Tertulliano

DE IDOLATRIA

Traduzione di Gino Mazzoni, 1934.

CAPITOLO I.

Tutte quante le colpe hanno come loro base l'idolatria.

La colpa principale del genere umano, Terrore più grave nel mondo, e ogni ragione di riprovazione e di condanna risiede nell'idolatria. Perché, sebbene qualunque fallo abbia un suo determinato carattere e sia soggetto a giudizio con una sua denominazione speciale, tuttavia va ricollegandosi all'idolatria : i nomi non hanno importanza, consideriamo i fatti. L'idolatra è anche omicida. Tu mi chiedi: e chi uccide? Se in qualche cosa l'affermazione contribuisse ad una certa considerazione maggiore della cosa, potremmo anche dire che l'idolatria non uccide persona estranea o nemica, ma i suoi più fedeli; con quali insidie? con quelle provenienti dal suo errore; con quale arme? coll'offesa che costoro recano a Dio; con quante ferite? con quante manifestazioni idolatre essi faranno. Chi può sostenere che un idolatra non sia un uomo perduto, egli negherà pure che abbia commesso omicidio. E in lui puoi riconoscere ugualmente l'adulterio, lo stupro; e chi infatti segue gli Dei falsi e bugiardi, non è forse un adultero di un principio di verità? ogni falso è in certo modo qualcosa che rientra nella colpa, di adulterio. L'idolatra cade poi anche in ciò che sia bestiale violenza. Chi tratta con spiriti immondi e riprovevoli, non ne viene ad essere macchiato, inquinato, corrotto? e perciò appunto le sacre scritture si servono delia parola stupro, allorché vogliono gettare tutta la loro riprovazione e disprezzo sull'idolatria. Io penso che si debba parlar di frode quando qualcuno toglie l'altrui o se nega a taluno ciò che gli è legittimamente dovuto; e non v'è dubbio che venga considerata gravissima colpa quella d'esercitare frode contro taluno. Ma si noti che l'Idolatria fa oggetto della sua frode Iddio; nega a questi gli onori che gli sono dovuti; e li trasporta in altri esseri e in tal modo congiunge la frode all'offesa. E se la frode, lo stupro, l'adulterio recano la morte dello spirito, ne consegue che anche nei riguardi di essi, l'Idolatra non possa in alcun modo liberarsi dall'accusa di omicidio. Ma c'è di più; che dopo tali colpe, così rovinose e terribili, e che costituiscono la fine d'ogni principio di salvezza, nell'idolatria compaiono, si schierano tutte le altre, in massa, e le puoi anche considerare partitamente ad una ad una: ogni desiderio mondano trova suo appagamento nell'idolatria, come infatti possiamo pensare manifestazione idolatra senza splendore di ornamento e fulgore di appa-rati? in essa si riscontrano tutte le specie di colposi abbandoni e di incontinenze; moltissimo devono il loro favore al desiderio di sfrenatezze che si verifìcano nel cibo e nelle bevande. Trova in essa sua sede la vanità, tutto si basa su questa infatti; in essa l'ingiustizia, e che cosa più ingiusto di ciò che non riconosce colui che d'ogni giustizia è padre e maestro? in essa tutto è menzogna, tutto è un tessuto di falsità: ogni colpa è cosa contraria a Dio, e ciò che è avverso alla divinità, ne viene di conseguenza che sia addetto a potenze malefiche e demoniache alle quali appunto sono soggetti gli idolatri: chi dunque commette colpa, incappa nell'idolatria, perché appunto fa quello che si riporta a chi riconosce gli idoli ed è ad essi soggetto.

CAPITOLO II.

Varie sono le specie d'idolatria.

Le varie denominazioni delle colpe rispecchiano il carattere dell'errore e dell'umano traviamento; il suo nome solo, dunque, indica bene l'essenza della idolatria; questa denominazione, che suona qualcosa di tanto contrario a Dio, le basta. È poi in essa tanto copiosa la messe delle colpe, e stende così ampiamente le sue propaggini, e si diffonde m tante direzioni diverse, che io appunto vorrò considerare in quanti modi purtroppo si debba cercare di sfuggire all'idolatria, che ha così ampie e profonde radici: poiché in diverse guise sovverte i servi di Dio, non solo allorché non se ne conosce la forza, ma bensì quando si cerca di dissimularla e di nasconderla. La maggior parte pensano che per idolatria si debba solamente intendere quell'insieme di atti che risultano o dall'abbruciare incensi, o dal compiere sacrifici o dal fare offerte e voti, o credono che l'idolatria si leghi m certo modo ad alcune cerimonie sacre o si compenetri con funzioni e riti sacerdotali: sarebbe lo stesso che credere che il fatto dell'adulterio consistesse unicamente nello scambiarsi testimonianze d'affetto, nella poesia del bacio e dello stringersi al petto la persona che s'ama, e magari nella comunione materiale dei sensi; e lo stesso si può dire dell'omicidio, se taluno credesse che fosse solo nello spargimento del sangue e nello strappare così l'anima dal corpo. Ma noi possiamo esser certi come Iddio consideri questi atti con molta maggiore estensione: nella sola concupiscenza può stare l'adulterio: basterà che taluno volga avidamente il suo sguardo su chicchessia, se sentirà un fremito occulto attraverso il suo spirito, costui avrà commesso adulterio; per l'omicidio si potrà dire che il principio risiede in ogni parola che suoni offesa ed ingiuria, in ogni impeto d'ira e di sdegno, nella trascuratezza d'ogni sentimento di carità verso il fratello, e come dice Giovanni (1), potremo affermare che omicida sia chiunque nutra senso d'odio verso un fratello. In caso diverso, consisterebbe in ben poco l'astuzia diabolica in tutto il campo del male e, d'altra parte, la saggezza di Dio, colla quale ci fornisce le armi di difesa contro la grande e vastissima opera insidiosa del demonio, sarebbe forse soverchia, se noi dovessimo soltanto essere giudicati per colpe gravi, per le quali sono sancite pene e stabilite sanzioni anche presso tutte le genti. E in che cosa poi consisterebbe la nostra giustizia e la bontà nostra e in che supererebbe quella degli Scribi o dei Farisei (2), come il Signore ebbe a dire, qualora noi non penetrassimo in tutta l'estensione, nell'intelligenza di quel potere che è ad esse contrario, cioè il principio dell'ingiustizia? (3). E se l'ingiustizia è pur vero che trovi sua base nell'idolatria, in primo luogo è doveroso che noi ci premuniamo contro ogni principio d'idolatria, in tutta la sua |102 ampiezza di manifestazioni, pronti a vederla, a riconoscerne i segni, anche m ciò che non possa apparire da essa ispirato e dominato.

CAPITOLO III.

Origine dell'idolatria.

Se noi volgiamo il nostro sguardo indietro, una volta non esistevano idoli. Prima che venissero fuori i creatori di questa mostruosa credenza, i tempii erano solitari e deserti; i luoghi sacri semplici e nudi, come anche al giorno d'oggi restano avanzi di un mondo che fu, ma nella loro semplice grandiosità. Ma tuttavia anche allora l'idolatria vigeva, sia pure non sotto questa denominazione, ma cogli stessi caratteri e collo stesso processo: perché anche oggi, infatti, si può seguire l'idolatria e non frequentare templi e non usare idoli. Allorché gli artefici per opera diabolica formarono figure varie e molteplici, dagli idoli prese nome questa primitiva e rozza occupazione per nostra sventura inventata, e quindi ogni arte che in certo modo riproducesse statuette, immagini, fu la base, il fulcro d'ogni principio e idea idolatra: non importa mica se le figure le formi un semplice plasmatore, o se le rappresenti un cesellatore o un altro artista di alta perfezione: non ha valore neppure la materia di cui l'idolo sia formato, se di gesso, se a colori, se di pietra, di bronzo, d'argento o magari di filo. Dal momento che nella colpa d'idolatria s'incappa anche senza idoli, quando ridolo esiste non può costituire differenza qualunque esso sia o di qualunque materia sia esso formato; e questo, perché non vi sia qualcuno che possa credere che di idolo si debba parlare, quando soltanto abbia faccia umana. Osserviamo la spiegazione della parola: ei]doj; : èidos in Greco suona come la parola latina forma; facendo il diminutivo di ei]doj : èidos abbiamo ei]dulon : éidolon, idolo, ciò che presso noi risponderebbe ad una parola: formula. Quindi ogni figura o figurina vuole essere chiamata idolo; e idolatria di conseguenza si disse l'ossequio, la sottomissione ad ogni idolo. Quindi chiunque fosse il costruttore di immagini, è colpevole dello stesso errore, almeno che non si voglia sostenere che poco peccò d'idolatria quel popolo che consacrò e adorò il simulacro di un vitello, e non quello di un uomo (4).

CAPITOLO IV.

È severamente proibito dalle sacre scritture la formazione e l'adorazione degli idoli.

Iddio pone una proibizione assoluta, tanto nel costruire idoli, quanto alla loro adorazione; come infatti è in primo luogo giusto che si debba fare quello che dopo debba essere oggetto di culto, così non è opera giusta, fare prima quello che in un secondo momento non debba esser venerato, né riconosciuto sacro.

Proprio per questa ragione: per sradicare ogni principio, ogni ragione dell'idolatria così bandisce la legge divina: non fare idoli; e aggiunge: né alcuna altra cosa a immagine e somiglianzà di quelle che sono nel cielo, sulla terra o in mare. Enoch (5) aveva pure in un primo tempo predetto che tutti quanti gli elementi, ogni organismo di vita della terra, tutto quanto e il cielo e la terra e le acque racchiudessero, le forze demoniache e gli spiriti degli angeli ribelli avrebbero convertito in potenze in servigio dell'idolatria, perché fossero poi adorate come divinità, in odio e contro il vero Dio. E l'uomo, nel suo errore, adora tutte le cose e non adora invece chi di esse ne è il creatore primo: le immagini loro sono idoli; la loro consacrazione, il loro riconoscimento, idolatria. Qualunque colpa risieda nel principio idolatra, ricade necessariamente su qualsiasi artefice che pure abbia costruito un idolo qualsiasi. Lo stesso Enoch condanna già prima che essi si manifestassero, gli adoratori e i fabbricatori degli idoli. Ed in altro punto soggiunge: Io vi giuro, o peccatori, che nel giorno del sangue e della dannazione, per voi sta preparato il castigo, voi che fate oggetto di culto le pietre, che vi fate immagini d'oro e di legno e di pietra e di terra cotta; voi che prestate fede ad immagini false, e indulgete a potenze demoniache, a spiriti malvagi ed infami; che seguite tutti gli errori; non ascoltando nessun principio di scienza: vano sarà l'aiuto che vi attendete da quelli. Isaia (6) poi, così dice: Voi stessi siete testimoni se iddio sia fuori di me. Ma che forse allora non v'erano coloro che scolpivano, e intagliavano? Erano però evidentemente vani coloro tutti, che provavano soddisfazione nel fare per loro quelle figure che non avrebbe dovuto giovare a nulla: e continua così, in tutta quella sua invettiva, a colpire quelli che fabbricavano gli idoli e chi prestava loro atto di ossequio: osservate bene, che questa è la conclusione: è terra e cenere quello di cui essi sono fatti; non v'è nessuno di quegli Dei che sia nella possibilità di liberare il proprio spirito ed innalzarlo nei cieli. E David in questo stesso motivo così ebbe a dire: Tali possano divenire coloro che li fabbricano. E che cosa dunque dovrei andar ricordando ancora, data anche la mia modesta memoria? a che andrò ricercando passi tolti dalle sacre scritture? Come se non fosse sufficiente la voce dello Spirito Santo e fosse proprio necessario considerare e stabilire se il Signore abbia maledetto e condannato, prima, gli artefici di quelle divinità, delle quali poi esplicitamente maledice e condanna gli adoratori!

CAPITOLO V.

Ma pure si potrebbero trovare obiezioni favorevoli ai fabbricatori di idoli;
ma Tertulliano ribatte energicamente qualsiasi eventuale tentativo di difesa.

Con molta diligenza e in modo esauriente, risponderemo alle scuse che questi fabbricatori di idoli potrebbero portare: se qualcuno intende bene lo spirito della dottrina cristiana, non sarà mai che possa loro aprire la via per arrivare al Signore. La parola che si suole sopratutto portare a scusante è questa: non ho altro mezzo con cui scampar la vita; venendo però ai ferri corti si potrebbe ribattere; ma insomma: intanto tu puoi vivere! Se vorrai però campare a modo tuo, che cosa allora potrai dire di avere di comune con Dio? Ma c'è di più: si ha l'ardire di venire a discutere con tanto di sante scritture alla mano e ci si riferisce a quel passo di S. Paolo (7) in cui par che si affermi che ciascuno se ne resti in quello stato in cui era, quando si fece cristiano: ma allora, secondo tale interpretazione, tutti noi potremmo perseverare nelle colpe: non c'è mai stato nessuno di noi libero da colpe; Cristo non scese sulla terra che per liberarci dai gravami del peccato. Nello stesso modo, vanno dicendo che lo stesso apostolo abbia precisamente comandato, che seguendo il suo esempio, ciascuno si dovesse procurare i mezzi di sussistenza col proprio lavoro: (8) ma se tale precetto si vuol sostenere ad ogni costo, io mi penso che anche i ladri, i giocatori, vivano né più, né meno, col lavoro delle loro stesse mani; ed anche gli assassini trovano il modo di menar l'esistenza a forza di mani.... e i falsari, allora? non è coi piedi, ma colle mani che falsano ed alterano le scritture; e gli istrioni non colie sole mani, ma con tutto il corpo, che essi mettono in moto, si sforzano di raccapezzare la vita. La Chiesa deve perciò tendere le sue braccia a tutti coloro che traggono la loro vita dal lavoro delle proprie mani, qualora però non sia implicita una esclusione per tutte quelle forme di attività che non sono conciliabili colla disciplina di Dio. Ma qualcuno potrà dire contro l'asserto dei pensieri superiormente espressi : perché dunque allora Mosè nel deserto fece di bronzo il simulacro del serpente? Lasciamo da parte le figurazioni, le quali erano preordinate, prestabilite secondo un processo misterioso e impenetrabile; non mica per allontanarsi dalla legge, ma come per essere immagini del principio che legittimamente rappresentavano. Ma se noi a queste cose dessimo un'interpetrazione come la potrebbero dare gli avversari nostri, allora a somiglianzà dei Marcioniti (9), noi forse dovremmo attribuire all'onnipotente la qualità della non fermezza e saldezza di giudizio? costoro, proprio così, ne distrussero l'essenza e l'integrità, come mutabile, appunto, pensandolo; chè qui proibisce, e là comanda. Se qualcuno poi non volesse concedere che quell'effige di bronzo fatta a guisa di un serpente sospeso così nell'alto, denotasse l'immagine della croce del Signore che ci doveva liberare dai serpenti, cioè dagli spiriti diabolici e che su di essa pendeva appunto ucciso il serpente, cioè il diavolo, oppure fosse la rappresentazione figurata di un altro principio rivelato a persone più degne e meritevoli; sarebbe in ogni modo sufficiente l'Apostolo, il quale afferma che tutto ciò è accaduto al popolo Ebraico, sotto il velame del simbolo e che Dio stesso, che pur proibì di fare immagini, comandò con un precetto straordinario, che si facesse un'effige di serpente. Se intendi fare atto di ossequio a Dio, tu intendi appunto la sua legge: non fare simulacri; ma se ti vien fatto di ripensare all'immagine del serpente che fu prescritta, imita anche tu Mosè: non fare, quindi, contro ogni dettame della sacra legge, simulacro alcuno, almeno che non ti venga comandato.

CAPITOLO VI.

Dal solo sacramento del battesimo si deduce quanto sia ripugnante ai principî della fede fabbricare idoli.

Qualora non ci fosse alcuna legge divina che ci vietasse la costruzione d'immagini idolatre; se nessuna voce dello Spirito Santo facesse sentire parola di minaccia non minore per chi fabbrica idoli, che per coloro che prestano ad essi ossequio di colto, basterebbe il solo sacramento del battesimo ai principî della fede nostra. Come potremo sostenere noi d'aver rotto ogni nostra relazione col demonio e coi suoi spiriti malvagi, se siamo noi in persona che li facciamo? Come potremo dire d'aver dato loro una repulsa, se è proprio con loro che viviamo, anzi se è da loro che conduciamo la vita nostra? Quale discordia possiamo dire che esista fra noi e costoro, ai quali riconosciamo d'esser legati, per il soddisfacimento delle nostre necessità di vita? Ciò che tu vieni a riconoscere materialmente, come opera delle tue stesse mani, come è possibile che tu lo possa negare colla parola? quel che in realtà fai, come puoi mai distruggerlo colla tua bocca? tu costruisci una quantità di Dei e potrai poi sostenere l'esistenza di un solo? puoi tu parlare di un Dio vero, quando tu ne fabbrichi tanti che sono falsi? Uno potrebbe dire: ma io li fo, ma non sono per me oggetto di adorazione: quasi che la cagione per la quale non osa costui di farne oggetto di culto, non sia la stessa che dovrebbe impedire di costruirli, cioè quella di non offendere Iddio, che in ambedue i casi invece viene ad essere offeso. Al contrario poi, sei proprio tu che li adori, tu che fai in modo che essi possano divenire oggetto di culto; ed anzi non è neppure il caso che tu li adori innalzando ad essi l'effluvio di un profumo qualsiasi, più o meno disprezzabile; ma è colla tua anima proprio che li adori; col tuo spirito; non è la questione di un sacrificio di un animale. Tu immoli a costoro l'ingegno tuo, tu offri il tuo sudore, tu consacri loro la tua abilità: tu sei per essi più che un sacerdote, dal momento che sei tu che procacci loro un sacerdote: dalla tua abilità nasce, proviene la divinità loro. Tu neghi d'adorare quel che vai plasmando colle tue stesse mani? Ma son loro che non pensano di negarlo, dal momento che tu vai sacrificando ad essi la vitti' ma più grassa, più indorata, la maggiore fra quante caddero nella cerimonia di rito; cioè la salute tua, la tua salvezza, il tuo bene.

CAPITOLO VII.

E che cosa la fede potrebbe dire contro tanta aberrazione nei riguardi degli idoli?

Sotto questo aspetto, in ogni giorno, la fede, nel suo zelo, farà sentire alta la sua parola di protesta e si addolorerà vedendo giungere nella sua chiesa un cristiano impigliato in certi caratteri anche formali d'idolatria. È lo stesso che venire nella casa di Dio, dalla bottega del suo nemico e avversario; e sollevare a Iddio padre, quelle mani che furono pure madri di immagini idolatre; fare atto di adorazione con quelle mani che fuori sono causa di adorazioni contrarie al vero Dio; accostare al corpo del Signore quelle mani che formano i corpi dei demoni. E non basta questo: sarebbe ancor poco se ricevessero dalle mani d'altri, ciò che essi contaminano e guastano, ma sono loro stessi che danno agli altri quel che essi hanno già contaminato, perché i fabbricatori di idoli s'ammettono negli ordini ecclesiastici. Quale vergogna ed obbrobrio! I Giudei una volta sola osarono alzare le mani sopra il Cristo; costoro invece insultano ogni giorno il corpo di lui. O mani che dovrebbero esser mozzate! Vedano costoro ormai se sia il caso di pensare che quelle parole del Vangelo (10) siano state pronunziate così, proprio per qualche cosa di somigliante: se la tua mano si rende colpevole e ti scandalizza, tagliala; ebbene: quali sono le mani più meritevoli d'essere recise, che quelle che inferiscono offesa al corpo del Signore?

CAPITOLO VIII.

Qualunque altra arte, che, in certo modo, abbia relazione coll'idolatria, non è permessa ai Cristiani.

Esistono generi molteplici di arti diverse; e queste, per quanto non riguardino direttamente la fabbricazione di immagini idolatre, pure incappano nella medesima colpa, perché espletano quelle diverse forme di attività, senza le quali non esisterebbero gli idoli stessi. Infatti, non c'è differenza alcuna se tu proprio li plasmi, o li abbellisci; oppure se tu innalzi per essi un tempio, un altare o una piccola cappella; non ci sarà differenza se tu tiri l'oro in foghe per indorarlo, o se tu abbia fabbricato quei simboli particolari che gli sono propri, oppure se tu gli abbia apprestato la sede. Anzi, tale forma d'attività, ha maggiore gravita, perché non è quella che dà vera e propria forma all'idolo, ma quella che gli conferisce autorità. Se pur si fa sentire prepotente il bisogno di vivere, coloro che a tali attività attendono, hanno anche altri modi, i quali, senza esorbitare dai limiti voluti dalla dottrina cristiana, possono dar loro i mezzi di sussistenza, senza bisogno di ricorrere alla fabbricazione di idoli; quello che imbianca e tinge, sa anche rimettere a nuovo le case, adornarle con stucchi, accomodare le cisterne, uguagliare le differenze che si trovano sulle muraglie e fare tanti ornamenti alle pareti; ma senza pensare ad immagini di idoli. E il pittore e lo scultore e chi lavora il bronzo e chiunque altro faccia un'arte simile, in quale vasto campo si possa esplicare la propria attività, lo conosce bene; chi infatti è capace di disegnare una figura, quanto più facilmente non potrà appianare una tavola? chi è abile a formare un simulacro di Marte da un tronco di tiglio, con quale maggior prestezza non potrà tagliare un armadio? Non è possibile che esista un'arte, che non sia madre di un'altra o che almeno non si unisca con essa in qualche modo. Nulla vi è che non abbia il suo completamento in qualche altra cosa. Tante sono le diramazioni delle arti, quanti sono i desideri e le tendenze degli uomini. Si potrebbe osservare però che corre differenza nel compenso e nel vantaggio, quindi, che uno ne può trarre; ma anche per quel che riguarda il lavoro c'è differenza: il minor compenso può venir giustificato dal fatto che frequente è il lavoro di un tal genere: quante mai saranno le pareti che si richiedono dipinte e istoriate di immagini? quanti templi o luoghi di culto s'innalzano agli idoli? senza dubbio non in gran numero; ma case... e bagni e abitazioni popolari, quante saranno mai che vengono costruite? Capita tutti i giorni di dovere indorare stivaletti e sandali, ma per Mercurio e per Serapide, non capita tutti i giorni di dar loro una lustra d'oro! Ma questo pure, si dirà, potrebbe bastare al bisogno degli artefici; in ogni modo la smania del lusso, l'ambizione, assai più di ogni credenza superstiziosa, sono fonti più copiose di guadagno: è appunto il desiderio del fasto, più assai che le credenze religiose, che farà provare il desiderio di piatti vari e molteplici e di bicchieri; ed anche in quanto a corone, è più il fasto che le richiede, di quello che non si rendano necessarie nelle cerimonie del culto. Essendo quindi noi spinti e chiamati a queste specie di manifestazioni di lavoro, esse non abbiano a che fare cogli idoli, né con tutte le cose che appartengono agli idoli, e pure ammettendo che vi siano molti punti comuni agli uomini e agli idoli, dobbiamo stare sopratutto attenti a questo, che non ci venga richiesto da qualcuno, una forma della nostra attività che noi sappiamo essere in servigio delle immagini idolatre: se noi, invece, indulgeremo a ciò e non ci serviremo di tutti quei rimedi necessari in simili contingènze, non penso che noi ci possiamo dichiarare liberi dal conta-gio dell'idolatria, dal momento che le mani nostre, in piena nostra coscienza, si trovano impiegate in onore e in servigio di potenze demoniache.

CAPITOLO IX.

In servigio di quali potenze agiscono gli indovini, gli astrologi, i maghi, se non delle potenze demoniache?

Tra le varie arti consideriamo anche certe attività che sono legate a principî idolatri. Degli astrologi non sarebbe neppur necessario spender parola; ma uno di costoro, recentemente mi ha provocato, sostenendo ostinatamente quel suo mestiere; perciò non posso far di meno di dir due parole; non importa che dica come l'astrologia onori gli idoli; essa fissò nel cielo i loro nomi e a loro attribuì tutta la potenza di Dio; per ciò gli uomini non credono che si debba aver considerazione alcuna della divinità, dal momento che pensano che noi siamo governati secondo l'immutabile influsso degli astri; sarà una cosa sola quella che io dirò: come quelle presunte forze divine siano appunto gli angeli ribelli, amanti di donne, e quelli che erano ragione prima e creatori di queste fole, fossero perciò condannati da Dio. O divina condanna, che fa sentire il suo valore anche sulla terra e alla quale anche gli ignoranti danno appoggio e sostegno e ne testimoniano la giustezza! Gii astrologi sono infatti tenuti lontani, come pure i simboli che costoro riconoscono per divinità. Roma e l'Italia è vietata agli astrologi, come il cielo è chiuso per gli angeli riconosciuti da loro: maestri e discepoli sono puniti coll'esilio: ugual castigo per entrambi. Si potrebbe osservare: ma i magi e gli astrologi sono venuti d'Oriente: oh, la conosciamo bene la relazione fra magia e astrologia: gli interpreti degli astri furon bene i primi che annunziarono che era nato il Signore, e primi fecero a lui offerta di doni; vuol dire dunque, io dovrei pensare, che proprio a questo titolo si stringessero e si obbligassero a Cristo? (11) Ma che! e allora la scienza dei Magi potrebbe in tal modo servire di difesa agli astrologi? evidentemente è da Cristo che si parte la dottrina astrologica oggi, è della stella di Cristo oggi che l'astrologia parla, non di quella di Saturno e di Marte e di altre simili divinità, reputate tali dopo la morte. Quella dottrina fu in certo modo riconosciuta fino al Vangelo, perché appunto dopo la nascita di Cristo nessuno più si arrogasse d'interpetrare la nascita di qualcuno dall'osservazione degli astri. Ed anche l'incenso, la mirra e gli ori furono offerti al piccolo fanciullo che era il Signore, quasi che con tali cerimonie si ponesse termine ai sacrifici e ad ogni manifestazione di culto profano che appunto Cristo era per distruggere. E quello che agli stessi Magi, certamente per volontà divina, fu suggerito in sogno, che cioè, tornassero nelle case loro, non per la strada per la quale erano venuti, ma per un'altra, significava che non seguissero più oltre quella credenza e la loro setta; non fu mica perché Erode non li perseguitasse: costui infatti non lì fece oggetto di persecuzione, pur ignorando che essi avessero preso una strada diversa nel ritorno, come del resto non conosceva la via da loro percorsa nell'andata: noi dobbiamo capire che fu indicata una strada e una disciplina rigida e pura e che da allora dovettero quindi procedere per altra via. Ci fu poi un'altra manifestazione di magia, che si rivelava nell'operar miracoli e che cercò di agire anche contro Mosè: ebbene da Dio fu tollerata pazientemente fino all'Evangelo: ma quando in un tempo posteriore, Simon Mago (12) già ormai cristiano, cercava ancora qualcosa che sapeva di ciurmerla e d'inganno, così che fra i prodigi della professione, sua, intendeva quasi di far traffico volgare dello Spirito Santo, coll'imposizione delle mani, fu maledetto dagli Apostoli e fu allontanato da ogni principio e carattere di fede. L'altro mago (13) che era con Sergio Paolo, poiché contradiceva agli stessi Apostoli, fu punito colla perdita della vista. Se gli astrologi si fossero imbattuti negli Apostoli sarebbe loro certamente capitato lo stesso. Così, quando si punisce la magia, anche Pa-strologia che è della stessa natura, viene di conseguenza ad essere condannata egualmente. Dopo la predicazione Evangelica, non potrai dire di trovare né sofisti, né Caldei, né incantatori, né indovini, né maghi, se non soggetti esplicitamente a condanna (14). Dov'è ora un saggio, un letterato, un indovino di questa natura? Iddio ha fatta sua la sapienza di questo nostro mondo: e che sapevi tu, o astrologo, se non capivi che tu avresti dovuto abbracciare la dottrina del Signore? E se tu l'avessi saputo, non avrebbe dovuto esserti ignoto che coll'attività tua, tu non potevi aver più nulla di comune. La stessa scienza astrologica, coll'esperienza che da essa deriva, avrebbe dovuto avvertirti del pericolo che correvi, dal momento che rendeva gli altri edotti di periodi critici e dubbiosi. Fra te e i Cristiani non ci può essere relazione alcuna: non può concepire speranza di ottenere il regno dei cieli, colui che questo cielo intende sottoporlo a calcoli che si possano compiere meccanicamente coll'aiuto delle dita o di strumenti matematici.

CAPITOLO X.

I Cristiani non possono insegnare pubblicamente: ciò include soggiacere ad atti e a cerimonie idolatre.

La nostra attenzione si deve rivolgere ora anche sui maestri delle prime scuole e su tutti quelli che fanno professione di docenti; e non è da revocare in dubbio che essi siano in certo modo legati alla idolatria. In primo luogo è per loro una necessità ricordare le divinità pagane, citarne i nomi, le relazioni fra famiglie, tutto quello che si racconta di loro e quanto può servire a rivestire, ad abbellire, ad innalzare la loro figura; e nello stesso tempo essi frequentano le loro cerimonie, celebrano le feste in loro onore; anche essi pagano infatti il contributo. Qual'è quel maestro di scuola, anche se non abbia seco il quadretto coi sette idoli, che tuttavia non frequenterà le feste Quinquatrie? (15) La contribuzione recata per la prima volta da un nuovo scolaro, viene consacrata alla dignità e al nome di Minerva, così che, sebbene non si possa dire che si sia macchiato col contatto di qualche idolo, pure si deve dire che, almeno di nome, ha avuto relazione coll'idolatria. E infatti come si sosterrà che egli non sia tocco da quella tabe, quando contribuisce in qualche modo a ciò che viene a ridondare ad onore di una potenza idolatra e viene consacrato in suo nome? Le feste Minervali a Minerva, i Saturnali, sono dedicati a Saturno e perfino i fanciulli schiavi devono seguire tali cerimonie nei giorni sacri a Saturno. Si debbono poi prendere le strenne, i regali per le feste del Septimontium, e quando entra l'inverno, bisogna poi raccogliere i doni in onore dei parenti più vicini: nelle feste Florali (16) le scuole debbono essere ornate secondo il debito rito: le mogli dei Flamini e gli edili fanno sacrifici a Cerere, ed ecco che nelle scuole c'è vacanza (17). Quando ricorre il giorno natalizio di una divinità idolatra, si fa festa lo stesso, insomma ogni solennità del demonio si fa segno ad onore. Chi è che potrebbe sostenere che ciò convenisse ad un maestro cristiano? bisognerebbe riconoscere prima, che tutto questo fosse permesso a chi fa professione di fede cristiana, anche se non maestro.

Sappiamo bene però che si potrebbe dire; se ai servi di Dio non è dunque lecito insegnare le lettere, non sarà lecito neppure apprenderle: ma, si risponderà, in che modo altrimenti si potrà uno istruire nella umana saggezza, e in qualunque dottrina speculativa o scienza pratica, dal momento che la letteratura è proprio lo strumento necessario ad acquistare ogni senso della vita? in che modo rinunzieremo alle dottrine profane, senza le quali uno non può addentrarsi nelle conoscenze divine? Esaminiamo dunque questa necessità di una erudiziene terrena e noi vedremo che, se da una parte essa non può essere riconosciuta ed ammessa, dall'altra parte non se ne può fare a meno. I credenti devono piuttosto imparare che insegnare le lettere: la ragione d'imparare è diversa. Se un cristiano fa professione d'insegnamento, non v'è dubbio che viene a confermare, a rafforzare l'idea degli idoli e quanto possa esser detto a loro lode; mentre insegna agli altri, li sostiene colla sua autorità; la menzione che egli ne fa, costituisce, né più né meno, che una testimonianza; col nominarli da loro valore ed efficienza; mentre, invece, la legge nostra, come dicemmo, proibisce che gli dei pagani siano rammentati e che il nome di Dio sia attribuito vanamente. È di qui, proprio dai principi della cultura, dell'erudiziene che il demonio viene in certo modo a prender forza e vigore. Chiederai dunque ora, se incappi nella colpa di idolatria, chi istruisce nella dottrina degli idoli? Ma quando un cristiano va ad imparare, se già prima sapeva che cosa fosse la potenza idolatra, non accoglierà in sé tale credenza, né la riconoscerà come un Dio; se ancora non lo sa, tanto meno: allorché comincierà ad apprendere qualcosa, sarà però pur necessario che ricordi anche ciò che ha appreso in antecedenza, cioè quanto riguarda Iddio e la fede e quindi le altre dottrine ripudierà ed allontanerà da sé; e la sua sicurezza sarà come quella di uno che riceverà veleno, con piena consapevolezza, da uno che non conosce quello che fa; egli quindi non si abbevererà a quella coppa. È la necessità che serve a lui di scusa e infatti: come potrebbe altrimenti imparare? Resta cosa poi più agevole sfuggire o sottrarsi all'insegnamento delle lettere, di quello che non sia per uno scolaro, il non apprenderle; con maggiore facilità pure, d'altro lato, il discente riuscirà ad evitare di frequentare quelle solennità pubbliche e private corrotte e guaste, di quello che il far ciò non riesca al maestro.

CAPITOLO XI.

Quelli che trafficano, vendendo e comprando merci che servono poi al culto delle false divinità, peccano di idolatria.

Tratteremo ora di tutte quell'altre specie di colpe, di disonestà che si vanno verificando nei traffici; sopratutto a chi è servo di Dio, non può esser vicina la cupidigia: (18) è la radice e l'origine di tutti i mali, questa, e coloro che furono stretti nei serrami di essa, sentirono vacillare e naufragare la loro fede. Infatti l'Apostolo chiama l'idolatria stessa colla denominazione di cupidigia: la menzogna è compagna e ministra della cupidigia, anche. Non dico nulla dello spergiurare, dal momento che neppure giurare è concesso. E a un servo di Dio è lecito trafficare? Se si deve tener lontano da ogni desiderio, nel quale risiede la ragione di acquistare, qualora venga meno la ragione di procedere all'acquisto, non vi sarà quindi motivo di negoziare. Sia pure che un guadagno sia giusto, scevro da ogni carattere di cupidigia e da ogni elemento d'inganno, ebbene, io credo che esso rientri nell'ambito della idolatria, se appunto riguarda l'essenza di quanto si riferisce agli idoli, se serva a dar vita e vigore alle potenze demoniache. Eppoi, per idolatria non s'intende proprio questo? Si osservino le merci stesse. Gli incensi, e tutte le altre sostanze che vengono da paesi stranieri e che servono per compiere cerimonie sacrificali idolatre, sono poi anche d'uso per gli uomini, a scopi medicinali ed inoltre noi ce ne serviamo per compiere riti sepolcrali a conforto e sollievo dei trapassati. Quando dunque le sacre processioni, i riti sacerdotali, i sacrifici idolatri si vengono a compire, incontrando e pericoli e danni e iatture e in seguito a pensieri, a peregrinazioni, a traffici molteplici, tu negoziante, che cosa dimostri chiaramente d'essere, se non che uno che favorisci gli idoli? Ma con tutto ciò, nessuno mi faccia dire che io sono contrario a qualsiasi specie di contrattazioni e di commercio. Ci sono colpe più gravi e sono queste che, per l'entità del pericolo che presentano, esigono una considerazione e un esame più attenti, perché non solo si riesca a starsene lontani ed intatti, ma per non avere a che fare neppure coi mezzi, per i quali quelle colpe si commettono.

Sia pur vero che il male venga commesso da altri; non importerà però affatto qualora questa colpa sia commessa per mezzo mio. Io non debbo affatto prestar l'opera mia in nulla, ad un altro, quando questi commetta cosa che non è lecita. Quando io ho la proibizione di fare alcunché, devo pur capire che non devo neppur cercare che un altro la faccia per mezzo mio, però. Consideriamo quindi questo principio anche in altre quistioni, ma non di minore entità. A me, poniamo, è interdetto di commettere violenze carnali, ma, a questo scopo, io non posso prestare l'opera mia ad un altro. Se io ho pur tenuto lontano la mia persona dai postriboli, io comprendo bene che non posso esercitare opera di lenocinio né cercar guadagno di questa natura, per un altro. Il fatto pure che è proibito l'omicidio, dimostra chiaramente che coloro che ammaestrano i gladiatori alla lotta, devono esser tenuti lontani dalla Chiesa; quello di cui noi diamo ad altri il mezzo di fare, è circa lo stesso che lo facciamo noi: ecco un altra considerazione più ancora a proposito: se un incettatore di pubbliche vittime s'accostasse alla fede Cristiana, permetteresti tu che egli continuasse nell'esercizio di quel suo mestiere? o se uno, che già seguisse la nostra disciplina, si mettesse a negoziare in quel genere, crederesti tu che sarebbe il caso di mantenerlo nel seno della Chiesa? non lo credo, almeno che non si volesse chiudere gli occhi anche nei riguardi di un venditore d'incenso: del resto per mezzo degli uni si procaccia il sangue, per mezzo degli altri s'innalzano incensi e profumi! Se prima ancora che le potenze idolatre esistessero, con queste sostanze si compiva, sia pure primitivamente, atto d'idolatria, se anche ora, del resto, si fa idolatria senza materiale figura dell'idolo, ma solo coll'innalzare profumi, il venditore d'incensi incapperà nella colpa d'idolatria, in modo assai più grave, e presterà maggiore atto di ossequio alle potenze del male; dal momento che l'idolatria può bensì fare a meno del simbolo materiale, ma non dell'uso di quelle sostanze. Domandiamo del resto, alla stessa coscienza sua: Con qual faccia un profumiere cristiano, se attraverserà i templi degli idoli, deriderà e schernirà gli altari avvolti in nuvole di fumo, quando è lui stesso che fornisce quei profumi? Con quale fermezza ed efficacia cercherà d'allontanare le potenze del male, che egli quasi alimenta e nutre ed alle quali dà la sua stessa casa, come dispensa?

Avrà costui talvolta cacciato un demonio? ebbene, ma non avrà ottenuto tale vittoria per merito della sua fede: egli non l'ha allontanato come nemico; l'ha ottenuta da lui, come da persona amica, che egli ogni giorno nutre e sostiene. Non v'è dunque arte alcuna, nessuna professione, nessun traffico che in qualche modo si colleghi o favorisca le potenze idolatre, che possa considerarsi immune dall'idolatria, almeno che per idolatria non si voglia intendere una cosa completamente diversa da quella che costituisca l'ossequio e l'adorazione degli idoli.

CAPITOLO XII.

Nessuna scusa per chi ha avuto il sacramento del battesimo, di cadere in pratiche idolatre.

È a torto che noi pensiamo di poter trovare una giustificazione nelle esigenze della vita, al nostro venir meno ai principî della fede, qualora, dopo aver fermato tale patto, dobbiamo dire: d'altronde; non ho come tirare avanti: io rispon-derò qui con maggiore ampiezza su questo punto che fu anteriormente interrotto. È tardi, quando voi pronunziate una simile proposizione: sarebbe stato necessario pensarci prima, per stabilire un paragone con quel previdentissimo fabbricatore di case, il quale fa il calcolo prima delle sue possibilità, eppoi decide della spesa e questo, s'intende, perché non debba poi vergognarsi d'interrompere la costruzione, una volta che questa sia cominciata (19). Del resto ora, qui hai le parole, gli esempi del Signore che chiudono a te ogni possibile strada di giustificazione. Che cosa è dunque, vediamo, quello che tu dici? Io mi ridurrò mendico: ebbene; ma il Signore chiama felici proprio i poveri (20). Io mi ridurrò senza un boccon di pane, ma il Signore dice: non vi date pensiero alcuno del vitto: (21) per quel che riguarda il vestito abbiamo nel Vangelo l'esempio dei gigli: (22) Io avevo pur bisogno di qualche cosa, ma il Signore dirà: tutto è da vendersi (23) e da dividersi fra i bisognosi: debbo pensare ai figli e ai miei discendenti: ma così il Signore: nessuno che metta mano all'aratro e |129 si volti indietro, è adatto all'opera (24). Ma io ero già addetto ad un padrone: nessuno può servire due padroni (25), Egli dirà: Vuoi tu essere discepolo del Signore? ebbene, solleva la tua croce (26) e segui il Signore, questo è necessario; segui cioè le tue tristezze, i tuoi tormenti, segui il tuo corpo che ha pur forma della croce del Signor tuo. Genitori, dolcezza di sposa e di figli, tutto sarà da lasciarsi in nome del Signore. E tu dubiti di abbandonare per i genitori e per i figli attività di arti e di affari e di professioni? Ma è ormai dimostrato che le cose più care, i pegni più preziosi, ed arti e faccende, tutto è da lasciarsi per il Signore: quando Iacopo e Giovanni furono chiamati dal Signore, abbandonarono il padre e la nave; e Matteo fu tolto via dal suo banco e, pigro a convertirsi, fu giudicato colui che volle prima seppellire il padre suo (27). Non ci fu |130 alcimo fra quelli che il Signore scelse per discepoli, che disse: non ho da vivere: la fede non può temere la fame. Non solo la fame, ma qualunque genere di morte deve la fede sapere incontrare nel nome del Signore. Essa imparò a non considerare la vita: quanto meno dunque, essa darà importanza al vitto? Ma si potrebbe dire: e quanto pochi sono coloro che rispondono ed adempiono tali principi? Ciò che presso gli uomini è difficile, è facile presso Dio. Ma non lasciamoci lusingare dall'idea della mansuetudine e della clemenza di Dio, così che ci avviciniamo, col pretesto delle necessità, a quanto riveste carattere o è affine all'idolatria.

 

Tertulliano