…Lasciai Villa Milano alle mie spalle. Dal deflettore vedevo i due leoni allontanarsi fino a sparire dietro una curva.Il sole era alto, l’azzurro del cielo era macchiato da nuvole bianche che sembravano lenzuola stese che si dondolavano dolcemente. Ripresi la Statale costeggiando una campagna prepotente e viva, tra i colori predominava il verde intenso dei prati e degli alberi.Il paesaggio,riflesso nel vetro,correva in senso opposto al mio,i miei occhi si riempirono di immagini e di lacrime e, una sensazione dolce e triste, invase la mia anima. Giunsi al “Gigante “ che era quasi il tramonto,l’aria era colma di profumi e di sapori antichi,il cancello era aperto e il melograno in fiore. Lungo il viale, costeggiato da ulivi,delle galline temerarie si erano allontanate dal pollaio e beccavano spauriti insetti ormai destinati a divenirne il pasto. Lo percorsi a piedi e col cuore in gola..La casa apparve dignitosa nel suo decadimento.Ripensai allo splendore che aveva avuto in passato,quando,mio nonno,dedicava gran parte dei proventi della campagna alla sua manutenzione, in pochi anni era riuscito renderla la più bella e grande casa colonica della regione,lì,tutto l’anno,c’era vita: si coltivava e si allevava di tutto. Il “Gigante” cambiava,così, vestito ad ogni stagione: si vestiva di giallo durante la mietitura,di verde alla spremitura delle olive e di rosso durante la vendemmia. Il sole, filtrando attraverso gli alberi, creava con i suoi raggi strane forme di diversa intensità di luce che,all’alzarsi del vento,si spostavano rincorrendosi in uno strano gioco a rimpiattino. Rimasi lì a guardare,desideravo partecipare anch’io a quella strana danza,a quel carezzevole cercare di prendersi come per abbracciarsi,come per ritrovarsi dopo una lunga lontananza. Ed ecco le immagini avvicinarsi e il loro canto farsi dolce e melodioso,le figure che al principio erano di forma strana e leggermente abbozzata prendono identità : sono le persone o meglio il cuore del “Gigante” coloro che con il loro lavoro e sacrificio lo avevano reso importante e famoso.Notai che mancava la figura più importante, la linfa del “Gigante”,colei che lì era nata,cresciuta e chissà forse morta:Palmina,la moglie del fattore. L’altalena si dondolava vuota nel vento,ricordai,quando il nonno l’aveva fatta costruire, trascorrevo le giornate dondolandomi nel vento, immaginando di essere un uccello libero e leggero che attendeva il momento propizio per spiccare il volo più importante della sua vita verso terre sconosciute,pronto a tutto pur di provare l’ebbrezza di un volo dolce e temerario. Il nonno si recava tutti i giorni al “Gigante”, spesso mi portava con se, si partiva al mattino presto e si rientrava al tramonto quando la campagna accoglieva la notte e le sue creature,in estate a volte si dormiva lì allora il paesaggio si velava lentamente,la campagna assumeva colori sfumati e le immagini divenivano morbide alla luce della luna. Ricordo i racconti che il nonno quasi sussurrava al chiarore della lampada a petrolio e l’odore di lavanda che entrava nella stanza dal giardino, mi era caro quel momento.Mi piaceva accoccolarmi nel grande letto tenendo la mano nella sua e lasciandomi andare quasi a perdermi in quei racconti,che per me erano favole mentre per il nonno era il passato,con i suoi racconti mi parlava di sé,della sua vita e dell’Africa che,per lui,era stato l’amore più grande.Rammento ancora quando,ormai grande,trascorrevo le notti d’estate sulla sedia a dondolo sotto il grande porticato,le creature notturne cantavano alla luna mentre nel cielo piccole nubi bianche vagano come perdute nell’immensità,stelle lucenti brillavano come per indicarmi la via,una strada che mi avrebbe portato,dopo poco tempo,lontano da quel luogo.Il ricordo dell’ultima notte trascorsa al “Gigante” apparve nella mia mente così improvvisa che fu come subire un colpo alla stomaco,era stata l’ultima volta che avevo visto e parlato con Palmina,ricordo ancora il suo volto stanco e rugoso,invecchiato prima del tempo,e i suoi occhi persi nelle braci del camino.Raccontava della vita passata dietro i lavori nei campi,ai ricordi che aveva della mia famiglia e di me..parlava di me..di come ero io da piccola e di quanto affetto avesse per il nonno. Mentre parlava,delle lacrime bagnavano le sue guance scendendo lentamente sul volto e cadendo sulle mani che teneva unite in grembo.”Strano “ pensai”è la prima volta in tanti anni che vedo queste mani ferme,prive di forza!” “Eri tu” disse “che dovevi ereditare il “Gigante”,non doveva andare così,non è giusto.Tu avresti saputo cosa fare e quando farlo,tu ami il “Gigante” tu non sei come …come loro!” Ecco finalmente era riuscita a dirlo,non voleva che il “Gigante” finisse in mani sbagliate ma purtroppo io sapevo che sarebbe stato venduto come quasi tutto il patrimonio del nonno. A nulla sarebbero valse le sue lacrime ma non ebbi il coraggio di confermarglielo,almeno non quella sera… Volevo lasciarle l’illusione di essere ancora la regina,l’essenza,la vita di quei luoghi,nel pensare questo mi accorsi che anche le mie mani erano bagnate di lacrime,mi alzai di scatto e uscii nella campagna. Ecco l’ultima immagine: una porta che si chiude alle spalle con un rumore sordo e sinistro. Ecco l’ultimo ricordo,l’emozione di un momento che segna per sempre la vita e che muta profondamente il modo di percepirla e forse,anche, di affrontarla. Mi accorsi di essere seduta sull’altalena e di dondolarmi ancora come nel passato, il mio volo però non era più né veloce né temerario era semplicemente un lasciarsi cullare dalla vita che, nonostante tutto e tutti, per vie non sempre chiare, ci porta a vivere, inevitabilmente, ciò che è scritto nel nostro destino . Roberta |