedere i suoi capelli biondi dondolarsi al passo della brezza della mezzanotte, ricordavo il momento di quel bacio che fece che tutto il mio corpo sentisse un brivido che non si poteva spiegare con parole. Tutta questa gioia si trasformò in disperazione quando chiamai Lucia alle 9 ed una voce fredda mi disse: “Lucia è morta. Ha avuto un incidente di macchina. Il funerale sarà domani alle 7”.

  Le lacrime solcarono il mio viso e, pieno di rabbia e tristezza, mi incamminai verso il Guadalquivir con l’intenzione di distruggere una vita che in quel momento non aveva senso. Salii sul bordo metallico del ponte e sentii che il fiume mi parlava e mi diceva di unirmi a lui e accompagnarlo fino al mare. Ed io ero disposto ad ascoltarlo ma  subito, tra le acque crudeli, sorse un’ombra bionda che sembrava di essere una dea greca. Si trattava dello spirito di Lucia che mi disse: “Non è ancora il momento di andare al mare” e sparii. Dopo quelle parole, persi il coraggio per uccidermi. Fu probabilmente un miracolo.

     Molto tempo passò e quella storia di Lucia cominciò ad appartenere ai miei ricordi più nascosti. Alcuni anni dopo la morte di Lucia, sposai una bella donna spagnola chiamata Carmen che mi diede due figli, Carlos e Juan, e una figlia, María. Avevo tutto quanto un uomo poteva desiderare: salute, un buon lavoro ed una famiglia stupenda. Ma le cose belle non durano eternamente ed un giorno subii un infarto e mi portarono in un ospedale freddissimo dove godei la compagnia della mia famiglia.  Ricordo che l’unica cosa che sentivo era le grida dei medici che dicevano ad alta voce: “Uno due tre” ed “Attenti che se ne va”. Nel frattempo Carmen, accompagnata dai miei figli, piangeva perchè aveva perso la speranza di vedermi vivo di nuovo. Subito sentii che abbandonavo il mio corpo e, pieno di coraggio, attraversai un tunnel scuro che mi condusse a una luce che brillava molto. Mi avvicinai alla luce e vidi il mare; un mare che si muoveva al passo della brezza e, nel mezzo delle acque impetuose c’era una donna bionda che parlava lo spagnolo con l’accento svizzero. Si trattava di Lucia e mi disse: “ricordi quella vecchia poesia spagnola che diceva che le nostre vite sono fiumi che vanno a morire al mare. Caro Pablo, sei arrivato al mare e da questo momento potremo essere insieme per tutta l’eternità”

   Mi emozionai e pensai: Ne vale la pena vivere la vita.