St.
Anthony, piccola missione situata nel cuore della foresta zambiana,
possiede una particolare attrattiva: nelle sue vicinanze si trova un lago
vulcanico quasi perfettamente circolare, con alte sponde scoscese e acque
di un blu intenso, accompagnato da una leggenda tramandata oralmente da
generazioni e che ancora colpisce per la sua crudeltà e dolcezza.
Quando
lo Zambia si chiamava ancora Rodhesia, vicino a dove ora si trova la
missione, era stato costruito un hotel dove inglesi e notabili del Paese
venivano a trascorrere le vacanze. L'albergo è adesso in rovina ma
qualche persona ancora arriva fino a questa sperduta località,
affrontando una pista che mette a dura prova il fuoristrada e percorrendo
per circa un'ora un sentiero tagliato in una vegetazione lussureggiante,
dove tutte le tonalità del verde si fondono con i colori dei fiori
spontanei e scavalcando ruscelli d'acqua limpida e tumultuosa su
traballanti tronchi, fino a raggiungere quest'Eden.
È
questa, come le cascate Victoria a Livingstone o i parchi del Lwangwa, una
meta quasi d'obbligo anche per quegli europei che si trovano nello Zambia
ad operare per le varie Organizzazioni umanitarie e che desiderano fare un
break alla vita di tutti i giorni per dimenticare, anche se per poche ore,
la tristezza portata dal contatto con il dolore che li circonda.
Al
piccolo gruppo in arrivo a St. Anthony, una domenica di circa dieci anni
fa, è però riservata una sorpresa: c'è emergenza nel piccolo ospedale a
causa dell'aumento improvviso di ricoverati; si teme un'epidemia e le due
suore infermiere presenti non riescono a supplire all'aumento di lavoro.
Il gruppo è arruolato seduta stante e smistato secondo le necessità.
Uno
di loro è accompagnato in uno stanzone dove sono allineati una diecina di
letti. La stanza è sufficientemente pulita e luminosa, grazie a tre
finestre che, contrariamente al solito, sono collocate ad una altezza che
permette di volgere lo sguardo all'esterno, anche se i muri avrebbero
necessità di una imbiancatura. I letti sono occupati da donne e qualche
bambino, tutti ricoverati per AIDS.
Per
questa persona, venuta a godere di una giornata di riposo, è uno schok:
ha paura di questa malattia ed ha sempre cercato di evitare qualsiasi
contatto con essa. La suora lo accompagna vicino ad un letto dove, avvolta
in una coperta, vi è una ragazza. Gli viene spiegato che la giovane, di
nome Gladys, ha 21 anni e sta morendo… è sola perché abbandonata dai
parenti, terrorizzati dalla malattia; il suo compito sarà di bagnarle le
labbra e di renderle la morte più serena. Detto questo si allontana
lasciandolo solo.
Passano
i primi momenti, durante i quali quasi non riesce a pensare… poi trova
il coraggio di guardare Gladys.
Doveva
essere una bella ragazza prima che la malattia devastasse il suo corpo, ma
ciò che più lo colpisce sono gli occhi: sbarrati e fissi nel vuoto,
alterano i lineamenti del viso. Si legge la disperazione in questi occhi
scuri, una disperazione che non ha nome e che colpisce più della
malattia. Cosa starà
pensando si chiede… capirà di essere alla fine della sua breve vita?…
certamente si rende conto d'essere sola, senza nessun famigliare vicino in
questo terribile momento.
Istintivamente
prende una garza, la bagna e la passa sulle labbra della ragazza… il
viso di Gladys si gira verso di lui… gli occhi sembrano fissarlo e
chiedere "chi sei?".
Anche
lui si chiede "che sto facendo qui?" ma continua a bagnare
quelle labbra assetate.. prende una mano di Gladys tra le sue e la
stringe…ma leggermente, quasi ha paura di farle male. Il respiro della
ragazza comincia a farsi affannoso... non sa come aiutarla… si sente
lui, signor nessuno, impotente. Vorrebbe fare qualcosa ma non sa cosa; le
passa una mano sul viso in una leggera carezza… non gli viene in mente
altro. Continua a guardarla e improvvisamente si rende conto che gli occhi
non sono più sbarrati, il terrore è scomparso… forse è la sua
immaginazione ma il viso sembra tornato sereno e disteso.
Inizia
allora ha parlarle ma non in inglese… in quel momento lo ha dimenticato;
utilizza la sua lingua… ripetendo in continuazione il suo nome, vuole
che lei senta d'avere vicino un amico che le vuole bene e che non la
abbandonerà.
Continua
a bagnarle le labbra e a parlare…non ha importanza se ciò che dice non
viene compreso… vuole che Gladys senta la sua presenza. Ora veramente il
viso è disteso, gli occhi non più fissi hanno una luce nuova e le labbra
si schiudono all'avvicinarsi dell'acqua.
Si
trova a sperare in un miracolo… rifiuta l'idea della fine, sempre più
vicina.
Non
sono ancora le 11 quando Gladys chiude per sempre gli occhi e si
addormenta, come una bambina.
Ma
la giornata non è finita; il gruppo è venuto per una giornata di
relax… e questo deve essere. Dopo un rapido pranzo viene preso il
sentiero che porta al lago… La natura è veramente bella: fiori
coloratissimi, alberi maestosi, uccelli dai colori vivaci che si alzano in
volo al rumore che si avvicina ed un calore che viene stemperato dalla
fitta vegetazione. Uno di loro sembra però assente; i suoi pensieri sono
ancora vicini ad un letto e ad una giovane vita che si stava spegnendo…
ma non sono pensieri tristi, al contrario: si rende conto della pienezza
del momento vissuto e della lezione di vita avuta. Avverte che qualcosa di
importante è successo e ne è felice.
Cammina
ma pensa a lei… alla sua nuova esistenza là dove c'è solo amore…
all'amicizia che, è certo, è nata tra loro ed al suo viso che rivede
sorridente nell'acqua dei ruscelli.
Ha
gli occhi lucidi… ma non ci fa caso, certamente la causa è di questa
rossa terra africana, che lui tanto ama.
Albino