INQUIETUDINI

C’è una costante fissa nel mio lavoro d’insegnante. Una contrapposizione che quotidianamente m’impone scelte e decisioni professionali e, psicologicamente, è per me fonte di dubbio interiore e di continua riflessione.
Esiste, da un lato, un pacchetto d’apprendimenti precostituiti, confezionati da sapienti psico-pedagogisti e che noi, umili professionisti del formare, dobbiamo calare in realtà specifiche, per sollecitare e sviluppare potenzialità e possibilità insite nei bambini.
Sull’altro versante, ci sono loro, i ragazzini, ognuno con un’individualità specifica, un universo di stati d’animo e di sentimenti, di vissuti e d’esperienze personali, unici e specifici. Universi in cui brillano interessi, esigenze, ritmi di vita, idee, pensieri, modi di agire, stili diversi l’uno dall’altro, ma accomunati da un’unica peculiarità: l’essere bambini.
La difficoltà sta proprio nel rendere complementari i due aspetti: le nostre esigenze d’adulti con quelle dei bambini.
Ci sono cognizioni da trasmettere impacchettate dagli adulti, atte a stimolare capacità nei bambini, tali da renderli abili a razionalizzare la realtà, per capirla ed esserne soggetti partecipi e consapevoli. Sono SOGGETTI nell’educare e come tali devono elaborare criticamente competenze e possibilità, da usare, in primo, per capire e gestirsi autonomamente il loro mondo infantile e da lì partire, per conquistare via via quello degli adulti.
Ma quanto sono lontani quei pacchetti cognitivi dai loro reali interessi e dalle loro specifiche esigenze! E quanto ancora sono avulsi dal mondo reale in cui dovrebbero usarli, per comprendere ed elaborare i loro vissuti!
Agiscono, pensano, si esprimono, comunicano, si rapportano in un reale che esige, per essere compreso, il possesso di linguaggi e di codici sempre più elaborati. Basti pensare ai diversi scopi e alle diverse funzioni per cui viene usato, nella realtà, il codice linguistico, e come esso si rapporti in maniera multimediale con gli altri canali di comunicazione e d’espressione. Prima si parlava d’alfabetizzazione strumentale, oggi si parla d’alfabetizzazione culturale, proprio perché ogni disciplina di studio, all’interno della cultura e del sapere umano, va vista come una modalità specifica d’indagine e d’interpretazione della realtà.
E loro? I bambini? Come si muovono all’interno di questi nostri propositi? Dico nella scuola, ma anche nell’extrascuola e nella famiglia.
Riusciamo in ogni settore in cui si fa formazione o educazione ad integrare i due bisogni? O, in maniera parallela, i due mondi procedono senza mai incontrarsi e i nostri progetti, così bellamente approntati, vanno a farsi benedire?
Indubbiamente, il passo fondamentale da compiere è quello d’instaurare nei bambini un forte grado di motivazione, ideale ponte di collegamento tra i loro processi mentali ed emotivi e gli apprendimenti che vogliamo trasmettere per formare, questo nella scuola e fuori d’essa. Dico motivazione, ma dovrei usare motivazioni, visto la peculiarità che costituisce ogni bambino e la specifica personalità che lo connota.
Mai riusciremo, noi insegnanti o noi genitori, a portare i nostri piccoletti ad agire con autonomia di giudizio e criticamente, se non agiremo sulle loro motivazioni interiori.
Ogni testa non è un vaso vuoto da riempire. Dietro, c’è sempre un vissuto personale extrascolastico o familiare che s’interpone tra il cognitivo trasmesso dagli adulti, e l’universo interiore infantile. A scuola, a casa, in ogni ambiente sociale che agisce sui bambini, bisogna sempre ricercare e sollecitare motivazioni, per qualsiasi forma d’apprendimento che si vuole trasmettere. Se ci sono ostacoli che impediscono tali istanze, sta a noi adulti individuarli e rimuoverli, prima che si trasformino in elementi condizionanti negativamente, mostri inconsci, che all’interno della personalità, segnano un’esistenza interna.

Pasquale