La sentenza sul Petrolchimico di Marghera tratto da www.princefaster.com

25/06/2002
Alla fine dello scorso maggio è stata depositata la sentenza del collegio dei giudici chiamati a pronunciarsi sulle richieste di condanna a carico dei dirigenti del Petrolchimico di Marghera.

Mille e sessantasette pagine che hanno risposto, meticolosamente, argomento per argomento, al dispositivo accusatorio del pubblico ministero Casson.
Se abbiamo pensato per un attimo che al momento della lettura della sentenza di assoluzione in un'aula di tribunale gremita di gente e tracimante di ricordi, tutti ugualmente terribili, il tempo si fosse fermato per un lungo, doloroso istante, mai avremmo immaginato che nelle fitte pagine a firma di Salvarani, Manduzio e Liguori sarebbero stati assolti non soltanto i vertici dell'allora Montedison, ma anche oncologi, sindacalisti ed esperti convenuti da tutta Italia a difendere le ragioni di un modello di sviluppo che ha saputo uscire vincitore dallo scontro ingaggiato contro altre ragioni: quelle delle morti bianche per tanti anni taciute, dell'inquinamento ambientale che, lo si voglia ammettere o meno, ha quasi distrutto l'ecosistema lagunare veneziano, e di una insopportabile vita di fabbrica trascorsa tra veleni e massacranti ritmi di lavoro.
Questa volta è nientemeno il sistema generale del diritto che chiude ogni controversia possibile. Attraverso una sentenza di tribunale, infatti, vengono demolite, con sistematicità impietosa, le tesi del pm. Restano certo i morti e i malati - 311 patologie, delle quali 164 si sono trasformate in neoplasie, vale a dire affezioni tumorali inguaribili - ma senza responsabilità oggettiva imputabile ad alcuno. In questa che appare come una e vera e propria contro-requisitoria ricorrono spesso termini quali infondatezza, insussistenza, inconsistenza delle prove addotte da Casson a dimostrazione della colpevolezza degli imputati. Non c'è danno all'ambiente, né morte causati con dolo o anche soltanto con omissione d'intervento. L'annullamento dell'azione penale è totale.
A questo punto l'unico colpevole diventa il giudice Casson, reo di aver ritenuto possibile un impianto accusatorio del tutto illegittimo. Negli stessi giorni della comunicazione delle motivazioni della sentenza, la notizia è apparsa fuggevolmente su un TG nazionale, lo stesso ministro della Giustizia Castelli ha chiesto al Procuratore Generale della Repubblica di avviare un procedimento disciplinare a carico di Felice Casson proprio in relazione al comportamento tenuto dal pubblico ministero veneziano durante il processo Enichem.
La morsa della nuova politica di governo si stringe inesorabile attorno a quanti credono di poter mettere in discussione la storia di cinquant'anni di sistema industriale italiano mettendo a serio repentaglio anche l'efficacia e la pretesa razionalità di un intero modello di sviluppo.
Tra le numerose pieghe invisibili del processo al Petrolchimico si annidano pericolosi fermenti politico-culturali che osano riaffacciarsi al di sopra della linea di visibilità sotto la quale erano stati relegati. La vicenda dell'insediamento industriale di Porto Marghera, con annessi e connessi, è più di una semplice questione medico-legale. È molto più di un problema di carattere ecologico e ambientale. È la narrazione, a volte imbarazzante, di una strategia disciplinare di controllo, di una rete di profitti e di taciuti interessi che affondano le loro radici nelle impervie geografie dell'economia locale e nazionale e della macchina politica che per decenni ha costituito la sponda ideale sulla quale trovare rifugio quando il mare era in tempesta. Questo insieme incredibilmente complesso di poteri più o meno occulti non avrebbe mai chiuso i conti con una storia propria che è stata soprattutto storia del capitalismo italiano del secondo dopoguerra.
Dunque, non potendo cambiare la legge, giacché l'azione penale di cui si diceva è comunque esercitabile dal pubblico ministero se questi ravvisa una qualsiasi ipotesi di reato, sarà sufficiente per intanto cercare di cambiare il giudice, o sconfessare clamorosamente il pm. Puntare, anche in maniera indiretta, il dito su Casson equivale, come si può facilmente comprendere, a mettere in difficoltà non solo impianti accusatori simili al suo, ma, quel che è peggio, colleghi che stanno indagando su fatti analoghi. Indipendentemente dal ricorso in appello che Casson e le parti civili sembra presenteranno al più presto, coloro che a Brindisi, sede di un altro grande petrolchimico, dovranno, o a questo punto dovrebbero, procedere per gli stessi reati contestati a Marghera, saranno costretti a fare i conti con la sentenza di Salvarani.
Un cimitero di carte, senza dubbio, nelle quali si seppelliscono anni di lavoro investigativo, di raccolta di testimonianze, di incroci di destini. "Il processo" si legge nelle prime righe delle conclusioni "ha sofferto della fuorviante impostazione accusatoria, un procedere senza distinzioni in cui sono mancate le coordinate spazio temporali necessarie per orientare la individuazione delle condotte e dei soggetti ai quali fossero imputabili." E già, perché la dirigenza messa in stato d'accusa da parte del pubblico ministero non era la stessa degli anni durante i quali - si tratta del decennio 1950-1960 - le condizioni di rischio per la salute erano davvero consistenti. Successivamente, a partire dagli anni Settanta, Montedison realizza che la nocività del Cloruro di Vinile Monomero merita una qualche attenzione e mette a norma impianti e sicurezza dello stabilimento. Un raffinato gioco di date che allontana responsabilità specifiche nei confronti del terribile angiosarcoma epatico, tumore prodotto appunto dalla polvere di CVM assunta per via polmonare.
Ciascuno, all'interno dell'azienda, ha dato il massimo per la salvaguardia della vita, a partire dall'oncologo Maltoni cui fin dal 1970 Montedison aveva affidato uno studio per determinare la reale nocività del composto chimico da cui si ricavava quel meraviglioso materiale plastica da cui fu invasa la società dei consumi. "Il ripristino della verità, stravolta dall'enfasi di una tesi complottistica che avviluppava scienza e industrie, rivelatasi inconsistente e frutto di una pubblicistica alla ricerca della notizia ad effetto, restituisce l'onore a uno scienziato di grande autorevolezza e indiscutibile integrità morale." E non è salvo esclusivamente l'onore del celebre oncologo. I sindacati di fabbrica escono politicamente assolti dal sospetto di aver assunto, nel corso degli anni, una posizione a dir poco contraddittoria nei confronti della direzione, alla continua ricerca di una composizione di conflitti piegati dal ricatto occupazionale.
C'è posto per tutti nelle motivazioni di una sentenza che lascerà il segno. Tranne che per le accuse, si intende. Quelle appartengono al mondo senza certezze delle opinioni, fino a confondersi talora con le calunnie, che in lente spire i fumi di Marghera sospingono verso la laguna.
* Articolo tratto da Umanità Nova.