Iraq, l'appello di Emergency "Fermate questa guerra"
Intervista a Gino Strada, il chirurgo fondatore dell'associazione
che si dedica alla cura dele vittime innocenti dei conflitti
Iraq, l'appello di Emergency
"Fermate questa guerra"
"Temo che, ormai, sia inevitabile. Stanno già spartendosi il dopo
Eppure, bisogna fare qualcosa: il terrorismo non si batte così"
di DARIO OLIVERO da Repubblica del 19/09/2002

Tra quindici giorni Gino Strada, chirurgo e fondatore di Emergency, l'associazione che cura i civili vittime di guerra, sarà a Bagdad. Prima di partire ha messo in piedi un'iniziativa: una raccolta di firme sul sito Internet di Emergency contro la guerra che, dice Strada, "viola i principi della nostra costituzione. Sono convinto che siano contrari alla guerra i due terzi, se non i tre quarti degli italiani. Però come facciamo pesare questa opinione? Uno degli strumenti è stato mettere questo appello su Internet".

Come sta andando?
"Il nostro server è saltato sia il primo che il secondo giorno. Adesso ne stiamo usando uno più potente. Nonostante questi intoppi in cinque giorni abbiamo raccolto circa 70 mila firme. I primi firmatari sono i primi cento amici che abbiamo trovato, non abbiamo telefonato volutamente a nessun politico proprio perché fosse l'espressione dei cittadini comuni. Quindi si trovano firme che vanno da Aldo Giovanni e Giacomo a Sergio Cofferati, da Roberto Benigni a Giorgio Bocca da Enzo Biagi a Francesco Totti"

Ci sono due obiezioni classiche a un'iniziativa come questa. La prima è che se l'Onu dovesse decidere per un intervento militare, si firmerebbe un appello che in qualche modo delegittimerebbe le Nazioni Unite. Come risponde?
"Lo spirito dell'Onu era quello di mettersi insieme per evitare che succedessero orrendi macelli come quello della seconda guerra mondiale. C'è da chiedersi quali siano stati, nell'evoluzione dell'Onu, i condizionamenti di paesi e potenze che di fatto hanno deligittimato questo spirito originario. Anche l'Onu è da ripensare, non ci può essere chi ha diritto di veto, non possono essere in cinque a decidere (i membri permanenti del Consiglio di sicurezza, Usa, Russia, Gran Bretagna, Francia e Cina ndr) mentre i rappresentanti di continenti interi non hanno quasi voce in capitolo".

La seconda obiezione è che c'è una parte non secondaria dell'opinione pubblica disposta ad accettare l'idea di una guerra preventiva, una guerra "giusta" per evitare conseguenze peggiori. Che cosa risponde?
"Il problema è che quando noi diciamo opinione pubblica, intendiamo l'opinione di quattro o cinque paesi che probabilmente insieme rappresentano il 15 per cento della popolazione mondiale".

Ma secondo lei non c'è nessun caso in cui si possa parlare di un intervento militare utile a evitare conseguenze peggiori?
"In modo molto sereno guardiamo le decine di conflitti successivi alla seconda guerra mondiale che hanno insanguinato questo pianeta (oggi ce ne sono circa 35 attivi). Ci sono studi di centri di ricerca svedesi che forniscono dati impressionanti: queste guerre hanno fatto milioni di morti, il 90 per cento erano civili. Non è più la stessa realtà di quando si affrontavano gli eserciti e si scannavano sul campo di battaglia".

Può fare lei un esempio di strumento alternativo alla guerra che funzionerebbe?
"La guerra in Afganistan è costata 600 miliardi di dollari. Quale sarebbe oggi la situazione dell'Afghanistan se anni fa qualcuno avesse deciso di investire quella cifra per fornire acqua, ospedali, scuole. Io credo che la scelta di investire soldi nella guerra così come quella di fornire prima le armi, siano strategie precise. Ormai la politica a livello internazionale non è più dominata da persone che la pensano in modo diverso, ma restano nell'ambito dell'opzione politica. Ormai comandano gruppi che hanno interessi economici grandiosi e che spesso sono vere e proprie bande di criminali. Loro scelgono di arricchirsi e di mantenere i propri privilegi in base ai quali il 20 per cento della popolazione possiede l'80 per cento delle risorse. E questo stato di cose lo mantieni con le armi".

Cosa le fa pensare che il pacifismo abbia qualche possibilità di opporsi alla situazione che ha appena descritto?
"Se non si cambia strada si potrebbe arrivare a quella che Noam Chomsky ha definito il rischio della fine dell'esperimento umano: l'autodistruzione. Senza fare del catastrofismo, è chiaro che questo mondo va nella direzione dell'allargamento del gap tra paesi ricchi e paesi poveri".

Lei sta andando a Bagdad. Ci sarà la guerra in Iraq?
"Sì, ci sarà. Purtroppo tutti i segnali vanno in quella direzione. Si stanno già spartendo il petrolio del dopo Saddam".

Lei ha detto che George Bush e Saddam Hussein sono responsabili e colpevoli allo stesso modo. Un'affermazione pesante. La conferma?
"Io ho detto che il terrorismo non è una cosa che possiamo liquidare con l'attentato alle Torri gemelle di New York. Quello è uno dei modi in cui si è manifestato. Ma si è manifestato anche con le armi chimiche, le atomiche sulla testa dei civili, gli embarghi che non permettono di portare medicine, i bombardamenti sulle comunità agricole del Nicaragua, il Cile, i kamikaze palestinesi e i carri armati israeliani. Tutto questo è terrorismo. Il terrorismo è il modo di fare la guerra oggi. In questo Bush e Saddam sono uguali".

Nel suo lavoro di medico al fronte non le è mai venuto il dubbio che la guerra sia una pulsione umana incancellabile e che tutto quello che fa sia vano?
"Nei nostri ospedali, che pure sono al fronte, non arrivano solo i combattenti: l'85 per cento dei feriti sono civili. Questi qui non hanno nessuna pulsione, il 30 per cento sono bambini. Deve passare il messaggio che la guerra non funziona. Chi prenderebbe un farmaco che avesse come indicazione che non funziona? E in più ha degli effetti collaterali devastanti?"

Com'è la situazione oggi in Afghanistan?
"A Kabul c'è il grande circo. Affittare una villetta costa 5 mila dollari al mese, roba da Central Park. Sono i soldi degli aiuti che le organizzazioni pagano e che vanno a ingrassare una piccola aristocrazia. Su un milione di abitanti, si è creata ricchezza e lavoro per circa tremila persone. Nel resto del Paese non è cambiato niente, le condizioni di vita sono le stesse, i signori della guerra non solo sono lì, ma si stanno arricchendo perché hanno gli appalti della costruzione delle infrastrutture militari americane".

Ma in Afghanistan la situazione politica è cambiata, è caduto un regime.
"I mutamenti di regime, i cambiamenti di dittatori sono effetti collaterali della guerra che non spostano niente della condizione di vita della popolazione. Ad ogni nuova guerra cambiano i vincitori, cambia il potere, ma i meccanismi sono gli stessi. E ogni volta per i civili sono nuove miserie, nuovi lutti".

Continuerà a fare il chirurgo o ha altri progetti per portare avanti le sue idee?
"Se mi sta chiedendo se entrerò in politica, la risposta è no. Continuerò a fare il chirurgo e a cercare di promuovere una cultura di pace".