Premessa

Quando vado in missione fuori dell'Italia, ho l'abitudine di prendere degli appunti su fatti che mi colpiscono in modo particolare e che più tardi, al mio ritorno a casa, elaboro.

Ciò che segue è la cronaca di una mia esperienza vissuta nei primi mesi del 2000 e che, spero, sia di buon auspicio per il futuro. L'unica ragione per cui la rendo pubblica, è perché voglio farvi partecipi di un momento della mia vita che mi ha donato sensazioni bellissime, facendomi capire l'importanza di cose che normalmente sono trascurate o alle quali si da un'importanza relativa, come la risata di un bambino o la gioia di sentirsi parte di ciò che ci circonda.

Una giornata diversa

Finalmente il giorno tanto atteso è arrivato.

Sono le 7,30 di una bella giornata di Maggio, l'aria è ancora piacevolmente fresca. e ho da poco terminato di fare la colazione. Esco in giardino per gustare la prima sigaretta della giornata ma, ad interrompere il rito, giunge alle mie orecchie una voce allegra che mi rimprovera scherzosamente, ricordandomi l'impegno che ci aspetta. Oggi sarà una giornata veramente speciale per tutti noi: si parte per Iasi, l'antica capitale della Romania.

E' da Marzo che stiamo progettando questa gita e non è stato semplice né facile superare i numerosi ostacoli che continuavano a frapporsi al progetto ma, alla fine, la nostra perseveranza, unita al sostegno insperato ricevuto dal personale dell'Istituto dove sono ricoverati i "nostri" bambini, ci ha permesso di realizzare questo sogno. Forse sembrerà strana e impropria l'uso della parola "sogno" per una semplice gita fuori porta (la meta è a circa 120 km) e quindi penso sia necessaria una breve spiegazione.

La comitiva sarà formata, oltre da me e da una suora, da due infermiere, un autista e da dieci bambini di età tra gli otto ed i tredici anni, scatenati all'idea di un'intera giornata, fuori delle mura del loro istituto, sempre promessa ma mai mantenuta…almeno fino ad oggi. Ci vorrà tutta la nostra pazienza e "severità" (?) per riuscire a tenerli sotto controllo… sempre se riusciremo a non farci coinvolgere troppo dalla loro voglia di vivere. Già…la loro voglia di vivere. Sanno d'essere malati, conoscono sul loro corpo gli effetti delle crisi causate dalla malattia e, negli ultimi mesi, hanno assistito alla partenza di tre loro compagni, portati a morire in una fredda stanza di un ospedale, soli, senza la presenza di una persona cara a rendere quel momento meno terribile.

La malattia si chiama HIV e loro sono bambini abbandonati. In questa zona della Romania non esistono istituti idonei e quindi sono stati ospitati in questa struttura dove vivono persone anziane oppure con handicap fisici o psichici. Vivono in un reparto costituito da due squallidi stanzoni più i servizi e il personale, pur con tanta buona volontà, non riesce ad assisterli in modo adeguato per la mancanza di mezzi.

Dopo aver vinto le ultime resistenze del Direttore, al quale va il nostro ringraziamento per la responsabilità che si è preso affidandoci i bambini e grazie alle due infermiere che volontariamente e senza compenso alcuno hanno accettato di venire con noi, rinunciando alla loro giornata di riposo, possiamo dare ai bambini la grande notizia: Domenica prossima si parte... e questa volta è vero!

Durante la settimana abbiamo preso contatto con un istituto il quale, per una cifra abbastanza modica, ci affitta un minibus da dieci posti, comprensivo d'autista. Siamo in quindici ma non è un problema: io guiderò la meravigliosa, silenziosa e sempre pronta Dacia a cinque porte delle suore, sulla quale troveranno posto alcuni bambini.

Sono le otto quando la nostra piccola colonna entra nello spiazzo dell'istituto e non c'è bisogno di chiamare i bambini: ci stanno aspettando da un'ora. Le infermiere non sono riuscite a farli rimanere all'interno ed è un'esplosione di gioia ad accoglierci. Come si può rimanere indifferenti a tutto questo? La suora seduta vicino a me si accorge della mia commozione e mi sorride… sarà veramente una giornata da ricordare.

Il programma comprende una sorpresa per i bambini, anche se penso qualcosa abbiano capito, in quanto mi fanno notare che non abbiamo portato nulla per il pranzo, ad eccezione di qualche bottiglia d'acqua e d'aranciata.

In pochi minuti i bambini sono ai loro posti e si parte, avvolti in una turbolenza di risate e di grida di saluto rivolte a tutte le persone che incontriamo. La strada non è molto bella ma non abbiamo fretta… si scherza, si ride, si canta, si guarda il panorama, si commentano i paesi che attraversiamo e… riusciamo anche a perdere il contatto con il minibus. Era davanti a noi e si è volatilizzato, ma nessun problema. Nella nostra accurata preparazione avevamo anche previsto questa eventualità: ci siamo dati appuntamento alle porte della città di Iasi.

Ora il gioco con i tre scalmanati alle nostre spalle si fa anche più interessante: è istituito un premio (un gelato) per il primo che individuerà il pulmino. Nonostante non ci sia traffico e che abbia aumentato la velocità, del minibus non c'è traccia e noto che i bambini sono ora più calmi. Ne chiedo il motivo e mi dicono che sono preoccupati per i loro compagni... dove saranno? Li ritroveremo?. Nelle loro domande avverto la preoccupazione, una forma d'ansietà che non fatico a collegare con la loro paura dell'abbandono e ci affrettiamo a rassicurarli. Arriviamo alle porte della città, ci fermiamo e non vediamo nessuno… inversione di marcia e inizio della ricerca. Il premio è aumentato: il gelato sarà doppio.

Non facciamo neppure un chilometro ed un urlo alle mie spalle: il gelato è stato vinto da P. e G., le due amiche inseparabili. Ci fermiamo e i bambini scendono dai rispettivi mezzi; è un incrociarsi d'abbracci (sembra non si vedano da anni) e di risate… la preoccupazione ha lasciato il posto alla gioia del ritrovarsi e facciamo fatica a farli riprendere posto per continuare il nostro viaggio.. ma la meta è a pochi minuti: il parco giochi di Iasi ci aspetta.

Posteggiamo i due mezzi e muniti di pallone, frisbee e giochi vari, ci inoltriamo alla ricerca di un posto adatto a liberare quest'orda di scalmanati. Naturalmente siamo tutti coinvolti, infermiere comprese, e le ore volano. E' bello leggere la felicità in questi occhi che raramente ridono.… e ancor più "sentire" la loro gioia quando dei bambini, attirati dal clamore e dalle risa, chiedono il permesso di potersi unire al gioco; è questa una novità …altri bambini che chiedono di poter giocare loro! Il tempo passa e la segreta speranza che avevo di sdraiarmi all'ombra di un albero svanisce con l'avvicinarsi dell'ora del pranzo… anzi ..è già passata ma le piccole pesti non se ne rendono conto. Ritorniamo alla realtà quando vediamo M. impallidire e andare a sedersi su una panchina. Ci avviciniamo e vediamo che ha un'emorragia dal naso; niente di grave, è abbastanza normale ma dobbiamo arrestare il sangue e ci accorgiamo di avere dimenticato i guanti in macchina. Siamo costretti a dare a M. alcuni fazzoletti e lui stesso provvede a tamponare fino all'arresto dell'emorragia, mentre gli teniamo la testa sollevata. L'episodio ci fa capire che è ora smettere di giocare e di andare a pranzo. Lo diciamo ai bambini che ci guardano e si guardano intorno alla ricerca delle borse: ai loro occhi soltanto qualche bottiglia semivuota.

Ci avviamo verso i mezzi e, finalmente, trovano il coraggio di chiedermi dov'è che andiamo a mangiare e che cosa mangeremo. Li guardo con sufficienza e, con fare meravigliato, rispondo: "Ma da McDonald, naturalmente". Nessuno di loro mai è entrato in un locale pubblico, figuriamoci in un ristorante poi… e il nostro ingresso non poteva essere più trionfale e divertente, a giudicare dagli sguardi degli altri avventori. La cameriera ci accompagna in una zona riservata ai bambini e comincia la festa. Al momento si lasciano prendere dalla timidezza nei confronti della ragazza che viene a prendere le ordinazioni; mai hanno scelto che cosa mangiare e ora si chiede a loro di decidere; quasi balbettano… ma dura poco. Non passano 30 minuti che la loro compostezza si scioglie come neve al sole e… ritornano le pesti che conosco. Nessuno dei bambini è in grado di leggere (non hanno frequentato la scuola… qualcuno aveva deciso che non era il caso di sprecare soldi per loro), ma sanno parlare…. e come. Vanno davanti al banco e indicano ciò che desiderano, ma il pezzo forte è il gelato: si perdono davanti al tabellone con occhi sognanti e, quando decidono, lo fanno quasi con tristezza, sapendo di non poter scegliere tutto.

Le ore passano e, anche se con dispiacere, bisogna tornare a casa. Ora la stanchezza si fa sentire; i tre "pargoletti" che mi porto dietro hanno gli occhi chiusi, ma non credo dormano. Sono certo che stanno rivivendo le ore trascorse e forse si chiederanno quando si ripeterà una giornata come questa. Come arriviamo nella cittadina dove viviamo, ritrovano le energie perdute e si sgolano nei saluti alle persone che incontrano e a tutti raccontano della loro gita, la prima, che li ha portati lontano dal buio di una vita fatta solo e sempre di dolore e che li ha fatti sentire, anche se per poche ore, bambini uguali agli altri.

Anche il sole è tramontato e la luce lascia il posto al buio, così come l'allegria che scompare, vinta dalla solita tristezza. Scendono dai due mezzi e si avviano verso il reparto, con i loro zainetti colorati uguali a quelli che tante volte hanno visto in televisione sulle spalle di altri bambini mentre si recano a scuola. Li accompagniamo, stringendo nelle nostre le loro mani, cercando di strappare un ultimo sorriso ai loro occhi e promettendo che ci sarà presto un'altra sorpresa. A queste parole gli animi si riaccendono e subito iniziano le domande…ma è tardi e non vorremmo creare problemi proprio adesso. Un ultimo saluto, un abbraccio e ci chiudiamo alle nostre spalle la porta a vetri, con quel terribile cartello "Vietato l'ingresso al personale non autorizzato", tenuto da due strisce di cerotto.

Questa sera non siamo però tristi come sempre ci succede quando dobbiamo lasciarli. C'è una cosa molto importante che loro ancora non sanno: presto, entro pochi mesi, usciranno dal ghetto in cui vivono per trasferirsi in una casa… una vera casa, dove potranno finalmente riempire i loro zainetti con matite e quaderni e dove saranno assistiti e curati da persone che vorranno loro bene, come le mamme che non hanno avuto… e quel giorno spero tanto di poter essere con loro.

                                                                                                                                                (Albino)

P.S.

1 Settembre 2000

Oggi i bambini sono entrati ufficialmente nella nuova casa ma, purtroppo, io non ero presente. Ho però ricevuto una telefonata che mi ha commosso: l'apparecchio telefonico era quello della casa "Razo de Soare" (Raggio di sole), dove i bambini sono alloggiati e le voci che sentivo erano le voci dei "miei" bambini. Non mi hanno dato la possibilità di rispondere… o forse ero io che non riuscivo a parlare.

Ma nel marzo 2001 sono tornato per installare nel  giardino il parco giochi, di cui potete vedere la foto, ed è stata festa grande.