Tratto dal libro “lavori
socialmente inutili – ingegneri”
Siamo tutti concordi
nel ritenere la simpatia una delle caratteristiche fondamentali di una persona,
insieme all’intelligenza e alla bellezza (e al suo conto in banca).
Ma in un mondo dove,
pronunciate con il giusto accento, le parole bello e furbo significano
rispettivamente «pezzo di ciospo» e «bravo fesso», anche l’espressione
«è simpatico» deve destare sospetto, se usata in due contesti particolari.
«Com’è quella
ragazza?» - «Mah... è simpatica». In questo caso si indica, senza possibilità
di malintesi, che la suddetta ragazza è irrimediabilmente un rospo., «Ti
presento un mio amico. E un ingegnere, però è simpatico». In quest’altro
caso si intende implicitamente che la stragrande maggioranza degli ingegneri
sono degli sfigati totali.
E nell’immaginario
collettivo, effettivamente, l’immagine dell’ingegnere non spicca per
brillantezza. Egli è riconosciuto come un genialoide e ci si fida di lui ogni
qual volta si prende un aereo, si sale su una funivia, si passa su un viadotto o
dentro una galleria. Ma nella lista delle persone con cui si gradirebbe passare
una serata, l'ingegnere viene poco prima del mostro di Milwaukee.
Oltretutto è
l'ingegnere stesso ad alimentare questa cattiva fama e a ritenere che la nomea
di noiosissimo attribuita ai suoi colleghi (non a se stesso, si badi) sia del
tutto meritata. Al punto che il metodo più rapido per far breccia nel suo cuore
è dirgli "tu sei un ingegnere atipico".
Ma è tutto vero? Gli
ingegneri sono realmente dei noiosissimi fanatici di motori a propulsione
idrodinamica, o sotto la rude scorza di civili, elettrici, meccanici, nucleari e
quant'altro si nascondono degli allegri simpaticoni ? E in che modo saper
risolvere un'equazione differenziale di quarto grado li aiuta nella vita di
tutti i giorni?
Ingegneri si nasce o
si diventa? Né l'uno né l'altro. Quello che conta è nascere in una famiglia
della serie «mio figlio sarà un ingegnere e io farò di tutto affinché ciò
accada». Apparentemente simile ai suoi coetanei, dunque, a uno sguardo attento
il bimbo predestinato è riconoscibile da alcuni particolari.
L’ovvia
osservazione che nessun «Gigi» o «Pino» sarà mai un importante dirigente
d'azienda fa sì che il genitore avveduto programmi persino il nome del
nascituro, che non viene scelto dall'elenco dei Santi, bensì da quello dei
premi Nobel. Più il nome è altisonante e più importante è il personaggio,
maggiori saranno le aspettative dei genitori.
E una parte
fondamentale del progetto «figlio ingegnere» e una delle più difficili da
realizzare. Si tratta di far apparire interessante ed allettante una carriera da
progettista alla Fiat. Un'opera propagandistica che, in quanto a fantasia,
supera quella del lancio di una nuova versione di Windows.
La tattica è
semplice: si tratta di incensare Ingegneria e contemporaneamente gettare fango
su tutte le altre facoltà e professioni, con frasi del tipo:
«Guarda com'è
robusto e alto quel signore, Elvio; è senz'altro un ingegnere».
«Dai cento lire a
quel laureato in scienze politiche che chiede l'elemosina, Odoacre».
«uuuh, Rinaldo,
guarda che carina quella bimba. Da grande diventerà sicuramente la moglie di un
ingegnere... ».
«Aleramo, fai il
bravo, altrimenti chiamo l'idraulico! ».
Tra
le mura domestiche verranno lette solo fiabe opportunamente modificate:
Biancaneve e i sette ingegneri minerari, Cappuccetto Rosso e il Filosofo
cattivo, Pollicino (con il rettore di Lettere nella parte dell'Orco). I papà più
diabolici arriveranno anche a doppiare i film e il bimbo crescerà avendo come
eroe l'Ingegner Rambo.
Mentre i bambini
normali fanno le battaglie con i soldatini, l'ingegnerino all'età di due anni
ha già ricevuto una confezione da 20 kg di Lego, il Meccano, il Piccolo Chimico
e ha dovuto firmare una dichiarazione in cui si impegna, prima di richiedere
altri doni, a trovare il punto di fusione dello stagno e a costruire una
riproduzione del ponte di Brooklyn in scala 1:10. E se proprio riesce a
convincere i suoi a regalargli un bambolotto, si ritroverà ad essere l'unico
bambino della compagnia a giocare con «Big jim progettista», in giacca e
cravatta e 24 ore in finta pelle.
Al giorno d'oggi
cambia la forma, ma resta la sostanza; niente Lego né Big jim, dunque. Ma,
quando tutti i bambini videogiocano con Lara Croft o Fifa 2000, l'ingegnerino
passa le sue ore al computer a «divertirsi» con Autocad 14.
Se
vi chiamate Rubbia (di nome), se nella versione del Titanic che avete visto la
colpa era di un cattivissimo architetto che aveva sabotato l' altrimenti
magnifico piano dell'Ing. Di Caprio e se all'ultimo Natale vi hanno regalato un
tecnigrafò, siete messi male. L'unica soluzione è far fuori mamma e papà. Del
resto, il fatto che essi abbiano deliberatamente deciso di farvi perdere 5
diottrie e metà dei capelli entro i 24 anni, e di farvi passare il resto della
vostra vita a progettare alberi a camme, costituirà sicuramente un'attenuante
nel caso vi becchino.
Ma attenzione:
pensate prima a come mettere in pratica il vostro proposito. Se vi vengono in
mente soluzioni efferate, passi. Ma se pensate di collegare alla maniglia della
porta del salotto un'asta a bilanciere che, innestandosi in un toroide genera un
impulso elettromagnetico che manda un segnale radiocomandato a un braccio
meccanico che agisce sul grilletto di un fucile a precisione...
Se pensate tutto
questo, lasciate perdere: l'opera di ingegnerizzazione è stata completata e non
c'è più niente da fare.
Per il predestinato,
l'iscrizione al Politecnico rappresenta solo un atto burocratico, una banale
azione il cui risultato sarà il riconoscimento formale, da parte dello Stato,
del suo essere un ingegnere.
Cosa che, peraltro,
egli sapeva benissimo di essere già dalla nascita.
Pertanto la scelta
della facoltà non è il risultato di dubbi angosciosi e di notti insonni
passate a sfogliare i piani di studio di tutte le università italiane, da
Araldica a Zoologia. No, andare all'università è una cosa che egli sa già
fare, geneticamente, come dimensionare un flussometro o calcolare il logaritmo
neperiano di 3.
Ma non tutti gli
iscritti al primo anno di Ingegneria hanno la forza dei propri cromosomi dalla
loro.
C'è chi lo fa come
precisa scelta per entrare più facilmente nel mondo del lavoro (salvo poi
scoprire, una volta laureato, che le statistiche erano sbagliate, e che sarebbe
stato molto più conveniente iscriversi a Geologia o, meglio ancora, fare un
corso da parquettista).
C'è chi si iscrive
all'Università al solo scopo di ritardare di un anno la partenza a militare:
tanto vale allora buttarsi su una facoltà che permetta di vantarsi con i propri
parenti e scroccare laute mance natalizie («Mica mi sono iscritto a una facoltà
qualsiasi ... »).
C'è chi lo fa perché
al liceo aveva 8 in matematica e fisica e chi perché, nelle stesse materie,
aveva 4, ma «era tutta colpa dei professori che non sapevano valorizzare il mio
lato scientifico. Gliela farò vedere io, chi aveva ragione ... ». Tempo medio
di permanenza in facoltà: 3 settimane, 1 mese al massimo, se c'è qualche
compagna di corso carina (evento altamente improbabile).
E, a proposito di
compagne carine, non mancano nemmeno le iscrizioni dettate dal cuore più che
dalla ragione:
«Anche il mio
ragazzo si è iscritto a Ingegneria. Così frequenteremo le stesse lezioni e
studieremo insieme e ci vedremo tutto il giorno» (Per coppie innamorate e/o
psicopatiche).
«Il mio ragazzo si
è iscritto a Economia, e la sede di Ingegneria è quella più lontana» (Per
coppie già un po' meno innamorate).
«Il mio ragazzo è
al secondo anno di Ingegneria: almeno non dovrò comprare i libri» (Coppia che
non ha più niente da dirsi o coppia genovese).
Mai nome fu più
azzeccato: non si contano gli aspiranti ingegneri che finiscono in analisi dopo
il 12' tentativo di passare l'esame.
E in effetti questo
esame è uno dei più grossi spartiacque del corso di laurea:
chi riesce a passarlo
solo al 10' tentativo perderà notti di sonno, perderà peso e perderà i
capelli.
chi lo passa alla
prima, in compenso, perderà gli amici: l'invidia è una gran brutta bestia.
In entrambi i casi
affrontare l'esame di Analisi 1 ha un che di epico, è un po' come una grande
battaglia, ognuno ha la sua fetta di aneddoti più o meno grotteschi da
raccontare. E, come le grandi battaglie, anche Analisi 1 ha i suoi eroi.
Pensate a Ciccio (non
un gran nome per un ingegnere, ma tant'è ... ) che, dopo mesi di accurata
preparazione, si presenta a dare l'esame, salutando gli amici al grido di «ho
studiato tutto. L’unica cosa che proprio non so, sono i due teoremi di
Lagrange. Non ho capito niente».
... 15 minuti dopo
Professore: «Buongiorno».
Ciccio: «Buongiomo».
Professore: «Dunque....
cosa potrei chiederle... mi dimostri il teorema di Lagrange».
L’uomo comune
inizierebbe a urlare, a balbettare patetiche scuse o a piagnucolare sul tono «le
giuro che è l'unica cosa che non ho studiato, mi faccia un'altra domanda, la
prego ... ».
Ma Ciccio è un eroe
e affronta la morte guardandola negli occhi:
«Quale? Il primo o
il secondo? ».
«II primo».
A questo punto la
platea è conquistata e segue la vicenda col fiato sospeso, sperando nel
miracolo.
Ciccio è già
entrato nel mito e, se cedesse, lo capiremmo. Ma lui no. Prolunga l'agonia e
lotta fino all'ultimo.
«Veramente il Primo
non l'ho fatto».
«Non importa. Mi
dimostri pure il secondo».
«Non ho fatto
neppure il secondo. Vado? ».
«Vada».
Applausi e pacche
sulle spalle.
Ciccio è anche il
perfetto esempio di un'altra classe di laureandi: lo sfortunatissimo. Quello a
cui chiederanno sempre l'unica parte che non ha studiato 0, se ha studiato
tutto, quella che ha capito un po' meno o, se ha capito tutto, qualcosa che non
è nel programma o che non è neppure ancora stato dimostrato.
Per questo,
all'appello successivo, i Cicci combattivi si preparano sempre più
meticolosamente, arrivando a telefonare ai pronipoti di Lagrange, per chiedere
se per caso il loro trisavolo non avesse un terzo teorema gelosamente custodito
nel cassetto (la probabile risposta sarà: effettivamente sì, l'abbiamo venduto
ieri a un professore di Ingegneria, ha detto che lo avrebbe usato per un esame
... )
Alla fine però,
stanchi di lottare, i Cicci di tutte le sezioni di Ingegneria si piegheranno al
destino, accetteranno qualunque voto pur di porre fine al calvario e si
laureeranno con un'immeritatissima media del 22.
Esperienza comune a
tutti i corsi di laurea, è considerato dai professori e da una certa categoria
di studenti come un esame fondamentale per la formazione del laureando. E’
invece un orrido mattonazzo secondo altri studenti, quelli che hanno una vita.
La materia insegnata
varia a seconda del corso di laurea, così come l'insegnante. Ciò nonostante
alcune peculiarità si manifestano trasversalmente in tutte le sezioni, da
Elettronica a Gestionale:
> il professore ha
80 anni, un nome strano e ripete la stessa lezione, parola per parola, negli
stessi giorni e alla stessa ora da 35 anni. Lieve controindicazione: gli ultimi
ritrovati della scienza e della tecnica sono un tantino «trascurati» e il
professore, nella lezione del 12 febbraio,
auspica l'avvento di uno strumento di calcolo più veloce del pur sempre
utilissimo regolo.
> non esiste alcun
libro su cui studiare. Oppure ce ne sono 12, da cui prendere a spizzichi e
bocconi. Oppure ce n'è uno solo, ma è in tedesco, scritto a mano con
calligrafia indecifrabile.
> l'esame comincia
con la frase «Le chiederò qualcosa di facile ... » e finisce con lo studente
in lacrime, giunto al livello più basso della sua autostima.
Contrariamente ad
Analisi, Scienza delle costruzioni è un esame che si passa alla prima. La
variabile, in questo caso, è il tempo necessario per prepararsi e per passare
lo scritto. Ed è una variabile molto variabile: si va da tre settimane (il
figlio del rettore) ad alcuni anni.
In più è un esame
letale per quelli successivi, perché in qualunque caso provoca reazioni
scomposte dei professori e tre frasi tipiche:
> Per chi lo ha
passato per un pelo: «Eh, ma lei mi ha preso solo 18 di Scienza, io non posso
certo darle di più. Che figura ci faremmo?».
> Per chi lo ha
passato alla grande: «Ma come? Lei mi prende 30 di Scienza delle Costruzioni e
mi viene a dire che non conosce la teoria di Xrebohjhrtevic? Ma lo ha passato
lei o un suo sosia?».
>Per chi non lo ha
ancora sostenuto: «Ma come? Lei non mi ha ancora passato Scienza e si presenta
qui da me?».
L'ultimo caso è il
peggiore, perché a questo punto al povero studente tocca pure sorbirsi
un'ardita metafora, diversa a seconda della sezione:
> (Civile) «Lei
vuole costruire il tetto prima di aver gettato le fondamenta?».
> (Meccanica) «Lei
vuole progettare il tergicristallo prima di aver dimensionato il motore?».
> (Chimica) «Lei
vuole fare reagire lo stagno con l'uranio e invece usa il plutonio?» (metafora
che non c'entra assolutamente niente; del resto i chimici sono gente strana).
Il passaggio del
tempo a Ingegneria è segnato dall'allungarsi dei nomi degli esami. Si passa da
Fisica a Meccanica Razionale (strano nome che sottintende l'esistenza di una
Meccanica Irrazionale) a Meccanica Applicata alle Macchine. E ultimo esame,
pertanto, di solito si chiama «Ingegneria del Reattore Nucleare a Fusione»,
“Cinetica Statica dei processi chimici industriali” o “Principi e
Metodologie della Progettazione Meccanica”.
La prima parte del
corso, quella più complessa, consiste nell'impararne il nome a memoria.
La seconda parte è
una prova di coraggio e fantasia: si tratta di presentarsi all'esame sapendo il
meno possibile e di inventare la scusa più assurda per giustificare la propria
totale impreparazione.
A riprova del livello
di ottenebramento psichico raggiunto, il laureando pretende non solo di passare
l'ultimo esame senza sapere nemmeno di cosa parli, ma se prende meno di 28 si
lamenta pure.
D'altro canto,
applicato nella vita di tutti i giorni, il ragionamento non è del tutto campato
in aria: al bar, per esempio, dopo ventotto birre si può sperare che almeno la
ventinovesima sia offerta dalla casa.
E una specie di
rappresentazione teatrale della vita che verrà, dell'impatto, ormai prossimo,
dell'ingegnere con il mondo del lavoro. In quanto tale, i primi mesi di tesi
vengono passati nell'inattività più assoluta (rappresentazione della
disoccupazione). Poi a giocare a Tetris con il potentissimo computer acquistato
per scrivere la tesi (periodo di formazione). Quindi ci si getta nella stesura
della tesi vera e propria, con l'entusiasmo del neoassunto.
Qualche mese dopo, da
questo sforzo titanico uscirà un'imperdibile opera di 600 pagine,
interessantissima già a partire dal titolo: Influenza della pallinatura sulla
resistenza a fatica di un composito a matrice metallica. Dopo aver speso
novecentomila lire tra fotocopie e rilegatura, il quasi ing. si avvia orgoglioso
in segreteria, consegnando la tesi con una settimana di anticipo rispetto alla
scadenza, «cosi avranno il tempo di leggerla con più attenzione».
Li lo sbarbato vedrà
che il suo prezioso lavoro verrà riposto in una campana di plastica bianca con
la strana scritta «Solo Carta» e gli verrà consegnato un modulo in cui gli si
chiede di esporre in tre righe titolo e contenuto della tesi. Tre! Riuscire a
condensare in tre righe sei mesi di ricerche è un’impresa che meriterebbe la
laurea ad honorem in Lettere. Vista la lunghezza dei titoli, tra l'altro, si
finisce con lo scrivere cose del genere:
Tìtolo: Analisi
della fattibilità del progetto di contenimento dell'inquinamento acustico nelle
immediate vicinanze dell'Aeroporto di Malpensa 2000, mediante l'installazione di
barriere fonoassorbenti in silicato laminato. Contenuto: Fattibile».
Dopodiché, 10 minuti
di discorso dall'effetto più potente di un litro di valium e l'ingegnere è
finalmente tale. Il suo destino è compiuto.
Uh
uh uh uh aha: illusion
Ultimo anno di liceo.
E maggio. La maturità, e la matura età, sono alle porte. C'è l'esame e
dopo... la vita. Per prepararsi alla maturità basta studiare. Ma come
prepararsi alla vita? Niente di meglio che una bella sessione di «Incontri
preparatori alle grandi scelte della vita. Come capire qual è la facoltà
giusta». Oggi è la volta di ingegneria. Dalla cattedra si alza e parla un top
manager molto convinto; in platea siedono e pensano ragazzi molto scettici e
poco interessati.
Top Manager Convinto:
«Buongiorno ragazzi. Vi vedo bene».
Ragazzo Scettico:
(bravo, hai scelto gli occhiali giusti).
«Siete giovani ed è
giusto che adesso siate spensierati ... ».
(Veramente io me la
sto facendo addosso al pensiero della maturità).
« ma dovete anche
pensare al futuro».
(Ci penso eccome:
speriamo che non mi chiedano Dante).
«E il futuro nel
vostro caso si chiama studio».
(Però! 3 anni di
asilo, 5 di elementari, 3 di medie, 5 - incrociando le dita - di liceo e il mio
futuro
«si chiama studio»?
Che fantasia!)
«lo sono qui per
illustrarvi i pregi della scelta di Ingegneria. E per non essere troppo
astratto, vi illustrerò le tappe del mio personale cammino».
(Ecco, bravo,
spiegami cosa devo non fare per non diventare come te.)
Seguono 40 minuti di
«tappe», durante i quali di tutto si parla tranne che di soldi. Ma il Top
lascia comunque intuire che si guadagni una barca di denaro e, miracolo, molti
scettici cominciano a cambiare idea e a domandarsi:
«Ma sarà facile
trovare un lavoro? ».
«Vi starete
domandando se è facile trovare un lavoro. Beh, lasciate che vi dica una cosa:
è come trovare una donna per una rockstar! Ve lo assicuro, ragazzi: altro che
laurea, altro che quinto anno, già al quarto avrete alla porta le migliori
aziende italiane che vi imploreranno di andare da loro.
Abbiamo fame di
ingegneri. Per bruciare i tempi avevo quasi pensato di portare dei contratti già
oggi. Per cui ragazzi anzi, Ingegneri, vi prego: fate in fretta. Abbiamo bisogno
di Voi».
Quattro anni dopo, il
fu studente scettico, ora aspirante top manager convinto, se ne uscirà con
frasi del tipo:
«Mamma, oggi mi sono
iscritto al quarto anno. Se passa Agnelli, digli che sono occupato, devo
studiare, semmai . lo richiamo. Anzi, sai che faccio? Stacco il telefono, così
mi lasciano in pace».
Dopo un altro anno
abbondante, esaltato dalla laurea appena conseguita e ancora sull'onda
dell'illusione «da incontro preparatorio», il neo ingegnere non accenna
neppure a cercare lavoro. Se ne sta beatamente seduto ad aspettare che il lavoro
cerchi lui.
Dopo un mese di
silenzio assoluto ha un'intuizione geniale: non lo cercano perché nessuno
ancora sa della sua laurea; la grande mossa pertanto consiste nel telefonare
alla Telecom per fare aggiungere un «Ing.» davanti al suo nome nell'elenco.
Dopo un altro mese
passato nell'indifferenza generale, comincia a sospettare che il telefono sia
rotto; acquista un cellulare e di tanto in tanto si chiama da solo per vedere se
il telefono di casa funziona ancora.
Ai terzo mese,
essendo un tipo sveglio, l'ingegnere capisce di essere stato preso per i
fondelli e comincia attivamente a cercare lavoro, inviando tre curricula
miratissimi: uno alla Nasa, uno alla fondazione Nobel e uno alla «Punzonatrici
Rossi & Figli», una ditta con tre dipendenti e un fatturato annuo di 42
milioni ma con ottime caratteristiche pratico - logistiche (è a venti metri da
casa).
La fase successiva è
quella dell'acquisto e della febbrile consultazione di «Repubblica» al giovedì
e del «Corriere» al venerdì. Se ancora si illudeva di essere una persona
comune e di poter fare un lavoro normale, la lettura degli annunci economici
toglie ogni residua speranza al neo ingegnere.
Si passa dalla
richiesta di un... «Seníor Customer Engineer, con esperienza di almeno 4 anni
nel supporto specialistico ai grandi clienti in ambienti Mission Critical su
reti di elevata complessità. E’ richiesta inoltre predisposizione alla
Customer Satisfáction>>
... all'annuncio più
informale, frivolo, quasi un invito in discoteca: «Il nostro cliente è la
filiale di una potente multinazionale. Sono splendide le loro macchine
punzonatrici, laser e piegatrici per lavorare la lamiera. Ricerchiamo un Project
Manager un po' speciale che porterà un po' di esperienza succhiata in società
di ingegneria, impiantistica o progettazione».
A parte l'ovvia
considerazione che chiunque abbia pensato questi annunci (tutti veri soffre di
gravi turbe psichiche, si nota un'altra misteriosa peculiarità: in quelli letti
dal neolaureato si cerca sempre qualcuno con almeno 2 anni di esperienza, mentre
chi vuole cambiare lavoro (e chi non lo vorrebbe, dopo qualche anno passato in
compagnia di «splendide macchine punzonatrici»?) non trova altro che richieste
di neolaureati.
La terza e ultima
fase è quella della disillusione totale o «chicojocojo» (dal nome di un
famoso lanciatore di coltelli giapponese): l'invio di curriculum a raffica.
E un'escalation: la
prima settimana sono 50, poi 100, 200, 400 e così via, al punto che il primo
anno di stipendio servirà solo a coprire le spese postali.
Di rimando alle 700
lettere inviate arrivano ben quattro risposte: tre sono variazioni sul tema «La
ringraziamo per l'interessamento e, volassero gli elefanti, prenderemmo in
considerazione la sua proposta. Non ci scriva mai più!».
La quarta lettera,
miracolosamente, è l'invito a un colloquio.
E uno scontro fra
titani. Il re della domanda subdola contro il principe della risposta ipocrita.
Da una parte si
esordisce con «Come mai ha scelto proprio la jenningsen Technology?»,
dall'altra si pensa: «Perché, fra tutte le lettere mandate completamente a
caso, siete gli unici fessi che mi hanno risposto» ma si risponde: «Le dirò,
operare nel campo delle brocciatrici è sempre stato il mio grande sogno».
«Ci dica un suo
difetto» «Tendo a essere troppo preciso e mi lascio prendere in maniera
eccessiva dal mio lavoro».
«Stiamo cercando una
persona dalla spiccata personalità ... ».
«Non mi faccio
mettere i piedi in testa da nessuno».
« ... ma che sappia
anche lavorare in team e riconoscere l'autorità dei suoi superiori».
«Signorsì! ».
«Le piace viaggiare?».
«Molto e credo che
poter viaggiare per lavoro sia un grande privilegio».
«Peccato, perché la
sede di lavoro sarà nell'hinterland milanese».
«da anni che
desidero avere l'occasione per approfondire la conoscenza di Rozzano. A mio modo
di vedere, una piccola Parigi».
«Visto il
particolare momento, lo stipendio che le potremo offrire per un periodo
iniziale, diciamo per i primi dieci anni, non sarà elevatissimo».
«I’importante è
avere l'opportunità di fare esperienza in una società come la Vostra».
Questa è la frase
magica. Massima flessibilità e minimo costo: l'ingegnere ha trovato lavoro.
Fuori uno. Per il nostro premier, che sia Berlusconi o D'Alema,
si tratta ora di assegnarne soltanto altri 999.999.
Quando ci si sente
dire «leri ho conosciuto un tizio simpatico; fa il bancario», non si risponde
«Ah, e che lavoro fa?» (a meno che non si voglia passare per idioti). Un
bancario lavora in banca.
Parimenti un
fotografo fotografa, un insegnante insegna e un giornalista scrive articoli sul
giornale.
Un medico potrà
avere diverse specializzazioni, ma si occuperà pur sempre di curare le persone.
E un ingegnere? Che
fa un ingegnere? Tali e diversi fra loro sono i suoi possibili impieghi che
rispondere alla domanda «che lavoro fai?» con «ingegnere» è come descrivere
Bruno Vespa dicendo che «appartiene alla razza umana».
Ecco una breve guida
per districarsi nei meandri della professione.
Non è lo psichiatra
di Ronaldo, ma uno dei mestieri più in voga nel campo dell'informatica. Uno dei
pochi lavori da ingegnere ben retribuito, per inciso. L’analista passa il suo
tempo a frequentare corsi di aggiornamento in cui impara a usare programmi che,
una volta finito il corso, saranno già obsoleti.
Egli tiene appeso a
una parete il suo primo floppy disk (uno di quelli grossi) e, nelle serate
davanti al camino, rilegge con un sentimento di malincoallegria gli appunti
dell'Università, con le previsioni del suo prof. di informatica riguardo alla
«necessità di avere un hard disk da almeno 20 Mb».
Quello del Consultant
non è un lavoro. E’ un job. E l'ingegnere non viene scelto perché le sue
capacità eri si adattano ai bisogni dei mercato, bensì perchéi suoi skills si
adattano ai needs del market, come gli viene spiegato al momento dell'assunzione
da un abbronzatissimo Head of Personal
& Human Resources, generalmente di nome Rudy.
Durante il primo
mese, il neoassunto si mantiene sulla soglia di «produttività zero», passando
il tempo a frequentare corsi in cui Rudy lo indottrina sulla storia
dell'azienda, sulla mission e la vision dei dipendenti e sul motto aziendale, di
solito up or out, perform or out o simili.
In seguito la sua
produttività reale resta ancorata a zero, ma quella fittizia (su cui fattura)
si impenna esponenzialmente. Quello del consulente, infatti, è un lavoro
inutile che consiste nel far credere a un imprenditore con trent'anni di
esperienza di aver bisogno dei «consigli» di un pischello di venticinque anni.
La carriera
dell'ingegnere giustamente motivato sarà fulminea: partito come Junior
Assistant Consultant, dopo due anni diventerà Assistant Consultant e in altri
due Senior Assistant Consultant.
Poi Consultant,
Senior Consultant, Consultant +, Consultant con lode, Consultant Doppio Malto.
Dopo 43 anni diventerà
Manager e poi Partner e finalmente qualcuno gli spiegherà che cacchio di lavoro
ha fatto fino ad allora.
E quello che risponde
agli annunci in cui si cerca un Sales Manager. Lavora nel reparto vendite di
un'azienda leader in qualcosa in un qualche punto dell'Universo. E giusto che,
oltre a ragionieri e laureati in economia,
il reparto marketing impieghi anche un ingegnere: niente di meglio di un
tecnico specializzato per interfacciarsi coi clienti e avere rapporti con loro
con la forza del sapere dalla propria. Purtroppo, dopo qualche anno lontano dai
macchinari, l'ingegnere si deingegnerizza e il suo lavoro diventa: rispondere
alla telefonata del cliente, ascoltare la sua domanda, frugare nel proprio
bagaglio tecnico, non trovare niente, dire: «Attenda in linea che le passo
l'ufficio tecnico».
Col passare del tempo
il commerciale migliora vieppiù le sue doti di interfacciamento fino al giorno
in cui si infila una gonna e decide di farsi chiamare Cinzia, prendendo piena
coscienza della sua identità di centralinista.
L’imboscato, quello
che ha capito che tipo di lavoro fanno gli ingegneri e vuote sfuggire a tutti i
costi a quel triste destino, dandosi all'insegnamento universitario.
All'uopo si accoda a
uno dei tanti baroni dotati di cattedra, diventandone l'assistente. Ciò gli
vale l'assegnazione di importanti incarichi, quali portare la borsa del
professore, aprirgli la porta quando passa e riverniciargli lo studio, compito
riservato solo a pochi eletti. Come unica consolazione gli viene concesso di
partecipare agli esami. La notte
prima la passa insonne a progettare ogni possibile nefandezza, felice per la
possibilità di vendicarsi di tutti quegli ingiusti 30 concessi alle sue
compagne di corso dalla gonna un po' corta. Inutile dire che, da pezzo di pane
qual è, tutti gli studenti cercano di essere interrogati da lui e che, alla
vista della prima caviglia, è 30 e lode per tutti.
Oscura e serissima
figura, circondata da un alone di mistero e di timore reverenziale, tiene nelle
sue mani il potere assoluto riguardante uno dei più importanti esami della
nostra vita: quello della patente.
Si tratta di un
personaggio che suscita inquietanti interrogativi, che contribuiscono a
rafforzare il mito dell'ingegnere in senso lato: innanzitutto, perché si chiama
«Ingegnere»? C'è bisogno di una laurea per capire che se uno va contromano è
meglio non dargli la patente? E se davvero ce n'è bisogno, perché proprio
quella in ingegneria? Gli ingegneri guidano molto meglio degli architetti? O
degli avvocati?
Quello che, fra 1
tutti i colleghi, ha più contatto con la realtà.
Manco troppo,
comunque, visto che in cantiere all'ingegnere viene riservato lo stesso
trattamento che si adotta con il nonno rompiballe che ancora si crede il
capofamiglia. Egli passeggia per il cantiere, impartendo direttive ed è tutto
un «Buongiorno ingegnere, certo ingegnere, sarà fatto, sissignore ingegnere».
Mezzo secondo dopo che se n'è andato ci si dimentica di lui e dei suoi ordini e
si riprende a lavorare sul serio.
Il momento più alto
è quando si tratta di eseguire dei calcoli vitali per il proseguimento dei
lavori. Il cantiere è fermo, in trepida attesa. L’ing. consulta il manuale,
gli appunti e le sue risorse mentali.
Armeggia con un
centinaio di strumenti ed emette il verdetto: qui ci vuole una putrella da 25,7
mm di diametro. Ed è vero. La putrella da 25,7 è perfetta per lo scopo. Anzi,
lo sarebbe, se non fosse per il
piccolo particolare che le putrelle da 25,7 non esistono. Ma all'ingegnere non
importa, non è un problema suo se i produttori di putrelle non tengono conto
delle esigenze del cantiere. Egli ha indicato la retta via, spetta agli altri
trovare un modo per seguirla. Se fosse per lui, ne potrebbero anche ordinare uno
stock su misura e se i costi del progetto dovessero raddoppiare, pazienza. Cos'è
il denaro, di fronte alla perfezione di un pilone in cemento armato? A risolvere
l'impasse, arriva l'operaio anziano che dà un'occhiata alle carte e butta li un
«è vero. Però anche quelle da 26 (esistenti) vanno benone».
Ovvero
l'impersonificazione della tristezza.
Sede di lavoro:
fabbrichetta a conduzione familiare, di proprietà del suocero, nell'estrema
periferia di un qualsiasi hinterland nord italiano, lontano da tutto ma «comodo
autostrada». Il miracolo economico italiano, insomma.
Obiettivo: progettare
e garantire l'evoluzione tecnologica di un apparecchietto grosso come una moneta
da cento, che andrà inserito in un raccordo in gomma per tubazioni plastiche,
prodotto di punta della ditta e orgoglio del bisnonno fondatore.
Il progettista si
distingue dagli altri ingegneri perché alla domanda «Che lavoro fai?», invece
di rispondere «ingegnere» e glissare con un commento sul tempo, abbraccia il
suo interlocutore e scoppia in un pianto irrefrenabile.
Uno dei lavori più
di moda, ultimamente. Intanto è bene chiarire che «qualità» in questo caso
è un termine tecnico, che non ha niente a che vedere con «cosa fatta bene».
La qualità di cui si
parla, infatti, si riferisce al processo produttivo dell'azienda e non al
prodotto finale.
Per essere un'azienda
di qualità, bisogna che la linea produttiva sia organizzata in modo tale che il
prodotto finito, diciamo un motore, preso in un giorno qualsiasi sia uguale
identico al motore prodotto due mesi dopo. Sulla qualità del motore stesso, non
dice niente nessuno.
In pratica un'azienda
che produce un motore schifoso potrà definirsi di qualità se, nel tempo,
produrrà motori sempre ugualmente schifosi. Se invece di tanto in tanto glie ne
dovesse scappare uno buono, beh, sarebbe il segnale che c'è qualcosa che non
va.
Il compito
dell'Ingegnere Responsabile del Controllo Qualità è far si che ciò non
accada.
Sì, proprio così.
Oppure il cabarettista, l'intagliatore di legno e tutti gli altri classici
mestieri «da scoppiato». Se a prima vista la cosa suscita stupore e sdegno («II
figlio di quella lì era ingegnere e adesso ammaestra elefanti in Indonesia.
Dove andremo a finire!»), esaminando i lavori elencati qui sopra e provando a
calarsi nei panni di chi li ha fatti per davvero si può capire come, dopo una
decina di anni di «implementazione dell'awareness del prodotto», il richiamo
di una nuova vita da coltivatore di maracuja possa diventare irresistibile.
La casa è un esempio
di tecnologia applicata all'ordine e alla pulizia. Tutto è sempre lustro e
funzionante; gli orologi spaccano il minuto, il rotolo di carta igienica è
sempre all'inizio, le lampadine non si fulminano mai e comunque ce n'è un
intero set di ricambio. La Tv è sintonizzata al millimetro, la dispensa è
sempre piena e le porte non hanno mai cigolato negli ultimi 20 anni.
Tutto ciò grazie
all'instancabile opera del padrone di casa: la moglie dell'ingegnere (la mamma,
per i non coniugati). Tanto è preciso e puntiglioso sul lavoro, infatti,
altrettanto l'ingegnere è goffo nelle faccende domestiche.
Non è che
l'ingegnere sia il tipico marito che se ne sta in panciolle a guardare la moglie
che lavora, tutt'altro: tra i due è il più attivo nelle faccende domestiche.
Il problema è una drammatica mancanza del senso della priorità. C'è il
rubinetto che perde? Certo, è un fastidio, ma prima c'è da finire di montare
l'impianto di innaffiamento automatico in giardino. L’orologio a pendolo è
fermo da un mese? E’ un guaio, sì, ma che verrà definitivamente risolto il
giorno in cui terminerà il progetto di collegamento via satellite tra la tv del
salotto e una telecamera appositamente puntata sul Big Ben.
Chi crede che vivere
con un genio della tecnica sia comunque un vantaggio, sappia che nella casa
dell'ingegnere gli oggetti si dividono in due classi: oggetti che hanno bisogno
di essere riparati e oggetti che funzionano benissimo ma che, «con una piccola
modifica», potrebbero funzionare ancor meglio. Inutile dire che questi oggetti,
dopo la miglioria, rientreranno nella prima classe.
L'ingegnere che
sfrutta le sue nozioni per un lavoro utile è un fenomeno della natura raro e
spettacolare come un'aurora boreale e, per giunta, sospetto. La moglie che,
tornando a casa, vedrà il marito intento ad aggiustare la caldaia (nonostante
il marchingegno per aprire le persiane stando a letto sia ancora da finire) non
esulterà di gioia, ma lo affronterà chiedendogli: «Su, confessa! Cos'hai da
farti perdonare?».
Parafrasando un noto
proverbio, per lei vale il detto «Hai voluto la bicicletta? E adesso non
pedali, perché sono sei mesi che tuo marito sta studiando una modifica che ti
permetta dì gonfiare le gomme suonando il campanello».
Per quanto l'aver
sposato un ingegnere denoti una forte vena masochista, non si può non compatire
la poveretta quando, chiedendo al marito «Hai visto dov'è l’accendigas?»,
si sente rispondere: intendi forse l'attuatore piezoelettrico?». Un adorabile
momento di rivincita lo ottiene in quei casi (tutt'altro che rari) in cui anche
l'onniscienza del marito nulla può: quando si guasta la macchina, lei si
rilassa sul sedile, assiste ai suoi tentativi infruttuosi e, chiamando il carro
attrezzi, con malcelata soddisfazione lo liquida con «meno male che ho sposato
un ingegnere».
Nonostante tutto,
l'imbranataggine del marito nelle faccende di tutti i giorni accende in lei i più
alti istinti materni ed è in effetti con abnegazione ed entusiasmo mammesco che
cura i rapporti del marito con il mondo esterno.
E lei che,
instancabilmente, cerca di spiegargli che non c'è niente di male nell'andare in
cantiere con due calzini uguali tra loro e che se anche, addirittura,
richiamassero la camicia, il cavalcavia verrebbe bene lo stesso.
E’ lei che in
vacanza riesce a fingere entusiasmo quando le si propone: «Cara, che ne dici di
fare quella deviazioncina di cui ti parlavo? Sai, c'è la più grande centrale
idroelettrica del Sudest asiatico, sarebbe un peccato essere a soli 400 km e
perdersela ... ».
E lei che, con
indomito coraggio, sale senza batter ciglio sull'ultimo aereo progettato dal
marito, nonostante i casini combinati l'ultima volta che ha provato a installare
l'antenna parabolica.
Ed è con vero
orgoglio da mamma che, interrogata a proposito del mestiere del marito,
risponderà sempre e comunque «è ingegnere», che faccia il ricercatore in un
istituto di fisica nucleare o venda protesi acustiche porta a porta.
Due. Sempre. Sarà
per la consapevolezza di essere una persona fuori dal comune, per la pressione
derivante dalle aspettative della società o per chissà quale altro motivo
psicologico, fatto è che l'ingegnere ha una forte pulsione verso la normalità.
Appena può, indirizza pensieri e azioni alla ricerca di una conformità alla
massa che lo faccia sentire uno dei tanti. Il suo ideale è essere
abbastanza alto, ma non tanto da spuntare tra la folla, avere un po' di
pancetta senza essere grasso, vivere in una casa comoda che non sia né una
reggia né un tugurio, e così via. Questa disperata ricerca della «media» si
accompagna, per deformazione professionale,
all’accurata pianificazione del proprio percorso esistenziale.
E, venendo al punto,
l'ingegnere pianifica proprio tutto, anche il numero di figli. Due giorni dopo
le nozze, mentre la moglie sfoglia i cataloghi premaman, chiedendosi quanti e
quali figli le riserverà la sorte, l'ingegnere si fa recapitare a casa l'ultimo
«rapporto nascite» dell'Istat, squarcia il pacco, apre il tomo e, terrore,
sgomento e disperazione, legge che la famiglia italiana ha, in media, 1,73
figli.
Che fare?
Dopo un primo attimo
di sconforto, in cui impreca contro il destino porco che gli impedisce di essere
in media, prende la calcolatrice e scopre che, se dovesse fare due figli, la
media italiana salirebbe a 1,73000001666. «Vada per due», dice allora alla
consorte, simulando serenità. Ma la verità è che non riuscirà mai ad amare
davvero quello 0,27 in più del secondo figlio, corrispondente all'incirca al
pezzo di gamba tra piede e ginocchio. «Papà, mi sono rotto la tibia» dice il
secondogenito, telefonando dal campo di pallone. « Ben ti sta, così impari a
rovinare la media», pensa il papà, mentre accorre per portarlo all'ospedale.
L’incrollabile
certezza che l'ingegnere debba sempre e comunque avere due figli può portare
anche a interessanti considerazioni pratiche:
>Stai per sposare
un ingegnere? Scegli una casa adatta a una famiglia di quattro persone.
>Sei figlio unico
di un ingegnere? C'è una sorellina in arrivo, anche se hai 37 anni.
>Sei il terzo
figlio di una famiglia con papà ingegnere? Adesso sai perché i tuoi genitori e
i due fratelli sono scuri di capelli, mentre tu sei biondo.
Stabilito il numero dì
figli, veniamo adesso alle loro qualità:
>Uno dei due è
bravo, bello e gentile, risponde educatamente, lascia il posto alle vecchiette
ed è il chiaro erede delle facoltà intellettuali paterne: a 3 anni risolve le
equazioni di terzo grado, a 12 anni va ad «anticipazioni» di matematica, a 24
anni si laurea perfettamente in corso e comincia un'onesta carriera
professionale. Du' palle, insomma.
>L:altro fa il
chitarrista punk. Figlio ribelle per eccellenza, cerca in ogni modo di
contraddire e mettere in imbarazzo i genitori. Se il papà fa il progettista
alla Coca-Cola, ogni qualvolta ci sono ospiti in casa entra in salotto
sorseggiando una Pepsi, sostenendo che «i rutti vengono molto meglio» e
fornendone le prove a un'audience allibita. Terminato l'istituto tecnico non va
all'Università o, peggio ancora, ci va e si iscrive a Scienze Politiche. Dopo
10 anni di dorato esilio a Bora Bora, decide di tornare a casa e rinnegare il
passato, in sospetta coincidenza con il mancato arrivo del vaglia internazionale
mensile di papà.
Per dare un senso
pratico a tutta questa teoria, citiamo due famosi figli di ingegneri:
> Brian
May, chitarrista dei Queen. Figlio di un ingegnere elettronico, cominciò la
sua carriera suonando una chitarra elettrica costruita con l'aiuto del padre ma,
prima di lanciarsi definitivamente nel mondo della musìca, trovò ìl tempo dì
laurearsì ìn Astronomia all'Imperial College di Londra.
>James
Cameron, regista di Titanic, figlio di un ingegnere navale. Un lampante
esempio di persona che ha un cattivo rapporto col mestiere del padre.
Da giovane
l'ingegnerino ha le idee ben chiare riguardo ai rapporti che vorrebbe avere con
le donne:
molti e completi.
Dalla teoria alla pratica ce ne passa, però, e spesso non va più in là del
rapporto orale, nel senso che con una ragazza, al massimo, riesce a farci due
chiacchiere.
L’approccio del
giovane ingegnere all'altro sesso è reso difficile da due fattori interagenti:
la fama di personaggio noiosetto e la diffusione della prosperità nel nostro
paese.
Per capire gli
effetti del primo fattore, basta immaginarsi il giovanotto che, dopo mesi di
preparativi e dopo aver frequentato un corso di training autogeno, decide
finalmente di buttarsi: incredibile a dirsi, lei non scappa. Cominciano a
parlare, qualche minuto di schermaglie, un po' di frasi più o meno
convenzionali e poi, inevitabile, la mazzata.
«E che fai di bello?».
«Studio».
«Cosa?».
«ingegneria».
Qui scatta il vero
dramma dell'ingegnere. Qualunque studente di qualsiasi altra facoltà, alla
successiva domanda «E che esame stai preparando?» potrà usare le sue
esperienze personali come ruota da pavone. «I poeti romantici» risponderà il
letterato, «Restauro di opere d'arte» dirà l'architetto; persino un aspirante
medico potrà buttare lì «Anatomia. Faccio una tesina sui problemi del cuore
... ».
Ma l'ingegnere? Come
si può anche solo lontanamente sperare di affascinare una donna esponendo le
proprie conoscenze in tema di brocciatrici, ghise o travature iperstatiche? Per
riuscire a fare dell'autoironia su un agosto passato a progettare un cuscinetto
volvente a rulli conici, ci vogliono un self control e una sicurezza di sé che
nessun ventenne in piena tempesta ormonale (negli ingegneri, distratti dagli
studi, arriva con un po' di ritardo) potrà mai avere.
L’effetto negativo
del benessere diffuso è più sottile: l'ingegnere è, storicamente, un buon
partito.
Cinquant'anni fa la
cosa poteva essere utile, almeno al fine di prender moglie. Ora che tutti stanno
più o meno bene il suo effetto residuo è quello di farlo piacere alle mamme,
la qual cosa è garanzia automatica del non piacere alle figlie.
Per fortuna, come
dice Woody Allen, il sesso è un'attività praticabile anche senza la
partecipazione di altre forme di vita. Non ci si deve stupire allora che
all'ingegnere, in media, manchino quattro diottrie.
Il tempo vola e tanto
più per l'ingegnere, pressato dalla consapevolezza che, una volta inserito in
un ambiente lavorativo per soli uomini, sarà ben difficile conoscere la
potenziate consorte. Ma l'ingegnere è un tipo tenace e, se non riesce a trovare
una compagna con i metodi tradizionali, si rivolge agli annunci sui giornali, di
cui riportiamo qui sotto un esempio (vero): Ingegnere 48enne, ottima presenza.
Sono un uomo estroverso e pieno di interessi. Mi piace leggere, ballare e fare
lunghe passeggiate insieme ad una donna dolce e simpatica magari di fronte ad un
tramonto romantico. A parte gli scherzi, sono una persona libera
sentimentalmente e vorrei per questo concludere il mio stato di libertà
incontrando una donna che possa rendermi felice».
Da notare la frase «sono
un uomo estroverso e pieno di interessi» seguita da «a parte gli scherzi~>:
con tutti i suoi difetti, l'ingegnere è un uomo integerrimo e non riesce a
barare neppure in amore.
In un modo o
nell'altro, comunque, l'ingegnere riuscirà a trovare moglie (o marito) e fare
un paio di bimbi con cui condurre una serena vita familiare.
A proposito di questa
«serena vita familiare», giova ricordare che Landru (il francese che uccise
dieci donne alle quali aveva promesso il matrimonio) era - c'è bisogno di
dirlo? - un ingegnere.
Si dividono in due categorie: quelli veri e
quelli immaginari, (pensati al solo scopo di dare un aspetto umano al
curriculum.
In fondo a una pagina
piena di «esperto in sistemi per l'ottimizzazione dell'ispezione visuale dei
circuiti stampati» o «progettista di sensori piezoelettrici per il controllo
strutturale», il paragrafo Hobby e Sport è vissuto dall'ingegnere come il
momento della redenzione, l'ultima possibilità di non sembrare lo sfigato che
in realtà è (o crede di essere).
E allora, come tutte
le persone in difficoltà, si fa prendere la mano ed esagera: gli sport indicati
non sono mai meno di quattro e non è solo roba banale tipo calcio o tennis: si
va dal football americano al tiro con l'arco, passando per il chilometro
lanciato; tanto, come fanno a controllare?
Certo, bisogna poi
avere il coraggio di rispondere: «In gioventù» a un allibito capo del
personale che, squadrando il fisico imbolsito del presunto superingegnere, gli
chiede dubbioso: «Campione del mondo di snowboard?».
I più sofisticati
inseriscono anche qualche disciplina orientale, tipo tae kwon do o judo, a
indicare un perfetto connubio tra corpo e spirito. Il parallelismo con
l'ingegneria, connubio tra tecnica e intelletto, è immediato. E’ chiaro che
per costruire un grattacielo nessuno sarà più adatto di un karateka e pazienza
se ha preso solo 19 in Scienza delle Costruzioni.
E non si pensi che
ogni ingegnere abbia un solo curriculum; al contrario, gli hobby sono inventati
accuratamente in funzione della società alla cui porta si sta bussando. Si
manda il cv a una multinazionale che pretende frequenti spostamenti? Hobby:
viaggiare, imparare nuove lingue, collezionare modellini di treni e aerei. Si
cerca lavoro nel ramo meccanica? «Adoro passare il mio tempo libero facendo dei
lavoretti col tornio».
Il risultato è che
se qualcuno davvero prendesse sul serio un simile curriculum, bollato come
inguaribile fancazzista l'ingegnere troverebbe un posto solo come pierre in una
discoteca o come animatore al Club Med.
Ma come passa
realmente il suo tempo libero un ingegnere? Quali sono i suoi veri hobby?
Intanto, se gli si
rivolge questa domanda, l'ingegnere risponde d'impulso: «Non ne ho». Questo
perché, inconsciamente, gli riesce difficile considerare «hobby» il
programmare in Visual Basic (e come dar torto al suo inconscio?).
Bisogna allora essere
più sottili e cambiare domanda: «Cosa fai quando non sei al lavoro?». Anche
così, comunque, non si ottengono risposte significative; questa volta è la
vergogna a bloccarlo. Se si riuscisse a piazzare una telecamera nascosta per
scrutare nel suo tempo libero, però, si scoprirebbe che l'ingegnere passa le
sue serate a disegnare circuiti integrati, a scrivere macro di Excel o a
progettare un finto antifurto a led luminosi che inganni il ladro di passaggio.
Questo è il
vero sogno di ogni ingegnere. E la parola «sogno» cade a fagiolo: generalmente
è proprio al risveglio da un lungo sonno che l'ingegnere è convinto di aver
avuto l'idea che cambierà la storia. A quel punto prenderà un periodo di
aspettativa, si chiuderà in casa e ne uscirà due mesi dopo con il prototipo di
una cyber mano per videogiochi che, collegata a un joystick, replichi
esattamente i movimenti che la propria mano fa con un secondo joystick.
A quel punto, se la
moglie vuole divorziare gli chiederà: «Ma a cosa serve?. Se invece gli vuole
impartire una delusione più moderata gli dirà: «Bello. Ma credo che i
giapponesi l'abbiano già inventato». Se lo ama ancora come ai primi tempi, gli
darà una tisana e lo metterà a letto, sussurrandogli: «Geniale. Ma credo che
il mondo non sia ancora pronto».
Tra le letture dell'ingegnere c’è il
quotidiano a tiratura nazionale, che acquista tutti i giorni e non legge mai. Il
mensile in inglese, di solito il «National Geographic» o «Science»,
anch'esso mai letto ma che ha almeno l'onore di essere sfogliato (l'ingegnere
guarda le figure, come in «Topolino»). Per la narrativa, i grandi classici,
acquistati a botte di opere omnie, e qualche libro di fantascienza. In questo
quadro apparentemente normale, l'occhio attento potrà scovare le prove
dell'ingegnerità di padrone di casa. sul comodino, in mezzo a copie intonse di
«Time Magazine» e «Scienza e Víta», fanno capolino un paio di riviste
specialistiche tipo «Lamiera» o «Saldature Moderne», con interessanti
articoli sul mercato degli interruttori bífasici pieni di appunti e
sottolineature. Negli scaffali, tra un Proust e un Asimov, troviamo Il manuale
del calcestruzzo.
Ma il libro per
eccellenza è il Manuale dell'Ingegnere, un'opera omnia che racchiude la summa
del sapere tecnologico mondiale, prezioso riferimento nella sua vita di tutti i
giorni; ogni sera, prima di dormire, una sfogliatina: come la Bibbia. Qualunque
sia l'impiego dell'ingegnere, il manuale è sempre lì, a dargli una mano, a
ricordare tutta la teoria che sta alla base della soluzione di ogni problema
pratico.
Per problemi
particolarmente complessi, dove anche il Manuale dell'Ingegnere nulla può, il
nostro eroe rispolvera dalla preziosa teca in cui lo conserva il classico dei
classici, l'unico libro che egli abbia veramente letto e amato in vita sua: il
Manuale delle Giovani Marmotte.
Fatto che può sorprendere chi non li
conosce, gli ingegneri sono dotati di un grande senso dell'umorismo. Lungi dal
renderli il fulcro di una serata, però, questo «dono» li isola ulteriormente
dal resto del mondo.
Le battute sulle
Serie di Fourier, infatti, sono divertentissime, ma quando solo altre due
persone nella tua città sono in grado di capirle, il senso dell'umorismo è un
ben misero dono.
E così, quando a
fine cena scatta il momento delle barzellette, l'ingegnere si rabbuia,
chiudendosi in se stesso, alla disperata ricerca di una barzelletta
comprensibile o, peggio ancora, cercando di adattarne una al livello culturale
dei commensali. In entrambi i casi è meglio sorvolare sul risultato.
Per dovere di
cronaca, riportiamo una delle più divertenti barzellette mai raccontate da un
ingegnere.
«C'è una festa di
funzioni. Il Logaritmo parla con x2, Cos(X) sbircia nella scollatura
di Sen(x), Tangente di x cura i suoi affari. Tutti si divertono un mondo, tranne
ex, che se ne sta sola soletta in un angolo. Sen(x) le si avvicina e
le dice: «Dai, non stare lì tutta sola, vieni a parlare con noi, integrati!».
«Eh, tanto è lo
stesso ... ».
Nota: poiché non c'è
niente di peggio che spiegare una barzelletta, l'autore si rifiuta di farlo.
Ancora più
sorprendente, vista la nomea di noiosità che si portano dietro, è che nelle
barzellette sugli ingegneri venga loro attribuito il ruolo del furbo/simpatico,
quello che era riservato all'italiano nelle storielle con l'inglese e il
francese.
Certo, in queste
barzellette l'ingegnere va in giro con un fisico e un informatico e non ci vuole
molto a svettare in una simile compagnia, ma resta la soddisfazione dell'essere
considerato bene.
A titolo di esempio:
Un ingegnere, un
fisico e un informatico fanno un viaggio in auto. A un certo punto l'auto si
blocca.
L'ingegnere: «Prima
ho sentito un rumore strano. Secondo me si è rotta la cinghia dell'alternatore,
dovremmo provare a sostituirla».
Il fisico: «Hmmm,
secondo me si è surriscaldato il motore, dovremmo aggiungere dell'acqua nel
radiatore».
L’informatico: «Perché
non proviamo a uscire e rientrare?».
Se invece prova ad
aggirarsi da solo nel mondo delle barzellette, il nostro eroe non fa una gran
bella figura:
Durante la
rivoluzione francese, tra i condannati alla ghigliottina c'è anche un
ingegnere. Prima di lui devono però essere giustiziati un nobile e un frate.
Il nobile sale sul
patibolo e il boia gli chiede: «Vuoi essere giustiziato con la faccia in giù o
rivolta verso il cielo?».
«Sono di sangue
reale! Noi non chiniamo mai il capo!» e si sistema a faccia in su. Parte la
lama e ... stonk! si blocca a pochi centimetri dal collo. «Che quest'uomo vada
libero! » ordina l'ufficiale che dirige le esecuzioni.
Tocca al frate: «Vuoi
essere giustiziato con la faccia in giù o verso il cielo?» chiede ancora il
boia. «Voglio guardare il cielo, dove sta Nostro Signore» e anche lui si mette
a faccia in su. Di nuovo la lama scatta e... stonk! Ancora una volta si ferma
prima del collo del frate. ~<Che quest'uomo vada libero! » ripete
l'ufficiale.
Per ultimo sale
l'Ingegnere. Solita domanda cui anche l'Ingegnere risponde «verso l'alto».
Il boia sta per
calare la mannaia... «Alt!» grida l'ingegnere. «Fermi tutti, ho trovato il
guasto! ».
E’ opinione diffusa
che l'ingegnere non badi molto al proprio aspetto e si vesta in base a due soli
principi: evitare la morte per congelamento ed evitare l'arresto per offesa al
pudore. In realtà, analizzando più attentamente il look di un ingegnere, si
nota non una totale assenza di cura e gusto, bensì un'attenzione al proprio
abbigliamento «a digradare», dall'alto verso il basso, che riflette la
disattenzione crescente con cui l'ingegnere si esamina allo specchio.
Pettinatura normale,
ben rasato, gli occhiali potrebbero addirittura essere di Armani. La giacca è
decente e la cravatta non ci sta poi così male (anzi, per una coincidenza
fortuita, una delle paperette riprende il colore della giacca). Con la camicia
iniziano le prime discordanze cromatiche. Indossati pantaloni e cintura, sempre
gli stessi indipendentemente da cosa porta sopra, l'ingegnere perde ogni residuo
interesse al tema «abbigliamento» e si arriva così all'orrore finale: i
calzini, sfidando qualsiasi legge della probabilità, non sono mai in tinta con
il resto dell'abito e talvolta neppure fra loro.
...beh le scarpe
devono solo essere comode e calde; a questo proposito è solo un ultimo barlume
di self-control che impedisce all'ingegnere di presentarsi al lavoro calzando
dei moon-boot.
Essendo una persona
colta e intelligente, conversare con un ingegnere sarebbe un'esperienza
piacevole, se non fosse per la sua mania di voler sempre spiegare tutto a
chiunque. Nei cromosomi dell'ingegnere è infatti scritto a chiare lettere il
desiderio di migliorare l'umanità. Per questo motivo egli è tecnologicamente
incontinente.
Tenere per sé le
proprie conoscenze gli sembra un atto di egoismo inconcepibile ed è facile
trovarlo intento a spiegare le basi teoriche della fissione nucleare a
un'allibita platea di zie poco competenti e ancor meno interessate. Il genere di
argomenti affrontati fa di lui un oratore incontrastato: quando attacca a
spiegare l'albero a camme la platea si paralizza per paura che un colpo di
tosse, un movimento del capo o un barlume di vita nell'espressione possa essere
scambiato per un segno di interesse e interpretato come incoraggiamento ad
andare avanti.
Insomma, l'ingegnere
è vinto dalla paura che gli altri possano non capire, che possano
malinterpretare qualcosa. Per questa ragione spiega ogni sua idea, e dopo averla
spiegata la rispiega, cercando di renderla più semplice con l'ausilio di esempi
pratici. Quello che voglio dire è che un ingegnere, preso dalla smania di farsi
capire, perde un po' di vista la realtà e si incaponisce nella spiegazione e
rispiegazione di concetti ormai chiarissimi, inframmezzando il discorso con un
repetitajuvant ogni tre frasi, e se qualcuno non lo fermasse egli potrebbe anche
andare avanti all'infinito, perché secondo lui...
L’ingegnere è un
gran curiosone. Come al Solito, questa sua caratteristica non è rivolta verso
la vita di tutti i giorni: a lui non importa sapere con chi si è messo il tale
o con chi ha litigato il tal altro. La sua curiosità è rivolta al mondo degli
oggetti. Egli cerca sempre di capire come funzionano le cose.
Appena ha un attimo
libero, prende un apparecchio, lo smonta tutto e dice: «Aah, ecco come
funzionava».
Da notare il corretto
uso del passato, visto che nove volte su dieci il pezzo non tornerà mai più
quello di una volta. L’ingegnere è a tal punto assorbito dalla magia dei
funzionamento che, anche di fronte a un apparecchio mai visto, egli non si
chiede: «A cosa serve?», ma «Come funziona?».
Diretta conseguenza
di questa deformazione mentale è, sul lavoro, la produzione di complicatissimi
marchingegni che funzionano perfettamente ma non servono a una mazza.
Gli psicologi
avrebbero buon gioco nel risalire alle cause di questo comportamento: tutto
nasce da una bugia detta da bambino quando, dopo aver irrimediabilmente rotto la
radio, l'ingegnere in erba dice al papà «Volevo capire come funzionava». La
reazione del padre, che si commuove e lo porta a esempio con i parenti, gli fa
capire che quella è la strada giusta: è nato un nuovo smontatore folle.
Per lo stesso motivo,
l'ingegnere è facilmente riconoscibile quando porta la macchina dal meccanico o
chiama il tecnico della caldaia, perché si piazza immediatamente alle sue
spalle per vedere cosa fa, tempestandolo di domande sul funzionamento di ogni
singolo pezzo, cercando di aiutarlo ma, di fatto, rendendogli il lavoro ancora
più complicato.
Il riso abbonda sulla
bocca degli stolti, si sa. A puntuale riprova di questo detto, la maggior parte
delle invenzioni, anche quelle che hanno cambiato il mondo, sono state accolte
da scetticismo e manifestazioni di scherno.
Dei primi treni, che
«sfrecciavano» a 25 km/h nelle campagne inglesi, si diceva che andavano troppo
veloci, mentre delle prime automobili si disse che non avrebbero mai potuto
sostituire il cavallo. Il direttore generale del Ministero delle Poste americano
definì «completamente idiota» l'idea dell'illuminazione elettrica, mentre il
suo collega inglese rifiutò il telefono perché c'erano già abbastanza
fattorini.
Insomma, gli
ingegneri sono abituati a scontrarsi con l'ottusità dei loro finanziatori e non
vi prestano neanche più attenzione.
Per loro il problema
è un altro. Come delle Cassandre tecnologiche, essi vedono il futuro e
abbracciano con entusiasmo qualsiasi novità, purché contenga almeno 30
microchip e un'ottantina di funzioni automatiche. Il dramma è che, in quanto
precursori, si trovano da soli in un deserto di persone scientificamente
primitive e non sanno con chi condividere le gioie del progresso.
Si pensi al dramma di
chi comprò il primo televisore (sicuramente un ingegnere) e si ritrovò a
fissare per mesi uno schermo con scritto «prova», tentando di convincere i
propri amici di aver fatto un buon acquisto. Oppure la situazione in cui si sono
venuti a trovare Meucci, Bell e Popov, uno italiano, uno americano e uno russo,
ognuno dei quali sostenne di aver inventato il telefono. Indipendentemente da
chi ebbe l'idea per primo, è certo che i tre potevano solo telefonarsi tra loro
(«oh, squilla il telefono. Suspense. Sarà Bell oppure Popov?»), non capendo
niente di quello che si dicevano e spendendo milioni in telefonate
intercontinentali.
Ciò nonostante, la
sola idea di poter dire « io ho comprato il primo computer» manda gli
ingegneri in solluchero ed è per questo che, nelle soffitte delle loro case, è
facile trovare cumuli di inutilizzatissimi quanto costosi videotelefoni,
televisori a schermo largo e videoregistratori betacam, tutti idealmente
accomunati dal pensiero «Chissà come mai non hanno avuto successo?
Funzionavano così bene ... ».
Per motivi oscuri, un
sacco di gente adora pronunciare la parola ingegnere. Chi lo è, può stare
sicuro che tutti glielo ricorderanno continuamente, facendo squillare gaiamente
questo appellativo ogni volta che lo incrociano. «Buonasera Ingegnere!
Buongiorno Ingegnere! » non scorderanno mai di precisare il vicino di casa, il
benzinaio, il meccanico, l'edicolante... mentre nessuno al mondo si rivolgerebbe
a un laureato in un'altra disciplina scientifica con un cordiale: «Buongiorno
Fisico!» o «Buongiorno Matematico! ».
E questo nonostante
la qualifica di ingegnere non corrisponda affatto a un mestiere (gli ingegneri,
notoriamente, sono in grado di fare qualsiasi lavoro, perché quello che conta
è la «struttura mentale») ma semplicemente a una laurea.
Insomma, per colui
che un tempo si chiamava Andrea, Guido o Matteo, «ingegnere» diventa una sorta
di marchio indelebile che lo accompagnerà fino alla morte, che faccia un vero
lavoro da ingegnere o che sia disoccupato, che sia in pensione o che abbia
completamente cambiato mestiere («Devo andare a farmi otturare un molare dal
mio ingegnere»).
A uso degli
ingegneri, possiamo provare a individuare le tre principali motivazioni di un
simile comportamento. Una persona ti chiamerà ingegnere se:
>Non si ricorda
come ti chiami (Esempio tipico: il capo quando fa il giro degli uffici con un
cliente importante: «Le presento... ehm... il nostro ingegnere»).
>Ti sta prendendo
per il culo (i vicini di casa, il giorno dopo l'iscrizione all'università: «Allora,
come sta il nostro ingegnere?»).
>Sta cercando di
fregarti (il fotografo che ti salta addosso appena hai messo piede fuori
dall'aula magna, mezzo secondo dopo esserti laureato. «Ingegnere, lo vogliamo
prendere il ricordo della tesi? Sono solo 250.000 lire per quattro foto, un vero
affare»).
Se nel campo della
tecnologia l'ambiente degli ingegneri è sempre all'avanguardia, in quello dei
rapporti sociali fatica a restare al passo coi tempi. Un ottimo esempio è la
condizione delle donne ingegnere, in troppi casi ferma al periodo
pre-femminismo. Per affermarsi, la donna ingegnere deve infatti lottare contro
una lunga lista di stereotipi.
Qui, obiettivamente,
c'è poco da lottare: o si è belli o non lo si è. D'altro canto gli ingegneri
uomini non sono proprio degli adoni, quindi dovrebbero stare zitti.
Il sogno di molti
uomini è ricreare all'interno degli ambienti ingegneristici una situazione
simile a quella dei varietà tv: vecchiardi brutti e grassi che comandano,
affiancati da silenziose bonazze in tanga. Per la parte maschile il risultato è
raggiunto. Per quanto riguarda le donne, nonostante siano sempre di più quelle,
anche carine, che si iscrivono a ingegneria, sembrerebbe più difficile
convincerle a mettersi le mutande di paillettes e fare un balletto prima di
presentare il loro ultimo progetto.
E’un sentire comune
che l'ingegneria sia una branca della scienza riservata agli uomini, che solo a
essi possano interessare turbine, transistor e diagrammi a flusso. Pertanto, se
una donna prova ad affrontare queste materie, viene subito tacciata di
mascolinità. Si tratta di un pregiudizio palesemente infondato; sarebbe come se
dicessimo che gli uomini a cui piace la danza sono tutti effeminati (ehm, forse
non è un buon esempio ... ).
Un'altra meschina
insinuazione, del tutto priva di fondamento. Anzi, alle ragazze è richiesta più
determinazione, poiché quando chiedono colloquio il professore non le guarda
mai negli occhi. Per prepararsi all'esame e simulare le condizioni reali,
inoltre, le ingegnere fanno l'ultimo ripasso in compagnia di un bull dog: da uno
studio condotto sui professori, infatti, risulta che in corrispondenza
dell'interrogazione di una ragazza la produzione di bava aumenta del 400%.
Insomma, vita dura
per una donna e ancora lunghi passi da percorrere prima di essere considerata
alla pari. Prova ne è che non esiste neppure un termine ufficiale per
definirla: ingegnera? Ingegnere? Ingegnere donna? Ingegneressa?
L’ingegnere è una
figura poliedrica, che si occupa un po' di tutto. Ecco una breve guida per
districarsi nei meandri dell'ingegneria, con un'avvertenza: nove volte su dieci
il lavoro effettivamente svolto da un ingegnere non ha niente a che vedere con
il suo titolo di studi.
Esperto di razzi e
turbine, si è iscritto a Ingegneria dopo aver visto mille puntate di Star Trek
e si è laureato con una tesi sull'Alabarda Spaziale. E’ grazie a lui che
Goldrake può trasformarsi in un razzo missile, con circuiti di mille valvole.
In teoria il suo
compito sarebbe quello di rimediare ai disastri ecologici combinati dai suoi
colleghi chimici, meccanici, nucleari ecc. In realtà si distingue da essi perché
studia e lavora in ambienti pitturati di verde e nel computer ha uno
salvaschermo con le margheritine.
Lavora nel campo
delle protesi, suscitando risolini e ilarità ogni qualvolta confessa la sua
professione.
E un po' il «carabiniere»
di Ingegneria. Di lui si dice che chi ha difficoltà con gli studi a ingegneria
cambia facoltà. Chi proprio non ce la fa, torna a ingegneria e si iscrive a
chimica.
Quello che costruisce
case, cavalcavia, ponti ecc. A causa di un malinteso sull'etimologia della
propria specializzazione, gli ingegneri civili si sforzano in ogni occasione di
essere educati, di parlare a voce bassa, di non mettersi le dita nel naso...
Ha costruito la sua
vita attorno al primo principio dell'informatica:
«Quando qualcosa non
funziona, esci e rientra». Si è pure laureato cosi: ogni volta che veniva
bocciato? usciva dall'aula e rientrava immediatamente. E piuttosto facile
sbarazzarsi di lui a una festa. Basta dirgli: «Ehi si è rotto l'impianto
elettrico» e sprangare la porta alle sue spalle non appena esce di casa.
E’ il discendente
diretto dell'ingegnere elettronico (ormai sorpassato), che aveva costruito la
sua vita attorno al primo principio dell'elettronica: «Quando qualcosa non
funziona, dai una botta sul televisore» (che i più integralisti applicavano
alla lettera, dando una botta sul televisore anche quando era guasta la
lavatrice).
Si tratta di un
banalissimo “quasi ingegnere”
elettro-chimico-civil-informat-meccanico che, per aver superato tre esami di
economia, crede che il suo primo impiego sarà quello di Vicedirettore Generale
alla Fiat. Dopo la laurea lo aspetta un duro risveglio. Al Politecnico quando
qualcuno gli chiede “che fai?” “gestionale!!”, segue l’immancabile:
“ah, ma allora tu non fai ingegneria…”
Il suo miglior amico
non è un uomo, né un cane, ma la tavola periodica degli elementi, che egli si
diverte a mischiare come un disk jockey pazzo per ottenere materiali sempre
nuovi e, soprattutto, sempre più utili. A chi gli chiede perché l'oro è
prezioso risponderà «Perché è un ottimo conduttore». Tra i suoi maggiori
exploit ricordiamo l'uso del piombo per le tubature dell'acqua potabile e la
creazione del cancerosissimo Eternit, (per fortuna tolto di mezzo dopo pochi
decenni dalla sua introduzione sul mercato) il cui inventore è il trionfatore
del concorso «il nome più azzeccato della storia».
E un po' il tuttofare
dell'ingegneria, è la “memoria storica del Politecnico” ma
non è specializzato in niente, anche se sa (o dovrebbe sapere) fare un
mucchio di cose.
Vive accompagnato
dalla maledizione di dover sentire sempre la stessa battuta ogni volta che gli
si guasta la macchina. «Ma perché non te la ripari da solo? Non sei un
meccanico?».
Una delle prime
specializzazioni ingegneristiche della storia. L’inventore della zattera,
della canoa,
del sommergibile, del
transatlantico e del mal di mare.
«Iscriviti a
ingegneria avrai un lavoro assicurato ed interessante. Sarai ricercatissimo».
Provate a dirlo a quelli che si sono laureati in ingegneria nucleare nel 1986,
pochi mesi prima dei referendum che, di fatto, hanno seppellito la professione
sotto uno strato di cemento più spesso di quello sotto cui è sepolto il
reattore no 4 di Chernobyl. Da allora, il problema del nucleare in Italia si
chiama riconversione delle centrali, delle scorie e degli ingegneri nucleari, la
cui professionalità è oggi richiesta come una villetta a Mururoa.
Questa sua tendenza a
ficcare il naso in tutti i rami dello scibile ha spesso causato attriti con gli
specialisti dei singoli settori: nell'antichità c'erano problemi con i
matematici e i filosofi, poi con gli alchimisti, quindi con i generali.
Oggigiorno l'ingegnere gestionale contende i ruoli da Top Manager agli
economisti bocconiani e, con l'invenzione della biomedica, è addirittura
riuscito a infilarsi in sala operatoria. Ma la rivalità più radicata, che
continua anche al giorno d'oggi, è quella con gli architetti.
Ottimi argomenti a
favore di questi ultimi è che vestono meglio, guadagnano di più e soprattutto
bazzicano in ambienti in cui si incontrano molte più donne, perenne causa di
migrazione degli ingegnerini in pausa pranzo, che vanno al bar di architettura
«perché i panini sono più buoni».
Per contro, se risaliamo nel tempo fino a scivolare nel mito, vediamo che l'Arca di Noè è senz'altro un grande successo dell'Ingegneria navale, mentre la Torre di Babele è un patetico fallimento ispirato dall'arroganza degli Architetti, da sempre definiti come personaggi “non abbastanza froci per fare gli stilisti, né abbastanza uomini per fare gli ingegneri..!”