Il conte Filippo

Il Conte Filippo sedette sulla vecchia poltrona di velluto rosso e fissò a lungo la testa di leone che troneggiava sopra il camino.Era l’unico trofeo che aveva  riportato dai suoi viaggi in Africa. Mentre si lasciava cullare dal vento dei ricordi un raggio di sole si infilò prepotentemente nella biblioteca, finendo su un vecchio abat-jour appoggiato su un mobile. I piccoli pendenti di cristallo colpiti da quel raggio crearono nella stanza un arcobaleno .Il vecchio sorrise a quel gioco di colore che riempì la biblioteca di una strana e intensa luce che moriva su  una  vecchia  tela  raffigurante  una  giovane donna dal sorriso appena pronunciato e dall’espressione di chi, alle soglie della giovinezza, con inquietudine attende il momento propizio per assaporare la vita.Era vestita di taffettà azzurro, la sua figura appariva minuta e le sue forme infantili. Fissava un punto lontano al di là del quadro, il volto aveva dei lineamenti decisi e volitivi,quasi maschili, mentre gli occhi e la bocca erano decisamente sensuali e invitanti.Una lieve malizia era percettibile dalla posizione del busto appoggiato all’indietro sullo schienale di una poltrona di vimini sulla quale era seduta, le falde del cappello a tese larghe proteggevano dal sole la pelle diafana delle spalle. L’ombra dei rami di un mandorlo fiorito creava quasi un merletto sulle mani appoggiate in grembo che tenevano stretto un piccolo libro.La figura della donna si stagliava prepotentemente dalle altre del quadro che apparivano sfocate e appena accennate. L’espressione di quel volto aveva affascinato il Conte a tal punto che spesso si era chiesto chi fosse mai quella donna e come quella tela fosse finita nella sua casa.  

Nonostante le ricerche effettuate non era mai riuscito a trovare dei riferimenti che riconducessero  alla storia della donna nella sua famiglia e tutto ciò  aveva creato in lui una sorta di disagio,era come possedere qualcosa che non fosse proprio.

Col passare del tempo si era affezionato a quella immagine al punto tale di parlarle delle sue giornate a volte piene soltanto di rimpianti e solitudine o del tempo che incurante di tutto e di tutti passava lento e monotono in quelle vecchie e silenziose mura. Un pomeriggio,nel quale era particolarmente triste, le aveva raccontato della sua vita in Africa e della sensazione dolce e appagante che aveva su di lui la notte africana che aveva quasi sempre trascorso all’aperto appagandosi dell’infinito che lo circondava e del silenzio appena interrotto da mugolii degli animali notturni.Le aveva narrato dell’effetto che produce nell’anima la luce della luna quando si riflette sull’acqua creando piccole lingue luminose che si dondolano nell’onda che va ad infrangersi sulla riva. L’aveva fatta partecipe di quelle sensazioni mai condivise perché sentiva che soltanto lei poteva comprenderle. Una volta si era sorpreso a chiederle perché non l’avesse conosciuta davvero: era certo che sarebbero riusciti a trascorrere momenti unici fatti di emozioni profonde.

Mentre tutti questi pensieri si affollavano nella  mente un colpo di vento spalancò la porta finestra che dava sul giardino e il vento portò nella stanza un profumo di gelsomino che in poco tempo si diffuse per tutto l’ambiente,il Conte si alzò dalla poltrona per chiudere la finestra e quando si girò trovò la donna del ritratto seduta al suo posto che lo fissava. Aveva la stessa aria  di sfida negli occhi come nel quadro. Il Conte la fissò  senza riuscire ad emettere alcun suono poi si lasciò cadere su di un divano come svuotato e privo di forze .Lei si aggiustava le pieghe del vestito con fare distratto poi si accomodò meglio nella poltrona e soltanto dopo diversi attimi che al Conte sembrarono secoli si decise a parlare.

“ Agnese, Agnese è il mio nome….”     Disse la donna con un filo di voce poi rimase in silenzio   aspettando che il Conte si riprendesse dalla sorpresa .

L’orologio a pendolo scandiva lentamente il tempo, nessuno dei due trovava il coraggio di rompere quel silenzio.Era come se entrambi temessero che, con le loro parole, quell’incantesimo che avevano desiderato per tanto tempo, potesse finire. Il Conte si alzò e ravvivò il fuoco nel camino, piccole fiammelle svolazzarono un po’ nell’aria illuminando il volto della donna che riprese a parlare :”La vita è stata buona con noi, ha realizzato il nostro desiderio più grande : quello di incontrarci. Non eri solo in tutto questo tempo, credo che non ci sia stata notte o giorno  che non abbia condiviso con te. Spesso cercavo di scuoterti dal torpore dei ricordi nel quale cadevi e dal quale riuscivi ad uscire soltanto fissando la mia immagine. Ti ho conosciuto attraverso la solitudine della tua anima che nonostante il grande silenzio che la circondava non si è inaridita. I tuoi racconti mi hanno fatto amare l’Africa quasi quanto l’ hai amata tu e spesso mi sono sentita viva e partecipe delle tue avventure quasi le avessi vissute davvero. Che strana cosa l’immaginario a volte è più reale della realtà stessa,forse perché di esso vediamo soltanto gli aspetti più belli e perché non produce mai dolore. La fantasia spazia libera da ogni impedimento e il nostro sguardo fissa immagini lontane e colorate ,colme di sensazioni che appagano l’animo e il cuore e che lasciano il nostro essere esausto ma felice. Ma ecco che  appena i nostri occhi tornano a guardare in spazi più vicini e meno ampi la realtà ci sembra  più dura e ardua da accettare.”

Le parole della donna scesero nel cuore del Conte e due grosse lacrime bagnarono le sue guance rugose…

“ Avrei voluto vivere una vita diversa, avrei voluto condividere le mie emozioni ,i miei sentimenti, il mio reale e il mio immaginario, avrei voluto sporcarmi le mani di vita. Invece sono giunto alla fine senza aver mai provato tutto ciò.

Il Conte pronunciò queste parole lentamente quasi soppesandole poi chinò la testa come per accettare il peso della vita e dei limiti che  avevano condizionato la sua esistenza.

Fu allora che la donna si alzò e si avvicinò al conte, posandogli una mano sulla spalla disse: “ Alzati, vieni con me….”

Si incamminarono in un piccolo sentiero tenendosi per mano. Camminarono a lungo,giunsero infine davanti un grande cancello di ferro la donna si fermò . L’aria era limpida,il cielo sereno. Nel cuore del conte scese dolcemente un senso di pace: fu, come se, una mano accarezzandolo, togliesse tutto il dolore della sua anima.La donna fissava il conte poi gli prese la mano e disse :” Vieni con me, ti porterò in un mondo lontano dove la parola dolore non esiste e dove insieme potremo trascorrere l’eternità. Così dicendo aprì il cancello e una luce intensa apparve l0ontana davanti a loro, un vento improvviso si alzò da est sollevando un pulviscolo argenteo che creò nel giardino un piccolo sentiero, i due,sempre tenendosi per mano, si avviarono verso quella luce sparendo nell’infinito.