UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI URBINO
FACOLTA' DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE
CORSO DI LAUREA IN IN PSICOLOGIA AD INDIRIZZO CLINICO
di Santangelo Dr.ssa Alessandra
INDICE
Introduzione III
Parte prima: La prospettiva psicoanalitica.
1) Psicoanalisi classica.
1.1 Breve passo introduttivo. 1
1.2 Gravidanza e invidia del pene. 1
1.3 Animus, Anima e Grande Madre. 5
1.4 La coscienza matriarcale. 11
1.5 Il principio femminile e le dee lunari. 16
2) Psicoanalisi dell’Io.
2.1 Presentazione della corrente. 26
2.2 Maternità e spirito materno. 27
2.3 La maternità come desiderio primario e istinto innato. 32
2.4 Gravidanza e crisi maturativa normativa. 35
3) Psicoanalisi delle relazioni oggettuali.
3.1 Un orientamento innovativo. 42
3.2 La madre come contenitore in cui proiettare contenuti. 42
3.3 Rappresentazioni mentali genitoriali e attaccamento. 44
3.4 La madre normalmente devota. 46
Psicoanalisi del Sé.
4.1 Introduzione al filone di ricerca. 51
4.2 La costellazione materna. 52
4.3 Il bambino della notte. 56
Parte seconda: Prospettive più recenti.
5) Cambiamenti psico-fisiologici durante i nove mesi dell’attesa.
5.1 Il primo trimestre e l’ambivalenza affettiva. 67
5.2 Il secondo trimestre e i movimenti fetali. 71
5.3 Il terzo trimestre e la paura del parto. 73
5.4 Cambiamenti della sessualità nei tre trimestri. 76
Da dove nasce il desiderio di maternità?
6.1 Maternità come compensazione ad una carenza. 81
6.2 Maternità come orizzonte di vita possibile. 84
Rappresentazioni, emozioni e fantasie della futura mamma.
7.1 Rappresentazioni materne relative al sé, al bambino, ai propri genitori e al partner. 94
7.2 Gravidanza e cambiamento della rappresentazione del corpo. 100
7.3 Variazioni nell’immagine del feto in seguito all’esame ecografico. 103
7.4 Sentimenti ostili e conflittuali verso il nascituro. 108
Parte terza: Ulteriori aspetti.
Padre e paternità.
8.1 Uno sguardo al versante paterno. 114
8.2 Il ruolo del padre come contenitore maternalizzato. 116
8.3 Evoluzione dei vissuti paterni durante l’attesa. 118
8.4 Modalità rappresentativa e narrativa dell’esperienza di genitorialità. 122
La psicoprofilassi ostetrica.
9.1 La nascita dei corsi di preparazione alla gravidanza e al parto. 129
9.2 Origine del dolore durante il parto. 132
9.3 Modello multifocale d’intervento terapeutico in gravidanza. 134
9.4 Educazione prenatale e tecniche innovative. 135
9.5 Gravidanza e musicoterapia. 139
Riferimenti bibliografici 143
Introduzione
La maternità è un evento vasto e complesso, poiché non inizia con la gestazione e tanto meno termina col parto, ma si inserisce all’interno dello sviluppo della personalità femminile, come un processo creativo.
Sui temi riguardanti maternità e gravidanza esiste una vasta letteratura, che va da autori di orientamento psicoanalitico, che si sono concentrati sul significato inconscio e personale di questi eventi, fino a studi antropologici e sociologici, come quelli di Margaret Mead, che hanno ricondotto il problema a fattori sociali, sottolineando come il comportamento riproduttivo sia fortemente influenzato dall’ideologia e dai modelli culturali vigenti.
Le radici del desiderio di gravidanza non si ritrovano solo nella coppia adulta che decide di avere un figlio, ma nell’infanzia di entrambi. Le fantasie relative alla maternità hanno, infatti, origini molto precoci basti pensare che le bambine, già da piccolissime, nel gioco delle bambole sognano di essere madri identificandosi nella figura genitoriale.
Il buon esito della maternità nella vita adulta dipende dalle prime esperienze relazionali con i propri genitori e dal superamento dei conflitti edipici e preedipici. La maternità chiama in causa inevitabilmente l’identificazione nelle figure genitoriali come base per un modello positivo o negativo, a cui il giovane adulto dovrà rifarsi e seguire se vorrà diventare genitore a sua volta.
Tuttavia esplorare l’orizzonte personale non è sufficiente, per comprendere a pieno questo evento. E’ fondamentale volgere lo sguardo a miti, tabù e tradizioni religiose delle popolazioni antiche e primitive disseminate in tutto il mondo. In questi ultimi possiamo ritrovare i germi dell’inconscio collettivo, delle attuali credenze popolari e comprendere il significato che maternità e gravidanza acquista per ognuno di noi.
La luna fin dall’antichità è un astro collegato alle caratteristiche femminili: le stesse fasi lunari, con il loro crescere e decrescere, sono collegate al ciclo femminile e assimilabili ai diversi momenti della gravidanza.
Il processo evolutivo, che la maternità rappresenta, non è facilmente comprensibile con l’utilizzo di un unico modello esplicativo, infatti, è opportuno tenere presente non solo l’influenza dei fattori culturali e sociali passati, ma anche di quelli vigenti.
Vari studi hanno sottolineato come la gravidanza fino agli anni ’70 fosse considerata paradossalmente una funzione biologica fondamentale, ma per un certo aspetto di cui vergognarsi, poiché portava il segno della sessualità e sformava il corpo della donna. Già a distanza di quindici anni, grazie al cambiamento della mentalità e all’evoluzione delle pratiche mediche, la maternità cambia volto e viene vissuta come un potere propriamente femminile, spogliato da qualsiasi senso di colpa.
La gravidanza è un evento che si trova a metà strada tra mondo interno ed esterno; è un processo biologico e al tempo stesso sociale e soprattutto rappresenta un patrimonio inalienabile dell’identità femminile, tanto che la donna risponda con un sì o con un no a tale appello.
Per comprendere a fondo, un tema così sfaccettato, è stato opportuno dividere il lavoro in tre parti: nella prima ho valutato l’approccio psicoanalitico, quelli più recenti nella seconda e ulteriori aspetti, a mio avviso, non trascurabili nella terza.
Nel valutare il punto di vista psicoanalitico e i vari filoni di ricerca, mi sono attenuta alla divisione operata da Caprara e Gennaro. Ho iniziato con l’approfondire il punto di vista freudiano, confrontandolo, per quanto possibile, con quello del suo allievo prediletto Carl Gustav Jung. In più ho ampliato la visione della psicologia analitica presentando le teorie di due dei maggiori allievi junghiani: Hester Harding e Eric Neumann.
Nei rimanenti capitoli della prima parte ho affrontato il pensiero di autori appartenenti a tre diversi filoni di ricerca quali la psicologia dell’Io, delle relazioni oggettuali e del Sé, che si sono interrogati sul significato della gravidanza e della maternità.
Nel secondo capitolo, dopo aver presentato brevemente le linee guida della psicologia dell’Io, ho esposto la concezione di tre autori, che seguendo le idee freudiane, hanno esplorato il significato inconscio che la maternità assume per la donna.
Helene Deutsch ritiene che la donna sia dotata di una determinata qualità caratterologica, definita "spirito materno", costituita dall’istinto materno, che ha basi biologiche e dall’amore materno, rappresentato dalla relazione madre-bambino. Karen Horney si differenzia dagli altri autori, perché rivolge un’aspra critica alla teoria freudiana, definendola maschilista e sottolineandone l’unilateralità del campo d’analisi. L’autrice rifiuta l’opinione di Freud, secondo cui il desiderio di maternità sorgerebbe in conseguenza della mancanza del pene e perciò non sarebbe un desiderio primario. Horney definisce tale desiderio come un istinto inscritto nella sfera biologica femminile, dotato di una grande forza inconscia e soddisfa tutte le condizioni che Freud ha postulato nel concetto di pulsione. Erik Erikson vede la maternità come una delle "crisi maturative normative" della vita umana, che coincide con la preoccupazione per la generatività, ovvero l’apprensione per la capacità e la responsabilità relativa al concepimento di un figlio.
Nel terzo capitolo ho trattato la psicologia delle relazioni oggettuali, che è una corrente particolarmente innovativa, poiché esplora l’aspetto fantasmatico dell’inconscio e del funzionamento psichico: la nostra mente è costituita da oggetti vissuti, pensati e caricati di desiderio. Fra i diversi autori appartenenti a questo filone mi sono soffermata sul pensiero di Bion, Bowlby e Winnicott.
Bion pone la madre in una posizione fondamentale per lo sviluppo del bambino, ipotizzando che, la donna (grazie alla réverie e alla funzione alfa) nel suo inconscio profondo, possa percepire ciò che avviene nella mente del bambino e produrre in essa modificazioni positive. La comunicazione intrapsichica madre e feto costituisce una condizione indispensabile affinché il bambino possa sviluppare il pensiero. Bowlby si concentra sull’importanza delle cure materne, del legame affettivo che si crea nella diade e che va poi a costituire l’attaccamento: quest’ultimo è il concetto cardine della sua teoria. Secondo l’autore è innato avendo origine biologica, ma viene anche influenzato da fenomeni ambientali. Grazie a Bowlby e alla sua allieva Ainsworth si è allargato il campo di ricerca alle dinamiche intergenerazionali e all’esplorazione di come le rappresentazioni genitoriali influenzano l’attaccamento del figlio. Winnicott studia la relazione madre-bambino, mettendo in primo piano il ruolo della madre. La donna fin dal periodo della gestazione è in grado di entrare in uno stato di ritiro e di elevata sensibilità, definito "preoccupazione materna primaria", che permette una regressione e contemporanea identificazione con il bambino, che le dà la possibilità di conoscerne i bisogni.
Nel capitolo successivo ho trattato il terzo filone di ricerca psicoanalitico: la psicologia del sé. Daniel Stern ritiene che ogni donna, approssimandosi alla gravidanza, acquisisca un’organizzazione psichica peculiare: la "costellazione materna". Quest’ultima costituisce un’organizzazione psichica temporanea e di durata variabile, che determina una nuova serie di azioni, fantasie, paure e permette lo sviluppo di una nuova sensibilità nella donna in attesa.
La seconda parte della tesi, dedicata agli approcci più recenti, contiene tre capitoli. Nel capitolo cinque ho presentato i cambiamenti psico-fisiologici dei nove mesi di gravidanza, quando nella gestante è in atto una ristrutturazione del sé, che investe sia il piano corporeo che quello psichico. Il primo trimestre è caratterizzato da una forte ambivalenza e da sentimenti contrastanti e coesistenti, come l’onnipotenza e l’impotenza. Un'altra ambivalenza frequente è quella tra desiderio di trattenere un oggetto, il feto, per cui la donna prova già amore e il desiderio contemporaneo di espellere lo stesso oggetto vissuto come parassita nemico. E’ necessario che questa ambivalenza si concluda con la creazione di uno spazio interno, fisico e psichico, dedicato al nascituro.
Il secondo trimestre è caratterizzato dai movimenti fetali e dalle ecografie, che modificano profondamente il vissuto della gestante, poiché testimoniano la presenza reale del feto, che in precedenza non era percepito e veniva vissuto come un roseo sogno.
Nel terzo trimestre la fusione armoniosa tra madre e feto affievolisce e diventa sempre più chiaro che il bambino è un individuo separato e ben presto avrà una vita autonoma. Se fino a quel momento la donna ha avuto il compito di trattenere e proteggere, nell’ultimo periodo, le sensazioni di pesantezza e soffocamento, che gravano sul corpo, inducono desideri d’espulsione. I pensieri della donna si rivolgono così al parto, generando tutta una serie di ansie e paure. Anche la vita sessuale di coppia viene modificata da questo evento, poiché la futura mamma sentendosi fragile, bisognosa di comprensione e sostegno aumenta il suo desiderio di baci, coccole ed abbracci diminuendo d’interesse verso la sessualità.
Nel sesto capitolo ho trattato l’origine del desiderio di maternità, partendo dalla concezione freudiana per arrivare a quelle più recenti. Freud fa risalire il desiderio di maternità, sia ad una carenza sul piano fisiologico (invidia del pene), che porta la donna a cercare un completamento tramite il figlio, sia ad una necessità di riunirsi con il primo oggetto d’amore (la madre), grazie ad un sostituto rappresentato dal figlio. Autori più recenti lo considerano un bisogno estremamente complesso inserito nel codice genetico, culturale e soggettivo della donna e il risultato di svariate componenti dell’esperienza, in cui la storia infantile del soggetto ha un ruolo molto importante. Per di più oggi la gravidanza non viene più vista come un logico ed ineluttabile destino della donna, ma come un orizzonte di vita possibile, una scelta che però non porta a contrapporre le madri alle altre donne, in quanto entrambe proprio perché donne, sono già madri, indipendentemente dal fatto che generino un figlio reale o simbolico.
Nel capitolo seguente affronto l’approccio più moderno, che studia le rappresentazioni materne in gravidanza. Queste ultime sono ritenute da Stern strutture di memoria, aspetti interni di modelli relazionali, che guidano i comportamenti interattivi. Le rappresentazioni amalgamano la storia passata e le interpretazioni date a questa, divenendo eventi fondamentali dell’interazione con il nascituro; si basano sull’interazione e sull’esperienza soggettiva di essere con un’altra persona, chiamate da Stern schemi dell’<<essere con>> e che nella donna in gravidanza subiscono una serie di modificazioni. Sono valutati nello stesso capitolo gli schemi della madre relativi a se stessa, al bambino, al marito e ai genitori, con le evoluzioni e le modificazioni che subiscono durante l’attesa. Ricerche di diversi autori danno rilievo all’ecografia, considerata un evento fondamentale in gravidanza. L’esame ecografico porta ad una variazione dell’immagine e delle fantasie che la donna ha del feto, grazie al passaggio dal bambino fantasmatico a quello con caratteristiche reali.
Nella terza parte presento ulteriori aspetti fondamentali per comprendere l’argomento: nel capitolo otto valuto le emozioni e i vissuti del padre durante i tre trimestri dell’attesa e metto in evidenza le modificazioni delle rappresentazioni paterne; nel capitolo seguente tratto i corsi di preparazione al parto e alla gravidanza.
Il capitolo nove, infatti, è dedicato alla fase finale del processo, che coincide con il parto: evento che sancisce la definitiva separazione fra l’immagine reale del bambino e le fantasie elaborate durante tutto l’arco della gestazione. Il parto porta con sé un’inevitabile conflittualità: la curiosità e il desiderio di conoscere il figlio che nascerà e la paura di perdere la condizione con cui la donna ha imparato a convivere. Inoltre presento diversi studi che propongono delle ipotesi sull’origine del dolore durante il parto e il travaglio. Ma l’ultimo capitolo è dedicato prevalentemente ai corsi di psicoprofilassi ostetrica, alla loro nascita, evoluzione, utilità e a tecniche innovative come la musicoterapia, allo scopo di valutare quali supporti la donna può trovare in questo momento così delicato della sua vita.
Capitolo 1
Psicoanalisi classica.
"Il processo creativo si svolge non sotto i raggi cocenti del sole, ma nella fredda luce riflessa della luna, quando grande è l’oscurità dell’inconscio: la notte e non il giorno è il tempo della procreazione. Ad essa appartengono l’oscurità e il silenzio, il segreto, il tacere e l’essere velati"
Eric Neumann, La psicologia del femminile
"L’amore prenatale, così commuovente e in fondo così infantile non è altro che il narcisismo dei genitori tornato a nuova vita; tramutato in amore oggettuale, esso rivela infingimenti di antica natura …… il bambino deve appagare i sogni e i desideri irrealizzati dei suoi genitori"
Sigmund Freud, Introduzione al narcisismo
1.1 Breve passo introduttivo
Vasta è la letteratura in campo psicologico riguardo allo studio di eventi fondanti la femminilità quali la gravidanza e la maternità, che varia a seconda del punto di vista della:
Psicoanalisi freudiana e Psicologia Analitica (C. G. Jung, E. Harding, E. Numann)
Psicologia dell’Io (E. Erikson, H. Deutsch, K. Horney);
Psicoanalisi delle relazioni oggettuali (M. Klein, W. Bion, D. W. Winnicott, J. Bowlby);
Psicoanalisi del Sé (D. Stern).
La psicoanalisi nasce come trattamento delle nevrosi e in seguito diventa il nome più esteso di un movimento scientifico e culturale che investe il sapere di una disciplina e il pensiero di un’epoca. Il suo metodo storico-clinico pone al centro dello studio l’esperienza del soggetto e vuole comprenderne il suo funzionamento psichico, partendo dalla ricostruzione storica tramite l’interpretazione dell’esperienza del paziente. Per quanto riguarda la teoria è ancora in divenire e in costante trasformazione (1).
Nel paragrafo seguente verrà affrontato il punto di vista freudiano e quello junghiano ponendoli, per quanto possibile, a confronto su temi inerenti la maternità e lo sviluppo della personalità femminile, mentre nei capitoli seguenti verranno approfonditi i medesimi temi portati avanti da loro allievi che, pur essendosi discostati dal pensiero dei maestri, né seguono le linee guida.
1.2 Gravidanza e invidia del pene.
La psicoanalisi classica ed in particolare i primi studi freudiani hanno ricondotto l’origine primaria del desiderio di maternità alle fasi preedipiche ed edipiche dello sviluppo psicosessuale femminile e al concetto di invidia del pene. Per comprendere da dove origini questo desiderio è opportuno affrontare il tema dello sviluppo sessuale dell’individuo e della diversità fra maschio e femmina.
Per Freud una distinzione netta tra maschio e femmina avviene solo con la pubertà e quest’ultima influenzerà la struttura di tutta la vita umana. Afferma che le teorie sessuali infantili fino alla pubertà si fondano sulla credenza dell’esistenza di un unico sesso: il pene nel bambino e la clitoride suo equivalente nelle bambina. I bambini ignorano l’esistenza della vagina e la bambina, che vive la clitoride come un piccolo pene, ha una sessualità di carattere maschile fino alla pubertà, periodo in cui entrambi i sessi scopriranno la vagina. Chasseguet-Smirgel definisce questa concezione freudiana riferita ad entrambi i sessi "monismo sessuale" (2). Fin dall’infanzia sono riconoscibili già le disposizioni maschili e femminili, ad esempio lo sviluppo precoce nella bambina delle inibizioni sessuali quali pudore, disgusto, compassione o nelle pulsioni parziali che prediligono una forma passiva. In ogni caso l’attività autoerotica è la stessa in entrambi i sessi e le attività masturbatorie nella bambina hanno carattere maschile, mentre la sostanziale differenza fra i sessi si produce dopo la pubertà.
Nel differenziare il maschile dal femminile Freud fa appello in una nota aggiunta nel 1924 ai "Tre saggi sulla Teoria sessuale" (1905) a tre fondamentali differenze:
I fattori psicologici indicano che maschile coincide con il concetto di attività e femminile con quello di passività.
I fattori biologici che, per Freud sono i più chiari per differenziare i due sessi, si basano sulla presenza delle cellule seminali nel maschio e degli ovuli nella femmina e delle conseguenze che ne derivano.
I fattori sociali, ricavati dall’osservazione dell’essere umano, rivelano che nella donna non si riscontra una femminilità o virilità pura né in senso biologico, né in senso psicologico.
Ogni persona rivela un miscuglio di caratteristiche sessuali di entrambi i sessi, con tratti biologici dell’altro sesso e una combinazione di passività e attività (3).
Ne "La femminilità" Freud si pone il problema della bisessualità in quanto si può riscontrare come anatomicamente l’individuo non sia né completamente maschile, né completamente femminile, ma porti in sé alcune caratteristiche dell’altro sesso. Solo le cellule germinali sono di un unico sesso: uova e cellule seminali. Maschile è sinonimo di soggetto, attività e possesso del pene, mentre femminile è sinonimo di oggetto e passività.
Una differenza sostanziale fra i due sessi è evidente nell’effetto diverso che il complesso di evirazione ha nell’uomo e nella donna. Nel maschio la minaccia d’evirazione pone fine al complesso edipico, mentre nella femmina segna l’entrata nel complesso edipico (4).
Abbiamo visto come per Freud i bambini (maschi e femmine) credono a una teoria per cui la donna in origine ha il pene e in seguito lo perde a causa dell’evirazione. Il maschio, quando si accorge della differenza fra i suoi genitali e quelli femminili, rimane perplesso rinnegando ciò che ha visto e disprezzando la bambina. Non cade in un rifiuto analogo né finge di non vedere, la femmina, ma desiderando di avere un organo simile, "soccombe all’invidia del pene, che culmina nel desiderio, importante per le sue conseguenze di essere anche lei un maschietto" (5).
Tutto questo nella donna adulta viene rimosso e si rifà vivo nel desiderio di avere un bambino, "la natura ha dato alla donna il bambino al posto di quell’altra cosa che non ha potuto loro concedere". A prova di ciò sostiene che a livello simbolico (sia nel sogno, che nella quotidianità) i termini pene e bambino possono essere sostituiti da un unico simbolo o dalla stessa parola: "… il bambino, come il pene, viene chiamato piccolo".
Il desiderio infantile del pene frustrato può generare la nevrosi, oppure può trasformarsi nell’amore per l’uomo in quanto "appendice del pene" (6), il primo è il padre. Questo è quanto scriveva nel 1915 nel testo "Trasformazioni pulsionali particolarmente dell’erotismo anale", in seguito nella "Lezione 32 Angoscia e vita pulsionale" parlerà dell’uomo " … quale portatore del pene e donatore del bambino" (7) agli occhi della donna.
Con lo spostamento di interesse dal pene all’uomo, la donna passa dall’amore narcisistico di sé all’amore oggettuale (8), mentre per altre questo processo evolutivo è permesso solo con la nascita di un figlio (9).
Interessante, a proposito dello sviluppo deviato della femminilità, è lo scritto freudiano del 1920 "Psicogenesi di un caso di omosessualità femminile" nel quale l’autore espone il caso clinico di una paziente che subisce una delusione durante la fase puberale, quando stavano riemergendo, in lei, i temi del complesso edipico infantile. Ella era consapevole di desiderare un figlio maschio, mentre a livello inconscio voleva che fosse il figlio del padre e, che a lui assomigliasse. Accadde, però, che non fosse lei ad avere il bambino, ma "la madre, rivale inconsciamente odiata" (10). Quindi la ragazza rifiutò il desiderio del bambino, il padre, gli uomini, il ruolo femminile e cercò un’altra collocazione alla propria libido.
In conclusione la ragazza mutò il suo atteggiamento identificandosi in un ruolo maschile e spostò la libido dal padre verso la madre. In seguito cercò un sostituto materno, come oggetto d’amore, divenendo omosessuale.
Freud nei suoi scritti introdurrà successivamente nuovi concetti, sostenendo che nella fase preedipica la bambina attraversa un "complesso negativo" nel quale il padre è visto come un rivale all’amore materno, anche se l’ostilità non raggiungerà mai l’intensità presente nel maschio. Per entrambi i sessi, dunque, il primo oggetto d’amore è la madre e "la forte dipendenza della femmina dal padre è soltanto il retaggio di un attaccamento alla madre altrettanto forte" (11). La conferma di questo attaccamento esclusivo alla madre e l’affiorare della femminilità, secondo Freud, si ritrovano nel gioco con le bambole, dove la bambina si identifica con la madre e la bambola rappresenta il figlio da accudire.
Il maschio, nell’infanzia e successivamente durante il complesso edipico, rivolgerà il suo amore, che poi durerà tutta la vita, verso un unico oggetto: la madre, che gli fornisce cure e nutrimento (12). Con lo sviluppo verrà scelto un oggetto d’amore simile alla madre, mentre per la femmina deve avvenire uno spostamento da un oggetto femminile (madre, nel periodo preedipico) ad uno maschile (padre, nella fase edipica).
La bambina nella fase preedipica avrebbe il desiderio di "…dare alla madre un bambino – e quello corrispondente di partorirle un bambino – "; inoltre la femmina ha tendenze bisessuali più marcate rispetto all’uomo, in quanto "la vita sessuale femminile si divide normalmente in due fasi, di cui la prima ha carattere maschile; solo la seconda è specificatamente femminile" (13).
Il distacco dalla madre, come primo oggetto d’amore, è dovuto ad una serie di fattori fra cui il divieto a masturbarsi, vissuto come un impedimento verso la libera attività sessuale.
Un’altra causa dell’allontanamento dal materno è considerare la madre responsabile della mancanza del pene (14). L’identificazione con la madre prende il posto l’attaccamento alla madre e genera il desiderio di sostituirsi a lei presso il padre, inizialmente per poter disporre del pene paterno, poi per avere da lui in dono un bambino (15). Tutto questo avviene tramite un processo graduale: all’inizio la bambina pensa alla evirazione come "sventura individuale", solo più tardi la vive come un "carattere negativo universale", in quanto la estende alle altre bambine e alle donne adulte.
L’amore della bambina viene indirizzato verso una "madre fallica" (16), che a causa della scoperta dell’assenza del pene perde valore ai suoi occhi. Tutto questo fa svalutare, alla bambina, la femminilità, la madre per la sua imperfezione e per averla creata imperfetta.
La scoperta del pene e della propria evirazione è per Freud un punto fondamentale dello sviluppo sessuale della bambina, che può reagire in tre diversi modi:
Inibizione sessuale o nevrosi. La bambina rinuncia alla propria sessualità, spaventata dal confronto con il maschio, nonché alla propria attività fallica e a buona parte della propria mascolinità in altri campi.
Complesso di mascolinità. Il desiderio di avere un pene rimane vivo e diventa lo scopo della sua esistenza insieme alla fantasia di essere maschio, che, in alcuni casi, può sfociare nella scelta di un oggetto omosessuale.
Femminilità normale. La bambina, assumendo il padre come oggetto d’amore e trasferendo su di lui il desiderio del "pene-bambino", entra nel complesso edipico. Mentre il maschio conclude tale processo in seguito alla possibilità di evirazione.
La bambina desidera un figlio già prima della fase edipica. In questi termini viene interpretato da Freud il gioco delle bambole, "solo con la comparsa del desiderio del pene, il bambino-bambola diventa un bambino avuto dal padre e, da quel momento in poi, ciò cui ambisce il più forte dei desideri femminili" e quindi "…il complesso edipico culmina nel desiderio, coltivato da tempo, di ricevere dal padre un bambino in regalo, di generargli un figlio" (17).
Quando la bambina diventa donna i sogni infantili si realizzano "in modo del tutto particolare se il bambino è un maschio che porta con sé l’agognato pene" e "i due desideri, di possedere un pene e di possedere un bambino, permangono fortemente investiti nell’inconscio, aiutando in tal modo la femmina a prepararsi alla sua futura funzione sessuale" (18).
Nella donna lo sviluppo di capacità intellettuali e lavorative non sarebbero nient’altro che una sublimazione del desiderio rimosso di ottenere un pene quando ciò non sfocia in una gravidanza.
Un altro concetto fondamentale nella teoria freudiana (19) spiega come la donna partorendo un figlio si identifichi con la madre su "due livelli: quello preedipico, che è basato su un tenero attaccamento alla madre e che prende quest’ultima come modello, e quello successivo, risultante dal complesso edipico, che vuole eliminare la madre e mettersi al suo posto presso di lei" (20).
Al figlio che nascerà verranno attribuite dai genitori ogni sorta di perfezioni, che non hanno riscontro nella realtà, mentre tutte le imperfezioni verranno ignorate. Il figlio ha il compito importante di compensare tutte le carenze subite dai genitori nel passato: "… deve appagare i sogni e i desideri irrealizzati dei suoi genitori: il maschio deve diventare un grand’uomo e un eroe … la femmina deve andar sposa a un principe, in segno di riparazione tardiva per la madre".
Ruolo fondamentale del bambino è garantire "l’immortalità dell’Io che la realtà mette radicalmente in forse – si ottiene sicurezza rifugiandosi nel bambino. L’amore prenatale, così commuovente e in fondo così infantile non è altro che il narcisismo dei genitori tornato a nuova vita: tramutato in amore oggettuale" (21). I genitori collocheranno sul bambino il proprio ideale dell’Io, con il quale in un secondo tempo, quest’ultimo s’identificherà e che, facendone il proprio ideale, proietterà una volta adulto sul proprio bambino e così via.
Partendo dai concetti fin qui espressi, risulta evidente che il desiderio di gravidanza, secondo Freud, abbia origine sia da una carenza sul piano fisiologico (del pene), che porta la donna a cercare un completamento tramite un figlio, sia da una necessità di riunione con il primo oggetto d’amore (la madre) grazie ad un sostituto: il figlio.
La maternità appare, per di più, come la realizzazione di ogni aspirazione, che si raggiunge solo se la donna, superando lo stato narcisistico infantile (in cui tutto l’importo affettivo converge sul soggetto), acceda ad un amore oggettuale, rivolgendo parte delle energie narcisistiche sul partner e sul figlio. Anche il matrimonio, infatti, non sarà sicuro finché la donna non riuscirà a percepire il marito come se fosse il proprio bambino e ad agire da madre nei suoi confronti.
Freud pone una polarizzazione tra la donna materna, che indirizza attivamente le sue pulsioni all’accudimento del partner e del figlio, e quella narcisista, che le rivolge passivamente sulla propria immagine. Anche questo tipo di donna può, tuttavia, diventare una madre amorosa nel caso in cui veda nel bambino una parte di sé, che glielo rende amabile (22).
1.3 Animus, Anima e Grande Madre.
Prima di addentrarmi nel presentare le linee guida del pensiero junghiano, ricorderò brevemente la sua formazione allo scopo di sottolineare le origini della sua teoria e le influenze ricevute.
Carl Gustav Jung nacque in Svizzera, si laureò in Medicina a Basilea e iniziò la sua carriera psichiatrica nel Manicomio cantonale e presso la Clinica psichiatrica dell’Università di Zurigo. Nel 1907 incontrò per la prima volta Sigmund Freud e di lì a poco cominciò il suo interesse e successivo studio della teoria psicoanalitica. Il rapporto con Freud crebbe grazie ad "… un periodo di vivaci scambi intellettuali e scientifici, reciprocamente fecondi, durante il quale periodo Jung divenne redattore del <Jahrbuch fur psychologische und psychopathologische Forschungen> di Bleuler e Freud" (23). In seguito divenne presidente dell’Associazione Psicoanalitica Internazionale da lui fondata nel 1911, che proponeva di riunire tutti i medici e gli scienziati studiosi della psicologia del profondo. Già con il libro "Trasformazioni e simboli della libido" del 1912 mostrava di prendere una strada diversa da quella freudiana che lo portò, nel 1913, a distaccarsene definitivamente formando un filone e una dottrina chiamata "psicologia analitica", che raccolse intorno a sé una quantità elevata di allievi e studiosi.
Nella sua ricerca di comprendere l’inconscio e la psiche umana si spinse fino ad intraprendere lunghi viaggi, che lo portarono a diretto contatto con popolazioni primitive e culturalmente diverse dalla nostra come quelle dell’estremo Oriente, dell’Africa del Nord e del Nuovo Messico. Quello che ne risultò fu una sorprendente similitudine ed analogia fra i contenuti dell’inconscio europeo e quelli della psiche e del mondo mitico e leggendario di queste civiltà.
Nell’intento di approfondire e poter meglio comprendere le interessanti concezioni sulla femminilità e sulla gravidanza degli allievi junghiani Esther Harding e Erick Neumann (che esplorerò nei paragrafi seguenti) affronterò i temi cardine della concezione junghiana.
L’inconscio che ha sfumature eterosessuali, a differenza della coscienza che ha la finalità ultima di adattarsi al mondo esterno, è indifferente rispetto a quest’ultimo scopo, mentre si prefigge quello del mantenimento indisturbato del corso psichico. L’inconscio si divide in personale e collettivo. Quest’ultimo è definito da Jung come una "poderosa massa ereditaria spirituale dello sviluppo umano, che rinasce in ogni struttura cerebrale individuale" (24). I contenuti dell’inconscio personale sono costituiti da materiali rimossi appartenenti alla vita del soggetto, mentre l’inconscio collettivo caratterizza la struttura psichica della specie umana e le successive ramificazioni. L’inconscio non è visibile direttamente, ma tramite sintomi o complessi, immagini, fantasie, simboli dei sogni e visioni.
I sogni, le fantasie, le visioni ci permettono di scorgere non solo l’inconscio personale, ma anche quello collettivo, grazie ai motivi mitologici e ai dei simboli in essi contenuti. Questi ultimi nel 1919 vennero definiti archetipi e sono potenzialmente presenti in ogni psiche umana. Gli archetipi contengono una struttura bipolare che porta con sé un lato oscuro e uno chiaro. "… L’archetipo possiede un nucleo significativo invariabile, che determina la sua maniera di presentarsi in linea di principio … ciò che si eredita è la forma non il contenuto". Possono essere visti come "… trascorsi psichici divenuti immagine, come modelli primordiali di comportamenti umani … sono idee nate dall’esperienza dei progenitori reali" (25).
Jolande Jacobi fa degli esempi sugli innumerevoli aspetti, che l’archetipo del femminile può prendere nelle sue manifestazioni, nei quali cambia il contenuto, ma la forma è mantenuta. "Quanto più scarno e impreciso di forma è un archetipo, tanto più profondo è lo stato dell’inconscio collettivo da cui è presumibile che sorga" (26). Nella serie evolutiva dell’archetipo del femminile esso si presenta al principio come bisessuale, si differenzia in seguito in archetipo del maschile e del femminile, per procede nel modo seguente:
A la notte, il campo dell’inconscio, il concepiente, ecc..
B il mare, l’acqua
C la terra, la montagna
D il bosco, la valle
E la caverna, l’Aveno, la profondità
F il drago, la balena, il ragno
G la strega, la fata, la vergine divina, la principessa delle favole
H la casa, la cassa, la cesta
I la rosa, il tulipano
J la vacca, il gatto
K la bisnonna
L la nonna
M la propria madre
Quanto più un problema è legato alla personalità tanto più complicate e piene di particolari saranno le caratteristiche di quell’archetipo. Infatti "l’archetipo della madre … è preesistente e sovraordinato ad ogni forma fenomenica del materno … è un nucleo significativo che rimane sempre uguale, che può accogliere in sé tutti i simboli e gli aspetti del materno" (27). L’immagine primordiale del materno e della "Grande Madre" con tutti i simboli che le caratterizzano sono presenti nell’animo umano in modo uguale sia oggi che nei tempi antichi. La differenziazione dell’Io dalla madre si trova nella presa di coscienza, nella creazione della consapevolezza, nella formulazioni di idee. Tutte queste funzioni coincidono con il principio del paterno: il "Logos che eternamente lotta per liberarsi dal calore e dal buio primario del grembo materno e dell’incoscienza" (28). Jung ritiene fondamentale il concetto di contrasto fra maschile e femminile, senza il quale il mondo non esisterebbe e nel quale i due principi si caratterizzano. La chiama legge della antiteticità e vi si affida per descrivere la totalità della psiche, che consiste in posizioni reciprocamente compensatorie e complementari. In principio erano la medesima cosa ed ora l’una non può esistere senza l’altra.
L’inconscio si esprime con un linguaggio figurato e anche gli archetipi, che ne sono il prodotto, appaiono in forma personificata o simbolica. Negli archetipi risiedono le esperienze umane fondamentali vissute fin dai tempi remoti dall’uomo, infatti, le immagini archetipiche sono le medesime in tutte le civiltà e le ritroviamo nelle favole, nei miti e nelle tradizioni religiose.
C’è una contrapposizione fondamentale insita nell’essere umano che trova da un lato gli istinti e la natura biologica, dall’altro lato l’uomo e la formazione della sua identità. Ciò può anche essere espresso con una coppia di contrari natura e spirito, che sono l’espressione e la base dell’energia psichica.
L’interpretazione del simbolo (29) ha importanza fondamentale, poiché da un lato ha un carattere espressivo ed esprime, tramite immagini e materiale figurativo, i processi psichici e dall’altro ha carattere impressivo, imprimendo il suo senso su tali processi dando ulteriore impulso alla corrente psichica. "I simboli sono i veri trasformatori di energia del meccanismo psichico" (30). In più il simbolo ha in sé l’archetipo, cioè un nucleo significativo carico d’energia. Ad l’esempio il femminile può emergere attraverso l’immagine onirica della madre reale e che si può espandere in tutti i significati legati alla donna. Quando questa immagine deriva da strati ancora più profondi può acquisire tratti mitologici di fata o drago, finché può raggiungere l’aspetto di grotta oscura, di Aveno, di Mare. Sono tutte immagini del femminile appartenenti all’inconscio collettivo e all’universalità umana. Nel suo ultimo significato, questo archetipo, si allarga divenendo una meta della creazione, il caos, il buio e l’elemento concepiente in genere.
Questi simboli, che emergono dall’inconscio, si possono trovare nei sogni, nelle fantasie, nelle visioni e sembrano appartenere ad una mitologia individuale collegata alle favole, ai miti, alle leggende appartenenti ad elementi strutturali collettivi dell’anima umana, che vengono tramandati come gli elementi morfologici del corpo umano, vengono trasmessi per via genetica ereditaria.
I concetti di femminilità, di madre e di concepimento nel pensiero junghiano li possiamo trovare nel processo d’individuazione (31) che s’identifica con il diventare se stessi, il mettere in atto il proprio Sé (nucleo interiore del soggetto). E’ un processo per lo più inconscio di maturazione che prevede due periodi diversi che si integrano reciprocamente. Il primo coincide con: l’iniziazione alla realtà esterna, con lo sviluppo della funzione psichica principale, che è rappresentata dall’Io e la corrispondente formazione della Persona (32), con lo scopo dell’adattamento del soggetto all’ambiente. Il secondo, invece, coincide con l’iniziazione alla realtà interiore, attraverso una profonda conoscenza di Sé, degli esseri umani e attraverso la riflessione e la conseguente presa di coscienza di aspetti essenziali della propria personalità rimasti inconsci.
Il processo d’individuazione procede per tappe in cui il soggetto incontra diverse figure simboliche o archetipiche, che lo conducono verso l’ultima tappa, dove incontrerà il proprio Sè.
La prima tappa conduce all’incontro con l’Ombra che simboleggia il nostro lato oscuro, invisibile ed inseparabile da noi in quanto parte indispensabile della nostra totalità. Incontrare l’Ombra significa prendere coscienza dell’atteggiamento meno sviluppato, più primitivo, ma non malvagio di noi. Rappresenta "… quella disposizione primordiale della nostra natura, che è rifiutata per ragioni morali ed estetiche e che non si lascia prevalere, perché è in contrasto coi principi coscienti" (33).
La seconda tappa è rappresentata dall’incontro con le immagini dell’anima, cioè con le figure archetipiche dell’Anima per l’uomo e dell’Animus per la donna. Esse indicano la parte della psiche che ha attinenza con il sesso opposto, sia nel suo aspetto personale che in quello collettivo.
"Storicamente l’Anima ci si presenta anzitutto nelle sizigie divine, le coppie di divinità maschile e femminile. Queste da un lato affondano le loro radici nell’oscurità della mitologia primitiva, dall’altro risalgono a speculazioni … della filosofia cinese classica dove la coppia cosmogonica di concetti è designata come yang (maschile) e yin (femminile) (I Ching)" (34). Praticamente l’anima coincide con l’immagine dell’altro sesso che ci portiamo dentro, il proprio fondamento eterosessuale primogenio e con cui veniamo a contatto tramite l’incontro con un altro soggetto, così come accade per l’ombra, attraverso la proiezione. Nell’Anima è proiettata l’Eva dell’uomo, nell’Animus l’Adamo della donna. Ci leghiamo in coppia ad un altro e lo scegliamo proprio perché ha le caratteristiche della nostra anima.
L’immagine dell’anima può apparire a livello personale tramite sogni, fantasie e altro materiale inconscio. Può essere un complesso da cui ci dobbiamo differenziare, che possiamo vedere, ad esempio, nella saccenteria della donna razionale che non si affida al suo inconscio, reagisce in modo maschile e non istintivo, perché posseduta dall’Animus. L’Anima può comparire tanto come bella fanciulla che come strega, angelo, demonio e prostituta. Anche le manifestazioni dell’Animus possono apparire come figure singole: Dionisio o Barbablù, su un piano più elevato come Rodolfo Valentino e come pugile o conduttore d’esercito a livello più basso e primitivo. Entrambi gli archetipi possono anche essere simboleggiati da animali ed oggetti di carattere maschile o femminile. Ad esempio l’Animus può manifestarsi come toro, leone, lancia o edificio fallico (come la torre), mentre l’anima può assumere la forma di gatto, vacca, nave, caverna, ecc… La madre è la prima portatrice dell’immagine dell’anima e più tardi è incarnata dalle donne che eccitano il sentimento dell’uomo.
Per la formazione della personalità maschile è fondamentale il distacco dalla figura materna, che nei popoli primitivi è favorito da riti d’iniziazione e cerimonie, che simboleggiano il passaggio al mondo degli adulti e all’autosufficienza rispetto alla protezione materna. Secondo Jung, nella società occidentale, questo aspetto eterosessuale della psiche è sprofondato nell’inconscio a causa del suo orientamento patriarcale, che costringe l’uomo a rimuovere la proprie caratteristiche femminili. In passato, per la donna, era disdicevole essere virile, ma nell’attuale società, che è incline a dar maggior valore all’elemento maschile rispetto a quello femminile, contribuisce a rafforzare, in lei, il potere dell’Animus.
Tutto questo facilita lo sbocciare dei sistemi di controllo delle nascite, la riduzione dell’importanza attribuita al ruolo di madre e alle incombenze della donna legate alla famiglia ed alla casa. La donna di fronte all’Animus deve superare la mancanza di fiducia in Sé e la resistenza alla propria pigrizia. L’Animus è governato dalla natura del Logos che pone l’accento sull’intelletto, sul conoscere e sul capire, mentre l’Anima è governata dall’Eros.
La Persona rappresenta la struttura psichica manifesta, fenotipica e visibile, mentre Anima e Animus sono la parte genotipica, inconscia, latente e invisibile. Se ne può così dedurre che l’inconscio dell’uomo ha caratteristiche femminili, mentre quello della donna ha segno maschile. Più un soggetto s’identifica con la Persona più l’Anima rimane nel profondo e viene proiettata all’esterno. Una donna, posseduta dall’Animus, corre il rischio di perdere la propria Persona femminile per colpa della sua influenza, così l’uomo posseduto dall’Anima, può perdere la propria Persona maschile e cadere nell’effemminatezza. Poiché l’uomo nella sua vita ha tendenze poligamiche la sua Anima apparirà "… come una figura isolata, riunendo in un’unica immagine i più disparati e contraddittori tipi femminili. … Nella donna, invece, che nella vita tiene una condotta prevalentemente monogamica, l’Animus manifesterà una tendenza poligamica… Perciò l’Animus è rappresentato di regola da una <<pluralità>>: da una specie di assemblea di padri e di altre autorità…" (35).
I due sessi s’integrano alla perfezione: l’uomo partorisce la sua opera o creazione a partire dalla propria femminilità interiore, l’anima rappresenta per lui la sua musa ispiratrice, mentre la donna dalla sua mascolinità può produrre germi che fecondano la femminilità del maschio. L’integrazione fra maschio e femmina non avviene solo sul piano fisico per dare vita al "figlio corporale", ma sommerge anche le loro anime per far nascere un "figlio spirituale".
Secondo Jung, infatti, l’unione fra uomo e donna nella prima metà della vita mira al congiungimento fisico, che avrà come frutto il figlio corporale, continuazione dei genitori, ma nella seconda metà ciò che conta è la congiunzione psichica, nell’ambito del proprio mondo interiore con chi ne porta l’immagine nel mondo esterno, affinché nasca il figlio spirituale, che permetta la crescita spirituale dei due compagni.
Una successiva tappa verso lo sviluppo interiore è costituita dall’incontro con l’archetipo del Vecchio Saggio, che impersonifica nell’uomo il principio spirituale e la comparsa dell’immagine della " … Magna Mater che rappresenta la fredda ed oggettiva verità della natura" e quindi il principio materiale nella donna (36). In questa fase si va alla ricerca della parti più nascoste del proprio essere, delle proprie qualità maschili o femminili, risalendo fino a quell’immagine primordiale da cui furono formate. Si può dire che "… l’uomo è spirito divenuto materia, la donna è materia impregnata di spirito; nella sua essenza l’uomo è dunque determinato spiritualmente, la donna materialmente" (37).
Entrambe le figure del Vecchio Saggio e della Magna Mater possono manifestarsi sotto le sembianze più disparate e sono ben note nei miti dei popoli primitivi, nei loro aspetti buoni e cattivi, oscuri e luminosi, simboleggiati dal profeta, dal mago, dalla guida o dalla dea della fecondità, dalla sibilla e dalla sacerdotessa.
L’archetipo della Grande Madre è rappresentato in diverse figure in cui si può riscontrare la tensione dei contrasti di un essere che tutto avvolge, mentre guarda con compassione le creature che ha fra le braccia, ma contemporaneamente spezza in due col duro abbraccio. Da questo simbolo emerge il concetto di vita come martirio, come premessa per la rinascita nel figlio, simbolo del Sé. Il Vecchio Saggio reca il messaggio di un sapere ed una comprensione infiniti, che ha come scopo massimo l’evoluzione spirituale, che coincide con il Sé.
Jung utilizza il termine di "personalità mana", per queste figure archetipiche dell’inconscio. Il termine significa inconsuetamente efficace. Possedere un "mana" significa avere la forza di agire sugli altri, con il conseguente pericolo di divenire arrogante ed autoritario. Acquistare coscienza dei contenuti, che costituiscono le personalità mana, significa per l’uomo liberarsi veramente del padre e per la donna della madre, ciò coincide con il sentire per la prima volta la propria individualità.
L’ultima tappa dell’individuazione coincide con il Sé, immagine archetipica in cui le due parti della psiche conscia e inconscia si congiungono (38). Jung denomina questo stadio "Selbstwerdung" che significa divenire se stessi. Conscio e inconscio non sono necessariamente opposti, anzi in questa fase essi si integrano e sono contenuti nel Sé, che rappresenta il centro della totalità psichica. Il Sé non lo possiamo conoscere, ma solo vivere, l’unica parte che di lui conosciamo è l’Io, che è il centro della coscienza (39).
Terminato il processo d’individuazione vorrei ritornare più da vicino sull’archetipo della madre per spiegarne le caratteristiche. "Come ogni archetipo, anche quello della madre possiede una quantità pressoché infinita di aspetti … : la madre e la nonna personali, la matrigna e la suocera, qualsiasi donna con cui esista un rapporto – la nutrice o la bambinaia, l’antenata e la Donna Bianca" (40). Tutti gli altri possibili aspetti sono:
In senso più elevato la dea, la Madre di Dio, la vergine, mentre in senso lato la Chiesa, l’università, la città, la patria, la terra, il cielo, il bosco, il mare, l’acqua e la luna.
In senso più stretto i simboli legati all’archetipo della madre sono luoghi di nascita, di procreazione, il campo, il giardino, la grotta, il pozzo, la fonte, il fiore e il cerchio magico.
In senso ancora più stretto troviamo: l’utero, ogni forma cava (forno, pentola) e diversi animali che hanno la caratteristica di soccorrevolezza (mucca, lepre) (41).
I simboli suddetti hanno un significato positivo, mentre altri sono negativi e nefasti: la strega, il drago, la tomba, le acque profonde, la morte ed ogni animale che avvinghi e divori come il serpente, ecc… Per Jung l’archetipo della madre ha le caratteristiche tipiche, che lui descrive con un’infinità d’appellativi nel suo scritto "Gli aspetti psicologici dell’archetipo della madre":
"la magica autorità del femminile, la saggezza, l’elevatezza spirituale che trascende i limiti dell’intelletto" (42);
ciò che favorisce la crescita, che è benevolo, tollerante, soccorrevole e protettivo, la fecondità e la nutrizione;
luoghi di trasformazione magica e rinascita;
ciò che è occulto, segreto, tenebroso, che divora, seduce e intossica;
l’abisso, il mondo dei morti, ciò che genera angoscia e l’ineluttabile.
Tutti questi attributi trovano ai due poli opposti la madre amorosa o la madre terrificante. Maria, ad esempio, nelle allegorie medievali è rappresentata come croce di Cristo, ma ancora più significativo per comprendere la natura di questo archetipo, e quindi del femminile, è la dea Kali indiana. Ad essa è collegato il concetto di prakrti (materia), con tre elementi costitutivi che sono: bontà, passione e tenebre (sattva, rajas e tamas). "Sono questi i tre aspetti essenziali della madre: la bontà che alimenta e protegge, la sua orgiastica emotività, le sua infera oscurità" (42).
Abbiamo visto come nell’etnopsicologia la figura della madre sia universale, ma nell’immagine individuale essa subisce modificazioni non trascurabili, dovute all’influenza della madre reale. L’importanza però che Jung attribuisce alla madre personale è limitata rispetto al rilievo dato dalla psicoanalisi freudiana. Per Jung l’influenza che essa svolge nella psiche infantile non dipende dalla madre carnale, quanto, piuttosto, dall’archetipo proiettato su di lei, che le conferisce un carattere mitologico. I traumi derivanti dalla madre devono essere divisi in due tipi:
quelli che dipendono del carattere e dagli atteggiamenti della madre personale;
quelli che si riferiscono a caratteristiche derivanti da proiezioni fantastiche e archetipiche di cui è autore il bambino.
Questo secondo concetto trova un accordo con l’importanza che Freud attribuisce, nell’eziologia delle nevrosi, alla fantasia infantile. Ciò non significa che Jung non attribuisca importanza alla madre reale ed alla relazione con essa, anzi il rapporto con lei si trova all’origine della creazione delle nevrosi e del complesso materno. I complessi sono parti psichiche che si sono distaccate dalla nostra personalità, dalla nostra coscienza e funzionano autonomamente. Essi sono costituiti da un nucleo inconscio, dotato di un significato, ma non controllabile dal soggetto. Sono presenti in ogni essere umano, sono il nucleo centrale della psiche e non devono mancare. Jung ne distingue di sani e di malati e la loro origine si può fondare, sia su avvenimenti e conflitti infantili, sia attuali. Il complesso materno ha effetti diversi sul maschio e sulla femmina. Nell’uomo, il complesso materno non si presenta mai puro, ma è mescolato all’archetipo dell’Anima.
Nella donna si può generare un’ipertrofia o un eccessivo sviluppo del femminile con un conseguente rafforzamento degli istinti femminili: primo fra tutti è l’istinto materno. Le donne, con questo complesso del materno hanno nella loro mente un unico scopo, cioè la procreazione. L’uomo è un mezzo per raggiungere quel fine e al massimo uno dei tanti oggetti da accudire insieme al figlio e agli animali domestici. Anche la sua propria personalità è un elemento secondario, in quanto tende ad identificarsi con l’oggetto che cura (il figlio) a cui si aggrappa tenacemente. L’unico Eros che si sviluppa in queste donne è quello attinente alla dimensione materna.
Il complesso che una tale madre genera nella figlia può sfociare nell’atrofia del femminile, che viene sostituito con un eccessivo sviluppo dell’Eros e un’inconscia relazione incestuosa con il padre. La competizione con il materno la porta ad essere attratta da uomini sposati con l’obiettivo principe di far naufragare il matrimonio.
All’opposto, nella figlia in stato d’identità con la madre, non vi è un aumento dell’Eros. Questa ragazza non avendo coscienza del mondo istintuale proietta la propria identità sul materno e blocca le proprie iniziative femminili. Tutto ciò che riguarda la maternità, la responsabilità, la sessualità genera sentimenti d’inferiorità e la costringe alla fuga verso la madre.
Un altro tipo di complesso materno, descritto da Jung, è quello relativo alla difesa contro la supremazia della madre in cui, nella giovane, vi è un blocco degli istinti femminili. Tutti i bisogni istintivi sono concentrati sulla madre in forma difensiva e la ragazza non riesce a costruirsi una vita propria. Nel caso in cui ci riesca, tutto ciò che è attinente al materno genera difficoltà: la sessualità non funziona, la nascita dei figli è un problema o i doveri materni sembrano insopportabili. La resistenza verso la madre come utero emerge spesso sotto forma di disturbi mestruali, paura della gravidanza, parti prematuri, vomiti gravidici. Il rifiuto della madre come materia genera atteggiamenti di mancanza di abilità manuale nell’uso di oggetti o errori nell’abbigliamento.
Gli aspetti positivi del complesso materno s’incarnano con l’immagine di un materno infinitamente amorevole, "la segreta radice di ogni divenire", "lo sfondo primordiale di ogni inizio e fine" (43). Altri aspetti positivi sono raffigurati dalla gioiosa e instancabile dispensatrice di vita, che coincide con la mater natura e la mater spiritualis, presente nell’inconscio di ognuno di noi.
"La madre è infatti il primo mondo del bambino e l’ultimo dell’adulto. Nel mantello di questa grande Iside siamo avvolti tutti in quanto figli" (44).
1.4 La coscienza matriarcale.
Eric Neumann è l’allievo junghiano che, più di tutti, ha contribuito allo sviluppo della psicologia analitica. Il suo libro "La psicologia del femminile" è permeato dall’idea che nella coscienza occidentale predomina un sistema di valori maschile, patriarcale, unilaterale che ha come conseguenza una profonda ignoranza della psicologia femminile.
Nel suo passare in rassegna gli stadi dello sviluppo psicologico femminile ritiene che il primo, che accomuna il maschile e il femminile, sia costituito da un’unità psichica simboleggiata dall’uroboro, serpente attorcigliato che si morde la coda. In questo stadio originario "predomina una fusione, o meglio, un non-essere-ancora-diviso dell’Io dall’inconscio: è uno stadio pre-egoico della psiche che si trova filogeneticamente ed ontogeneticamente all’inizio di ogni sviluppo della coscienza" (45). L’inconscio viene vissuto dall’Io maschile e femminile come un materno da cui il neonato non si è ancora separato. Questa situazione si vive a livello personale quando da bambini si è in uno stato di unione simbiotica con il materno e quando si è contenuti dal grembo materno o nella fase di dipendenza dalla Grande Madre.
I processi evolutivi maschili e femminili, nel raggiungimento del sé, sono profondamente diversi in quanto fondati su sistemi ormonali e corporei divergenti, che a sua volta sono collegati a diversità psichiche. Nella storia dell’umanità la differenziazione fra uomo e donna risiede nelle più efficaci proiezioni degli opposti. Per l’uomo primitivo la simbologia archetipica del femminile e del maschile si identificano, rispettivamente, con la coppia di opposti inconscio e conscio.
L’immagine originaria del rapporto primario si fonda, sia nel rapporto embrionale ed infantile che si ha con la madre reale, sia con l’archetipo (46) del materno collegato all’immagine psichica originaria del materno. Il rapporto della figlia con la madre è molto differente da quello con il figlio, che fonda le basi della diversità fra la psicologia femminile e quella maschile. Il maschio per giungere al consolidamento di sé deve necessariamente distaccarsi dal rapporto originario, sperimentando la madre come altro da lui, come non-sé, mentre la femmina la sperimenta come tu proprio e non diverso.
Quando la bambina arriva alla coscienza degli opposti maschile-femminile, non si trova davanti alle complicazioni, che l’esperienza della diversità materna crea nel ragazzo. La bambina può tranquillamente portare avanti l’identità con il materno fino a quando raggiunge il proprio sé femminile. "Questo significa che il femminile può restare all’interno del rapporto originario fiorendo e trovando se stesso, senza dover abbandonare il cerchio dell’uroboro materno e della Grande Madre". Secondo Neumann questa situazione fondamentale del femminile le dà "… il grande vantaggio di una totalità e completezza naturali estranee al maschile".
Un’altra differenza fra i sessi consta nel fatto che il femminile sperimenta se stesso grazie al rapporto con la madre e quindi ha un rinforzo in tutti quei rapporti che si realizzano sulla base dell’identificazione, mentre il maschile concepisce il rapporto essenzialmente come confronto. I rapporti d’identificazione del femminile derivano dal "legame di sangue della gravidanza, cioè dal rapporto originario con la madre" (47), perciò tutta la vita della donna è caratterizzata dalla nostalgia e dalla tendenza a ristabilire una situazione simile, che si placa solo con la gravidanza, dove il femminile diviene il portatore di questo rapporto originario nei confronti del bambino.
Una divergenza significativa fra l’uomo e la donna si ritrova nell’ultima fase dello sviluppo, cioè durante il processo d’individuazione, in cui l’uomo ha dei problemi nell’assimilazione del proprio lato femminile, che reprime a causa dell’influenza della cultura patriarcale. Per la donna l’assimilazione del proprio Animus è più semplice in quanto già nella fanciullezza viene spinta, dalla società, a sviluppare la parte della psiche opposta al femminile. Un tempo questa parte le era negata e le era impedita la partecipazione alla vita culturale e sociale nelle aree lavorative, politiche, artistiche, ecc.., mentre oggi tale condizione è profondamente cambiata.
Durante la fase di autoconservazione nella donna predomina il rapporto originario con il materno, perciò rimane psicologicamente e socialmente all’interno del "clan materno", mentre sperimenta una separazione ed una estraniazione dal maschile. Incontrando il maschile la donna supera lo stadio precedente ed entra in una nuova fase della sua esperienza: la rinuncia di sé.
Questa fase coincide con quella edipica in cui, però oltre alla fantasia dell’incesto con il padre personale, si presenta il rapporto con l’uroboro patriarcale, in quanto l’Edipo costituisce la manifestazione esteriore di una costellazione edipica. L’aspetto pericoloso dell’uroboro patriarcale è rappresentato dall’immagine del "padre-spirito affascinante", attraverso cui viene a formarsi la figlia del "padre eterno" (48), cioè colei che sarà per sempre legata al padre spirituale e carnale. La poetessa o la suora sono espressione di una fissazione a questa fase, per cui la donna, rimane legata ad un rapporto spirituale col padre, la cui grandezza si manifesta nella religione sotto forma di divinità. Questa donna vive la sua vita come Anima ispiratrice di un uomo, rischiando di fallire nella sua individualità, che dovrebbe svilupparsi anche nei tratti terresti e materni. Con l’irruzione dell’uroboro patriarcale può giungere alla fase della sperimentazione di sé come donna, ma il presupposto fondamentale per poter divenire madre è un legame positivo con la Grande Madre. Su questo rapporto si basa anche la possibilità di essere feconda, di avere un buon rapporto con il proprio corpo e con la terra (49).
Il maschile ha, per la donna, il significato di penetrante e premente, mentre il femminile ha per l’uomo carattere di legame, che lo riporta all’infanzia. L’unione del maschile con la donna è determinato dal fatto che l’uomo si pone all’interno del rapporto con la sua sola parte maschile e proietta su di lei il proprio femminile inconscio, sotto forma di Anima. Parallelamente la donna si pone nella relazione con l’uomo solo con la sua parte femminile e proietta su di lui il proprio lato inconscio maschile sotto forma di Animus.
Nella vita della donna è fondamentale "… essere entro la continuità e non nell’azione all’interno di essa; per lei non è decisivo parlare, ma essere allo stesso tavolo, non il confronto e la conversazione, ma l’essere insieme e vicini". "Il saper l’uno dell’altro senza parole, quando avviene veramente è la forma dell’essere insieme più completa e più essenziale al femminile" (50) che non può essere comparato al modo di stare insieme del maschile, caratterizzato dall’Io di fronte ad un altro Io, coscienza di fronte a coscienza, che il più delle volte disgiunge, invece di unire.
Neumann sottolinea come la simbologia riferita alla coscienza è maschile, mentre quella dell’inconscio è femminile "in quanto in opposizione all’emancipazione dell’Io" (51). Con il mito dell’archetipo della Grande Madre viene rappresentata la fase in cui la coscienza dell’Io è in un rapporto infantile con l’inconscio, ovvero ne è dipendente. La costellazione di questa situazione psichica è definita da Neumann matriarcato, mentre la tendenza dell’Io a liberarsi dall’inconscio ed a dominarlo è definita patriarcato.
Matriarcato e patriarcato non sono considerati, dunque, come eventi, ma stati psichici caratterizzati da uno sviluppo differente dell’inconscio e della coscienza. Il matriarcato oltre ad essere caratterizzato, dal dominio dell’archetipo della Grande Madre, è una situazione psichica totale nella quale l’inconscio e la femminilità dominano, mentre la coscienza e la maschilità non sono ancora autonomi e indipendenti. Secondo questo punto di vista il dominio della cultura patriarcale non coincide con il dominio sociologico dell’uomo sulla donna, ma con la predominanza della coscienza maschile, che è riuscita a separare conscio e inconscio.
La cultura occidentale appare dominata dalla coscienza patriarcale, accanto a cui esiste comunque quella matriarcale, che agisce di nascosto. Nei popoli primitivi e nelle fasi ontogenetiche dello sviluppo corrispondenti all’infanzia, quando la coscienza non è ancora patriarcale, poiché non distaccata dall’inconscio, domina quella matriarcale. Nell’uomo tale coscienza, inoltre, predomina nelle crisi spirituali e nei processi creativi come influsso dell’Anima.
La coscienza femminile sia nel modello patriarcale, che in quello matriarcale, è caratterizzata dalla luna. Questo simbolo è talmente pregno di significati, che non può essere attribuito in maniera univoca al femmine, ma si presenta sotto forma maschile, femminile ed ermafrodita. In più la luna ha caratteristiche bisessuali, che si esprimono nel mito platonico e nella teoria secondo cui l’uomo deriva dal sole, la donna da venere, e gli ermafroditi dalla luna. La bisessualità è una caratteristica dell’uroboro, che contiene in sé, sia il principio maschile che quello femminile. Una tale concezione è data dal fatto che la luna calante o crescente è attribuita al maschile, mentre quando è piena al femminile (52).
Durante lo stadio patriarcale il sole viene considerato un simbolo maschile e la luna femminile, mentre nel matriarcale la luna viene percepita come maschile. In ogni caso mitologicamente il rapporto sole-luna verrà sempre sentito come il rapporto fra i sessi. Questa relazione sottolinea sempre la dipendenza del maschile dalla maternità feconda del femminile.
Indipendentemente dallo stadio evolutivo della coscienza la luna è fondamentalmente legata al femminile. "In ogni caso ne è uno dei simboli centrali, sia che simbolizzi come figura virile le componenti maschili nello stadio matriarcale, sia che in forma femminile simbolizzi le componenti femminili della vita maschile nello stadio patriarcale" (53).
Le fasi lunari vengono percepite come fasi femminili, indipendenti dal rapporto con il sole e spesso proprio come momenti della gravidanza. La luna, che con il suo crescere e decrescere fu, per l’umanità antica, il più impressionante ed affascinante dei fenomeni celesti, è strettamente legata al mondo femminile con i suoi ventotto giorni analoghi al ritmo celeste. La luna è il simbolo archetipico delle acque (abissi, mari, fiumi, sorgenti), dell’umidità, della vegetazione e di tutto ciò che cresce e vive. "E’ signora della vita psico-biologica e perciò del femminile nella sua essenza archetipica, il cui rappresentante umano è la donna terrena". Questo astro è il mondo originario dell’uroboro nutritore della preistoria, in cui la vita e la fertilità erano lo scopo principale dell’umanità. Il punto centrale di questo mondo è quello della fertilità degli armenti, dei campi, degli animali, dell’essere umano e il fulcro dell’umanità. E’ il mondo della femminilità rappresentato da ciò che partorisce e nutre, cioè dal mondo della Grande Madre sul quale predomina la luna.
L’uomo in tutte le civiltà venerò la fertilità e la donna in quanto "signora del grembo partoriente e del seno nutritore, del sangue e della crescita" (54) a cui rivolge fin dagli inizi il rituale della fertilità come tentativo d’influenzare le forze naturali. Con caratteristiche maschili la luna è vista come Signore delle donne, suo amante e sposo reale accanto al quale l’uomo terreno appare solo come con-sposo. "La luna è Signore della vita femminile più intima e vera che inizia con la comparsa delle mestruazioni, l’emorragia mensile. La mestruazione viene causata dalla luna che violenta la donna e in un certo senso la deflora spiritualmente" (55).
A livello psicologico il fatto che la luna viene considerata come fecondante, significa che l’esperienza della sessualità, delle mestruazioni, della gravidanza e della nascita sono legate più strettamente alla vita interiore della donna e non al rapporto con l’uomo reale, ma proiettate su una figura transpersonale e impersonale, cioè sulla luna.
Molti aspetti della cultura primitiva sono caratterizzati dal femminile e dal suo spirito inventivo a cui appartengono la preparazione dei cibi, delle bevande, la filatura, la tessitura e la fabbricazione d’utensili. Queste attività non vanno viste come prestazioni tecniche nel senso della coscienza patriarcale, ma come rituali carichi di significati simbolici. Il cuocere, l’infornare, la lievitazione, la maturazione sono associati al periodo dell’attesa. L’Io della coscienza matriarcale è caratterizzato dall’attesa immobile fino a che il tempo sia favorevole, il frutto sia maturo e la conoscenza non venga partorita dall’inconscio. La luna, è signora della crescita in quanto legata alla luna piena, ed anche in qualità di albero lunare e albero della vita. "L’ispirazione e l’intuizione sono l’espressione del potere spirituale dell’inconscio, del lumen naturae, del mondo notturno femminile, nel quale la sua oscurità s’illumina improvvisamente per ispirazione". "La luna è il centro archetipico del mondo dello spirito e dell’Animus femminile" (56).
Una caratteristica del culto lunare è legato al tempo: l’orientamento temporale nelle popolazioni primitive è riferito al computo del mese e dell’anno lunare. Il tempo lunare è ritmico e domina il cosmo, la terra, il vivente e il femminile. Da esso dipende tutta la vita: la semina, il raccolto, la crescita, la maturazione e conseguentemente la riuscita o il fallimento di qualsiasi attività.
La donna è la sede delle manifestazioni della luna e ne riceve la maggior influenza. "Il femminile non è legato al periodo lunare solo nel mutamento periodico mensili anche se il suo periodo lunare interiore si è ormai reso indipendente da quello esteriore dell’astro. Tutta la sua mentalità è determinata dalla luna e il tipo della sua spiritualità è caratterizzato dall’archetipo lunare come quintessenza della coscienza matriarcale" (57).
La coscienza matriarcale, così legata all’inconscio, si può valutare negativamente come instabile e lunatica, ma dipende, dal ritmo, dai periodi di flusso e riflusso, dal crescendo e decrescendo ed è fortemente legata alla luna. Da ciò si può facilmente comprendere come la musica e la danza assumano un ruolo molto importante per lo spirito femminile e per la coscienza matriarcale. Al contrario la coscienza patriarcale oltrepassa lunghi processi di mutamento ed evoluzione della natura con l’ausilio del calcolo sperimentale.
La differenza fondamentale fra i processi della coscienza matriarcale e patriarcale è legata all’atto di capire. Nella prima non coincide con le attività intellettive della registrazione, dell’elaborazione e dell’ordinamento, ma con il concepire. Quando qualcosa deve essere compreso, deve penetrare nella coscienza matriarcale, nel senso sessuale-simbolico di fecondazione e di concepimento. Questa simbologia, legata al mondo matriarcale, conduce ancora più lontano, in quanto ciò che vi è penetrato deve necessariamente affiorare. Questo processo coinvolge tutta la psiche che viene pervasa dalla conoscenza. Se nella coscienza patriarcale un contenuto viene compreso intellettualmente, cioè sistemato in uno scomparto del sistema intellettuale, nella coscienza matriarcale il capire-concepire porta ad un mutamento della personalità.
La sede della coscienza matriarcale viene localizzata nel cuore e non nella testa, quindi capire è un atto legato al sentimento che abbraccia, mentre il processo di pensiero e di astrazione della coscienza patriarcale è freddo, oggettivo e razionale.
L’attimo del concepimento, caratteristico della coscienza matriarcale spesso decisivo per la vita, ha bisogno di silenzio e raccoglimento, non di rumore e chiarezza. Questa legge è valida sia per la crescita biologica, sia per quella spirituale. Non a caso, invece, la coscienza patriarcale si esprime tramite quella solare, luminosa e diurna (58). Il maturare una conoscenza è un evento collegato al concetto di ricevere, che è la forma tipica dell’attività femminile e che non deve essere intesa come il lasciarsi trascinare in modo passivo (59).
"Fin dai primordi alla donna è proprio, per natura, l’atteggiamento fondamentale ricettivo-inglobante della coscienza matriarcale" (60). Ciò non si riferisce solo alla mestruazione, ma anche alla gravidanza e alla nascita che, essendo collegati a mutamenti psicobiologici totali, richiedono trasformazioni che durano anni. Il femminile relativamente ad una serie di temi quali la natura sconosciuta del bambino, il suo modo d’essere, il suo sesso, la sua salute, il suo destino dipende dalla grazia della divinità, ed è condannato alla non attività e al non poter intervenire. Il maschile si è, invece, volontariamente liberato dalla dipendenza dalla natura e dal fato, a favore della libertà, della volontà e della coscienza, che è in contrasto con l’esperienza femminile del dominio dell’inconscio e del destino.
Il processo della conoscenza è una gravidanza e il suo risultato è una nascita. ueQuestoQqQuesto evento nel quale viene coinvolta la personalità intera, per la coscienza lunare va al di là del resoconto e della testimonianza, poiché è legato all’inconscio da cui deriva. Vi è un contrasto inevitabile con il conoscere maschile costituito da contenuti consci, astratti e privi di emotività.
Nello sviluppo occidentale vi è la tendenza ad ampliare il dominio della coscienza patriarcale, ma nonostante ciò quella matriarcale non è affatto superata. Il conoscere lunare, che un tempo era oggetto di misteri e della religione, appartiene al campo della saggezza e non della scienza, per questo è inafferrabile dalla coscienza scientifica.
La saggezza lunare dell’attendere, del ricevere e del maturare accoglie tutto nella sua totalità, trasforma ciò che accoglie e se stessa con esso. Si tratta sempre di creatività, principale caratteristica legata alla natura femminile, dominata dall’inconscio. Tutto questo presuppone atteggiamenti rivolti alla gravidanza e al rapporto con l’altro. La donna può, inoltre, concretizzare le sue attitudini sul piano esterno attraverso la gravidanza e la maternità.
"Il femminile cioè attua concretamente la fase della coscienza matriarcale e la sua simbologia e ama, divenendo gravido partorisce, nutre e cura ed è femminile verso l’esterno" (61) e non solo dentro di sé. Secondo Neumann, come per Horney ed altri, è possibile che la carenza di opere creative rispetto all’uomo sia dovuto a tali caratteristiche del femminile. Come la donna soffre dell’invidia del pene nell’uomo l’intera produzione artistica maschile non è altro che una compensazione all’incapacità di un parto e quindi una sorta d’invidia dell’utero.
Concludendo per arrivare all’illuminazione ed a una nuova conoscenza si dovrebbe pervenire ad un ricongiungimento del maschile con il mondo spirituale dell’Anima. In cinese viene espresso con Ming, cioè l’unione delle immagini di sole e luna. "Sia per il maschile che per il femminile la totalità è raggiungibile solo quando, con una unificazione di giorno e notte, di superiore e inferiore, la coscienza patriarcale e quella matriarcale giungono alla produttività loro propria e si completano e fecondano vicendevolmente" (62).
1.5 Il principio femminile e le dee lunari.
Abbiamo già visto come sia fondamentale per Jung il concetto di archetipo e come lo sia di conseguenza per gli psicologi appartenenti al filone della psicologia analitica. Carl G. Jung, nell’introduzione al testo "I Misteri della donna" di Esther Harding, lo definisce come "un modo ereditato di funzionamento psichico, corrispondente a quel modo innato secondo cui il pulcino emerge dall’uovo". "La psiche non è soltanto formata dai contenuti della coscienza, dei quali si può dire che derivano dalle impressioni sensoriali, ma anche da idee che sembrano fondarsi … su percezioni sensoriali che sono modificate da preesistenti elementi formativi inconsci e apriori, cioè gli archetipi" (63).
Lo spirito femminile a differenza di quello maschile, secondo Esther Harding, è più incentrato sulla soggettività, sui sentimenti e sul rapporto umano, piuttosto che sulle leggi e sui principi del mondo esterno. Esiste perciò, nella donna, al contrario dell’uomo, un devastante conflitto tra mondo interno e mondo esterno aggravato dal fatto che, nell’attuale società industrializzata, la donna sta sviluppando maggiormente la propria parte maschile.
La donna è andata in contro ad una trasformazione del carattere, che ha coinvolto oltre la sfera professionale e relazionale, anche la sua intera personalità. Questo mutamento l’ha portata ad un cambiamento nel rapporto con se stessa e con gli altri. Oggi, infatti, si trova in conflitto fra due desideri: quello di realizzare se stessa in campo lavorativo come fa l’uomo e quello di vivere la sua profonda e antica natura femminile.
Analizzando i miti e i rituali delle antiche religioni si può osservare come l’inconscio sia meno soggetto a censura e pervenire a conoscenze altrimenti inaccessibili. Nelle culture di popoli molto diversi, non in contatto fra loro è sorprendente poter riscontrare miti e rituali equivalenti. Anche sogni e fantasie di individui, appartenenti alle società moderne, mostrano delle analogie con miti primitivi ed antichi, che rappresentano secondo Jung la produzione spontanea dell’inconscio personale derivante a sua volta dall’inconscio collettivo. Hesther Harding ritiene che, attraverso l’osservazione di materiale derivante da fonti primitive ed antiche, disseminate in tutto il mondo, si possano comprendere le caratteristiche del principio femminile e le differenze tra maschio e femmina, che nel mondo occidentale moderno devono essere riscoperte.
Il principio femminile o Eros, è presente nell’uomo a livello inconscio e nella donna a livello conscio e ne controlla la vita fisica e psichica. La personalità maschile a livello cosciente trova il suo perno nel Logos, ma nell’inconscio regna l’Anima, che rappresenta la parte femminile dell’uomo e determina la qualità dei suoi rapporti con la donna.
Secondo Harding per comprendere a fondo il principio femminile dobbiamo liberarci di tutti i preconcetti e i pregiudizi, che ci ha "inculcato" una culture patriarcale come la nostra, in cui ha dominato e domina l’elemento maschile. Nel mondo occidentale si ritiene che uomo e donna non siano diversi, se non dal punto di vista biologico. Molte donne, influenzate da questa idea, hanno cercato di dimostrarlo praticamente acquisendo caratteristiche mascoline e perdendo il contatto interiore con il principio femminile e con il regno femminile dei rapporti umani. "Il legame che la donna ha con il principio femminile è qualcosa che la controlla dal profondo della sua stessa natura, ma del quale spesso è del tutto inconsapevole" (64).
La differenza tra maschio e femmina nasce dalla profondità dell’inconscio e si presenta sotto forma di due simboli fondamentali.
Il Sole, la grande luce, che regola il giorno, la ragione, l’intelletto e simbolizza il principio maschile. Inoltre è il dio della guerra, della potenza personale e delle cose di questo mondo.
"L’ascesa del potere maschile iniziò quando l’uomo cominciò ad accumulare proprietà personale in contrapposizione a quella in comune e scoprì che la sua forza personale e il suo valore potevano accrescere i suoi possedimenti personali" (65). Questa trasformazione coincise con il culto del Sole, basato sul sacerdozio maschile, che iniziò a sostituire gli antichi culti lunari, i quali rimasero sotto il controllo delle donne.
La Luna, piccola luce, che governa la notte dell’istinto e dell’intuizione, rappresenta il principio femminile, la divinità della donna. Le qualità spirituali, le forze creative e feconde della natura le appartengono.
La Luna all’inizio veniva considerata legata alla fertilità e successivamente venne venerata come Dea, sempre in rapporto alle donne, come fonte e origine, delle loro capacità di generare bambini. "La Luna è una forza fertilizzante di efficacia pressoché universale. Fa germinare i semi e crescere le piante, e il suo potere non si arresta qui, poiché senza il suo aiuto gli animali non potrebbero generare i piccoli, e le donne non potrebbero avere bambini" (66).
L’influsso della Luna è così fondamentale, proprio perché il benessere di una tribù dipende, per prima cosa, dal numero dei suoi componenti e secondariamente dal cibo a disposizione. Ad esempio gli Aht e le popolazioni della Groenlandia pensano che questo astro abbia il potere di rendere pregne le donne, mentre i Nigeriani credono che il marito sia superfluo per la procreazione e che la Grande Madre Luna invii l’Uccello lunare sulla terra, per portare i bambini alle donne. E’ sorprendente come questa idea sia simile al nostro mito della cicogna. Per i Maori il marito perenne di ogni donna è la Luna. In queste popolazioni la donna non è responsabile della gravidanza, in quanto non dipende da nessun atto sessuale umano, quindi non è così scontato stabilire un collegamento tra atto sessuale e gravidanza e tuttavia finché non verrà raggiunto un più alto livello di civiltà, questo legame rimarrà sconosciuto.
I popoli antichi ritenevano che le donne, essendo sotto l’influsso della Luna, avessero la sua stessa natura e fossero in grado di far crescere le cose. Questa credenza si basa sul fatto che la donna può ingrossarsi come la Luna (che all’inizio è piccola e poi cresce fino a raggiungere la pienezza del cerchio) e avere un ciclo mensile, che ha la stessa durata di quello lunare. In più si può notare che in molti linguaggi la parola Luna e mestruazione sono sinonimi.
La Luna crescente è stata usata, in varie popolazioni, come formula magica per provocare la crescita della famiglia, delle greggi e del raccolto. In tutta l’Asia occidentale, in passato, si portava in dosso una mezzaluna, proprio come facevano le donne dell’Italia meridionale, quale amuleto, per assicurarsi l’aiuto della Madre Luna nel parto. Tutti questi sono semplici rituali popolari, che si possono ritrovare nel culto greco di Ecate, la dea lunare greca.
Il periodo in cui la Luna dona forza è breve, essa gradualmente decresce e scompare del tutto. Quando la Luna è calante le notti rimangono oscure e i primitivi percepiscono presagi di morte, tempeste, inondazioni e distruzione. Quando non c’è la Luna, o la Luna è nera, le potenze distruttive dominano.
Eros è il principio spirituale e psichico della femminilità e significa in greco rapporto, più che amore, poiché in questo concetto è compreso, sia il valore positivo dell'amore sia l'elemento negativo dell'odio.
Il principio femminile si rivela come una forza cieca, feconda, creativa, piena di tenerezza e al tempo stesso distruggitrice, crudele e devastatrice. In tutte le specie, infatti, è la femmina la più fatale, sia nell’amore che nell’odio. Questo è il principio femminile nella sua forma demoniaca, che i cinesi chiamano Yin e coincide con terra e con Luna. In Arabia, in Babilonia e in Medio Oriente ogni dea terrestre è anche dea lunare (67). Per i Cinesi la grande Yin simbolizza la tigre che striscia furtivamente tra l’erba aspettando di azzannare la preda, mentre nel contempo si mostra nel suo aspetto mansueto di gatto. Il principio Yin è ciò che è oscuro, umido, freddo, tenebroso e femminile: inizia ad esercitare il suo influsso in autunno e sopraffà il sole in inverno.
La realtà dell’ambivalenza del principio femminile è sempre presente per gli uomini e genera l’universale timore di cadere sotto il potere e il fascino della donna. Adorare il Sole significa affidarsi a ciò che sottomette la Luna e mette ordine nella sua caotica pienezza, per far emergere gli scopi dell’uomo. Il principio maschile, o Logos, viene venerato nella persona del dio solare, che possiede le caratteristiche dell’uomo come la conoscenza e le capacità di ordinare, realizzare, discriminare e generalizzare.
L’immagine demoniaca del femminile non dipende da esperienze vissute direttamente dall’uomo, ma dalla sua Anima, immagine interna del femminile, che rispecchia le caratteristiche della dea lunare e agisce sull’uomo dall’inconscio, generando in lui timore verso la donna. Per quest’ultima la situazione è differente, poiché non sperimenta il principio femminile direttamente nella sua forma demoniaca, ma appare mediato dal suo essere donna e dal suo approccio basato sul sentimento. In genere la donna non guarda alle segreta oscurità della sua natura, dato che è troppo doloroso ed in contrasto con la sua parte cosciente.
Il compito della donna è di porsi a metà fra l’Eros, che è dentro di lei e il mondo esterno. "Nella nostra civiltà occidentale ci siamo molto distaccati dagli aspetti più istintivi dell’Eros, e ne abbiamo addomesticato così accuratamente la parte superficiale, che nel suo atteggiamento di Eros verso il mondo – cioè nelle sue relazioni sociali – la via della donna è divenuta completamente organizzata e convenzionale, con il vissuto che non soltanto queste relazioni sociali e domestiche sono rese vizze e sterili, ma la donna stessa soffre per essere tagliata fuori dalle sorgenti della vita nelle profondità del suo essere" (68).
L’uomo e la donna sono l’uno lo specchio dell’altro, ciò che per l’uno è spirituale e buono per l’altro è demoniaco e distruttivo, al punto da rendere diametralmente opposti i valori di entrambi. Nessun individuo è completamente maschio o femmina, ma è un composto di entrambi gli elementi, che sono in conflitto costante all’interno della psiche. Questo conflitto interiore verrà risolto soltanto quando l’uomo riuscirà a conciliare entrambe le parti, Eros e Logos, nella sua psiche.
Lo spostamento dai valori simbolizzati della dea lunare a quelli rappresentati dal dio solare è il risultato del nostro moderno atteggiamento; ciò ha generato la convinzione che l’intelletto e l’intelligenza sono la più grande forza spirituale a cui la gente dovrebbe far ricorso per affrontare qualsiasi aspetto della vita.
Per comprendere le origini del principio femminile è utile passare in rassegna l’evoluzione dei simboli e delle rappresentazioni della divinità lunare, inoltre, è importante sottolineare come questi simboli compaiono nelle persone moderne a testimonianza della loro universalità.
La più antica immagine della divinità lunare e, forse la più universale, era un cono o pilastro di pietra. In queste pietre quello che si vuol rappresentare non è un simbolo fallico, come si potrebbe erroneamente pensare, ma la donna nella sua forma, nella sua sessualità e nella sua essenza femminile.
La coppa, il calice e il graal con cui può essere rappresentata la dea lunare rappresentano il simbolo dell’utero e delle qualità materne, piuttosto che dell’attrazione sessuale che la donna esercita sugli uomini.
A volte la dea lunare viene rappresentata come un albero sacro con i rami o più stilizzato, come un tronco oppure ricoperto di frutta o luci come il nostro albero di natale. Ciò deriva anche dal fatto che, in alcune popolazioni, la dea lunare era adorata in una grotta, in un boschetto o in un giardino.
Quanto più ci si spinge indietro, nella ricerca della dea lunare, tanto più vicino si arriva al concetto di animale: Ecate era il cane tricefalo della Luna, Artemide era un’orsa, Iside era la dea-vacca. L’aspetto aggressivo della dea lunare è incarnato dal leone o dalla pantera, mentre l’aspetto materno e nutritivo è rappresentato dalla vacca. In tempi antichi l’istinto femminile era percepito come interamente animale. "Quindi la ferocia della madre in difesa dei suoi piccoli e la voracità della sua brama per il maschio nella stagione degli amori, erano le più ovvie e dominanti caratteristiche sia delle bestie che delle donne" (69). Con il progredire della civiltà le donne svilupparono la loro parte emozionale chiamata amore e la dea si elevò sopra la sua natura animale. Ora, infatti, viene rappresentata come una donna che conserva comunque la fierezza del suo istinto femminile.
Nei miti e nelle raffigurazioni religiose la natura femminile viene rappresentata da creature alate, spesso colombe. A volte, invece, la stessa Dea Luna ha le ali. Ad esempio, sull’arca di Cipselo, Diana viene rappresentata alata, Artemide può essere rappresentata con la testa di uccello e nei templi d’Afrodite sono comunemente raffigurati colombi ed uccelli. L’uccello simboleggia la luce della Luna, che brilla nel cielo e porta saggezza sulla terra. "La Sophia, santa sapienza degli gnostici, è, infatti, la luce della Madre Celeste ed è equiparata alla santa Colomba dello Spirito" (70). Anche la colomba che si ritrova nelle chiese cristiane è venerata come Messaggero di Dio, portatrice di sapienza e incarnazione della Magna Mater.
Oltre ai suddetti animali, che rappresentano i vari aspetti istintuali della natura femminile definita Yin dai cinesi, la Luna è stata strettamente collegata ai serpenti. Un motivo di questa scelta è, in genere, dovuto al potere di auto-rinnovamento per la capacità di cambiare "pelle", che è molto simile al potere della Luna di rinnovarsi ogni mese dopo la sua morte apparente. Il serpente è anche associato alla Luna, perché vive in cavità oscure, inoltre presso gli antichi questi animali vivevano nel mondo degli inferi. Il loro movimento è misterioso, hanno il sangue freddo e sono inaccessibili al sentimento umano. Ad esempio, Ecate dea lunare era raffigurata come serpente o con dei serpenti nei capelli.
La dea lunare, dunque, all’inizio era rappresentata da un animale, poi ad essere animale era lo spirito che l’animava, più tardi era il dio ad essere servito da un animale. Ancora più tardi questi ultimi furono sostituiti da uomini, che portavano maschere animali. Il significato di questa graduale trasformazione risale al fatto che all’inizio della civiltà l’istinto femminile era percepito come interamente animale, le cui caratteristiche erano segnate dalla ferocia della madre in difesa della sua prole e dalla voracità della sua brama per il maschio nella stagione degli amori. Con il progredire della civiltà, le donne svilupparono emozioni simili all’amore e la dea delle donne si elevò gradualmente sopra la sua natura animale. "Ora viene rappresentata come una donna che conserva però in grande misura la fierezza del suo istinto femminile" (71).
Secondo l’autrice questa situazione non è sparita nella nostra società, dove le donne hanno imparato i modi e le emozioni umane, ma non troppo al di sotto della superficie, nell’inconscio, è presente la vecchia forma primitiva dell’istinto femminile, pronta a riaffiorare alla coscienza e a riaffermare il suo potere in qualsiasi situazione critica. L’autrice fa l’esempio di quelle madri in cui riemerge un primitivo istinto "animale" di fronte al proprio figlio che muore di fame.
Nelle rappresentazioni del principio femminile la Luna è stata rappresentata sotto molti aspetti. Le dee lunari sono molte, ma i loro attributi, le loro caratteristiche e le loro storie indicano che si parla della stessa dea.
Nell’Asia Occidentale e in Asia Minore la principale dea fu la Grande Madre, che regnava insieme al figlio. Una delle più antiche si trova in Babilonia con il nome di Ishtar. In Europa è palese il culto della Vergine Maria, Madre di Dio, nell’antico Egitto Iside, con Osiride e Hor figli e amanti, nei miti greci Afrodite con Adone, Rea, Gea e Demetra madri terrestri e lunari, ed infine le forme romane di Tellus, Cerere e Maia.
I missionari gesuiti, che arrivarono per la prima volta in Cina e in Messico, scoprirono che le dee lunari di questi luoghi erano praticamente simili alle loro Vergine Maria. Una caratteristica comune è, infatti, il parto verginale; la Grande Madre è ancora rappresentata universalmente come Vergine a dispetto del fatto che ha molti amanti e figli. In greco, infatti, la parola "parthenos", riferito ad Artemide, che noi traduciamo come vergine, significa semplicemente non sposata. Anche la parola "Vergine" riferita a Maria, della chiesa medievale, non era intesa con il significato che i cattolici danno ora, ma, la tradizione le attribuiva figli carnali. Questa contraddizione, legata al simbolo della femminilità, ci fa capire che il temine "vergine" si deve riferire ad una qualità, ad uno stato psicologico, ad un atteggiamento e non ad un fatto fisiologico. Nel significato primitivo di questo termine vi è il concetto di nubile oppure il significato opposto: la vergine Isthar viene spesso chiamata "La Prostituta" (72).
In conclusione il significato primitivo di vergine è molto diverso da quello moderno ed è utilizzato come termine da contrapporre a "sposata". Nell’antichità la donna sposata era considerata proprietà del marito, spesso comprata a caro prezzo dal padre. Nella nostra società patriarcale, in passato, le donne sposate erano proprietà dei padri, ma in tempi ancora più antichi quando una donna non si sposava era padrona di se stessa.
La dea lunare, quindi, appartiene ad un sistema matriarcale e non patriarcale, poiché non è collegata a nessun dio come moglie, ed è la padrona di se stessa, ma soprattutto non è la controparte femminile di caratteristiche originariamente maschili. Un esempio è rappresentato nella filosofia cinese da Yin principio femminile, che si trova in opposizione diretta con quello maschile. Yang, infatti, è l’energia luminosa, potente e creativa, mentre Yin è il potere oscuro, umido, ricettivo, ma anche creativo, perché fa nascere e rende manifesta l’energia creatrice di Yang. Yin ha lo stesso potere di Yang, in quanto porta tutte le attività di quest’ultimo a manifestarsi (73).
La dea lunare è dea della fertilità, madre di tutte le cose viventi, dispensatrice di vita, guardiana delle acque, dei fiumi, delle sorgenti, dei torrenti, che simbolizzano in modo nascosto il potere di generare dal di dentro, caratteristica peculiare del femminile. Allo stesso tempo questa dea è colei che ha in mano le potenze distruttive della natura. Per gli antichi il suo carattere contraddittorio era un fattore essenziale, naturale ed ampiamente riconosciuto, mentre dal punto di vista cristiano è inconcepibile pensare ad un dio contemporaneamente buono e cattivo, creatore e distruttore: dio viene concepito come buono, mentre il diavolo opera sempre nel male. Per gli adoratori lunari non vi è contraddizione, in quanto la loro divinità è simile alla Luna e vive le sue fasi: quando è crescente è buona, compiacente e benevola, mentre nella fase calante è oscura, crudele, distruttiva e maligna. La dea lunare non è solo dea delle tempeste e della fertilità, cioè attività creative del mondo esterno, ma anche di quello interiore, essendo responsabile della pazzia nel suo aspetto negativo e delle visioni in quello positivo. Per gli uomini la dea lunare è spaventosa e dannosa, mentre per le donne, che possiedono la sua stessa natura, è propizia. A queste ultime la dea dona la fertilità, il rifugio nel caso di pericoli o di dolori del parto, è invocata dalle donne sterili che vogliono un figlio, dalle donne incinte, per essere protette durante il travaglio.
Il culto più diffuso durante l’antichità era quello di Ishtar di Babilonia dea lunare che, nei diversi paesi, era adorata con svariati nomi: Astarte in Grecia, Iside in Egitto e Artemide era il nome generico utilizzato per questa grande e potentissima Magna Dea d’Oriente. "Ishtar è una personificazione di quella forza della natura che rivela se stessa come colei che dà e toglie la vita. Essa è madre di tutti, …porta gli appellativi di Argentea, Produttrice di Semi e Gravida" (74). E’ la dea della fertilità da cui proviene il potere della riproduzione e della crescita dei prodotti dei campi, di tutti gli animali e dell’uomo e in seguito per una naturale transizione divenne dea dell’amore sessuale e delle prostitute. Anch’essa dispensa contemporaneamente distruzione e rende le cose infime.
Diana era una dea famosa per donare i bambini alle donne, presiedere le nascite e veniva persino chiamata "Apritrice dell’Utero" (75). Artemide, il prototipo greco di Diana, aveva la funzione di levatrice e non si rivolgeva neppure alle donne senza figli. Afrodite, Artemide e Ishtar sono tutte dee dell’amore sessuale ed incoraggiano le donne ad essere fruttifere e a moltiplicare la prole.
Gli aspetti buoni e cattivi della dea lunare non sono visti in modo assoluto, ma relativo: il suo potere in certe circostanze provoca il male, mentre il bene in altre. Come si è visto fin dai tempi antichi vi è la credenza di una connessione particolare fra la donna e la Luna, che è universalmente affermata. Alcune tribù nord-americane ritengono che la Luna sia veramente una donna, anzi la prima donna e quando è calante ha le mestruazioni. Hanno credenze molto simili anche i contadini europei.
In molte lingue, inoltre, il termine mestruazione e Luna sono identici o simili (76). E’ evidente da uno studio dei costumi sociali che, in ogni parte del mondo (ad eccezione delle razze bianche più evolute), la donna durante il periodo mestruale sia considerata un tabù, qualsiasi cosa tocca è contaminata e deve restare sola ed isolata, poiché un fortuito incontro con lei potrebbe causare malattie e disastri. In più la connessione tra mestruazioni e gravidanza aggiunge una quota di timore soprannaturale verso la donna, dato che la nascita dei figli costituisce per l’uomo un prodigio.
Nel periodo mestruale le donne sono soggette a riti che prevedono isolamento, digiuno, purificazione e che equivalgono alle cerimonie d’iniziazione dei ragazzi nel passaggio dalla pubertà alla vita adulta. La donna, nel periodo di forzata solitudine, può così raggiungere uno stretto contatto con se stessa e le proprie forze istintive interne, mentre la donna moderna ha perduto questi valori e i dolori mestruali, secondo l’autrice, ne sono una conseguenza logica. I sintomi fisici indicano la presenza di un conflitto tra atteggiamento conscio e richieste della natura. Se una donna, avvertendo la necessità di introversione, lo riconoscesse come bisogno di essere se stessa e di ritirarsi dalla vita esteriore, per dirigersi verso i luoghi segreti del suo cuore, ciò le permetterebbe di ristabilire il contatto con la parte più profonda della sua natura.
Il rifiuto maschile nei confronti della donna mestruata non è spiegabile con la paura del sangue, poiché nessun tabù colpisce la persona che sanguina, se ciò è dovuto ad una ferita. Quindi c’è da domandarsi che cos’è questo male, che secondo i popoli primitivi, è penetrato nella donna e in che modo opera. Per comprendere meglio bisogna ricordare che negli animali i rapporti tra i sessi sono regolati in base ai bisogni della femmina e non del maschio e solo nell’epoca dell’amore essa permette al maschio di avere accesso a lei (77). Da un punto di vista psicologico la mestruazione è l’equivalente della stagione degli amori negli animali. In questo periodo la femmina non rifiuta il maschio, ma anzi ne ricerca la compagnia e nessun tabù la limita nell’esercizio del suo fascino. Nelle società umane l’intera organizzazione tribale andrebbe a pezzi se fosse consentito all’istinto femminile di circolare liberamente.
Cosa accadrebbe se un uomo diretto ad una battuta di caccia incontrasse una donna mestruata, ed armi e determinazione lasciassero, il posto al desiderio? Perciò la società, affinché possa progredire, è necessario che controlli la situazione, imponendo alla donna dei tabù. Anche se nell’epoca moderna ci siamo liberati dalla superstizione che una donna mestruante è impura e pericolosa, molte donne tendono, durante questo periodo, ad essere irritabili, poco inclini all’attività fisica e mentale e il loro equilibrio risulta disturbato. La maggior parte delle donne però, oggi, ha la tendenza ad occuparsi soltanto del proprio lavoro, trascurando i mutamenti d’umore, " … sopprimendo con uno sforzo conscio della volontà le indicazioni dei mutamenti ciclici interiori che dipendono dal misterioso aspetto lunare della natura" femminile. Alcune donne, invece, sono incapaci di rimuovere l’evidenza e vivono gli effetti del proprio ritmo, non sotto forma di cambiamenti psicologici, ma di disagi fisici, che le inducono a restare a casa dal lavoro e a ritirarsi in se stesse.
Da quanto detto si può vedere come la natura della donna sia ciclica e prescinde dai suoi desideri personali, tanto che un giorno può essere eccitata ed un altro depressa. "Per comprendere la donna, quindi, è necessario tener conto del suo carattere lunare e penetrare un po’ nella legge del mutamento che la governa" (78).
La forza vitale femminile non fluisce soltanto secondo ritmi notturni e giornalieri, come quella maschile, ma anche attraverso cicli lunari (quarti di fase, mezza fase, Luna piena, declino, ecc…). Nel corso di un intero ciclo l’energia della donna cresce, raggiunge il suo apice divenendo piena e decresce nuovamente. Per la donna il carattere ciclico della vita è qualcosa di naturale e comprensibile, perché vicino alla sua natura, per gli uomini rimane un completo mistero. Questi ultimi sperimentano la vita attraverso la natura razionale del Logos e sono incapaci di apprezzare la percezione femminile (79).
Le donne nel tentativo di sottrarsi al dominio maschile che le rende inerti, nella nostra società patriarcale (80), trascurano gli effetti del loro ritmo e fanno di tutto per assomigliare sempre più all’uomo, finendo ancora una volta sotto il suo dominio. "In questo caso non si tratta del maschile esterno, cioè degli uomini, ma della regola del maschile interno. Le donne, perdono il rapporto con il proprio istinto femminile, tendono a funzionare consciamente secondo le qualità maschili dell’Animus" (81).
Note
1 Caprara, Gannaro, 1999.
2 Chasseguet-Smirgel, 1964, p.16.
Freud S., 1905, Nota aggiunta nel 1914.
Freud S., 1938.
Freud S., 1905, p.504.
Freud S., 1915, p.183.
Freud S., 1932, p.210.
Freud S., 1915.
Freud S., 1914.
Freud S., 1920, pp.152-153.
Freud S., 1931, p.65.
La fase edipica si sviluppa all’interno della fase fallica dello sviluppo psicosessuale e coincide nel maschio con elaborazione di fantasie di attività sessuale con la madre. Con le minaccia di evirazione e la constatazione della mancanza del pene nella donna, il bambino subisce un trauma che darà l’avvio al periodo di latenza.
Freud S., 1931, p.66.
Freud S., 1925, 1931.
Freud S., 1925, 1938.
Freud S., 1932, p.232.
Freud S., 1924, p.32.
Freud S., 1932, p.234.
Espresso nella nuova serie di lezioni, n° 33 "La femminilità", raccolte nel testo "Introduzione alla psicoanalisi" del 1932.
Freud S., 1932, p.239.
Freud S., 1914, p.461.
Argomenti trattati in Vegetti Finzi, 1990.
Infatti compì numerosi lavori per Eugen Bleuler direttore della Clinica Bulgholzli di Zurigo. Jacobi, 1971, p.208.
Jacobi, 1971, p.51.
Jacobi, 1971, pp.62,63.
Jacobi, 1971, p.64.
Jacobi, 1971, p.65.
Jung, 1945, p.94.
Il simbolo abbraccia sempre qualche cosa di più rispetto a ciò che può essere espresso tramite il linguaggio. Jolande Jacobi sottolinea come la parola derivi dal tedesco "Sinnibild" composta da due elementi: il significato (sinn) che appartiene alla coscienza, al razionale e l’immagine (bild) che appartiene all’inconscio e all’irrazionale (Jacobi, 1971, p.123).
Jacobi, 1971, p.120.
L’individuazione è un processo spontaneo, naturale e autonomo che fa dell’uomo soltanto quel singolo essere che egli è.
La "Persona" coincide con il comportamento psichico del soggetto rispetto al suo ambiente e da essa emerge il sentimento dell’Io verso il mondo esterno, verso gli oggetti e verso la società. E’ caratterizzata da tre fattori: l’ideale dell’Io, cioè i desideri che ognuno porta con sé fra i quali nella donna ritroviamo il desiderio di maternità, l’immagine generale che il mondo si fa dell’uomo e i condizionamenti fisici e psichici che pongono dei limiti alla realizzazione dell’ideale dell’Io. "… La Persona … protegge e regola gli scambi fra mondo interno e mondo esterno, ma se perde la sua elasticità e la sua permeabilità diventa un fastidioso impedimento o magari un intralcio mortale" (Jacobi, 1971, p.47).
Jacobi, 1971, p.138.
Jung, 1954, p.62.
Jacobi, 1971, pp.150-151.
Jacobi, 1971, p.155.
Jacobi, 1971, p.156.
Soltanto quando è stato trovato un punto intermedio ed ha risolto il problema del rapporto fra due realtà contrapposte (l’interiore e l’esteriore) l’uomo può dirsi completo.
Una volta che il lato oscuro è reso cosciente, l’elemento eterosessuale è differenziato e la relazione con la natura e lo spirito primordiale è chiarito, la meta è quasi raggiunta. Quando l’uomo è riuscito a penetrare nel suo mondo inconscio utilizzandone una parte per ampliare la sua personalità ed ha imparato ad orientarsi nel suo mondo primordiale.
Jung, 1954, p.82.
Jung, 1945.
Jung, 1945, p.83.
Jung, 1945, p.92.
Jung, 1945, p.94.
45 Neumann, 1953, p.9.
46 I sogni, le fantasie, le visioni ci permettono di scorgere non solo l’inconscio personale, ma anche quello collettivo grazie ai motivi mitologici e ai simboli in essi contenuti. Questi ultimi nel 1919 vennero definiti archetipi e sono potenzialmente presenti in ogni psiche umana. Gli archetipi contengono una struttura bipolare che porta con sé un lato oscuro e uno chiaro. "… L’archetipo possiede un nucleo significativo invariabile, che determina la sua maniera di presentarsi in linea di principio … ciò che si eredita è la forma non il contenuto". Possono essere visti come "… trascorsi psichici divenuti immagine, come modelli primordiali di comportamenti umani … sono idee nate dall’esperienza dei progenitori reali" (Jacobi, 1971, pp.62-63).
Neumann, 1953, pp.12-13.
Neumann, 1953, p.19.
"Mentre il mistero femminile si compie naturalmente nel rapporto originario e nella gravidanza e può avvenire sempre e all’infinito, anche senza partecipazione della coscienza, anche senza essere concretizzato in forma di mistero, il mistero maschile è al contrario un’azione, qualcosa che deve essere conquistato" (Neumann, 1953, p.21).
Neumann, 1953, p.39.
Neumann, 1953, p.46.
Lo stesso Neumann sottolinea come queste attribuzioni non possono avere una spiegazione razionale in quanto ogni simbolo non ha un significato in assoluto, ma solo in relazione alla totalità simbolica in cui è inserito, la quale a sua volta è determinata alla fase della coscienza in cui si presenta. Per cui è importante distinguere se la fase della coscienza a cui la simbologia lunare appartiene: se matriarcale è dominata dallo spirito femminile e dall’inconscio, se patriarcale, dominata dal maschile e dalla coscienza.
Neumann, 1953, p.50.
Neumann, 1953, p.51.
Neumann, 1953, p.52.
Neumann, 1953, p.55.
Neumann, 1953, p.59.
"Il processo creativo si svolge non sotto i raggi cocenti del sole, ma nella fredda luce riflessa della luna, quando grande è l’oscurità dell’inconscio: la notte e non il giorno è il tempo della procreazione. Ad essa appartengono l’oscurità e il silenzio, il segreto, il tacere e l’essere velati" (Neumann, 1953, p.67).
Il matriarcale è più passivo del patriarcale non per incapacità all’azione, ma per il suo affidarsi ad un processo in cui non può fare, ma deve invece lasciar fare.
Neumann, 1953, p.69.
Neumann, 1953, p.74.
Neumann, 1953, pp.76-77.
Harding, 1971, pp.7-8.
Harding, 1971, p.29.
Harding, 1971, p.42.
Harding, 1971, p.32.
Harding, 1971.
Harding, 1971, p.46.
Harding, 1971, p.60.
Harding, 1971, p.62.
Harding, 1971.
Harding, 1971, p.157.
Harding, 1971.
Harding, 1971, p.158.
Ivi.
Il termine mestruazione significa mutamento della luna, da mensis che significa luna.
Harding, 1971.
Harding, 1971, p.76.
Ad eccezione di alcuni uomini che sembrano dipendere quanto le donne dai loro mutamenti interni; hanno subito un inversione delle parti psichiche femminili e maschili e sono dominati dall’Anima, spirito femminile che, negli uomini, non dovrebbe regnare sul conscio, ma sull’inconscio.
Per società patriarcale occidentale s’intende quella che, per molti secoli, ha visto l’uomo come dominatore e superiore, mentre la donna era relegata ad una posizione di dipendenza ed inferiorità. Di conseguenza il principio femminile non è stato adeguatamente riconosciuto ed oggi, benché le manifestazioni esteriori di questa unilateralità si sono placate, gli effetti psicologici continuano a persistere.
Harding, 1971, p.79.
Capitolo 2
Psicologia dell’Io.
"La madre, naturalmente, non è soltanto una creatura che ha partorito, ma è parte anche della famiglia e della società: anche lei deve sentire un sano rapporto tra il suo ruolo biologico ed i valori della sua comunità"
Erik Erikson, Gioventù e crisi d’identità
2.1 Presentazione della corrente.
Gli autori della psicologia dell’Io, i cui maggiori esponenti sono Anna Freud, Renè Spiz, Heinz Hartman, David Rapapotr, Margaret Mahler e Erik Erikson, sono accomunati dal desiderio di creare una nuova psicologia generale partendo dalla psicoanalisi. La psicologia dell’Io domina le ricerca e la prassi psicoanalitica dell’America degli anni ’30 e ’60, ponendo come oggetto d’analisi l’Io e attribuendo notevole importanza alla nozione dell’adattamento (1).
Fra i vari autori verranno approfonditi solo quelli che hanno posto il vissuto della donna in gravidanza in primo piano e che hanno esposto il loro punto di vista sulla speciale condizione del puerperio come Erikson, Deutsch e Horney.
Erik Erikson si differenzia dagli autori appartenenti al filone della psicoanalisi dell’Io, perché nella sua analisi dell’Io inserisce la valutazione delle variabili socio-culturali. Nella teoria dello sviluppo psicosociale pone al centro il concetto di identità, prendendo spunto dalle fasi dello sviluppo psicosessuale freudiano, che vengono utilizzate come un prototipo. L’Io, un altro concetto portante del suo pensiero, è visto come l’istanza che media tra mondo interno ed esterno e provvede al consolidamento di una personalità coerente e stabile nel tempo. Importanza centrale nello sviluppo dell’Io e quindi della personalità, è data alle identificazioni che caratterizzano i diversi stadi evolutivi a partire dall’introiezione della figura materna (2).
Altri autori, appartenenti a questa corrente, si sono concentrati sullo studio dei primissimi stadi evolutivi dall’infante, tramite l’osservazione diretta. Anna Freud ha distinto in otto fasi il percorso evolutivo umano, che procede da una totale dipendenza del bambino dalla madre ad una di relativa indipendenza nell’adolescente.
Renè Spitz sostiene che lo sviluppo del bambino è il risultato di un incontro tra un essere che non ha ancora individualità (il bambino) e la madre che ha già una sua personalità, che può essere arricchita da quella del figlio. Ha approfondito lo sviluppo psichico che procede da uno stadio di indifferenziazione, attraverso tre tappe caratterizzate da un "organizzatore", fino ad uno stadio in cui la percezione dell’oggetto permetterà la relazione con l’altro e il funzionamento armonico della personalità.
Il primo stadio è quello preoggettuale (0-3 mesi) di indifferenziazione tra mondo interno e mondo esterno, il secondo è quello dell’oggetto precursore (3-8 mesi) in cui l’organizzatore è la risposta al sorriso e l’ultimo è quello dell’oggetto libidico (8-15 mesi) in cui vi è la capacità di riconoscere la madre e provare angoscia in sua assenza. In questa fase il secondo organizzatore è l’angoscia alla presenza dell’estraneo, in seguito da otto mesi in poi vi è la comparsa del no che è il terzo organizzatore ed indica la nascita della facoltà di giudizio nel bambino.
Margheret Mahler, autrice che si colloca tra la psicoanalisi dell’Io e quella delle relazioni oggettuali, ritiene che la nascita psicologica non coincida con quella biologica e che l’individuo si sviluppi attraverso tre tappe:
la fase dell’ "autismo normale" in cui l’infante non è ancora psicologicamante nato;
la fase "simbiotica" in cui si abitua al rapporto con la realtà fino a sviluppare una propria identità;
la fase di "separazioni-individuazione" in cui la relazione simbiotica si trasforma progressivamente in relazione oggettuale e nella progressiva sensazione di un Sé separato da quello altrui (3).
Dinora Pines riferendosi al pensiero di Margaret Mahler, considera la gravidanza come l’ultima tappa del processo di separazione-individuazione dalla propria madre, che la donna porta così a termine. L’autrice distingue tra desiderio di gravidanza e desiderio di maternità. Il primo coincide con un desiderio narcisistico di dimostrare che il proprio corpo ha le stesse funzionalità procreative di quello materno, mentre il secondo è il vero e proprio desiderio di avere un figlio (4).
Ci sono alcuni autori, che si distaccano della psicoanalisi freudiana, e respingendo le accentuazioni biologistiche del pensiero freudiano, attribuiscono "particolare rilievo alle dimensioni culturali, sociali ed interpersonali" (5). Grazie al contributo di questi autori il campo psicoanalitico si espande oltre il setting analitico e la relazione terapeuta-paziente per esplorare la società, le sue istituzioni e i suoi valori.
Karen Horney, pur riconoscendo l’importanza delle scoperte freudiane vede, comunque, il limite della sua teoria nelle assunzioni biologiche. Ritiene che la teoria delle pulsioni operi una frattura tra il conflitto nevrotico e le sue determinanti sociali, compromettendo la comprensione globale del problema. Il conflitto, che segna lo sviluppo della personalità, deve essere spiegato sulla base dei vari contesti sociali in cui si manifesta.
Questa concezione la porta a negare l’universalità e l’immutabilità del complesso edipico, che non può essere compreso, se non si considera il substrato ambientale e in particolare quello famigliare. Horney ritiene che nella cultura occidentale, l’orientamento sociale maschilista abbia impedito un pieno sviluppo della donna. La nevrosi secondo l’autrice può essere compresa appieno se affrontata attraverso l’esame di condizioni sociali e se vista come difesa contro "l’angoscia di base": sentimento presente in qualsiasi essere umano, ma che nel nevrotico diviene patologico. "Questa emozione la si può descrivere come una sensazione d’abbandono in un mondo ostile ed opprimente" (6). Il soggetto non è consapevole della sua angoscia e la oggettiva con una serie di paure dai contenuti diversi (paura del tuono, di arrossire, dei contagi, degli esami, ecc…). In più vi sono vari modi per difendersi da tale angoscia: il bisogno nevrotico d’amore (se mi ami, non mi farai del male); la sottomissione (se sono arrendevole nessuno mi farà del male); l’impulso verso il potere (se sono forte ed ho successo nessuno può farmi del male); l’allontanamento emotivo dagli altri (se reprimo ogni sentimento sono invulnerabile) (7).
2.2 Maternità e spirito materno.
La maternità non è solo l’espressione di un processo biologico, ma anche un evento psicologico individuale che contiene esperienze, memorie, desideri e paure del vissuto passato. Secondo Helene Deutsch la gravidanza permette alla donna di sperimentare un senso di immortalità e di poter entrare in una prospettiva di eternità. Il desiderio di lasciare al mondo dei discendenti ha forti radici religiose, basti pensare al comandamento di moltiplicarsi che è poi strettamente legato alla fede nell’immortalità.
A livello psicologico l’istinto di riproduzione è fortemente connesso con la tendenza umana a negare la morte e a proteggere la vita. Secondo un’antica credenza indiana, solo se un uomo ha un figlio, può vivere in eterno in paradiso, "solo attraverso la progenitura egli conquista l’immortalità. La donna è considerata la rinnovatrice della razza, il campo nel quale l’uomo getta il suo seme" (8).
La riproduzione non è solo un atto individuale e unico, può essere considerato come una manifestazione "della universale fluttuazione umana tra il polo della creazione e quello della distruzione, come vittoria della vita sulla morte" (9). Nell’affrontare la gravidanza, infatti, la donna presenta da una parte delle reazioni individuali influenzate dalla situazione sociale in cui vive e dall’altra rimane profondamente radicata ad una componente umana universale indipendente dall’ambiente. Tale evento di natura biologica si ritrova nelle credenze dei popoli primitivi, nei loro culti religiosi, ma anche nelle concezioni delle filosofie più avanzate (10).
Helene Deutsch con il termine maternità intende la relazione madre-figlio sotto tre aspetti: sociologico, fisiologico e affettivo. Tale rapporto inizia dai processi fisiologici insiti nella gravidanza, nel parto e continua durante quelli successivi dell’allattamento e dell’allevamento. Tutte queste funzioni sono accompagnate da reazioni affettive che sono comuni alla specie, ma variano anche individualmente, perché sono intimamente connesse alla personalità.
Con spirito materno intende "due concetti:
1) una determinata qualità caratterologica che colora tutta la personalità della donna;
2) certi fenomeni emotivi che sembrano legati alla fragilità e al bisogno di protezione del bambino" (11).
L’autrice ritiene che la femminilità scaturisca da un’armonica azione tra le tendenze narcisistiche e una caratteristica, tipica della donna, che consiste nell’attitudine masochistica ad amare e a donare con dolore. Nella donna materna, la tendenza narcisistica ad essere amata, subisce una traslazione e dall’Io passa al figlio, anche se in lei ne rimane un aspetto che la gratifica, permettendole di sentirsi assolutamente indispensabile. In quella fortemente narcisistica, invece, l’amore per il figlio affievolisce quando cresce, in quanto si rende conto che non ha più bisogno di lei.
Le componenti masochistiche si rivelano nella tendenza della madre a sacrificarsi per il figlio, senza pretendere nulla in cambio, a differenza della donna femminile. Questa tendenza potrebbe essere pericolosa per la madre se non entrassero in campo delle "controforze psichiche di protezione" (12) che coincidono con le cosiddette gioie della maternità.
Lo spirito materno nel suo insieme è costituito da due elementi diversi:
1) l’istinto materno, che nasce sulla base di elementi chimico-biologici e va oltre la sfera psicologica;
l’amore materno, che rappresenta la diretta espressione della relazione della madre con il bambino o con il suo sostituto. La tenerezza è la sua principale caratteristica, che prende il posto dell’aggressività e della sensualità precedentemente presenti nella donna.
In particolare, nella donna materna, l’aggressività viene deviata dal figlio verso l’ambiente esterno in funzione di difesa del nascituro, mentre l’elemento sessuale trova sfogo nel contatto fisico, nelle carezze e nelle cure rivolte al figlio.
Il carattere e l’intensità dello spirito materno variano a seconda della personalità di ogni donna. Un esempio potrebbe essere dato da una certa tendenza a nutrire non solo il proprio figlio, ma chiunque è soggetto alle sue cure. L’autrice, riprendendo i concetti freudiani di istinti parziali, definisce questa componente dello spirito materno "orale", poiché la donna manifesta l’istinto di nutrire colui che ama. Un'altra caratteristica dello spirito materno è data dall’attaccamento al focolare domestico.
Una donna non ha bisogno di avere un figlio per essere materna, poiché questa predisposizione può essere indirizzata verso altri scopi. Riprendendo un concetto freudiano, Deutsch ricorda come le energie psichiche sono in grado di scambiarsi reciprocamente le mete. Una donna erotica, infatti, può riversare la sua tenerezza verso il proprio uomo e quindi il suo spirito materno in direzione diversa rispetto allo scopo diretto. Una intellettuale può vedere la sua creatura nei risultati del suo lavoro rinunciando così alla maternità.
Lo spirito materno puro si può riscontrare quando la gelosia, la rivalità e il desiderio di piacere decadono in favore di un altro essere e quando l’istinto di conservazione viene messo in secondo piano rispetto alla sopravvivenza della specie.
Non tutte vivono allo stesso modo il sentimento di maternità, ciò dipende dalla loro personalità, ma anche dalle condizioni economiche, dall’ambiente sociale, dalle esperienze passate, dal rapporto con il marito e con la famiglia. L’autrice, infatti, fra gli innumerevoli aspetti e sfumature che lo spirito materno può assumere, ne distingue due tipi:
La donna che grazie al figlio vive una nuova vita, senza percezione di restrizioni, poiché la nascita di un figlio dilata il suo Io;
La donna che, in seguito alla nascita del bambino, vive un senso di depersonalizzazione, dato che, concentrando la sua affettività su altri obiettivi quali l’erotismo, la carriera, l’arte, si sente ora deprivata ed ha la sensazione che il suo Io si impoverisca.
"La psiche femminile contiene un fattore che nell’uomo manca: il mondo psicologico della maternità" (13), di conseguenza nella donna è più gravoso il peso dei conflitti riguardanti la bipolarità tra morte e vita, istinto di conservazione e di riproduzione, sessualità e spirito materno, attività e passività, aggressività e masochismo, femminilità e virilità (14). "I frequenti conflitti che sorgono fra queste forze, che continuamente si influenzano l’una con l’altra, donano profondità e ricchezza alla psicologia della maternità" (15).
La relazione fra spirito materno e sessualità è complicata dal punto di vista psicologico e non sembra essere collegata, nell’essere umano, esclusivamente ad un substrato ormonale. Nel mondo animale il bisogno sessuale è strettamente legato all’istinto riproduttivo: dopo il concepimento la femmina termina il suo calore e non emana più l’odore, che prima richiamava il maschio all’accoppiamento. Per di più in molti mammiferi l’istinto sessuale tace fino a quando la prole ha ancora bisogno di essere allattata. Nell’uomo la sessualità e lo spirito materno a volte si armonizzano perfettamente, mentre in altri casi appaiono completamente indipendenti l’una dall’altro e la scissione fra i due può assumere le forme più disparate (16).
La presenza contemporanea di queste due tendenze opposte è un fatto normale e produce una lotta fra erotismo e sentimenti materni, che va a costituire una caratteristica universale del destino femminile. Si sviluppa un disturbo solo nel caso di una netta preponderanza dell’una o dell’altra.
Ci sono casi in cui la paura di una delle due tendenze può bloccare l’altra: a volte la donna che teme la sessualità soffoca i suoi sentimenti materni, li vive solo indirettamente e viene indirizzata verso determinate categorie professionali. E’ il caso dell’ostetrica, dell’insegnante e dell’infermiera, che hanno scelto attività tali da appagare il bisogno di maternità adottando simbolicamente figli di altri e tenendole al sicuro dalla sessualità e dalla riproduzione che lasciano ad altre.
In alcune donne lo spirito materno domina talmente tanto che gli altri sentimenti, compresa la sessualità, non si differenziano da questo. Al contrario quelle che durante l’infanzia non hanno ricevuto amore a sufficienza dalla madre, sviluppano uno spirito materno carente poiché, ripudiandola, inibiscono i loro sentimenti materni. Una diversa reazione presenta la donna eccessivamente premurosa, che vuol donare al figlio tutto ciò che, lei stessa non, ha avuto nell’infanzia.
Molti sono i motivi che possono ostacolare una realizzazione diretta della maternità, ma quello che li domina tutti è la paura di perdere la propria personalità: timore che il proprio Io venga distrutto in favore del figlio. "Questa paura può manifestarsi sotto forma di un terrore primitivo della morte o di una preoccupazione per la minaccia che incombe sul suo fascino erotico e la sua bellezza fisica; può nascere dagli obblighi e dalle restrizioni che realmente impone la gravidanza". Alcune paure sono inerenti la perdita della propria produttività professionale o intellettuale oppure ad un sentimento d’insufficienza di fronte alle grandi esigenze affettive, che la maternità richiede. Altre più profonde sono legate alla sensazione che "ciò che è vecchio deve cedere il passo a ciò che è nuovo" (17). Nonostante tutto la natura fornisce i mezzi per vincere questi timori, poiché l’idea dell’eternità vince la paura di essere distrutta.
La gravidanza fa riemergere situazioni passate spesso di natura traumatica e se la donna è in grado di sopportare le forti tensioni affettive prodotte da questo evento, esse possono avere l’effetto di una catarsi. Le nuove emozioni che la maternità regala permettono all’Io della donna di risolvere problematiche che precedentemente non aveva superato.
La predisposizione dell’animo femminile è caratterizzata sicuramente da sentimenti d’impotenza, di debolezza, di rivendicazione, da tendenze aggressive, da sensi di colpa e da desideri masochistici di autopunizione. Tutti questi sono elementi accumulatisi nel tempo e coesistono nell’inconscio.
Ogni momento della funzione riproduttiva, secondo Helene Deutsch, è associato ad una precisa fase del passato ed è soggetto a leggi generali fisiologiche e psicologiche, che comunque variano a livello individuale, facendo vivere un’esperienza diversa ad ogni donna.
L’autrice crea un interessante parallelismo tra la gravidanza e le fasi dello sviluppo psicosessuale freudiane, sostenendo che esse vengono tutte rivisitate durante la gravidanza, in quanto entrambe rappresentano periodi fisiologici preliminari e collegati ad impulsi istintivi. "Il primo atto da cui ha inizio la maternità, il coito, ha una completa analogia funzionale con l’attività di succhiamento del poppante; i movimenti succhianti della vagina e la sua attitudine ricettiva sono analoghi alla funzione ricettiva della bocca" (18). Gli impulsi del lattante a mordere il seno materno trovano la loro analogia nella fantasia nevrotica che vede nella vagina un organo che afferra e morde, evidenziando come l’oralità e la bocca rappresentino i precursori della genitalità femminile e della vagina.
Nella successiva fase sadico anale il pene perde la sua connotazione orale e diviene un organo di dominio. I rapporti sessuali vengono percepiti, a livello immaginario, in termini sadici e la bambina si identifica sia con il padre attivo, sia, masochisticamente, con la madre. La fantasia legata alla gravidanza qui è del bambino anale: l’ano ha un ruolo passivo, come la bocca nella fase orale, mentre seno, pene e feci hanno un ruolo attivo. Si apre così la possibilità di un investimento passivo della vagina (19).
"La riproduzione è un’attività altamente differenziata, attraversata da elementi regressivi" (20) ed ha il suo preludio nell’infanzia, periodo in cui emerge il desiderio di maternità grazie alla presenza nella donna di organi riproduttivi ricettivi, ma soprattutto di caratteristiche psichiche legate alla ricettività. Per questo è importante esaminare brevemente l’infanzia della bambina. Prima di tutto bisogna considerare che Deutsch concorda con Freud nel ritenere che durante l’intero sviluppo della bambina, utero e vagina, restano sconosciuti fino al primo rapporto sessuale. Fin da piccola nei confronti delle funzioni riproduttive ha delle paure legate all’interno del proprio corpo, percepito come se fosse identico agli organi digestivi e può provare emozioni legate ad orgoglio e tenerezza o, all’opposto, può credere che vi risieda un nemico malvagio e a volte cerca di liberarsene con crisi di vomito e diarrea. Anche il parto è legato alle fantasie più varie come il fatto che il concepimento possa avvenire attraverso qualsiasi orifizio: bocca, ano, ombelico.
Le principali differenze tra uomo e donna, secondo Deutsch, sono da ricercarsi nelle differenze anatomiche tra i sessi. Il maschietto dirige l’interesse verso il proprio organo genitale, sbocco delle energie sessuali e in età più matura volgerà il suo interesse al mondo esterno. La femmina, invece, è obbligata a concentrarsi verso l’interno del suo corpo. Le delusioni e le preoccupazioni relative alla mancanza di un organo (il pene) vengono presto abbandonate e la bambina rivolge il suo interesse all’idea di avere un figlio. Questa è una fase precoce che porta alla futura maternità.
La donna riesce a superare l’invidia del pene grazie ad un processo complesso che si ottiene attraverso uno spostamento di interesse dall’esterno all’interno del proprio corpo. Il risultato di questo passaggio è che la bambina, fantasticando, percepisce il pene come un organo interno. Quando poi diviene donna riemerge l’antica fantasia che le fa percepire il figlio come un organo interno in analogia con il pene.
L’autrice, contrariamente a Freud, non ritiene che tutte le ragazze considerino il figlio come una riparazione alla loro inferiorità fisica per due motivi: 1) qualcosa che non esiste durante l’infanzia e la pubertà non può essere compensato; 2) durante la fase riproduttiva il bambino acquista un significato diverso e tutto nuovo.
Per lo sviluppo dello spirito materno nella bambina è indispensabile l’identificazione con la madre attiva, che avviene in una fase precedente a quella in cui si rivolge verso il padre con atteggiamento passivo. La bimba si libera della dipendenza passiva nei confronti della madre e mossa da un impulso attivo comincia ad imitarla, attraverso le attività di gioco con le bambole o con gli altri bambini. "La bambina sarebbe felice di fare alla madre tutto ciò che la madre fa a lei, e anche di più; se potesse, nella sua aggressività infantile, ridurrebbe la madre in una condizione alla quale essa stessa si ribellerebbe violentemente" (21). La figlia così facendo comincia gradatamente a invertire le parti e ciò coincide con il porsi nel ruolo di madre. Questo passaggio non rappresenta solo il risultato di un capovolgimento della passività in attività, ma è un mezzo per sfogare ed appagare i suoi istinti aggressivi.
Lo spirito materno, con il quale la bambina sta prendendo confidenza, può colorarsi di fantasie in cui la piccola ricostruisce la situazione famigliare senza la presenza paterna. In questo caso gioca ad essere genitore insieme alla madre: ha avuto un figlio da lei o l’ha creato lei stessa e alla madre, comunque, riserva un ruolo puramente passivo.
Tutte queste fantasie possono riapparire nella vita adulta sotto forma di desiderio di avere un figlio nato per partenogenesi, senza padre, oppure di avere un figlio con un’amica.
Le altre fasi precoci relative alla gravidanza si fanno risalire al complesso edipico e alla fantasia della bambina legata al desiderio di avere un figlio dal padre, mentre la madre assume il ruolo di rivale.
L’autrice divide, quindi, il periodo infantile della maternità in due fasi: nella prima la bambina ha un figlio insieme alla madre e lo spirito materno ha carattere attivo, nella seconda, cioè quella edipica, desidera avere un figlio passivamente dal padre.
Un altro atto relativo alla "preistoria della maternità" si sviluppa nell’epoca puberale, quando l’impulso biologico spinge la fanciulla verso la realizzazione delle sue fantasie infantili. Quelle relative all’identificazione con la madre attiva possono giungere ad una rappresentazione diretta nonché cosciente, mentre quelle sessuali rimangono inconsce e riemergono con la comparsa della prima mestruazione. "La ragazzina ha ancora bisogno di tempo non solo per liberarsi dai residui del complesso di Edipo e dall’ingombro delle sue fantasie, ma anche per sviluppare il suo Io attraverso un’intima maturazione e renderlo così atto alla maternità" (22).
Deutsch adotta alcune idee freudiane: 1) l’epoca della comparsa del complesso d’evirazione (23); 2) la necessità che la clitoride subisca un disinvestimento; 3) il fatto che la vagina venga ignorata fino alla pubertà.
Come Freud, ritiene che la bambina trasformi la propria invidia del pene nel desiderio di avere un bambino dal padre, ma in più afferma che le pulsioni erotiche attive, prima investite nella clitoride, subiscano un’introflessione masochistica. Al desiderio maschile-narcisistico di avere un figlio dal padre subentra quello oggettuale d’essere castrata dal padre, desiderio che trova la sua realizzazione nella fantasia di essere violentata. "La vita della donna è così dominata dalla triade masochistica: castrazione = stupro = parto" (24). La triade corrisponde ad una precisa fase dello sviluppo sessuale connessa al complesso di castrazione.
Il masochismo è poi riscontrabile nella relazione madre-bambino la cui espressione massima si riscontra nella mater dolorosa. Essendo la sessualità e la funzione riproduttiva legate, la donna tende a vedere il bambino nel padre e nel partner sessuale. Concludendo la bambina diviene madre e donna quando le sue tendenze masochistiche si palesano nel desiderio di essere castrata, violentata dal padre e di riceverne un figlio in dono (25).
Alcune ragazze che nella pubertà mettono in atto lo spirito materno, senza lasciarlo relegato alla vita immaginativa, come fanno le altre, agiscono in modo materno con i fratelli e si sostituiscono alle madri presso i vicini. Il loro spirito non è diverso dalla bambina pre-pubere che gioca con la bambola e che s’identifica con la madre attiva. Queste ragazze, da adulte, possono avere un’accentuata tendenza alla maternità, o all’opposto un’inibizione della crescita, che rende faticoso lo sviluppo di uno spirito materno maturo. Possono agire da madri, invece, quando non abbiano la reale responsabilità di un figlio o la condividano con un’altra madre, restando relegate al ruolo di "aiuto-madri" (26) per tutta la vita.
"Discutendo la teoria di Ferenczi, secondo cui l’uomo realizza nel coito il desiderio di ritorno al grembo materno, la Deutsch sostiene che tale desiderio si attua ugualmente per la donna mediante la fusione identificativa con il bambino che porta dentro di sé". Il feto rappresenta una parte del suo Io e contemporaneamente l’incarnazione dell’ideale dell’Io di origine materna, mentre il parto è la modalità attiva ed il superamento del trauma che si verifica alla nascita. Concordando con Freud, Deutsch ritiene che "la donna, che sia riuscita ad instaurare la funzione materna della vagina e a rinunciare alle rivendicazioni del clitoride, è arrivata a compimento dello sviluppo femminile divenendo donna" (27).
E’ importante conoscere e valutare le fasi infantili dello sviluppo in quanto sono le sole che ci permettono di prevedere come sarà il futuro spirito materno. Secondo Helene Deutsch lo spirito materno non dipende dal fatto che la ragazza dimostri amore nei confronti dei bambini, ma si manifesta in modo indiretto. "Al tipo veramente materno appartengono quelle fanciulle che, senza essere nevrotiche o masochistiche, mostrano affettivamente la tendenza a subordinare l’istinto di conservazione a dei sentimenti altruistici" (28).
2.3 La maternità come desiderio primario e istinto innato.
Karen Horney critica alcuni aspetti della teoria freudiana nel libro "Psicologia femminile", che raccoglie, pubblicando, numerosi lavori ai quali si è dedicata dal 1923 al 1932. Per comprendere le critiche avanzate dall’autrice occorre evidenziare i passi più salienti di questo lavoro.
Nel capitolo "Sulla genesi del complesso di castrazione nelle donne" si discosta da Abraham sostenendo che il senso di inferiorità della bambina non sia affatto primario, ma nascerebbe sia dall’invidia del pene (di cui per altro le bambine non fanno mistero), sia da una serie di svantaggi rispetto al maschietto, nella fase preedipica, che producono nella bambina una mortificazione narcisistica.
I privilegi evidenti per il bambino sono:
l’erotismo uretrale. Il bambino vive sensazioni di onnipotenza associate al proprio getto d’urina;
la scopofilia attiva e passiva. Nell’atto di urinare un bambino può mostrare e guardare il proprio pene, soddisfacendo la propria curiosità sessuale. "Come la donna, con i suoi genitali nascosti rappresenta un enigma per l’uomo, così l’uomo desta la gelosia della donna proprio per la facile visibilità del suo organo genitale" (29);
l’onanismo. Ai bambini è permesso toccare il proprio genitale mentre urinano e ciò può essere visto dalla bambina come un invito alla masturbazione, che tuttavia le viene proibito.
Secondo Horney il complesso di mascolinità risulta da un’insieme di sensazioni, presenti nella donna che si sente discriminata, costituite dall’invidia per il maschio, dal desiderio di essere uomo e dal rifiuto del ruolo femminile. Ha poco a che vedere con l’invidia del pene, che ha origine nell’infanzia e si basa sulle tre precedenti motivazioni. Tale gelosia è "una formazione secondaria ed è espressione di tutti gli insuccessi nello sviluppo verso la femminilità" (30).
Il desiderio di mascolinità nasce nella donna, secondo l’autrice, dalla delusione e dalla frustrazione delle fantasie amorose dirette verso il padre (nel periodo edipico) che vengono negate nella realtà, ma soprattutto rappresenta una reazione alla condizione di inferiorità che la donna realmente viveva nella sua epoca.
Nell’America di inizio 900 la società aveva un carattere profondamente maschilista e, ogni attività professionale, era ancora svolta prevalentemente dagli uomini, inoltre contribuiva a creare inibizioni anche l’educazione dell’epoca.
La realizzazione della donna, invece, era limitata alle sfere dei legami emotivi, della vita familiare, della religione e delle opere di carità. Secondo Horney la dipendenza economica della donna dall’uomo favoriva la dipendenza emotiva e il matrimonio forniva l’unica occasione di soddisfazione sessuale, unica possibilità per avere figli e un riconoscimento sociale.
Per ampliare il concetto secondo cui la cultura patriarcale influenza lo sviluppo della femminilità l’autrice interpreta il Vecchio Testamento citando la cultura ebraica. In particolare, nella storia di Adamo ed Eva, sottolinea come la maternità venga contemporaneamente negata e svalutata, poiché:
Eva nacque da una costola di Adamo, quindi nacque da un uomo;
in seguito fu condannata a generare figli nel dolore, e ciò mostra la gravidanza non come un dono, ma come un castigo o una maledizione;
Eva è descritta come colei che spinge Adamo a mangiare dall’albero della conoscenza, quindi mostrata come una tentatrice sessuale.
Horney critica a Freud l’unilateralità del campo d’indagine psicoanalitico rivolto prevalentemente all’uomo e al bambino, trovando normale che essendo un uomo il fondatore della psicoanalisi, abbia sviluppato una psicologia maschilista. Considera difficile conciliare l’opinione freudiana di una iniziale tendenza maschile della sessualità femminile, perché dalle sue osservazioni di bambine, tra i due e i cinque anni, ha riscontrato tratti specificatamente femminili: comportamenti verso l’uomo di spiccata e spontanea civetteria femminile e un ostentato atteggiamento materno verso gli altri. Rifiuta, inoltre, il concetto freudiano secondo cui il desiderio di maternità sorgerebbe in conseguenza alla mancanza del pene e perciò non sarebbe un desiderio primario. La spinta verso la gravidanza e la maternità nella donna, definito istinto materno, viene solo rafforzato dal desiderio del pene, ma è primario, è un istinto inscritto nella sfera biologica femminile e soddisfa tutte le condizioni che Freud ha postulato nel concetto di pulsione. L’istinto materno è una "rappresentanza psichica di una fonte di stimolo in continuo flusso, endosomatica" (31).
Secondo Horney il desiderio di maternità presenta una forza inconscia, sottovalutata da Freud ed è approvato dall’Io con più facilità di altri impulsi sessuali. La stessa autrice, per ampliare la teoria, cita nel capitolo "Fuga dalla femminilità" il concetto di Abraham secondo cui il desiderio del pene è un "amore parziale", che costituisce una fase preliminare del vero e proprio amore oggettuale.
Nelle associazioni di idee, durante l’analisi delle sue pazienti, il possesso del pene e l’oggetto libidico sono spesso così collegati da rappresentare un unico desiderio.
Introduce un concetto fondamentale legato alla differenza tra i sessi, oltre a quella anatomica e intrapsichica esplorata da Freud: la "differenza biologica", "cioè i diversi ruoli assunti da uomo e donna nel processo riproduttivo" (32). Sottolinea, inoltre, la grande invidia che l’uomo vive nei confronti della gravidanza, del parto e della maternità, che sono prova della superiorità biologica della donna. Questa invidia maschile viene ampiamente verificata nei racconti dei bambini e sublimata dall’uomo adulto con lo sviluppo di valori culturali. "Il ruolo minore dell’uomo nella creazione di una nuova vita, divenne, per lui, un enorme stimolo a creare qualcosa di nuovo a sua volta … Lo stato, la religione, l’arte e la scienza … tutta la nostra cultura porta l’impronta maschile" (33).
Nel capitolo "Paura nei confronti della donna" descrive citando la letteratura epica (Ulisse, Sansone..) come l’uomo, dall’inizio dei tempi, abbia paura della donna e tenti di negarlo soprattutto a se stesso. L’uomo reagisce a questo timore cercando di oggettivarlo nell’attività creativa artistica e scientifica.
La glorificazione della donna ha il significato di allontanare ogni timore da un essere che viene considerato bello, santo e meraviglioso. Possiede un simile valore il disprezzo che annienta ogni paura nei confronti di una creatura di poco valore e inferiore. Questo timore non ha origine, come sostiene Freud, dall’angoscia di castrazione, ma dal fatto di considerare la donna come un essere ignoto, strano e incomprensibile a causa del "mistero della maternità" (34).
A prova di quanto detto, Horney cita i tabù che le popolazioni primitive creano intorno alla donna per tutte le attività che riguardano la sfera sessuale e per ciò che concerne la femminilità (periodo mestruale, gravidanza, parto). Alcune tribù ritengono che il contatto con la donna, durante il periodo mestruale, sia pericolosissimo e possa provocare cose inaudite: gli uomini perdono le forze, il raccolto, inoltre caccia e pesca non danno buoni frutti.
"… I Miri del Bengala non permettono alle loro donne di mangiare carne di tigre per paura che diventino troppo forti" (35). I Watawela dell’Africa non lasciano che le donne imparino ad accendere il fuoco, per paura che possano prendere il comando. Nelle tribù dell’Africa Orientale marito e moglie non dormono insieme, perché la femmina, respirando, può indebolire l’uomo. In altre tribù gli uomini non possono toccare una donna nel periodo mestruale in quanto rischiano la morte. Quest’ultima idea si ritrova anche nella nostra epoca o nelle generazioni passate. Nonne e bisnonne, infatti, raccontano come non fosse loro permesso di toccare fiori durante il periodo mestruale, in quanto sarebbero appassiti.
L’ipotesi freudiana, che sostiene l’eguaglianza fra fenomeni patologici e fenomeni normali, dove i primi permettono di vedere con una lente d’ingrandimento i secondi, non è, per Horney, accettabile, per questo motivo porta come esempio il complesso di Edipo, che per gli psicoanalisti è presente ovunque e in maggior misura nei nevrotici. Al contrario, studi etologici dimostrano che il complesso edipico non è universale e non esiste in condizioni culturali diverse da quelle occidentali legate ad una economia industriale. Secondo Horney trascurare fattori culturali e sociali genera unilateralità negli studi ed errori nelle conclusioni.
Sulla base della teoria del conflitto freudiano, l’autrice sostiene che i disturbi delle funzioni femminili, quali il vaginismo, la frigidità e la sterilità, abbiano origine da conflitti inconsci che possono interferire, inoltre, con il desiderio di avere un figlio.
Il naturale istinto materno, inoltre, può essere bloccato dalla paura di morire di parto, la cui origine risale all’antagonismo ed alla rivalità rimossa nei confronti della madre incinta oppure questo istinto può svanire a causa di pulsioni ostili verso il bambino. Un’altra motivazione alla base del rifiuto della gravidanza e della maternità, che rappresentano funzioni tipicamente femminili, è data dal desiderio inconscio di essere uomo, a causa dei privilegi che questi gode nella società.
Disturbi quali la gravidanza isterica e l’amenorrea rappresentano un intensa e tenace attesa di maternità, così come un parto ritardato può essere considerato un inconscio desiderio di tenere il bambino dentro di sé, per non separarsene.
Secondo Horney alcune donne nervose e depresse possono diventare felici ed equilibrate nel periodo del puerperio. Tutto questo non è dovuto all’idea di allattare ed accarezzare il bambino, ma per il solo fatto di concepirlo, di averlo nel proprio corpo, poiché ciò assume un valore squisitamente narcisistico.
La tensione premestruale, che può essere considerata come l’espressione della preparazione fisiologica alla gravidanza, deriva da un intenso conflitto tra il bisogno di avere un figlio e l’impossibilità a realizzare questo desiderio. Tale tensione si conclude con l’inizio del flusso, il quale appaga a livello inconscio le fantasia di gravidanza. Per esemplificare, l’autrice riporta il caso di una paziente che, nel periodo premestruale, avvertiva il proprio corpo gonfio e pesante come se fosse gravida, ma con l’inizio della mestruazione aveva un immediato senso di sollievo.
Riprendendo la teoria edipica freudiana, Horney sottolinea come il parto rappresenti l’inconscia realizzazione delle prime fantasie incestuose e il matrimonio realizzi inconsciamente tutti i desideri edipici infantili: essere moglie del proprio padre, possederlo in maniera esclusiva e avere figli da lui (36).
2.4 Gravidanza e crisi maturativa normativa.
Per comprendere la concezione della femminilità e della gravidanza di Erikson bisogna conoscere almeno tre elementi fondamentali per la sua teoria: l’Ego, l’identità e la crisi.
La definizione d’identità si basa su un concetto che è posto "… al centro dell’individuo" ed uno "… al centro della sua cultura comunitaria, un processo, insomma, che stabilisce l’identità di quelle due identità" (37). In termini psicologici l’identità si forma da un simultaneo processo di riflessione ed osservazione, che permette all’individuo di giudicarsi grazie a come percepisce di essere considerato dagli altri. Secondo Erikson è un processo inconscio che origina quando "madre e figlio s’incontrano per la prima volta come due persone che possono toccarsi e riconoscersi a vicenda, e non ha termine fino a quando non venga meno il potere umano d’affermazione reciproca" (38), incontro che si basa, inoltre, sulla fiducia reciproca. Questo processo, che ha la sua crisi normativa nell’adolescenza, è determinato da una sintesi delle identificazioni infantili e dal loro assorbimento in una nuova configurazione che sarà fondamentale per la creazione della futura identità adulta e matura. Il senso ottimale d’identità è legato al benessere psicosociale e comprende diversi fattori concomitanti: il sentirsi bene nel proprio corpo, il sapere dove si va e l’essere riconosciuti da coloro che valgono.
Secondo Erikson sono fondamentali nello sviluppo personale le trasformazioni che avvengono nella società, infatti, una ipotetica crisi (39) d’identità individuale deve essere compresa alla luce della contemporanea crisi dello sviluppo storico. Il problema dell’identità, dunque, cambia col variare dei periodi storici, poiché la gioventù condivide un destino comune, dovuto ai cambiamenti sociali all’interno dello stessa generazione.
L’autore critica la psicoanalisi che, secondo lui, non riesce a comprendere completamente l’identità in quanto considera l’ambiente come un mondo esterno o un mondo oggettuale, mentre dovrebbe essere percepito come "un’attualità che invade tutto" (40).
L’Io o Ego (41) è un’istanza psichica che svolge la funzione di mediatore tra eventi esterni e realtà interna permettendo lo sviluppo di una personalità coerente, continua e stabile nel tempo. Quando due amanti fondono le proprie identità dell’ego nel matrimonio lo fanno a beneficio dell’ego della progenie. La presenza di un figlio, all’interno di una coppia, "…esercita un dominio consistente e persistente sulla vita interiore ed esteriore di ogni membro della famiglia. Poiché questi membri debbono riorientarsi per accogliere la nuova presenza, devono anche crescere come individui e come gruppo" (42). Il rapporto tra famiglia e bambini è reciproca, questi ultimi educano la famiglia e la dominano e viceversa.
L’attaccamento incestuoso della progenie nei confronti dei genitori, per Erikson, non deve essere considerato necessariamente patologico, ma anzi un sentimento che crea continuità all’interno delle famiglie, perpetuando la tradizione e l’evoluzione della specie.
Determinare quando nasce l’ego è difficile, è un processo graduale, che parte da uno stadio in cui l’integrità si basa su fattori fisiologici che determinano la necessità da parte del bambino di ricevere, mentre dare risulta un requisito materno. "La madre, naturalmente, non è soltanto una creatura che ha partorito, ma è parte anche della famiglia e della società: anche lei deve sentire un sano rapporto tra il suo ruolo biologico ed i valori della sua comunità". Grazie a questo la madre potrà, tramite gli scambi non-verbali, far nascere nel bambino la fiducia in lei, in se stesso e nel mondo, facendogli avvertire un senso di continuità e di unità che permette di conciliare il mondo interno con quello esterno. Questa percezione viene chiamata da Erikson "senso di fondamentale fiducia" (43) e costituisce la prima fondamentale integrità.
Secondo Erikson una delle coordinate indispensabili dell’identità è il ciclo vitale, periodo in cui ogni individuo, fin da bambino, dovrà affrontare conflitti normativi, che a seconda di come supererà andranno a costituire le caratteristiche della sua personalità. Sono sette gli stadi maturativi che costellano lo sviluppo della personalità per tutta la vita umana partendo dall’infanzia e arrivando fino al periodo in cui il soggetto è anziano.
La crescita umana per quanto riguarda i conflitti interni ed esterni è costituita da crisi normative dalle quali il soggetto riemerge, trovando la giusta soluzione, con un accresciuto senso d’unità interiore e di capacità di rispondere positivamente all’ambiente. La personalità, dunque, si costituisce tramite tappe che sono considerate come crisi che il soggetto deve superare, poiché indicano un radicale mutamento di prospettiva. Il cambiamento più radicale avviene nel passaggio dalla vita intrauterina a quella extrauterina, quando il feto deve abbandonare "…l’ambiente di ricambi chimici dell’utero e s’inserisce nel sistema di ricambi della società entrando in contatto con le possibilità e le limitazioni della sua cultura" (44).
Durante l’infanzia, ovviamente, l’individuo è sprovvisto di tali requisiti che acquisirà con lo sviluppo, attraversando delle fasi che coprono l’intero arco di vita dell’individuo (45).
Erikson sottolinea come una generazione differisca tanto dall’altra, al punto che gli elementi che vanno a costituire la tradizione, spesso diventano disturbanti. Infatti la fiducia in sé di una giovane madre può essere turbata da conflitti tra abitudini della donna e consigli dell’esperto, tra il modo di fare del medico e lo stile di vita della madre. In più le trasformazioni della vita americana dell’epoca caratterizzate dall’immigrazione, dall’industrializzazione, dall’urbanismo e dalla meccanizzazione, secondo Erikson, erano in grado di turbare le neo-mamme nello svolgere i loro compiti.
Per Erikson dopo l’adolescenza si verificano alcune crisi d’identità, che se non vengono superate non permettono lo sviluppo di certe qualità nell’individuo.
La prima di queste crisi è quella relativa all’intimità, che si riferisce non solo all’intimità sessuale, ma anche a quella psicosociale. Un esito negativo di questa tappa dovuta all’incapacità di mettere a rischio la propria identità, per sviluppare rapporti intimi, fa nascere nel soggetto un profondo senso d’isolamento. Questo ha come conseguenza una profonda paura della nascita dei figli e dell’obbligo di mantenimento. La capacità d’amare, invece, rappresenta la forza vitale del giovane adulto, grazie all’associazione di competitività e collaborazione, produzione e procreazione. Erikson paragona la concezione psicoanalitica, che fa coincidere la genitalità con la piena maturità alla sua teoria, secondo cui gran parte della vita sessuale dell’individuo è rivolta alla ricerca di se stesso e della propria identità.
Una crisi successiva coincide con la preoccupazione per la generatività, preoccupazione di creare e di conseguenza di guidare la prossima generazione. La generatività si riferisce sia alla capacità di concepire dei figli, sia a interventi altruistici o creativi, che possono comunque appagare desideri di paternità e maternità. "Infatti, l’abilità di annientarsi nell’unione di anima e corpo porta ad una graduale espansione degli interessi dell’ego e ad un investimento libidico in ciò che si sta generando. Quando questo arricchimento viene a mancare, ha luogo una regressione … accompagnata spesso da un senso diffuso di stagnazione, noia ed impoverimento personale" (46). In questa fase i trionfi e le delusioni di essere il generatore di altre creature e l’iniziatore di cose ed idee maturano generando quella che Erikson chiama integrità (47).
Erikson si riferisce alla gravidanza ed alla procreazione come ad un "miracolo quotidiano" sottolineando come la sopravvivenza dell’umanità viene spesso fatta risalire alla coerenza dei programmi degli uomini, mentre si tende a dimenticare che le donne affrontano il compito di allevare i futuri ricostruttori.
Vi è uno stadio cruciale per la nascita dell’identità femminile, nel passaggio dalla giovinezza alla maturità, che coincide con l’abbandono della famiglia da parte della donna per dedicarsi all’amore di un estraneo e all’assistenza che presterà alle creature della nuova e della vecchia generazione. L’età adulta comincia, secondo Erikson, con la capacità di offrire amore e assistenza ed è caratterizzata dall’unione di due identità individuali nel matrimonio e nell’amore, per prendere parte al processo di produzione e procreazione tipico di questo periodo.
La differenza fra maschile e femminile è sostanzialmente somatica: la donna "… contiene uno spazio interiore destinato a portare in grembo la progenie" futura (48). Riprende il concetto indiscutibile della teoria freudiana secondo cui, prima o poi, entrambi i sessi si accorgono della mancanza del pene nella femmina, e sottolinea come la bambina, nella sua differenza dal maschio, non si concentri su un organo esterno mancante, ma sul fatto che può osservare in donne più grandi e in animali femmine "… l’esistenza di uno spazio corporale interno e produttivo fermamente inserito al centro della forma e del portamento femminile" (49). Con questo concetto non si riferisce solo alla gravidanza e al parto, ma anche all’allattamento e alle parti convesse del corpo femminile che indicano pienezza, calore e generosità.
Le teorie di Erikson furono confermate dall’osservazione di 150 bambini e 150 bambine, in momenti ludici, con la consegna di costruire delle scene come su un set cinematografico, offrendo loro dei giocattoli collocati sul tavolo (animali, mobili e diverse figure come poliziotti, indiani, frati, ecc…). Quello che fu valutato è come veniva utilizzato lo spazio del tavolo a disposizione, se veniva utilizzato tutto o solo in parte.
I risultati mettono in evidenza che le ragazze danno più importanza allo spazio interno, mentre i ragazzi a quello esterno. La scena tipica delle femmine era rappresentata all’interno della casa con una serie di mobili senza pareti oppure come uno spazio chiuso. Le persone si trovano all’interno in posizione statica, il clima era tranquillo, ma a volte si subiva l’intrusione di uomini o animali pericolosi. Questa invasione non evocava la costruzione di muri o porte difensive, ma anzi era accompagnata da un elemento di eccitazione umoristica o piacevole. Le scene dei ragazzi contenevano case con muri complessi e protuberanze a forma di cilindri, torri elevate, edifici alti con pericoli di crolli e macerie. Le scene erano prevalentemente esterne. Gli oggetti e le persone all’esterno erano in movimento.
Le conclusioni di questa ricerca indicano come le differenze tra i sessi, nell’organizzazione dello spazio e nel gioco, si ripresentano nella differenziazione genitale. Il maschio, infatti, è caratterizzato da un organo erettile ed intrusivo, che serve ad incanalare lo sperma, la femmina da organi interni con ampio accesso ed ovuli statici, che sono in attesa di essere raggiunti. L’interpretazione psicoanalitica e somatica delle scene riguarda la preoccupazione per gli organi genitali, in soggetti preadolescenti. L’interpretazione sociale prevede una visione dei ragazzi che amano l’aria aperta, le ragazze la casa ed i ruoli ad essa collegati (la famiglia, i bambini ecc…).
L’interpretazione suggerita da Erikson è più comprensiva, sostiene che esiste una profonda differenza tra i due sessi, basata sulla struttura del corpo umano, che riguarda una predisposizione ad un atteggiamento spaziale e non una precisa capacità. Questo atteggiamento spaziale diverso nei due sessi non ha né basi competitive né imitative, ma si sviluppa naturalmente. "… Le donne hanno trovato la loro identità nelle cure suggerite dal corpo e nei bisogni delle creature che da esso nasceranno, e sembrano accettare per scontato che lo spazio del mondo esterno appartenga agli uomini" (50).
Secondo Erikson la psicoanalisi non ha dato importanza sufficiente ai "modelli procreativi intrinseci della morfologia fisiologica sessuale" (51) che in realtà pervadono, con intensità, ogni stato di eccitazione e di ispirazione dando forza ad ogni esperienza.
La teoria psicoanalitica, nello spiegare l’evoluzione della donna e della femminilità parte, da un trauma legato alla mancanza del pene (invidia del pene), che genera nella bambina il rifiuto della figura materna colpevole di questa mancanza e del fatto di averla creata a sua volta senza un tale oggetto. Ciò genera un conseguente interesse verso la figura paterna per la presenza di quest’organo. Da adulta la donna abbandonerà la propria aggressività a favore di un orientamento passivo-masochistico e desidererà un figlio, che rappresenterà il sostituto del pene mancante.
Queste sono, per Erikson, solo mezze verità nel quadro di una teoria normativa dello sviluppo della femminilità. Se queste premesse fossero fondanti non si capisce come farebbe la donna a passare da emozioni legate "… alla perdita di un organo esterno al senso di un vitale potenzialità interiore" (52), da un odio verso la madre alla solidarietà con lei, da un piacere masochistico della sofferenza alla comprensione del dolore, come significativa esperienza umana e in particolare del femminile.
Le angosce di fondo, legate al femminile, come il senso di solitudine, la paura di essere lasciata vuota e senza oggetti preziosi al suo interno, non devono essere interpretate unicamente come conseguenza dell’invidia del pene e del desiderio di essere maschio. Il vuoto in particolare è la maniera femminile di sentirsi sminuita e un’esperienza comune a tutte le donne. L’esistenza femminile di questo spazio interiore nella donna è il centro di ogni potenziale adempimento, ma può essere anche fonte di disperazione e di angoscia.
Erikson sostiene che, nello sviluppo del femminile, vi è un periodo definito come "moratoria psicosociale" (che coincide con lo stadio adolescenziale) caratterizzato da un momento d’attesa prima dell’accesso all’età adulta. In questo periodo la ragazza a differenza della donna matura "… può sentirsi relativamente meno oppressa dalla tirannia dello spazio interiore" (53). Potrà esplorare lo spazio esterno con un atteggiamento simile al maschile. La moratoria ha termine e sopraggiunge la femminilità adulta quando l’esperienza permette alla donna di scegliere quello che dovrà essere accolto nello spazio interiore.
Secondo Erikson la donna non può essere definita più passiva dell’uomo soltanto perché "la sua funzione biologica essenziale la obblighi o la autorizzi ad essere attiva in maniera consona ai suoi processi fisici interiori, o perché possa essere dotata di una contenuta intimità e intensità di sentimento, o perché le possa far piacere soffermarsi in quel cerchio interno, entro il quale fiorisce la sollecitudine materna" (54).
Non accetta neppure di considerare la donna più masochista dell’uomo, esclusivamente perché deve adattarsi alla sua periodicità interna e sopportare il dolore del parto, che la Bibbia spiega come la giusta punizione causata dal comportamento scorretto di Eva. Il fatto che la donna conosca il dolore attraverso la vita sessuale e della maternità fa di lei una persona che ne ha una comprensione profonda. La donna si affanna per capire ed alleviare la sofferenza altrui e per insegnare a sopportare il dolore inevitabile dell’esistenza umana. Può risultare masochista solo quando sfrutta il dolore per vendetta e quindi evade dalla sua funzione femminile, piuttosto che penetrarvi fino in fondo. Allo stesso modo è passiva, in modo patologico, quando adotta questo atteggiamento nella sfera dell’integrità personale e quella dell’utilità. Erikson pone una particolare attenzione sull’anatomia che determina il destino non solo delle funzioni fisiologiche, ma anche della personalità.
La donna per lui è caratterizzata dalle capacità di accettare, possedere e trattenere, ma anche di attaccarsi, di essere protettiva e di richiedere protezione; come l’uomo possiede un organo intrusivo che è il capezzolo che allatta e quindi simbolicamente permette lo sviluppo di capacità di soccorrere l’altro. Nel versante della patologia la sua necessità di protezione può diventare eccessiva e anche il suo bisogno di protendersi verso l’altro può diventare intrusivo ed oppressivo. In conclusione l’anatomia, la personalità e la storia costituiscono il nostro destino.
"Il soma è il principio dell’organismo che vive il suo ciclo vitale". Ma il "soma" femminile comprende, oltre a tutto ciò che è circoscritto dalla pelle, la funzione che Erikson definisce "missione", riferita al concepimento e soprattutto alla creazione fisica, culturale ed individuale del figlio. Il concepimento è il compito tipico della donna, che può vivere in questa "area somatica allargata", ma il mondo moderno le offre un margine sempre maggiore per scegliere, programmare o anche rifiutare di vivere questo "compito somatico" (55).
Erikson non vuole intendere che ogni donna sia condannata al compito della gravidanza, ma che la donna, in quanto tale, nelle sue tendenze naturali ha quella della gravidanza e della maternità. E’ riduttivo pensare che la donna, oggi, abbia acquisito tutte le capacità del maschile definite come "attive", in quanto è scontato che ella può stare al pari dell’uomo in tutte le sfere produttive, ma "… una vera uguaglianza può voler dire soltanto il diritto di essere creativi in modo diverso" (56).
Le differenze fra i due sessi sono caratterizzate da attitudini, predisposizioni, inclinazioni che si possono trovare naturalmente con maggiore frequenza in uno dei sessi. Le donne, oggi, si trovano di fronte ad una maggior gamma di settori entro cui realizzarsi, grazie anche alla tecnologia e si tratta solo di stabilire quali settori le loro naturali inclinazioni troveranno in futuro il desiderio di coltivare.
Note
Caprara, Gennaro, 1994.
Ivi.
Ivi.
Pines, 1972.
Caprara, Gennaro, 1994, p.259.
Horney, 1967, p.296.
Horney, 1967.
Deutsch, 1945, p.25.
Deutsch, 1945, p.3.
Vedi Eric Neumann e Esther Harding cap.1.
Deutsch, 1945, p.19.
Deutsch, 1945, p.20.
Ivi
Nella vita umana è fondamentale la presenza delle seguenti forze: istinto sessuale e istinto di riproduzione, istinto di conservazione individuale e istinto di conservazione della specie.
Deutsch, 1945, p.23.
Un esempio può essere dato da una donna che desidera sessualmente un uomo ed è eccitata all’idea di essere desiderata sessualmente da lui, ma sceglie un altro uomo come padre dei suoi figli. Può darsi che una delle componenti domini totalmente la vita cosciente, mentre l’altra riamane sepolta nell’inconscio.
Deutsch, 1945, p.49.
Deutsch, 1945, p.60.
Argomenti trattati in Chasseguet-Smirgel, 1964.
Deutsch, 1945, p.60.
Deutsch, 1945, p.67.
Ivi.
Intorno ai 4 anni.
Argomenti trattati in Chasseguet-Smirgel, 1964, p.41.
Argomenti trattati in Chasseguet-Smirgel, 1964.
Deutsch, 1945, p.77.
Argomenti trattati in Chasseguet-Smirgel, 1964, p.39.
Deutsch, 1945, p.78.
Horney, 1967, p.42.
Horney, 1967, p.69.
Freud S., 1905, Horney 1967, p.121.
Horney, 1967, p.64.
Horney, 1967, p.132.
Horney, 1976, p.161.
Horney, 1976, p.129.
Horney, 1976.
Erikson, 1968, p.24.
Ivi.
Il termine crisi non è utilizzato nel senso di una catastrofe imminente, ma di "… svolta necessaria, un momento cruciale in cui l’individuo deve procedere in un senso o nell’altro, servendosi delle risorse di crescita e di ulteriore differenziazione" (Erikson, 1968, pp.16-17).
Erikson, 1968, p.25. A tal proposito cita gli etologi tedeschi che riferendosi all’ambiente usano il termine "Umwelt" che indica ciò che ci circonda, ma che è anche dentro di noi. A livello evolutivo vivono in noi ambienti del passato, che subiscono un continuo processo di trasformazione nel presente. Incontriamo sempre degli ambienti, fin da neonati, o persone che hanno a loro volta esperienze di ambienti.
41 Il compito dell’ego si può identificare in tre processi, dipendenti l’uno dall’altro, indispensabili per mantenere una continuità nel tempo:
a) Processo biologico: "l’organismo è un’organizzazione gerarchica di sistemi organici che vive il suo ciclo vitale" (Erikson, 1968, p.85).
Processo sociale: grazie al quale i soggetti si organizzano in gruppi geograficamente e culturalmente definiti e separati.
Processo dell’ego: permette la percezione dell’individuo come una personalità coerente.
Erikson, 1968, p.111.
Erikson, 1968, pp.94-95.
Erikson, 1968, p.109.
45 Nel delineare le tappe dello sviluppo umano combina le tappe dello sviluppo psicosessuale freudiano con le cognizioni sulla crescita sia fisica che sociale del bambino. A titolo esplicativo presento la prime e la seconda tappa dello sviluppo normativo individuale. La prima coincide con lo stadio orale-sensorio. Erikson vede il rapporto madre bambino come una relazione complementare, in cui l’abilità del neonato che cerca un nutrimento s’incontra con il desiderio della donna di nutrirlo. Il bambino vive ed ama attraverso la bocca e la madre ama e vive attraverso il seno ed ogni suo comportamento rivela il desiderio di soddisfare qualsiasi bisogno del bambino. Per la madre questo compito complicato "dipende molto dal suo sviluppo come donna, dal suo atteggiamento inconscio verso il bambino, dal modo come ha sopportato la gravidanza e il parto, dall’atteggiamento suo e della comunità verso l’allattamento e la cura del neonato – e dal responso del neonato" (Erikson, 1968, p.113).
La seconda tappa coincide con lo stadio muscolare-anale-uretrale ed è costituita dallo sviluppo dei denti, dal desiderio di mordere. In questo stadio dovrebbe avvenire lo svezzamento nel quale non è importante la presenza del seno, ma la presenza rassicurante della madre, che se viene a mancare mina la fiducia che dovrebbe crearsi in questo periodo. Se il bambino ha l’impressione di essere abbandonato o privato del calore materno svilupperà un senso di fondamentale sfiducia.
Riassumendo questo sentimento fondamentale di fiducia o sfiducia non dipende dalla presenza o meno del cibo, ma dalla qualità del rapporto con la madre. La fiducia che le madri creano nel figlio si basa sulla cura affettuosa dei bisogni del bambino e sul senso di fiducia personale acquisito nell’ambito della comunità d’appartenenza.
Erikson, 1968, p.160.
47 Coincide con l’accettazione del proprio ciclo vitale e delle persone che ad esso hanno partecipato, come ad esempio i genitori, verso i quali emerge un amore nuovo, caratterizzato da accettazione e assenza di desiderio di cambiarli. Emerge inoltre il senso di responsabilità della propria vita e la saggezza (Erikson, 1968).
Erikson, 1968, p.316.
Erikson, 1968, p.318.
50 Erikson, 1968, p.326.
51 Erikson, 1968, p.327.
52 Erikson, 1968, p.331.
53 Erikson, 1968, p.335.
54 Erikson, 1968, p.337.
55 Erikson, 1968, p.343.
56 Erikson, 1968, p.345.
Capitolo 3
Psicoanalisi delle relazioni oggettuali.
"In un intreccio continuo di fantasia e realtà, di sottili distinzioni tra <<contenitore>> e <<contenuto>>, il bambino interno viene progressivamente a differenziarsi: da una situazione iniziale in cui veniva percepito come facente totalmente parte di sé, ci si prepara alla separazione, che fonderà due nascite: di sé come madre, del bambino come figlio"
Laura Galardi, Il bambino tra immagine e realtà
3.1 Un orientamento innovativo.
La psicoanalisi delle relazioni oggettuali porta nella visione psicoanalitica un cambiamento fondamentale, evidenziando l’assunto teorico per cui la personalità, grazie alla mediazione con l’oggetto, si costruisce a partire dal rapporto con il mondo esterno. Rappresenta un altro fondamentale filone di ricerca che, insieme alla psicoanalisi dell’Io, ha proseguito, ampliato e modificato le idee freudiane.
La nostra mente è costituita da oggetti vissuti, pensati, caricati di desiderio e le persone, che ci circondano sono elementi costitutivi del nostro pensiero, per cui non esiste un evento, che accada dentro di noi, avulso dal sistema relazionale. La prima relazione fondante è quella diadica madre-bambino ed è il punto di partenza per creare altre relazioni.
Questi autori spesso osservano la figura materna non con le sue emozioni e funzioni, ma come oggetto nel mondo del bambino, che lo nutre fisicamente e soprattutto psichicamente. I contributi degli autori, che fanno parte di questo filone teorico, sviluppatosi in Europa e soprattutto in Inghilterra, sono spesso così distanti e diversi fra loro da mettere in dubbio l’identità stessa dell’indirizzo (1).
Ne fanno parte autori come Melanie Klein e Wilfred Bion che accentuano, nello studio dell’inconscio e del funzionamento psichico, l’aspetto fantasmatico, mentre altri quali John Bowlby e Donald W. Winnicott "restano concretamente aderenti al prototipo di relazione madre-bambino" (2).
3.2 La madre come contenitore in cui proiettare contenuti.
Melanie Klein nella sua teoria si concentra su fattori interni, innati e precoci dello sviluppo del bambino. Secondo l’autrice, infatti, il bambino possiede la consapevolezza innata dell’esistenza di qualcosa fuori di lui (la madre) che potrà appagare i suoi bisogni e i suoi desideri.
I primissimi stadi dello sviluppo del bambino sono caratterizzati dalla presenza di impulsi distruttivi ed autodistruttivi, che giustificano la comparsa precoce, intorno ai due anni (anticipata rispetto a Freud), dell’Io e del Super-Io. Queste due istanze sono funzionali alla protezione di se stesso e dei propri oggetti (compresa la madre) dalle pulsioni aggressive.
La pulsione di morte per la Klein è costituzionale e rappresenta tutto ciò che si oppone alla crescita, alla sofferenza e alla fatica. Il dolore e la sofferenza iniziano per l’infante con la perdita della condizione intrauterina, poiché gli stimoli provenienti dall’esterno sono percepiti come forze ostili, aggredenti e persecutrici.
Klein propone le nozioni di posizione schizoparanoide e di posizione depressiva per indicare le tappe evolutive che il bambino affronta verso il conseguimento della maturità. Il conflitto di base, che si instaura fin dalla nascita, è tra pulsione di vita e pulsione di morte.
Wilfred Bion, che è stato in analisi dalla Melanie Klein, riprese e modificò, in modo originale, alcuni concetti cardine delle sue teorie. Bion pone la madre in una posizione fondamentale per lo sviluppo del bambino, ipotizzando che la mente materna, grazie alla rèverie e alla funzione alfa, possa percepire ciò che avviene nella mente del bambino e produrre in essa modificazioni positive.
La comunicazione intrapsichica madre feto, per Bion, costituisce la condizione che rende possibile il pensiero del bambino: "… perché un feto e un neonato possono accedere al pensiero è necessario che la madre, attraverso il suo fantasticare ed amare il bambino già durante la gestazione, abbia creato per lui una sorta di contenitore per i pensieri e abbia in un certo senso pensato i primi pensieri del bambino" (3). Si può fare un parallelismo tra nutrizione del bambino e l’attività di pensiero: come il neonato arriva ad alimentarsi da solo dopo essere stato nutrito nella vita fetale direttamente dal sangue materno, già metabolizzato, così sarà in grado di metabolizzare autonomamente i pensieri, solamente dopo che la madre li abbia pensati per lui (4).
A differenza della Klein, Bion non percepisce l’identificazione proiettiva come una fantasia onnipotente del bambino, "… bensì come un vero e proprio transito di pensieri ed emozioni da un soggetto ad un altro"; è una comunicazione che procede dal bambino alla madre e viceversa. La madre, infatti, elabora i vissuti proiettati su di lei dal bambino restituendoglieli modificati nel significato, in più "… è in grado di trasmettergli una parte delle sue capacità elaborative" (5), cioè la stessa funzione alfa.
In "Apprendere dall’esperienza" Bion introduce un modo totalmente nuovo di guardare alla diade madre-bambino: la madre non ha più solo la funzione di occuparsi delle necessità fisiologiche del bambino o del contenimento delle sue angosce, "… deve pensare come pensa il bambino per aiutarlo a pensare su se stesso". Attraverso l’identificazione proiettiva "… il bambino proietta la parte perturbata della sua personalità alla madre, questa a sua volta, nel suo inconscio profondo e nella sua rèverie, in qualche modo riordina il caos di pensiero e sentimenti che il bambino proietta in lei, e glielo restituisce riordinato e più tollerabile" (6).
Per Bion la rèverie è quindi una capacità della madre di fornire amore e comprensione al bambino, il quale incapace di discriminare fra stimoli positivi e negativi, li proietta sulla madre affinché possa comprenderli. La madre svolge un ruolo di contenitore in cui viene proiettato un oggetto, un contenuto. I contenuti spiacevoli vengono proiettati, dal neonato, nel seno buono, per poi essere reintroiettati una volta che abbiano perso i loro aspetti angoscianti.
La funzione alfa - che agisce su impressioni sensoriali e sulle emozioni modificandole in modo che possano essere utilizzate per pensare – è un processo strettamente collegato al rapporto che il bambino stabilisce con la madre.
Bion assume il punto di vista freudiano secondo cui la coscienza è preposta alla percezione di impressioni sensoriali e di emozioni. Se la funzione alfa, che si applica a queste ultime, opera con successo produce elementi alfa (immagini visive, schemi olfattivi ed uditivi, materiale utilizzabile dai pensieri onirici, dai pensieri inconsci di veglia e dalla memoria), se fallisce impressioni sensoriali ed emozioni permangono allo stato grezzo e si producono elementi beta, che non potendo essere usati per il pensiero, costituiscono ammassi di cui il soggetto non ha coscienza.
Inizialmente il meccanismo contenitore-contenuto è un interscambio tra bocca e seno e poi tra bocca introiettata e seno introiettato. I legami che si possono creare tra il contenitore e contenuto sono:
Legame simbiotico: quando contenitore e contenuto corrispondono l’un l’altro e si modificano all’interno della relazione producendo un vantaggio per entrambi i membri.
Legame conviviale: vi è equilibrio in quanto contenitore e contenuto coesistono, senza che la presenza di uno costituisca un pericolo per l’altro.
Legame parassitario: contenitore e contenuto corrispondono l’un l’altro, ma la loro relazione distrugge entrambi i partecipanti al rapporto.
Bion chiama il legame simbiotico e quello conviviale "K", poiché l’attività contenitore-contenuto introiettata dal neonato diventerà una delle operazioni di base del pensiero e un apparato per apprendere dall’esperienza, mentre chiama "-K" (meno K) il legame parassitario, poiché costituirà un oggetto interno che non permette di pensare (7).
3.3 Rappresentazioni mentali genitoriali e attaccamento.
E’ centrale nella teorizzazione di Jhon Bowlby il concetto di attaccamento. Nei suoi studi, infatti, approfondisce le conseguenze derivanti da una negativa relazione di attaccamento tra madre e bambino, causata dalla perdita della madre. Intorno al 1948, cioè nell’immediato dopoguerra, Bowlby si interessò alle conseguenze della separazione precoce dalla figura materna, oggetto d’attaccamento primario, grazie all’osservazione di neonati e bambini al di sotto dei tre anni, esaminando così, l’influenza dei fattori ambientali nello sviluppo infantile.
Bowlby organizza le sue osservazioni relative all’attaccamento all’interno di un quadro di riferimento (conceptual framework) piuttosto che in una teoria, in senso stretto, che nasce nel contesto scientifico degli anni ’50 e ’60 e quindi viene influenzato dalla biologia, dalla cibernetica e dalla etologia. Le teorie etologiche si sono diffuse grazie ai lavori di Konrad Lorenz e all’introduzione del concetto d’imprinting (processo di formazione dei legami sociali, non appreso e geneticamente determinato).
Bowlby sottolinea l’importanza delle cure materne e del legame affettivo tra madre e figlio: "… il lattante ed il bambino dovranno essere allevati in un’atmosfera calda e dovranno essere uniti alla propria madre da un legame affettivo intimo e costante, fonte per entrambi di soddisfazione e di gioia" (8).
Un bambino che non gode di questo legame affettivo soffrirà di carenze di cure materne e di privazioni, che avranno ripercussioni più o meno gravi a seconda dell’intensità di queste ultime. Se la carenza è parziale "… provoca una forte ansietà, un bisogno eccessivo d’affetto e potenti desideri di vendetta…" invece "la carenza totale di cure materne … può compromettere definitivamente la facoltà di stabilire contatti affettivi" (9).
In particolare evidenzia l’origine biologica del legame madre-bambino e lo considera come un bisogno innato, che genera il comportamento d’attaccamento, regolato da fenomeni ambientali. Quest’ultimo poggia su sequenze di azioni (sistemi comportamentali) presenti in tutti i membri di una razza, indipendenti dall’ambiente e dall’apprendimento, che garantiscono la sopravvivenza della specie.
Bowlby ha individuato quattro fasi nello sviluppo dell’attaccamento caratterizzate da:
responsività del bambino indifferenziata;
responsività verso la figura materna;
ricerca della madre più organizzata;
sviluppo delle capacità di mettersi nei panni della madre, perciò d’intenderne le intenzioni e le motivazioni.
La madre, in queste fasi, possiede dei sistemi comportamentali che le permettono di assecondare le richieste del bambino e che sono complementari a quelli che regolano l’attaccamento infantile.
Se il legame madre-bambino è caratterizzato da armonia e la madre accoglie i bisogni del figlio, creando una relazione reciprocamente gratificante, il bambino vive un’esperienza d’attaccamento sicura che costituirà la base per uno sviluppo sano della sua personalità.
I sistemi comportamentali hanno in più la funzione di favorire la vicinanza della figura d’attaccamento, sia agendo da segnali ad esempio: il sorriso, il pianto, la vocalizzazione, sia determinando l’avvicinamento alla figura d’accudimento attraverso comportamenti d’accostamento e di contatto fisico quali: l’aggrapparsi, il seguire e la suzione.
Ci sono quattro sistemi di controllo comportamentale, che regolano le azioni del bambino, corrispondenti a comportamenti d’attaccamento, di esplorazione, affiliativo e di paura-attenzione. In particolari situazioni, ad esempio di fronte al pericolo, quello d’attaccamento viene attivato, mentre quello che regola l’esplorazione del mondo esterno viene inibito (10).
I modelli comportamentali funzionano adeguatamente negli organismi che sviluppano "modelli operativi interni" dell’ambiente e delle proprie azioni, che permettono all’individuo di fare previsioni.
Nell’uomo tra i sistemi motivazionali, quelli filogeneticamente più evoluti, sono quelli sociali e sono: il sistema motivazionale d’attaccamento, esploratorio e collaborativo.
Il sistema motivazionale dell’attaccamento si sviluppa per primo ed è sovraordinato agli altri. Diventa operativo durante la seconda metà del primo anno di vita, quando il bambino inizia a discernere le figure che lo accudiscono da quelle estranee. Ha la funzione adattiva di proteggere il piccolo dal pericolo.
Il sistema motivazionale esploratorio si sviluppa contemporaneamente al precedente, ma si attiva solo quando si disattiva quello d’attaccamento. La minaccia e il pericolo fanno disattivare l’esploratorio e riattivano l’attaccamento.
Il sistema motivazionale collaborativo o di cooperazione paritetica è presente solo nei primati.
Sulla base della teoria dell’attaccamento di Bowlby, si sono sviluppate una serie di ricerche sulla valutazione della trasmissione intergenerazionale delle configurazioni affettive personali. Queste permettono di indagare sulle dinamiche attraverso cui i modello operativi e le rappresentazioni mentali dei genitori influenzano lo sviluppo dell’attaccamento del figlio e le rappresentazioni che si crea di sé e degli altri.
Si deve alla sua allieva Mary Ainsworth uno studio che rese possibile verificare empiricamente alcune idee base della concezione di Bowlby e suggerire alcune linee di sviluppo. A questa autrice si devono tre concetti fondamentali, quali:
base sicura: utilizzato per riferirsi alla figura d’attaccamento, che il bambino ricerca per ricevere protezione e cure e da cui si distacca per esplorare il mondo;
sensibilità materna ai segnali del bambino: sottolineando il ruolo giocato nello sviluppo dei pattern d’attaccamento, che si creano tra madre e bambino;
strange situation (11) che è una procedura osservativa di laboratorio ideata, dalla Mary Ainsworth nel 1987, per attivare e quindi studiare il comportamento d’attaccamento dei bambini durante la prima infanzia (dai 12 mesi in su) (12). Da questa procedura sono emerse tre categorie di attaccamento del bambino: sicuro, insicuro-evitante, insicuro-ambivalente. Successivamente nel 1986 Mary Main e Judith Solomon hanno inserito una nuova categoria d’attaccamento chiamata disorganizzato-disorientato, per quei bambini che non rientravano nelle categorie precedenti (13).
Massimo Ammaniti esplora, in uno studio, la narrazione personale (14) di alcune donne in gravidanza, per valutare come rappresentano e raccontano a sé e agli altri la propria maternità e l’effetto che questi atteggiamenti hanno sul bambino.
E’ emerso immediatamente che le madri aventi un mondo rappresentativo sufficientemente equilibrato e un’esperienza infantile con figure genitoriali sensibili, cresceranno un figlio che svilupperà un attaccamento sicuro (15).
Il mondo rappresentativo di queste madri "sicure" permette di comprendere i processi di trasmissione intergenerazionali delle caratteristiche affettive personali. Sono donne che hanno elaborato la propria relazione infantile con i genitori in modo adulto, non idealizzandoli e, indipendentemente dal fatto che sia stata positiva o negativa, hanno effettuato una riconciliazione interna con loro. Questo orientamento permette alle madri di rispondere in modo affettuoso al figlio e nel rispetto della sua autonomia (16).
Le madri "invischiate", invece, mantengono una forte dipendenza dalla famiglia d’origine, manifestano ancora ostilità verso ciò che è accaduto nell’infanzia e sono incoerenti nel descrivere le proprie relazioni d’attaccamento. Accudiscono, in un clima affettivo d’ambivalenza i loro figli, che mostrano collera, paura e angoscia rivolta verso le madri e apprensione verso l’ambiente circostante.
Le madri con stile "evitante" sono distaccate affettivamente, non valorizzano, nei loro racconti, la relazione d’attaccamento e hanno difficoltà a ricordare le esperienze infantili dolorose. Utilizzano meccanismi difensivi di scissione e negazione volti a cancellare i ricordi dolorosi e a mantenere una visione idealizzata di sé e degli altri. Lo stesso stile difensivo si riscontrerà poi nei figli, che rifuggono le interazioni affettive (17).
Molto interessante risulta l’esempio riportato da Ammaniti di un’intervista ad una madre il cui figlio presenta, al test della Stange Situation, secondo il procedimento della Ainsworth, uno stile d’attaccamento ansioso-resistente. Durante il colloquio la madre parla volentieri e racconta di aver tanto desiderato la gravidanza, nonostante il disinteresse del marito e il fatto di doverla affrontare da sola, perché la sua famiglia d’origine abita lontano da lei. L’ecografia è stata per lei un’esperienza emozionante, anche se vissuta in assenza del marito. Dichiara di non riuscire ad immaginare il figlio, né di sognarlo. Non ha voluto conoscerne il sesso e a volte lo immagina maschio, altre femmina. Anche il nome non l’ha ancora scelto.
E’ un esempio utile per capire quanto siano significativi i modelli rappresentativi che la madre ha di sé e degli altri e come influenzino il suo modo di vivere la gravidanza, oltre al suo futuro rapporto con il figlio. Da questi dati Ammaniti deduce che maternità per questa donna è più di una scelta, forse una missione, intrapresa contro il parere contrario del marito e degli altri. Sembra affidare al bambino il compito di risarcirla delle privazioni e delle sofferenze infantili, poiché dichiara che da piccola nessuno ha avuto tempo di giocare con lei, mentre ciò non accadrà a suo figlio, a cui dedicherà molto tempo. Il suo bambino è un entità segreta, ideale che vive dentro di lei, ma che ancora non ha nome, sesso e volto. "In questo quadro il bambino non può essere che un <<esserino passivo>>, oggetto dei desideri materni a cui non viene conferito lo status di soggetto" (18).
Da successive interviste emergeranno dati ulteriori: il padre aveva abbandonato lei e la madre, quando era adolescente, per rifarsi un’altra vita con una donna più giovane. Durante la gravidanza la donna ha cercato di riallacciare un rapporto con il proprio padre, ma senza successo. Da queste narrazioni l’autore deduce che la donna ha intrapreso la maternità con il segreto desiderio di riconquistare suo padre, dandogli un bambino, così come aveva fatto l’amante in passato. La donna ha così cercato di attualizzare nel figlio le sue fantasie messianiche (19).
3.4 La madre normalmente devota.
Donald Winnicott, pediatra e psicoanalista, studiò la relazione precoce madre-bambino, mettendo in primo piano il ruolo della madre, fino ad allora relativamente trascurato dagli psicoanalisti.
Secondo Winnicott ogni donna può svolgere qualsiasi attività nella sua vita, ma sarà comunque "devota" al compito di madre, non appena scoprirà che un nuovo essere umano ha deciso di prendere stanza presso di lei (20). Sarà in grado di riorientarsi, e se prima era rivolta all’esterno, ora lentamente si rivolgerà all’interno, comincerà a pensare che il centro del mondo si trova nel suo corpo e le sue attenzioni convergeranno su un unico oggetto, il suo bambino (21).
La donna ha la propensione e la capacità "di far defluire l’interesse dal suo proprio Io verso il bambino" (22), che sente come un oggetto formatosi dentro di lei. Le madri si comportano con naturalezza e semplicità, perché, per Winnicott, ognuna di esse è una specialista nel campo della cura del suo piccolo, sa molto di più sull’accudimento di quanto non potrebbe apprendere dai libri. Ogni madre è stata a sua volta bambina e i ricordi di questa esperienza la possono ostacolare o aiutare nel suo compito (23).
Una delle capacità fondamentali della madre è l’<<holding>> tradotto con "contenimento", "sostenere e tenere". "Si tratta dapprima del contenimento fisico durante la vita intrauterina per poi gradualmente allargare il suo significato fino a comprendere le cure materne, fra cui il maneggiare il bambino" (24). Ogni individuo, che sia in grado di comprendere le necessità del bambino e di identificarsi con lui, è in grado di svolgere questo compito.
In più Winnicott con holding intende riferirsi alla capacità della madre di tenere in braccio il piccolo che è "il prototipo di tutto il prendersi cura del bambino" (25) e "l’elemento fondamentale dell’assistenza materna" (26). Questo concetto si amplia fino a significare che la madre funge da "Io ausiliario in modo tale che il bambino ha avuto un Io fin dal principio, un Io personale molto debole, ma sostenuto da un adattamento sensibile della madre e dalla sua capacità di identificarsi con il bambino nei bisogni fondamentali" (27). Il bambino, quindi, se sviluppa un Io forte è grazie al sostegno dell’Io materno.
Winnicott sottolinea l’importanza del contenimento e della manipolazione materna che costituiscono un "buon seno", cioè la capacità di fornire buone cure, molto più importanti dell’esperienza del reale allattamento al seno. Oltre a ciò occorre ricordare che molte caratteristiche fondamentali della relazione madre bambino sono presenti anche nell’allattamento con il biberon, come ad esempio il guardarsi reciproco tra madre e bambino (28).
Dopo il contenimento e la manipolazione, la terza funzione che rende una madre sufficientemente adatta a svolgere il suo ruolo è la "presentazione degli oggetti", cioè il rendere reale l’impulso creativo del bambino che gli permette di entrare in relazione con ciò che lo circonda.
Winnicott sottolinea, in molti suoi scritti, che un bambino per poter diventare un adulto sano ha bisogno di un inizio positivo caratterizzato da quel legame tra madre e bambino chiamato amore. L’amore che una madre prova per il figlio è informe e contiene emozioni disparate quali: il senso di possesso, la generosità, l’umiltà, la sensazione del proprio potere e l’avidità. "Il sentimentalismo è però un’emozione che ogni madre rifiuta " (29).
La madre vive uno stato psichiatrico in condizione di salute, che comincia nell’ultimo periodo della gravidanza e continua qualche settimana o mese dopo il parto, definito dall’autore "preoccupazione materna primaria". Durante questa fase vi è un’identificazione conscia, ma anche profondamente inconscia delle madre con il bambino che le permette di conoscerne i bisogni: "nessun altro tranne lei sa che cosa il bambino possa sentire" (30). Nello stesso tempo la madre resta se stessa ed è consapevole del proprio bisogno di protezione finché vive questo stato che la rende così vulnerabile.
C’è una particolare dicotomia nella relazione fra madre e bambino, in quanto la prima può regredire fino ad una modalità infantile di percezione, mentre il secondo non può diventare grande fino ad una modalità di percezione dell’adulto.
La madre è stata anche lei una bambina piccola, ha giocato a fare la mamma, sarà regredita ad atteggiamenti infantili durante le malattie, avrà forse letto libri sull’infanzia, il bambino non è mai stato né madre, né bambino: quella è la sua prima esperienza. Il tempo per lui non è misurato da orologi, ma dalla frequenza cardiaca e respiratoria della madre e dai suoi bisogni fisiologici (31).
Winnicott definisce la "preoccupazione materna primaria" come uno stato di ritiro, di dissociazione, di fuga ed addirittura un episodio schizoide. Una comune madre devota "deve essere capace di raggiungere questo stato di elevata sensibilità, quasi una malattia, e di guarirne" (32). E’ insomma una malattia normale, che permette alla donna di adattarsi con delicatezza e sensibilità ai bisogni del bambino, escludendo qualsiasi altro interesse.
Ogni madre dovrà essere in grado di tornare ad occuparsi di se stessa, mano a mano che il bambino glielo permetterà, guarendo quindi da questa malattia.
La "malattia normale" può sfociare nei suoi estremi in due patologie diverse.
Ad un estremo ci sono donne che non sono capaci di abbandonare i loro interessi e, a causa di una forte identificazione con il maschile, trovano difficile svolgere la funzione materna. L’invidia del pene rimossa, d’altro canto, non lascia spazio allo sviluppo di tale condizione.
All’estremo opposto altre donne sono troppo apprensive ed ansiose per cui il bambino diventa una "preoccupazione patologica".
Queste due condizioni patologiche hanno ripercussioni sullo svezzamento: al primo estremo la donna non può svezzare il bambino, poiché non se ne è mai presa cura, mentre nel secondo caso non riesce a svezzarlo e a separarsene o lo fa troppo bruscamente.
Winnicott utilizza il concetto di comprensione dei bisogni del figlio da parte della madre con due significati diversi: una basata sull’empatia, l’altra, che segue la precedente, basata sui segnali dell’infante. I bambini, infatti, oscillano tra una situazione di simbiosi con la madre in cui deve essere empatica ed una di separazione nella quale se prevede i bisogni del figlio diventa pericolosa (33).
Per approfondire l’argomento occorre sottolineare alcune riflessioni che Winnicott fa in "Gioco e Realtà" relativamente alle differenze fra maschio e femmina (entrambi accomunati dalla creatività). Sostiene prima di tutto che uomini e donne abbiano la predisposizione alla bisessualità ed entrambi abbiano integrato nella personalità un elemento puro maschile ed uno puro femminile, anche se in alcuni casi si presentano scissi.
Non è d’accordo con la distinzione freudiana di maschio attivo e femmina passiva. L’elemento puro maschile si esplica nello stabilire un rapporto attivo o nel subire un rapporto passivo, entrambi basati sull’istinto. Winnicott si riferisce alla pulsione istintuale quando parla del rapporto del bambino con il seno e in seguito di tutte le esperienze che riguardano le zone erogene e le soddisfazioni. L’elemento puro femminile ha un rapporto d’identificazione con il seno, nel senso che la bambina diventa il seno o la madre, quindi l’oggetto è il soggettivo. Ritiene che gli psicoanalisti si siano concentrati troppo sull’elemento maschile o aspetto pulsionale dell’entrare in rapporto con, mentre hanno trascurato l’identità soggetto-oggetto, che è alla base dell’elemento femminile. Questo non prevede alcuna pulsione istintuale (34).
Il rapporto dell’elemento femminile puro con il seno si sviluppa all’interno di un "primo oggetto … non ancora ripudiato come un fenomeno non-me", definito dall’autore "oggetto soggettivo" che prepara la strada al "soggetto oggettivo", cioè un soggetto dotato di una propria identità (35). In questa fase si può parlare d’identificazione primaria, poiché bambino ed oggetto sono fusi in uno solo. Questo concetto è diverso dal sentirsi un tutt’uno di due persone separate dotate di una propria identità. Lo stabilire un rapporto con l’altro, da parte del puro elemento femminile, si basa sulla più semplice di tutte le esperienze, cioè sull’ "essere". Qui si trova una vera continuità di generazioni, poiché l’essere viene passato da una generazione all’altra attraverso l’elemento femminile degli uomini e delle donne. Questo elemento femminile è presente, sia nel maschio che nella femmina.
La caratteristica base, dello stabilire un rapporto con l’oggetto da parte dell’elemento maschile, presuppone l’esserne separato: non appena l’organizzazione dell’Io lo permette, il bambino attribuisce all’oggetto la qualità di essere non-me e quindi separato.
In sintesi si può comprendere perché l’identificazione, per l’elemento maschile, abbia bisogno di complessi meccanismi mentali a cui occorre dare del tempo per manifestarsi e svilupparsi. Al contrario per il femminile l’identità richiede processi psichici semplici, poiché grazie all’identità primaria col materno può porre la base dell’essere al momento della nascita.
Concludendo l’entrare in rapporto con l’oggetto nei termini del puro femminile non ha nulla a che fare con la pulsione, ma ci conduce verso l’essere, che è poi la base per la scoperta del sé. "Entrare in rapporto con l’oggetto col sostegno della pulsione istintuale appartiene all’elemento maschile nella personalità non contaminata dell’elemento femminile" (36). In più non è possibile parlare di rapporto dell’elemento femminile col seno senza prima prevedere la presenza di una madre abbastanza buona o non abbastanza buona (37).
Note
Caprara, Gannaro, 1999.
Caprara, Gannaro, 1999, p.164.
Argomenti trattati in Bestetti, 1994, p.17.
Argomenti trattati in Bestetti, 1994.
Argomenti trattati in Bertolone, Correale e altri, 1994, pp.24-25.
Argomenti trattati in Meltzer, 1994, pp.77-78.
Argomenti trattati in Bertolone, Correale e altri, 1994, pp.31-32.
Bowlby, 1964, p.8.
Bowlby, 1964, p.9.
Calvo, Fava Vizziello, 1997.
Strange ha il significato di non famigliare riferito alla situazione in cui viene posto il bambino.
Una diade madre-figlio viene introdotta in una stanza da gioco (con specchio unidirezionale che permette l’osservazione della situazione e anche la registrazione) e il bambino viene lasciato libero di esplorare l’ambiente. Dopo tre minuti entra un estraneo (stranger) e inizia un approccio con il bambino, poi la madre viene fatta uscire dalla stanza lasciando quest’ultimo solo con una persona che non ha mai visto in precedenza. Durante questo episodio che dura tre minuti circa si osservano le reazioni del bambino al distacco dalla madre e all’estraneo. In seguito si fa rientrare la madre, che si deve fermare un momento sulla soglia per valutare la reazione del figlio. Non appena il bambino si calma si ripete tutto un’altra volta (Calvo, Fava Vizziello, 1997).
Calvo, Fava Vizziello, 1997.
L’autore parte dal presupposto che ogni persona ha la tendenza insopprimibile a costruire la propria autobiografia, ossia una narrazione più o meno coerente della propria vita e ciò influenza in modo determinante la sua percezione ed interpretazione della realtà.
I bambini con attaccamento sicuro sviluppano buone capacità d’esplorazione, configurazioni affettive positive e notevole flessibilità personale (Ammaniti, 1991).
Ammaniti, 1991.
Ivi.
Ammaniti, 1991, p.89.
Ammaniti, 1991.
Winnicott, 1987.
Winnicott, 1972.
Winnicott, 1965, p.25.
Winnicott, 1987.
Winnicott, 1986, p.19.
Winnicott, 1987, pp.34-35.
Winnicott, 1965, p.29.
Winnicott, 1987, p.36.
L’allattamento non è solo una comunicazione tra madre e bambino, ma "stabilisce il modello delle capacità del bambino di mettersi in rapporto con gli oggetti e con il mondo", è "l’iniziazione al rapporto umano" (Winnicott, 1987, p.51).
Winnicott, 1957.
Winnicott, 1965, p.25.
Winnicott, 1987.
Winnicott, 1958, p.359.
Winnicott, 1987.
Winnicott, 1971.
Winnicott, 1971, p.142.
Winnicott, 1971, p.146.
In un ragazzo e in una ragazza sana vi sono quantità variabili di elemento femminile. Inoltre entrano in gioco fattori ereditari che possono rendere un ragazzo con elemento femminile più forte rispetto alla ragazza. Sulla base della predisposizione ereditaria ed anche della funzione materna, che il seno buono simbolizza, si possono si possono sviluppare degli individui che con una bisessualità male equilibrata.
Capitolo 4
Psicoanalisi del Sé.
"Di fatto la maternità è un tema centrale nella elaborazione della nostra identità e un laboratorio di immagini e di segni capaci di produrre un dialogo culturale. A questo scopo è necessario partire da sé, non dal proprio corpo …, ma dalle rappresentazioni che ne emergono, dalla materialità delle sue fantasie, dai progetti di vita che contiene. Nell’immaginario, piuttosto che nell’anatomia, si costruisce la nostra identità sessuale"
Silvia Vegetti Finzi, Il bambino della notte
4.1 Introduzione al filone di ricerca.
Alla psicoanalisi del Sé appartengono studiosi delle generazioni più recenti che hanno cercato di fare da mediazione, con intento di sintesi, tra le due scuole di pensiero appartenenti alla tradizione psicoanalitica quali la psicologia dell’Io e la psicoanalisi delle relazioni oggettuali. Il Sé, infatti, rappresenta il luogo d’incontro tra i diversi filoni di ricerca.
Gli autori di questa corrente sono accomunati dal ritenere le relazioni, con la madre prima e con gli altri poi, indispensabili per l’assimilazione e l’interiorizzazione di strutture fondamentali per la formazione dell’identità, come il Sé (1).
Tra questi teorici Heinz Kohut sostiene che il Sé sia un nucleo originario e centrale della personalità che si sviluppa grazie al passaggio da un narcisismo onnipotente nell’infanzia, ad un narcisismo maturo e realistico nell’età adulta. La madre ha un ruolo di fondamentale importanza per lo sviluppo di un Sé sano. La capacità empatica materna di accogliere i bisogni del bambino assicura la sopravvivenza fisica e psichica del figlio.
Le prime configurazioni del Sé derivano dalla fusione del bambino con la madre nell’infanzia e sono costituite da:
il "Sé grandioso", che si forma tramite la conferma materna dell’unicità del figlio e viene convertita da quest’ultimo in sentimento di onnipotenza, fondamentale per lo sviluppo, in quanto costituirà la base per una più matura autostima e fiducia in se stessi.
l’ "Imago parentale idealizzata", che risiede nella capacità della coppia di rispondere empaticamente alle necessità del figlio. Quest’ultimo, interiorizzando le figure genitoriali, perverrà alla formazione dell’Ideale dell’Io e del Super-Io.
Kohut sostiene, che nelle prime fasi evolutive, è necessaria una madre empatica che funga da "oggetto-Sé" (2), le cui cure e amore consentono il passaggio da un Sé arcaico ad uno nucleare, in cui la percezione del Sé e degli oggetti è più realistica (3). Il Sé alla nascita è definito "virtuale", in quanto il bambino fino a quando non entra in contatto con la madre, non ne ha nessuna consapevolezza.
Lo sviluppo di personalità psicotiche e narcisistiche è dovuto a disturbi nel processo di formazione del "Sé grandioso" e dell’ "Imago parentale idealizzata", causati da inadeguatezza delle risposte affettive genitoriali.
Anche per Otto Kernberg la figura materna è fondamentale nei primissimi stadi dello sviluppo dell’infante - in particolare nella fase del riavvicinamento (ripresa dalla Mahler) tra il sedicesimo e il trentesimo mese - in cui il bambino teme che, durante i suoi spostamenti, la madre scompaia. Proprio a questo punto una indisponibilità affettiva materna può generare uno sviluppo borderline di personalità. Kernberg però non attribuisce tutta la responsabilità di uno sviluppo alterato solamente alla figura materna, ma anche a caratteristiche costituzionali del bambino come, ad esempio, un’eccessiva aggressività orale innata (4).
4.2 La costellazione materna.
Daniel Stern, professore di Psicologia all’Univesità di Ginevra e di Psichiatria al Cornell University Medical Center di New York, ritiene che ogni donna divenendo madre, soprattutto nel caso del primo figlio acquisisca un’organizzazione psichica peculiare che chiama "costellazione materna". Quest’ultima costituisce un organizzatore psichico temporaneo e di durata variabili (mesi, anni) determinante una nuova serie di azioni, fantasie, paure, tendenze, desideri e sensibilità. La sua presenza implica "una linea organizzativa dominante per la vita psichica della madre e mette in secondo piano le precedenti organizzazioni nucleari, o complessi, che hanno svolto un ruolo centrale" (5).
La "costellazione materna" non è un derivato di costrutti psichici già esistenti, ma un "costrutto peculiare e indipendente, di grande importanza nella vita di molte madri, e del tutto normale" (6). E’ costituita da tre interrogativi e discorsi, tra loro collegati che vengono portati avanti internamente e esternamente dalla madre, chiamati nel loro complesso da Stern "trilogia materna":
"il discorso della madre con sua madre….in quanto madre di lei da bambina" (7), infatti i suoi discorsi e i suoi interessi sono diretti, piuttosto che verso il padre, verso la madre non in quanto donna e moglie, ma in quanto madre. Si affaccia sulla scena una nuova "triade psichica madre della madre-madre-bambino", che soppianta la triade edipica. Secondo Stern il concetto di complesso edipico positivo, come risultato dell’identificazione con la propria madre che permette alla donna di diventare madre a sua volta, è centrale, ma lo fa rientrare nella costellazione materna (piuttosto che nel complesso edipico).
"il discorso con sé stessa, in quanto madre": i suoi interessi si dirigono più alle donne in genere rispetto agli uomini, più alla crescita e allo sviluppo che alla carriera, più al marito in quanto padre che partner sessuale.
"il discorso con il suo bambino": la donna si concentrerà più sul suo bambino rispetto a qualsiasi altra cosa.
Questa trilogia diventa la sua preoccupazione principale, poiché richiede un’enorme quantità di lavoro e rielaborazione psichica.
La "costellazione materna" è costituita, inoltre, da quattro temi e compiti collegati tra loro: il tema vita-crescita, il tema della relazionalità primaria, il tema della matrice di supporto, il tema della riorganizzazione d’identità. Ogni tema contiene un’insieme organizzato di idee, paure, desideri, motivazioni, ricordi che influenzano le interpretazioni, i sentimenti, le azioni e le relazioni interpersonali della madre.
La "costellazione materna" non è universale o innata, ma è un fenomeno che si osserva nelle società occidentali, postindustriali. In altre epoche o culture un’insieme di temi e compiti di questo tipo non sarebbe esistita o sarebbe stata molto diversa. Stern non nega che ci sono anche influenze psicobiologiche, che preparano la sensibilità dei neo-genitori a sviluppare questa costellazione psichica, ma le influenze socio-culturali rimangono sempre al primo posto. A tal proposito indica alcune condizioni culturali, che hanno un ruolo di rilievo nel modellare la forma finale della costellazione:
La società assegna un grande valore ai bambini al loro benessere e sviluppo.
Ci si aspetta che il bambino sia desiderato.
La cultura assegna un valore elevato al ruolo di madre
La responsabilità ultima della cura del bambino è assegnato alla madre.
Ci si aspetta che la madre ami il suo bambino.
Ci si aspetta che il padre e altre persone forniscano un contesto di supporto dove la madre possa svolgere il suo ruolo.
La famiglia, la società e la cultura forniscono alla neo-mamma l’esperienza, la formazione e il supporto per svolgere questo ruolo da sola.
Tuttavia Stern sottolinea che "nelle stesse condizioni socioculturali l’emergere della costellazione materna non è obbligatorio", anche se "la maggior parte delle donne sviluppano una costellazione materna completa e riconoscibile, a seconda di quanti figli hanno già e di altre differenze individuali" (8).
Le "costellazioni materne" più precoci hanno inizio durante la gravidanza e persino prima di questa. Partendo dal presupposto che le costellazioni materne variano, nel loro contenuto, da cultura a cultura, Stern approfondisce le caratteristiche di quella della nostra cultura occidentale industrializzata. Quest’ultima contiene i seguenti quattro temi:
Tema vita-crescita.
La domanda centrale riferita a questo tema è: la madre è in grado di garantire che il bambino rimanga in vita e cresca correttamente? Questo argomento fa stare la madre in ansia per le prime notti e la porta a controllare ripetutamente che il bambino sia vivo e respiri ancora. Rende fondamentale, per la madre, il riuscire ad allattarlo e la rende suscettibile ad eventuali commenti sulla gracilità del bambino.
"Ciò che è in gioco qui è se la madre avrà successo come animale umano? E’ un animale sufficientemente capace, naturalmente dotato?" (9). La gravidanza abilita la donna a prendere posto nell’evoluzione della specie, nella famiglia, nella società e nella cultura.
Questo tema contiene un’insieme di paure: che il bambino possa morire, che non mangi e deperisca, che le sfugga di mano e cada, oppure che non sia robusto e debba tornare in ospedale o magari che lei debba essere sostituita da un’altra donna migliore. Tutti questi timori riguardano la paura di fondo di ucciderlo per una profonda inadeguatezza o un fallimento della vitalità e creatività umana. Il tema vita-crescita comprende, anche, le normali paure che si sviluppano durante l’attesa, come la paura che il figlio nasca morto, che sia malformato o che sia un mostro (10).
Tema della relazionalità primaria.
Le domande centrali riferite a questo tema sono se la madre è in grado di amare il figlio? E’ in grado di riconoscere che è suo figlio e può sentire l’amore che il figlio prova per lei? E’ in grado di comprendere i messaggi preverbali che lui invia? Svolgere il ruolo di madre le viene spontaneo e naturale? Per Stern l’apprensione per questo tema coincide con la "preoccupazione materna primaria" di Winnicott in cui la madre sviluppa un’intensa sensibilità, grazie al processo di identificazione col bambino, che le permette di rispondere al meglio alle sue esigenze (11).
La relazionalità primaria si riferisce alla relazione che si crea durante il primo anno di vita del bambino, cioè nella fase precedente allo sviluppo del linguaggio, del simbolo e prima che socializzi al di là della diade madre-bambino. I temi comprendono lo stabilirsi dei legami d’attaccamento, di sicurezza e affetto, che sono regolati soprattutto sui ritmi del bambino, come il tenerlo in braccio, lo scambio di segnali affettivi e sociali tra madre e neonato.
Molte madri hanno paura di fallire in questo compito e si sentono poco naturali, handicappate, vuote, non generose e in difetto rispetto ai sentimenti e ai comportamenti di amore e spontaneità che dovrebbero avere.
Tema della matrice di supporto.
Questo tema riguarda il bisogno della neo-mamma di creare una rete di supporto protettiva e benevola, che le consenta di adempiere in modo adeguato ai primi due compiti, cioè il tenere in vita e promuovere lo sviluppo psicoaffettivo del bambino. E’ un tema fondamentale per Stern, poiché la società rivolge delle richieste onerose al bambino e alla madre, senza peraltro fornire adeguato sostegno, né mezzi necessari. Questo è dovuto anche alla mancanza del supporto fornito un tempo della famiglia allargata, oggi, sostituita da quella nucleare; quest’ultima però, non è in grado di fornire lo stesso appoggio e non è adeguatamente compensata da altri enti sociali, come le strutture mediche e sanitarie. Il marito e la coppia pur ricevendo una forte pressione non sono in grado di fornire la necessaria matrice di supporto alla madre.
Tradizionalmente la matrice di supporto era composta da una rete femminile: madre della madre, dee della fecondità e del parto, levatrici, ostetriche, infermiere, nonne, zie, sorelle esperte. "La nascita è stata tradizionalmente una questione di donne; lo stesso vale per la cura dei bambini piccoli" (12).
La prima funzione della matrice di supporto è di proteggere la madre fisicamente, soddisfare le sue esigenze vitali e metterla al riparo dal mondo esterno, affinché possa svolgere la sua funzione predominante in questo periodo, cioè la madre. Il marito è sempre stato una figura di spicco, con un ruolo fondamentale e ancora di più, oggi, nelle piccole famiglie nucleari. La sua funzione è quella di soddisfare i bisogni della madre di essere appoggiata, valorizzata, aiutata e consigliata. Senza questo supporto, secondo Stern, la funzione di neo-genitore sarebbe compromessa.
Il principale impegno psicologico della madre è quello di confrontarsi ed appellarsi alla figura femminile di riferimento: la madre o la nonna benevola che forniranno gli aspetti educativi e di sostegno psicologico alla futura mamma. Le figure maschili perdono d’importanza per molti aspetti e la mantengono solo in funzione delle attività di sostegno e protezione. Se la donna non fosse in grado di svolgere il ruolo di madre e diventasse necessario appoggiarsi eccessivamente al marito, quest’ultimo verrebbe maternalizzato.
Ammaniti e Fava Vizziello concordano con Stern nel notare che le rappresentazioni della neo-mamma relative alla propria madre, durante la gravidanza e dopo la nascita del bambino, subiscono sostanziali cambiamenti, indicando un’intensa attività di rielaborazione.
Collegati a questo tema ci possono essere particolari paure, desideri, idee ed impulsi. Uno di questi può essere quello che la matrice di supporto possa minacciare il ruolo materno o l’amore che il bambino prova per la madre. La donna, per mantenere la relazione con la matrice di supporto, può dover pagare un prezzo emotivo troppo alto, come il diventare dipendente o remissiva, il doversi sottomettere, il compromettere la propria autostima.
Il marito può diventare una figura minacciosa se la donna tema di essere abbandonata per le responsabilità conseguenti la gravidanza. La figura maschile può, inoltre, arrecare timori entrando in competizione con lei come genitore o con il bambino per le attenzioni non più rivolte solo al partner (sindrome del marito come secondo bambino). La coppia si deve riequilibrare e i neo-genitori, devono svolgere ruoli complementari, che non sono necessariamente compatibili o sincronizzati. Per questi motivi l’equilibrio dei due sta nelle capacità di negoziare costantemente i frequenti cambiamenti di ruolo, sviluppando adattabilità e stili di coping nuovi.
Tema di riorganizzazione dell’identità.
Questo tema riguarda il bisogno della donna di trasformare e riorganizzare la propria identità in funzione del ruolo di madre che ricoprirà; deve spostare il suo "centro di gravità" dal ruolo di figlia a quello di madre, da moglie a genitore, dalla carriera alla famiglia. Se non riuscirà a compiere queste trasformazioni i precedenti temi della "costellazione materna" verranno compromessi. La modificazione è più evidente se dovrà riorganizzare i suoi investimenti emotivi, la gestione del tempo e le sue attività.
La nuova identità richiede grande lavoro psichico, in cui la necessità di modelli è evidente. A questo scopo si riattiveranno identificazioni con la madre e con altre figure con ruolo genitoriale, che anche se negative, costituiranno tuttavia dei modelli. "Il processo di trasmissione intergenerazionale prende la supremazia, e non è così misterioso se si pensa al bambino e alle interazioni del maternage come un contesto di ricordi" (13).
Daniel Stern, nel suo studio sulla maternità, dà molta importanza al mondo delle rappresentazioni dei neo-genitori, poiché è antica tradizione popolare ritenere che influenzino il modo di occupasi del bambino.
Le rappresentazioni sono costituite, non solo dalle esperienze di vita vissuta con il loro bambino, ma anche da fantasie, paure, sogni, ricordi, speranze dell’infanzia della donna, da modelli e da aspirazioni per il futuro del bambino. Le rappresentazioni si basano, quindi, sulle interazioni e sull’esperienza soggettiva di essere con un’altra persona, chiamate da Stern "schemi dell’essere con" e possono essere esperienze reali di vita vissuta o esperienze virtuali fantasticate e immaginate. "Si formano dall’interno in base a quanto accade al Sé quando si trova con altri…e non sono rappresentazioni di oggetti, né di persone, né di immagini, né di parole" (14). Una rappresentazione "dell’essere con" è una rete di molti schemi collegati da un tema comune, che può essere un’attività organizzata dal sistema motivazionale ad esempio, la nutrizione, il gioco, la separazione. Altre, invece, sono organizzate intorno ad esperienze affettive (ad esempio, essere felici con, essere tristi con).
In particolare Stern tratta le "reti materne dell’essere con" che riguardano schemi relativi:
al bambino che comprendono le immagini del bambino come figlio della madre, come nipote dei nonni, come fratello degli altri figli. Ciascuno di questi bambini sarà diverso dagli altri. Questi schemi comprendono anche l’immagine che il bambino avrà da grande e il suo tipo di personalità;
a sé stessa, in quanto la nascita del primo figlio presuppone un cambiamento d’identità e un cambiamento delle rappresentazioni che ha di sé come donna, madre, moglie, figlia;
al marito, perché il passaggio dalla coppia alla triade produce nella madre un cambiamento nelle reti degli schemi relativi al compagno, sia come padre, sia come uomo, che sono complementari all’immagine che la neo-mamma si fa del bambino. Ad esempio un’immagine del bambino che deve tenere insieme il matrimonio, implica un’idea del marito come potenzialmente pronto ad abbandonarla;
alla propria madre, poiché generalmente la nascita di un figlio implica l’emergere di schemi sconosciuti e più elaborati, che implicano la rivalutazione conscia ed inconscia della propria madre;
al proprio padre, che a volte può essere la figura che ha fornito cure materne ed è stata oggetto d’attaccamento, ma anche se ha svolto un ruolo più tradizionale, le rappresentazioni del padre come modello, idealizzato o svalutato, hanno rilevanza clinica;
alla famiglia d’origine, le cui rappresentazioni saranno collegate alla funzione svolta dal bambino. Ad esempio, c’è il bambino che perpetuerà l’azienda di famiglia, che vendicherà un’antica ingiustizia famigliare, che renderà legittimo il matrimonio dei genitori;
in fine ai fenomeni famigliari mai direttamente sperimentati, in quanto alcune rappresentazioni si possono basare su eventi storici e culturali, mai vissuti, ma presenti in termini di narrazione o conoscenza semantica.
4.3 Il bambino della notte.
Silvia Vegetti Finzi nel suo lavoro valuta attentamente sia le fasi dello sviluppo femminile, sia il significato che la gravidanza ricopre per la donna. Per diventare adulta una donna deve acquisire un’identità sessuale matura, abbandonando l’onnipotenza dell’immaginario infantile, per riconoscersi mancante ed aprirsi al desiderio dell’altro, che possiede ciò che può renderci completi.
Il processo di sviluppo per la bambina risulta particolarmente faticoso in quanto "… nella nostra civiltà il fallo rappresenta l’essenza, l’unità, la completezza narcisistica". In confronto al maschio, nella donna, la castrazione costituisce una minaccia paradossale e angosciosa, poiché evoca la sottrazione di qualcosa che non ha. I bambini di entrambi i sessi se interrogati sulle differenze fra maschio e femmina si concentrano sugli abiti, sui diversi ruoli sociali, ma a fatica ammettono le differenze anatomiche. "Il fatto che metà dell’umanità sia <<castrata>> è sentito come minaccioso per i maschi e svalorizzante per le femmine" (15).
La bambina, per una spinta endogena allo sviluppo, abbandonerà comunque l’illusione di virilità e cercherà di femminilizzare l’autorappresentazione di sé in modo adeguato all’identità anatomica e sociale attribuitale. Lo sviluppo sessuale della bambina, secondo Vegetti Finzi, procede attraverso due operazioni opposte, ma convergenti: l’allontanamento dalla madre e la rinuncia all’identità maschile infantile. Per il bambino, che mantiene nel suo sviluppo la stessa polarità amorosa, è meno difficile la conquista dell’identità sessuale, che nella femmina implica l’abbandono dell’oggetto d’amore originario e la contemporanea interiorizzazione delle sue caratteristiche femminili, per assumere poi un oggetto d’amore appartenente al sesso opposto (16). Se precedentemente, la figlia è stata parte della madre, grazie allo sviluppo la madre diviene parte di lei. La bambina entrando nel complesso edipico passa dalla dimensione dell’invidia a quella della gelosia verso la coppia genitoriale vista come un’unità intima che la esclude.
Una piccola paziente, in cura presso l’autrice, sospetta che fra mamma e papà vi sia un linguaggio segreto. Questa metafora simboleggia il rapporto sessuale visto dagli occhi di una bimba, di fronte al quale l’onnipotenza infantile è costretta ad ammettere che nessun sesso basta a se stesso. "I genitori, che trovano la completezza nella reciprocità, dimostrano che la sessualità matura si colloca sotto il segno della castrazione, cioè del <<non tutto>>" (17).
A livello inconscio la diade madre-figlia è indistinta, non ammette separazione e quindi Vegetti Finzi propone di parlare di sorellanza più che di filiazione. Lo stesso Jung afferma "ogni donna contiene in sé la propria madre e la propria figlia" (18). L’Edipo ha la funzione fondamentale di schermo nei confronti del legame simbiotico madre-figlio, permettendo una ridistribuzione delle cariche affettive ed aggressive. La bambina rivolge amore verso il padre e odio verso la madre, interiorizzando gli oggetti d’amore nell’Io.
Il processo di maturazione sessuale, chiamato da Vegetti Finzi "sessualizzazione", comporta una ristrutturazione totale della psiche infantile, che implica il superamento della confusione con la madre, della bisessualità indistinta, il confronto con la parzialità di un solo sesso e l’esclusione dalla coppia parentale. La mancanza del pene e l’abbandono dell’autoerotismo producono un "non maschio", ma non garantiscono il formarsi d’una identità sessuale femminile. Perché ciò si verifichi è necessario un ulteriore lavoro dell’immaginario, che Freud non aveva previsto.
All’inizio la bambina sperimenta di essere contenuta nel contenitore materno costituito dal ventre, dalle braccia, dalla culla e dall’ambiente in senso lato, ora si tratta di farsi lei stessa contenitore: si deve maternalizzare (19). La separazione della figlia dalla madre prevede il reciproco riconoscimento e la possibilità di entrare nel suo stesso corpo, nella sua anatomia.
Per determinare un’identità femminile matura, nonostante l’aiuto fornito dalla similarità che la madre le trasmette e dalle attribuzioni sociali, una donna necessita di un’attività decisionale che non si limita a privilegiare un’alternativa rispetto ad un’altra, ma implica un processo denso d’indecisione, conflittualità, regressioni e progressi, che non può mai dirsi effettuato una volta per tutte. Non vi è, infatti, una corrispondenza precisa fra corpo reale e corpo fantasmatico, i due livelli sono legati da una dinamica sempre provvisoria, instabile e in divenire.
Le idee di Silvia Vegetti Finzi risentono dell’influsso freudiano, di cui però critica alcuni concetti. Prima di tutto secondo l’autrice, Freud, che riteneva concluso lo sviluppo femminile con la rinuncia al pene e con la castrazione simbolica, ha formulato un paradigma parziale. In più, come Horney, ritiene che abbia ricostruito lo sviluppo femminile sulla base di quello maschile, non inserendo la componente materna che interagisce con quella sessuale. E’ contraria al fatto che Freud abbia attribuito alla donna uno sviluppo che procede dalla bisessualità originaria alla genitalità vista come disponibilità piena al coito fecondo, senza includere la specificità del compito riproduttivo e le relative rappresentazioni psichiche. Freud, inoltre, non ha considerato, inoltre, che la maternità comporta una temporalità non coincidente con quella maschile.
Vegetti Finzi dall’osservazione delle bambine, ha notato che il distacco dall’appendice fallica non è sufficiente alla maturazione, ma richiede un’elaborazione ulteriore che inscrive la sessualità generativa all’interno di una psiche modellata e pronta per questo compito. "A tal scopo le pulsioni sessuali mutano di direzione, si introflettono e, curvandosi verso di sé, producono una interiorizzazione della mente e del soma (20).
La donna possiede in sé le risorse per trasformare la mancanza del pene in un processo vitale, per riconoscere la pienezza delle sue potenzialità creative. Al posto della pienezza dovuta all’onnipotenza infantile, e alla convinzione inconscia di essere contemporaneamente maschio e femmina, ora rimane uno spazio cavo, che l’immaginario infantile vorrebbe saturare con se stesso, ma le forze evolutive, biologiche e sociali lo trasformano in una concavizzazione atta a funzionare da recipiente. La spinta a divenire sé porta il bambino ad abbandonare l’unità originaria, la sicurezza materna per confrontarsi con gli enigmi del mondo (21).
La bambina diviene donna rinunciando all’autosufficienza e aprendosi al desiderio dell’altro, all’accoglimento in sé dell’oggetto d’amore. Questa trasformazione è funzionale all’acquisizione di una posizione seduttiva e ricettiva, che spinge al desiderio del fallo e del bambino, che si congiungono in un’unica figura nell’inconscio. In questo punto l’autrice concorda con il pensiero freudiano per cui l’equivalenza tra pene e bambino è tipica della fantasia infantile, ma trova il suo blocco nell’evoluzione con il passaggio alla vita sessuale adulta, dove il piacere sessuale entra al servizio della funzione procreativa. Si passa così da un amore narcisistico ad uno oggettuale. L’immagine del pene, che coincide con quella del bambino è funzionale alla creazione di emozioni tenere che sminuiscono gli aspetti paurosi del coito (22).
Momento fondamentale dello sviluppo femminile è la comparsa della mestruazione che conferma alla bambina la propria femminilità, da prova della potenza corporea e della capacità riproduttiva. "La raggiunta fertilità riattiva i fantasmi generativi della prima infanzia, il desiderio di fare un bambino" (23). Le mestruazioni (24) alla loro comparsa possono essere percepite come inutili e inducono a considerare il corpo come impuro e malato. Mano a mano che diventano una ricorrenza abituale, i loro aspetti traumatici si attenuano ed emergono le potenzialità creative del corpo. Il divieto dell’incesto obbliga però a trasferire su oggetti esterni alla famiglia i desideri erotici. Così le fantasie amorose della bambina in età scolare si rivolgono ad insegnanti o ragazzi più grandi, come primi sostituti di oggetti edipici.
La fanciulla quando raggiunge la pubertà si ritira in se stessa, per elaborare le trasformazioni subite dal proprio corpo, che le creano imbarazzo, integrandovi componenti legate alla maternità. Queste ultime compaiono nell’inconscio connesse alla paura della sterilità. La bambina può anche essere spaventata e rifiutarsi di assumere sul suo corpo ancora infantile, apparentemente inadeguato, un compito così difficile come quello riproduttivo.
Vegetti Finzi ritiene che la bambina, nello sviluppo della femminilità, attraversi quattro tappe: la sottrazione del fallo immaginario, la concavizzazione del corpo pieno, il riconoscimento della complementarietà, l’iscrizione del processo riproduttivo nell’immagine corporea.
Il figlio che nascerà sintetizza per la donna tutti gli elementi che si sono via via distaccati dalla totalità del corpo: il capezzolo, le feci, il fallo immaginario, il giocattolo preferito. Esso verrà ritrovato questa volta in uno spazio esterno, lontano dal corpo e dai suoi fantasmi.
Quello che viene perduto nello sviluppo di una identità femminile, chiamato dall’autrice processo di "femminizzazione", viene recuperato attraverso il processo di maternalizzazione. Questo è chiaro nei sogni dei bambini, dove il figlio appare sotto forma di gatto da curare. "… Il figlio rappresenta allora il non sé, ciò che di valido è stato rimosso ma che permane nell’inconscio e ricompare nel mondo per essere di nuovo interiorizzato" (25).
Nelle fantasie generative delle bambine emergono tanti temi scottanti come la connessione della sessualità con la maternità, la rivalità tra donne, la necessità di dover rinviare il desiderio di pienezza. Queste fantasie relative alla gravidanza nelle bambine rimangono più nascoste e segrete di quelle erotiche, poiché in esse la figlia prende il posto della madre e la sfida sullo stesso piano. I sentimenti di rabbia, invidia e paura connessi a queste fantasie fanno emergere forti sensi di colpa nella bambina che saranno superati solo se la madre ne uscirà indenne. Nasce, così, nella giovane la necessità di provare a se stessa che l’invidia nei confronti della madre non ha decretato in lei la punizione della sterilità.
La separazione dalla madre comporta una sottrazione d’affetto e di valore, ma al tempo stesso, prevede un’identificazione con lei, dato che la bambina dovrà svolgere quel ruolo. Le soluzioni al conflitto possono essere diverse: prendere il posto del padre e condividere l’amore della madre o rimanere nel ruolo subordinato di figlia. Nella maggior parte dei casi la bambina recupera in sé la madre, la contiene come un tempo era stata contenuta da lei, ricevendone in eredità il potere generativo. Ne consegue un appagamento che disattiva l’invidia e mette in grado la figlia di provare un sentimento di gratitudine, che predispone all’attesa dell’altro e al piacere della condivisione di sé. Il raggiungimento della maternità psicologica si accompagna di solito ad un assestamento del rapporto con la madre, a una relativa pacificazione dei conflitti precedenti.
Le potenzialità creative identificate nel "bambino della notte" - che risiede nell’immaginario, possiede tutte le parti di sé perdute insieme all’onnipotenza infantile ed è giocattolo fra gli altri nella camera di bambina - si sono trasformate nell’attesa dell’altro, dello sposo, del figlio. "E’ però importante che la cavità materna non si saturi esclusivamente del figlio, ma che si renda disponibile anche per altri progetti di vita, che la capacità di procreazione biologica si ampli in creatività simbolica" (26).
Vegetti Finzi dà particolare importanza al gioco della bambola, nel quale la bambina fantastica di avere un figlio, in cui è esclusa la figura paterna, nonostante la bambina viva in famiglie coniugali e cresca in una società fondata dalla coppia padre-madre. L’autrice concorda con Freud sottolineando come il gioco con la bambola, che inizia nella fase preedipica testimonia il primario attaccamento alla madre e il disinteresse iniziale nei confronti della padre. La fantasia inconscia alla base di questo gioco oltre ad essere prova dell’attaccamento alla madre, dell’identificazione con lei, del passaggio da una posizione passiva di bambina accudita a quella attiva di colei che si prende cura, rappresenta un fantasma inconscio dell’immaginario femminile legato al corpo in grado di contenere in sé il prodotto generativo.
Vi è un mito, rappresentante il modello della sessualità umana, che precede quello edipico, che racconta il modello generativo di un corpo materno in grado di procreare da sé e crea nell’inconscio un fantasma relativo ad un corpo indifferenziato, non ancora sessuato, che detiene tutte le potenzialità creative (27). Nei miti le origini del mondo risalgono al grembo materno che si autofeconda e in seguito ogni riproduzione avverrà esclusivamente ad opera del principio maschile. "La cancellazione della generatività femminile è tale che la maternità si configura da allora in poi, solo nella modalità strumentale dell’accoglimento e dell’accrescimento. Ma contravvenendo alle più dure interdizioni la fantasia femminile continua a rappresentare quel potere perduto; la nostalgia di un’impossibile autosufficienza creativa fa regredire il nostro desiderio verso il tempo delle origini" (28).
Altro mito sconcertante è quello di Zeus che aveva spossessato la moglie Era dalla sua posizione di sposa e madre, generando Atena, figlia degna del padre in quanto splendida vergine guerriera, dopo aver inghiottito Metis. Anche Era produce da sé una stirpe, segnata però, per quanto riguarda la discendenza maschile, dalla stigmate della mostruosità.
La mitologia, dunque, tramanda il desiderio trasgressivo di entrambi i sessi di generare, ignorando la riproduzione sessuata e la complementarietà coniugale. La differenza fra figli partogenetici maschili e femminili è evidente: il desiderio femminile è ritenuto pericoloso ed è quindi a livello immaginario soggetto a maggior interdizione, mentre l’autonomia generativa maschile ha la possibilità di generare progenie valorosa.
Il "bambino della notte" appare in fantasia come un bambino meraviglioso, il dio del mito o il principe delle favole oppure come un burattino, una bambola, uno gnomo, un elfo o un animale. Questa fantasia include la percezione del proprio corpo cavo come contenitore che è possibile grazie al fatto di essere stata un tempo contenuta dalla madre. Questa immagine inconscia soggetta alle variazioni del pensiero infantile onnipotente si trova in quella che Winnicott avrebbe chiamato "area transizionale", cioè una dimensione intermedia tra me e non me, tra il corpo indistinto dalla madre e il corpo separato del bambino. Viene prodotta dalla bambina in una fase preedipica e "… si configura come una duplicazione narcisistica di sé, "come un’ombra prodotta dall’Io nel momento in cui si stacca dal tutto materno". Di fronte a questo bambino che non sarà mai generato, le fantasie, i sogni e i giocattoli diventano delle formazioni sostitutive.
La bambina sentendosi madre "… sperimenta una precognizione di generazione una anticipazione di maternità che evoca un potenziale oggetto filiale" (29). La bimba viene così a trovarsi in una posizione intermedia partecipe sia di quella materna che di quella filiale, caratteristica che Jung definisce materno-filiale. Il sesso di questo bambino fantasmatico non è definito, poiché è presessuale. E' una fantasia destinata a rimanere sepolta nell’inconscio insieme ai desideri di autogenerazione, ai ricordi di quella remota fase della vita che precede la parola e quindi destinata a rimanere una realtà prediscorsiva.
Quando la bambina entra nel gioco degli scambi familiari, nello spazio della parola, affronterà la sua posizione materna. Condividerà con la madre la fantasia di generazione, lo stesso desiderio di corpo pieno e si troverà a chiedere al proprio padre il bambino perduto, cioè di ricevere da un altro ciò che lei stessa ha posseduto.
L’immagine del figlio ricompare verso i tre anni all’interno del conflitto edipico ed appare connesso al padre da desideri libidici di carattere incestuoso. La bimba fantastica di ricevere un figlio dal padre, come è successo alla madre. In questa fase il sesso è incerto e mutevole. Anche, questo bambino è destinato a scomparire, con l’emergere della sessualità genitale e con la rottura del triangolo edipico.
Si è visto come il desiderio del figlio e le prime fantasie su questo determinino due modi di essere madre irrealizzabili e destinati a soccombere sotto il peso della rimozione: il primo è un desiderio onnipotente preedipico di generare da sola, mentre il secondo nasce dal conflitto edipico ed è attraversato da intense dinamiche di amore e odio. Gli effetti di queste fantasie, anche se rimosse, continuano comunque ad interferire sul modo di concepire la maternità, la sessualità e la differenza tra i generi nella vita adulta.
Vegetti Finzi definisce il desiderio di avere un figlio come una brama generativa che parassita il corpo femminile indipendentemente dalla sessualità e dal coinvolgimento erotico con l’altro sesso. Lo definisce simbolicamente un demone o un animale in cattività che solamente il figlio può placare. I greci rappresentavano questo desiderio con la metafora della pianta, mentre Aristotele proponeva l’immagine della terra come metafora per la maternità, vista come passiva e ricettiva rispetto al seme maschile, detentore di potenzialità vitale.
Nell’economia del piacere, grazie alla maternità, si rovescia a favore della donna, quella dissimmetria sessuale che invece favorisce l’uomo in termini di potere. Lacan ritiene che accanto al godimento fallico dell’uomo per la donna vi sia un godimento femminile più complesso, più grande e più importante che è racchiuso nei nove mesi della gravidanza e nel potere materno (30).
Abbiamo visto come la bambina fantastichi fin dall’infanzia la possibilità che il suo corpo cavo possa fungere da contenitore e possa offrire alla madre un figlio simbolico che possa ripararla per l’abbandono e la colpa che ogni separazione comporta. In seguito al fatto di non aver potuto dare un figlio alla madre la bambina si rivolge al padre per ottenere da lui un figlio. Anche questa richiesta come la precedente rimarrà inevasa, sbarrata, questa volta a causa dei divieti edipici. Però il divieto del padre non è assoluto, poiché si risolve in un invito ad attendere un altro tempo e luogo, dove sarà possibile finalmente ricevere un figlio questa volta dallo sposo. La bambina desidera sentirsi confermata dal padre la propria potenzialità generativa, poter condividere il proprio sogno di maternità, veder riconosciuto il proprio bambino interiore (31). Tuttavia questo desiderio infantile non svanisce mai e riappare nei sogni delle gestanti e si fa manifesto nella gioia con cui la giovane madre mostra il figlio al padre.
Al "bambino della notte", figlio del principio di piacere, si sostituirà poi "… il figlio dell’uomo, il bambino sociale, premio di un desiderio sublimato, che ha rinunciato al proprio oggetto allucinatorio e depotenziato l’urgenza della soddisfazione" (32). La maternità reale farà riemergere il bambino della notte con tutte le fantasie ad esso connesse nelle vesti di un rivale rispetto al bambino del giorno o reale. La dissociazione fra bambino reale e immaginario, fra vita e fantasia fa si che il figlio nato non coincida mai con l’atteso e che l’apparire del bambino del giorno comporti la scomparsa di quello della notte con inevitabili sentimenti di malinconia. La donna che si accinge a diventare madre deve necessariamente confrontarsi con la madre che possedeva questo potere creativo.
I comportamenti materni emergono da una intenzionalità plasmata sulla imitazione della propria madre, sulla sua immagine introiettata e in fine dai conflitti irrisolti che riemergeranno inevitabilmente. Il neonato deve essere riconosciuto come figlio sulla base della sua diversità rispetto al fantasma (suo sosia notturno) che ha animato la gestazione.
Nella maternità, secondo l’autrice, vi è qualcosa di conflittuale e di irrisolto che va oltre la biografia di ogni singola donna, oltre la sua storia, per rifarsi piuttosto alla evoluzione umana, all’inconscio infantile, alle trasformazioni della specie. Non si può collocare la maternità solo alla stregua di un evento naturale, in quanto si rischia di perdere la sua funzione sociale e culturale, dimenticando la varietà storica e antropologica delle sue manifestazioni, inserendolo in un unico paradigma. Se però lo consideriamo un comportamento socialmente indotto dimentichiamo il suo radicamento nel corpo, nell’immaginario, nell’impersonale, nell’universalità e atemporalità dell’inconscio.
"La maternità", sostiene Vegetti Finzi, "si situa piuttosto in una posizione di cerniera tra ciò che presupponiamo essere naturale e la collocazione storica dei suoi agenti, tra il substrato preverbale e le funzioni discorsive" (33). Anche a livello psicologico assume una posizione intermedia fra dentro e fuori, tra il narcisismo e l’amore oggettuale che regolano le funzioni dell’Io.
Nel passato la società imponeva grandi restrizioni sessuali alla donna. Sino a qualche generazione fa, infatti, la madre imponeva alla figlia la salvaguardia della sua verginità, per evitare il rischio di una gravidanza pre-matrimoniale, che l’avrebbe gettata nella posizione discreditante e vergognosa di "ragazza madre". I desideri di maternità, venivano rimossi, per essere poi riattivati nel matrimonio, dove il compito della moglie era quello di dare un figlio al marito. Quindi la società ha da sempre connesso la sessualità femminile con la maternità, in modo selettivo, per quanto riguarda le donne sposate e quelle adulte. La donna ha così dovuto negare ogni desiderio legato alla maternità che fosse prematuro o esterno alla coniugalità ed "identificarsi con un corpo sigillato nell’integrità verginale per affrontare poi l’angoscia di stupro al momento del coito" (34). Il desiderio era considerato legittimo solo sotto sembianze di pulsione di fecondazione o di desiderio di maternità.
Per secoli le donne si sono identificate con la figura di madre per confermarsi ad una aspettativa sociale che imponeva severe restrizioni in campo sessuale, mentre favoriva lo sviluppo di funzioni e attività materne.
Nell’ultimo secolo la donna ha acquisito una grande libertà sessuale e sociale che non ha eguali nelle generazioni passate, ma per contrasto subisce gravi restrizioni relative alla maternità. Di conseguenza diminuiscono i quadri nevrotici, mentre tendono ad aumentare i disturbi psicosomatici delle funzioni procreative, segnalando un conflitto latente fra maternità e femminilità.
Il cambiamento della posizione della donna nella società e la sua emancipazione non è un evento improvviso, ma l'effetto di una serie di movimenti storici di lunga durata. Si potrebbero citare la rivoluzione francese con la dichiarazione di uguaglianza di tutti gli esseri umani e la conquista del diritto di voto.
Con la prima guerra mondiale un ingente numero di donne lascia l’ambito famigliare per lavorare ed acquisisce così ruoli tradizionalmente ritenuti maschili. L’attività extradomestica permette una certa indipendenza economica ed autonomia, mettendo in crisi l’identificazione, della donna, con la figura materna: si vede costretta a ridefinire la propria immagine, in conseguenza all’aumento dei livelli d’istruzione, alla una nuova contrattazione della reciprocità famigliare e all’acquisizione di diritti politici. A questo punto la donna non dispone per la propria realizzazione personale di un unico copione previsto dalla tradizione, ma vede aprirsi innanzi a sé la possibilità di progettarsi in differenti realizzazioni di sé.
Solo negli anni settanta, quando la contraccezione e la programmazione delle nascite sono diventate una realtà sociale, la sessualità femminile si è resa separata dalla maternità, che in ogni caso rimane vincolata al rapporto eterosessuale come effetto della relazione complementare fra due parzialità, nonostante i vagheggiamenti infantili di autosufficienza (35).
Il modo d’intendere la maternità, che per millenni è stata considerata il destino ineluttabile della donna, oggi è radicalmente mutato, divenendo non più un’imposizione, ma una scelta. "Il desiderio di maternità che investiva la fecondità della donna, inducendola ad accogliere tutte le gravidanze, quelle programmate e quelle casuali, si è trasformato in intenzionalità mirata, in progetto che non ammette deroghe. Accade così che, al di fuori di una o due occasioni, ogni altro evento fecondativo sia sentito come un errore" (36). Relativamente alla sessualità e al potenziale fecondo del corpo umano sappiamo quanto la gravidanza sia una rarissima eccezione all’interno di un grande numero d’insuccessi.
Dimenticanze veniali (come non prendere la pillola), ma non casuali, di solito possono portare una gravidanza non programmata, che rivela un conflitto inconscio fra la sessualità non procreativa e un desiderio di fecondità, respinto dalla coscienza. Talvolta la gravidanza imprevista realizza un desiderio che la donna non avrebbe in altro modo saputo riconoscere.
Le motivazioni inconsce che portano ad una gravidanza, secondo l’autrice, possono essere:
il desiderio di scongiurare la probabilità di sterilità e provare a se stessa di avere capacità generative;
l’acquisire un diritto sul partner, per poter ricoprire il ruolo di sposa;
il desiderio di compensare la solitudine;
un modo per negare il sopraggiungere del climaterio e con esso la fine delle proprie capacità riproduttive.
Il perimetro individuale è un po’ troppo limitato per comprendere l’origine del desiderio conscio ed inconscio di procreare. Freud allarga il nostro orizzonte ricordandoci la nostra appartenenza al ciclo della vita, per cui il corpo individuale è soggetto a morte e caducità, mentre le cellule germinali sono potenzialmente immortali (37).
La fecondazione si colloca all’interno di due processi vitali che si oppongono alla morte: uno impersonale al servizio della sopravvivenza della specie e l’altro individuale per la realizzazione di desideri personali. "E’ nella estrema vulnerabilità del nostro riconoscerci mortali che si impone la figura del figlio, sul quale convergiamo tutto il nostro inevaso narcisismo infantile" (38). Il tramite tra l’amore per sé e quello del figlio è costituito dal bambino immaginario, quale figura intermedia tra l’Io e l’altro, che rimane sepolto nell’inconscio ed emerge solo tramite i sogni, i giochi, i sintomi e la réverie.
La gravidanza è un evento che si trova a metà strada tra mondo interno ed esterno, è un processo biologico e al tempo stesso sociale ed è soprattutto un tema centrale nella elaborazione della nostra identità. E’ necessario per comprenderla ed affrontarla partire da sé e non dal proprio corpo, "… ma dalle rappresentazioni che ne emergono, dalla materialità delle sue fantasie e dai progetti di vita che contiene. Nell’immaginario, piuttosto che nell’anatomia, si costruisce la nostra identità sessuata" (39).
Silvia Vegetti Finzi cita Patrizia Violi, la quale ritiene che il divenire donna dipende dal costruirsi un’identità che è contemporaneamente individuale (interna) e sociale (collettiva) influenzata dalle immagini, che una certa cultura, in un certo tempo, ci fornisce.
Tra le immagini più forti che la cultura ci fornisce relativamente all’identità femminile, c’è sicuramente quella materna, che per certi aspetti è atemporale, mentre per altri dipende dalle metafore storiche e culturali del nostro tempo.
La maternità intesa come la messa al mondo di un bambino è un’esperienza universale, se è vero che ognuno di noi ha conosciuto, come primo luogo di contenimento e come prima dimora, il grembo materno. Proprio a causa di questa esperienza universale a cui è legata, la maternità è sempre stata usata come metafora di qualcos’altro. Lo stesso Jung sostiene che l’archetipo della madre ha una quantità infinita di aspetti (vedi capitolo 1). Freud stesso ha dichiarato che la casa è simbolicamente la sostituzione del ventre materno, luogo in cui ognuno si sente a suo agio e al sicuro (40).
Le donne sono unite da un’associazione millenaria alla natura, basta pensare come ritmi che scandiscono il corpo femminile siano retti da una temporalità astrale, che le connette con il ciclo delle stagioni, delle fasi lunari, dell’andamento delle maree, dell’alternarsi del giorno e della notte. Vivere nella società capitalistica odierna ha avuto come conseguenza la frammentazione dei ritmi biologici, prevaricandoli con il tempo e le scadenze civili e della società.
La maternità associata all’immagine della Madonna, che riceve a capo chino la sua immacolata concezione, esprime i limiti della maternità pensata esclusivamente nella dimensione del sacro. In questo caso il tempo naturale e quello soprannaturale convergono. Questo modo impersonale e sacrificale d’intendere la maternità, sono sempre più relegate ai limiti dell’inconscio collettivo e dell’immaginario sociale, lasciando emergere l’immagine della gravidanza, come vicenda individuale legata all’intenzionalità cosciente e alla concretezza corporea, come emerge anche dagli studi di Denise Jodelet (vedi capitolo 5). Entrambe le autrici affermano concetti simili relativi al parto, poiché ai nostri giorni, cessa di essere vissuto come una pena ineluttabile, per assumere le caratteristiche di un evento morboso, da sottoporre alla cura del medico.
Una metafora della gravidanza è quella che eguaglia il periodo dell’attesa che si conclude con il travaglio con la fatica del lavoro, che il movimento delle donne ha sempre portato avanti come rivendicazione, nella speranza di rendere visibile il peso che la gestazione comporta. L’associazione della gestazione con il concetto di lavoro non è propriamente indicato, poiché l’uomo agisce sulla natura esteriore, mentre la gestazione non opera all’esterno del corpo, ma vi è una spesa energetica impiegata dentro l’organismo. In più non si può associare alla gestazione la medesima intenzionalità del lavoro umano, nel quale l’uomo decide lo scopo del suo lavoro, i mezzi più adeguati per svolgerlo e mantiene durante lo svolgimento una vigilanza intenzionale. Il lavoro biologico della gestazione una volta iniziato continua senza ferie, secondo una propria intrinseca programmazione e pianificazione, indipendentemente dalla volontà della gestante.
Concludendo la gravidanza è equiparabile, più che a un lavoro manuale, ad uno intellettuale, poiché non possiamo interrompere a comando un’associazione ideativa, guidarla a nostro piacimento o decidere di non pensare. Anche l’attività intellettuale si svolge all’interno del nostro corpo e non ha bisogno di strumenti esterni per procedere. Per finire il prodotto intellettuale conserva sempre un rapporto con il produttore, in quanto è un’emanazione della sua individualità, soggettività ed essenza.
Un’altra metafora della maternità, espressa da Vegetti Finzi, è intesa come espressione di creatività, la madre non è più rappresentata come abbiamo visto nella logica aristotelliana alla stregua un contenitore o della terra passiva fecondata dal seme maschile: la creazione del bambino rappresenta la realizzazione del desiderio femminile di fecondità. La donna viene ad acquisire una forza femminile grazie "… al piacere amoroso che da vita e forma all’embrione" (41).
Il "bambino della notte", frutto delle fantasie infantili, rimane come un’ombra invisibile, in ogni rapporto madre-figlio. Vegetti Finzi si riferisce a lui come "il falso sé del figlio" e può rappresentare "il falso sé materno" (42) che cerca nel bambino idealizzato una riparazione della sua mancanza. Se invece la madre avrà acquisito valore di sé e consapevolezza delle proprie immagini creative, il progetto di vita, insito nel suo corpo fecondo, può realizzarsi nell’infinita varietà delle espressioni umane. In questo caso, quindi, sul figlio e nel rapporto con lui graveranno meno le rivendicazioni affettive e i risarcimenti sociali, che la donna si aspetta dalla vita.
La maternità, secondo l’autrice, non inizia con la gestazione, né termina con il parto, ma è in ogni momento presente in quanto agire creativo. Dal confronto del bambino immaginario con quello reale nasce quel bambino unico, uguale solo a se stesso e insostituibile, grazie alla sintesi di possibilità e realtà. Dalla capacità d’accettare lo scarto che si produce tra i due bambini, nasce la creatività femminile, la forza che spinge l’inventiva fantastica verso la realtà. Il bambino reale separato da quello ideale si presenta come un progetto aperto, il soggetto di una storia che, pur non essendo ancora stata scritta, ha già trovato il suo protagonista.
Le condizioni della creatività intellettuale e della messa al mondo di un nuovo essere si fondono in una serie di eventi: liberarsi dalle proprie immagini interne, tentare nuovi percorsi, tenere aperte le possibilità e tollerare di non sapere ciò che si sta per fare. La maternità ha bisogno per esprimere le sue facoltà creative, di una zona di silenzio condiviso e di una sospensione dal sapere, dalla memoria e dal giudizio per far convergere le forze ideative. La stessa condizione di sospensione (43) è simile a quella che Bion identifica come prescrizione all’attività di terapeuta (43) e che per certi aspetti Freud raccomanda all’ascolto analitico. La concentrazione, l’intenzionalità e lo sforzo sono d’intralcio, per l’attività creativa e procreativa "… ciò che conta è una condizione di distrazione, di distensione, di disponibilità di sé" (45).
Il piccolo non deve essere percepito come una cosa, ma come il risultato dell’interazione tra due soggetti, un essere che muta non sempre in modo prevedibile, contribuendo a modificare anche la madre. Se la donna non avrà paura e saprà affidarsi con sufficiente sicurezza agli eventi, si potrà assistere al prodigio della nascita di un nuovo essere inserito nel pensiero e nel corpo di chi l’ha creato. "… Connotato dalla gamma completa delle emozioni materne, il figlio va dall’immaginazione alla realtà, dall’interno del corpo all’esterno del mondo, dall’atemporalità dell’inconscio alla storia degli eventi. Come tale, costituisce un esito della creatività umana, la prova vivente che la contrapposizione materia-forma è soltanto un artificio e che, nella concretezza della generazione, la materia è pensante e il pensiero materiale" (46).
La maternità coinvolge una gamma molto grande di possibilità espressive e comporta indubbi elementi di creatività, ma non coincide con l’unico modo della donna di realizzarsi, così come Freud ha voluto farci intendere. "D’altra parte l’aut aut, madri-non madri, rischia, come abbiamo visto, di impoverire entrambe" (47).
Le energie psichiche che nel mettere al mondo un figlio sono indirizzate verso di lui, possono trovare diverse mete, come si verifica nell’innamoramento, nella realizzazione sociale e nelle produzioni culturali. A tal scopo può essere attivo il processo di sublimazione (48) che permette di raggiungere la soddisfazione in modo indiretto e procrastinato.
Vegetti Finzi, come Deutsch, ritiene che la disposizione all’accudimento viene trasferite facilmente in molte professioni, come nell’attività dell’infermiera, della suora, della maestra, della cuoca e in tutte le altre forme di maternità vicariata. L’atteggiamento materno può essere convertito in un modo di guardare il mondo, in uno stile comunicativo, in un modo di porsi in relazione con gli altri e con se stessi. In più si tratta di far coincidere le attività materne con progetti di vita soggettivamente gratificanti e socialmente utili.
Da sempre le disposizioni materne sono state utilizzate per compiti di cura, per cui le capacità tipiche del femminile di attendere, contenere, alimentare, tutelare vengono deviate dal bambino all’ambiente, dal corpo infantile a quello sociale. Sono state fissate a livello sociale delle contrapposizioni rigide fra donna madre e donna narcisista, basate su stereotipi, che deprivano entrambe di ricchezza e di vita. La società in genere, secondo l’autrice, si occupa di portare la donna narcisistica a ricoprire un ruolo materno, ma non il contrario, poiché la madre-nutrice è una figura "… troppo utile alla comunità perché le si permetta di abbandonare un ruolo che le viene presentato come una necessità e un destino" (49).
La bambina, intorno ai cinque, sei anni, a conclusione del complesso edipico ritira le pretese amorose rivolte verso i genitori e rivolge su di sé le corrispondenti cariche erotiche per indirizzare, in un secondo momento, queste energie sul partner e sul figlio. Alcune donne invece indirizzano su di sé tutto l’importo affettivo. Questa idea sostenuta da Freud (vedi cap.1) è criticata dall’autrice, la quale ritiene che nella donna anche il narcisismo è materno, poiché una parte di sé prende il posto del bambino immaginario. Basta guardare come le donne accudiscono il proprio corpo, come si guardano, si pettinano, si curano, si nutrono per vedere congiunte madre e figlia, nella stessa donna. In realtà non esiste una polarizzazione tra donna materna e donna narcisista, ma può prevalere l’uno o l’altro modo di mettere in bilancio il proprio patrimonio energetico, in quanto i due registri sono praticamente intercambiabili.
E’ necessario però che la madre non si fissi su tale ruolo, ma ad un certo punto se ne distolga, almeno in parte per rendersi emotivamente disponibile ad altri progetti ed orizzonti di riferimento. In più ogni donna, anche se non è madre, porta in sé un potenziale progetto materno. "La maternità, intesa come creatività, è una modalità che la donna può realizzare o meno nel figlio, ma che rimane comunque inscritta nella sua organizzazione pulsionale" (50).
Rimanere incinta, secondo l’autrice, è una risposta conscia o inconscia ad un appello materno, ad un richiamo selvaggio e pulsionale di fecondazione di cui si ignora l’urgenza e l’efficacia. La presenza di un feto fa emergere il mondo immaginario infantile della donna e prevede una ricostruzione del sé, un confronto con la vita e la morte. "Il tempo biologico viene a intercalare il tempo biografico evidenziandone drammaticamente i limiti" (51).
La maternità andrebbe recuperata come intrinseca possibilità del femminile, indipendentemente dalla sua realizzazione, in quanto costituisce per molte donne il ritrovamento di un sé nascosto. "La possibilità materna rappresenta un patrimonio inalienabile dell’identità femminile, tanto che la donna risponda con un sì, quanto con un no al suo appello. Soltanto la società e la cultura contrappongono madri e non madri" (52).
E’ importante poter vedere nella maternità un potenziale creativo e nel rapporto madre-figlio un paradigma etico, poiché modifica l’immagine e il ruolo delle donne all’interno della società. E’ comunque la madre, che mettendo al mondo cuccioli di uomo e trasformandoli in bambini civili, rende possibile la cultura, la società e la trasmissione di valori. "La contrapposizione tra madre di figli e madri di simboli è pertanto arbitraria, essendo le une e le altre parimenti figure sociali e culturali" (53).
Note
Caprara, Gennaro, 1994.
Secondo Kohut nel corso della vita tutti hanno bisogno di risposte di tipo oggetto-Sé, e gli altri diventano quindi importanti non come individui, ma come fonti di gratificazione per il Sé e per le funzioni confortanti.
Argomenti trattati in Caprara, Gennaro, 1994.
Argomenti trattati in Caprara, Gennaro, 1994.
Stern, 1995, p.171.
Ivi.
Stern, 1995, pp.171-172.
Stern, 1995, p.174.
Ivi.
10 Questo tema è centrale, unico e indipendente, la madre non l’ha mai incontrato e non deriva da altri temi. Stern differenzia i temi tradizionali di sopravvivenza individuale e riproduzione sessuale dalla costellazione materna, che riprende la storia da quel punto in avanti e riguarda la sopravvivenza della specie, quando "la sopravvivenza individuale e la riproduzione hanno" già "dato luogo alla generazione successiva". Anche la teoria dell’attaccamento si concentra su questa fase della trasmissione del patrimonio genetico (Stern, 1995, p.175).
Winnicott, 1958.
Stern, 1995, p.175.
Stern, 1995, p.180.
Stern, 1995, p.26.
Vegetti Finzi, 1990, p.37.
La femmina deve affrontare uno scontro diretto con la madre, mentre il maschio deve solo spostare l’amore che prova per la madre su un’altra donna lasciando intatta la polarità femminile. Le donne devono abbandonare e sostituire con un oggetto d’amore maschile.
Vegetti Finzi, 1990, p.49.
Argomenti trattati in Vegetti Finzi, 1990, p. 47.
Vegetti Finzi, 1990.
Vegetti Finzi, 1990, p.63.
Il mondo narcisistico infantile rinuncia alle valorizzazione maschile per maternalizzarsi.
L’infantilizzazione del pene è provata dal fatto che piccolo è la traduzione del termine tedesco klein che è anche sinonimo di pene.
Vegetti Finzi, 1990, p.78.
E’ proprio la mestruazione con la ciclica ripetizione a confermare che una diversa economia si è inserita nei processi organici e nei ritmi biologici.
Vegetti Finzi, 1990, p.86.
Vegetti Finzi, 1990, p.91.
Il primo mito risale alla babilonia del 1700 a.C. che narra come prima della nascita dei celi e della terra fosse il regno della dea madre Ti’amat (divinità originaria femminile). Il suo regno caratterizzato dalla riproduzione presessuale è equiparato al caos primigenio.
Vegetti Finzi, 1990, p.115.
Vegetti Finzi, 1990, p.119.
Argomenti trattati in Vegetti Finzi, 1990.
Il padre coglie in lei una mancanza e risponde ad una domanda con una risposta che appartiene al dominio della realtà, ciò che per la bambina risiede nell’ordine dell’immaginario.
Vegetti Finzi, 1990, p.170.
Vegetti Finzi, 1990, p.182.
Vegetti Finzi, 1990, p.196.
Anche nel caso dell’inseminazione artificiale, relativamente all’incontro dei gameti, sono necessarie due parti che si uniscono a formare un tutto.
Vegetti Finzi, 1990, p.204.
Freud S., 1914.
Vegetti Finzi, 1990, p.206.
Vegetti Finzi, 1990, p.210.
Freud S., 1929.
Vegetti Finzi, 1990, p.224.
Vegetti Finzi, 1990, p.225.
Secondo Bion l’assetto mentale che deve avere l’analista è caratterizzato da una deliberata sospensione della memoria (non si devono ricordare le sedute passate e ciò che è stato detto), del desiderio (il terapeuta deve evitare tutti i desideri relativi alla fine della seduta e alla comprensione o guarigione del paziente) per lasciare spazio alla fede che esista qualcosa oltre il già noto e alla pazienza di sopportare l’incoerente o lo sconosciuto, fintanto che si raggiunga uno stato che Bion definisce sicurezza.
Argomenti trattati in Oliva, 1994.
Vegetti Finzi, 1990, p.231.
Vegetti Finzi, 1990, p.232.
Vegetti Finzi, 1990, p.233.
Meccanismo psichico che indirizza le pulsioni verso oggetti ed attività sessualmente neutre e socialmente valorizzanti.
Vegetti Finzi, 1990, p.235.
Vegetti Finzi, 1990, p.239.
Vegetti Finzi, 1990, p.249.
Vegetti Finzi, 1990, p.255.
Vegetti Finzi, 1990, pp.255-156.
Capitolo 5
Cambiamenti pscico-fisiologici durante i nove mesi dell’attesa.
"Si tratti di fare giardini, allevare bestiame, uccidere selvaggina, abbattere i nemici o occuparsi di azioni in banca, l’uomo ha bisogno di riuscire. Nel caso di una donna è necessario soltanto che le sia permesso, da un dato ordinamento sociale, di compiere la sua funzione biologica, per provare la sensazione di aver compiuto qualcosa di irrevocabile"
Margaret Mead, Maschio e femmina
5.1 Il primo trimestre e l’ambivalenza affettiva.
Il primo segnale di una gravidanza è la mancanza della mestruazione che, se accompagnata da un test positivo, sancisce la presenza del futuro bambino. Questo evento sia nelle donne, che hanno desiderato rimanere incinta, sia in quelle che non lo hanno desiderato, porterà ad una rielaborazione della propria identità (1).
Secondo Winnicott nella donna, che sta per avere un bambino, avvengono due tipi di modificazioni:
Fisiologiche: che hanno inizio quando il figlio si sta formando in utero e che comportano una modificazione d’orientamento verso se stesse e verso il mondo esterno.
Psicologiche: che avvengono anche grazie alle fisiologiche e che producono una modificazione dell’orientamento e della preoccupazione della donna che la porta a trasferire una parte del suo senso di sé sul bambino. La madre si identifica con il figlio che cresce in lei e ciò le permette di sapere cosa sente e di cosa ha bisogno. La madre si adatterà ai bisogni del figlio fornendogli sostegno (2).
Durante il primo trimestre la donna vive una forte ambivalenza emotiva: segno che sta per avvenire un processo d’adattamento alla nuova realtà e una ristrutturazione di sé, sia a livello corporeo che a livello psichico, e durerà per tutti e nove i mesi della gestazione. Sentimenti contrastanti e coesistenti, come il sentirsi onnipotente e impotente al tempo stesso, sono una parte necessaria del processo di trasformazione che porterà la donna a lasciare una parte di sé per fare spazio ad un altro essere (3).
Secondo Bibring non appena la donna sospetta una gravidanza inizia a rielaborare il proprio senso d’identità ed entra in quella che ha definito una "crisi maturativa normativa", la quale attraverso continui cambiamenti e aggiustamenti le permetterà di costruire l’immagine del proprio Sé materno (4).
Anche se la gravidanza è desiderata la donna deve rielaborare la propria identità personale. Quest’ultima è la risultante dell’integrazione fra sé corporeo e sé psichico e dà un senso di riconoscimento di sé, come essere distinto dagli altri, in continuità nel tempo e nello spazio malgrado i cambiamenti (5). Silvia Vegetti Finzi sottolinea come la maternità provochi una crisi nell’esistenza di ogni donna, che deve destrutturare gli equilibri precostituiti ed elaborare un diverso e più complesso adattamento. "Il figlio rappresenta un nuovo ambito di possibilità ma comporta anche la rinuncia ad altri progetti"(6). La scelta di avere un figlio è irreversibile e senza ritorno, prevede la ricostruzione del sé e l’assunzione della responsabilità per un altro, il bambino che è contemporaneamente parte di sé e oggetto separato da sé.
Questa è una fase particolarmente delicata in cui la donna non è ancora in grado di percepire il proprio bambino con caratteristiche reali, è vissuto come un "roseo sogno" o come lo definisce Soulé blanc d’enfant (vuoto di bambino), "poiché la sua attenzione è puntata principalmente su se stessa, sul proprio funzionamento corporeo, sui propri vissuti" (7).
All’inizio della gravidanza il figlio è solo un’idea lontana, dopo qualche settimana essa sarà sostenuta da percezioni sensoriali, ma il nuovo investimento così permesso sarà narcisistico, cioè mirerà ad un oggetto che appartiene alla propria persona. Quest’ultimo invade progressivamente la psiche della futura madre con una tale intensità che nessuna realtà potrà limitare fino al giorno del parto. L’intensità dell’emozione che la gestante vive è paragonabile all’innamoramento. "Lo stato amoroso realizza un’invasione simile nella psiche, ma nella gravidanza l’oggetto non è distinto da sé".
Il silenzio creato intorno al bambino, il segreto e il far tacere un settore della vita mentale, secondo Monique Bydlowski, testimonia l’erotizzazione di cui è oggetto il figlio. "E’ il silenzio dell’investimento amoroso e della felicità che non necessita di commento" (8). Secondo l’autrice l’erotizzazione della gravidanza è un’energia nuova che svaluta tutto quello che era erotizzato precedentemente. E’ una forza analoga al transfert, ma è diretta, invece, che sull’analista al bambino e il legame così creato si manterrà tutta la vita (9).
Il complesso lavoro di ristrutturazione dell’identità e dell’immagine corporea inizia in silenzio, all’interno del corpo nelle prime settimane di gravidanza, in mancanza di evidenti cambiamenti esterni.
Durante la gravidanza la madre tende a distogliere le energie psichiche dal mondo esterno per indirizzarle a quello interno, andando verso l’introversione (10). Da questo graduale concentrarsi sul proprio mondo intimo la neo-mamma comincia a sviluppare l’attaccamento verso il feto, e poi l’empatia verso il neonato (11).
Maddalena Roccato ha evidenziato come i primi sogni gravidici mettano in scena un corpo vuoto, anziché pieno, come se la donna, specialmente quella alla prima gravidanza, si accorgesse del suo corpo cavo solo nel momento in cui è abitato da una presenza, non ancora percettibile: il feto.
Una paziente sognava una stanza vuota, con le finestre aperte e correnti di vento, era in compagnia del padre o del compagno e ricorda di esserci stata in passato. L’autrice interpreta la stanza come un grande utero, confermata dall’idea di esserci già stata in passato e nota come sia presente l’identificazione della donna nell’embrione.
L’interscambiabilità padre-compagno, come legittimi abitatori della propria cavità corporea, richiama a temi edipici. Questi e altri sogni possono mettere in evidenza le preoccupazioni delle donne circa la capacità "… del proprio grembo ad ospitare un bambino … e ancor di più, l’idoneità del proprio sé ad accoglierlo" (12).
In questo stato la donna tenda a dormire di più, sia perché rappresenta una difesa biologica relativa al bisogno di maggior riposo necessario allo sforzo fisico che deve affrontare, sia perché segna l’inizio della regressione, che permette alla donna di superare il conflitto tra accettazione e rifiuto. Qui il termine regressione non deve essere utilizzato, secondo Miraglia, con valenza negativa o come sinonimo di involuzione, ma come una risorsa del vissuto psicologico che permette alla gestante di comprendere meglio il suo bambino. La donna, infatti, secondo l’autore vive un viaggio a ritroso nelle fasi della propria infanzia, per poter conoscere meglio il figlio che porta in grembo, "… perché sembra necessario che per poter conoscere il proprio bambino sia necessario nascere con lui, ritornando ad essere, fantasticamente ed identificatoriamente, prima ovulo, poi embrione e quindi feto senza perdere la propria identità matura" (13).
Non esiste periodo della vita più sconvolgente in quanto l’inconscio viene messo a soqquadro.
La regressione in alcuni casi permette di superare problemi, che precedentemente non erano stati affrontati, ma il più delle volte riporta alla luce conflitti e situazioni emotive del passato (14). La regressione prevede anche un processo identificativo nei confronti del materno su "due livelli: quello preedipico, che è basato su un tenero attaccamento alla madre e che prende quest’ultima come modello, e quello successivo, risultante dal complesso edipico, che vuole eliminare la madre e mettersi al suo posto presso di lei" (15).
La gestante grazie a questo processo completa la fase di separazione-individuazione dalla propria madre per arrivare ad una relazione paritetica con lei (16).
L’Io della donna, quindi, deve trovare un armonico compromesso tra l’identificazione col bambino, che è rivolta verso il futuro e quella con la madre, che è rivolta vero il passato; "ogni volta che l’una o l’altra di queste identificazioni è respinta, sorgono delle difficoltà: nel primo caso, il feto diventa un parassita nemico, nel secondo caso l’attitudine della donna alla maternità è menomata dal suo rifiuto ad accettare l’identificazione con la madre" (17).
Helene Deutsch chiama ambivalenza affettiva quella bipolarità, di origine fisiologica, che fa vivere il feto contemporaneamente parassita nemico e oggetto di slancio d’amore (18).
La conseguenza necessaria è un’ambivalenza fra il desiderio di trattenere e quello di espellere, fra l’accettazione e il rifiuto, che viene definita da Vegetti Finzi fisiologica, in quanto l’amore tende a coesistere con varie forme d’ostilità, paura ed aggressività. L’origine di questo sentimento è legato alla complessa attività di concepire l’esistenza di due persone in un corpo solo e al riemergere dei vissuti inconsci. La donna è in parte se stessa e in parte diversa da sé. Bibring, infatti, sostiene che il compito più difficile per la madre sia di arrivare a percepire come parte di sé il nuovo corpo, che si sviluppa nel suo (19).
E’ necessario che questa ambivalenza si concluda con la creazione di uno spazio interno dedicato al bambino, che non deve essere solo fisico, ma soprattutto mentale, per iniziare a vivere un rapporto fantasmatico e al tempo stesso concreto con il nascituro. Tutto ciò impedisce di vivere il bambino come un endoparassita o come un corpo estraneo (20). All’inizio lo spazio è un’area di fusione in cui madre e bambino coincidono, poi verrà sempre più differenziandosi fino al momento del parto.
Winnicott sosteneva che una delle capacità fondamentali della madre è rappresentata dal "contenimento" che deve essere "dapprima fisico durante la vita intrauterina per poi allargare il suo significato a comprendere l’insieme delle cure materne" (21).
Alcune madri che non vivono sentimenti d’ambivalenza, invece, provano un profondo senso di completezza corporea e di gioia creatrice, perché si percepiscono come una Dea della Fertilità (22). Questo sentimento euforico e di completezza corporea potrebbe essere accompagnato da fantasie sessuali infantili rimosse caratterizzate da "… rivalità e sensi di colpa nei confronti della madre" causate dalla realizzazione dell’incesto e da una reazione di rifiuto "… al pene del marito vissuto come pene del padre" (23). Nella donna il concepimento implica un processo d’identificazione con la propria madre e con la sua potenza generativa (24).
Interessante è il parallelismo che Raphael Leff (1980) individua tra la gravidanza e la relazione madre-bambino, descritta dalla Margaret Mahler. Il primo trimestre viene considerato il corrispettivo delle fase dell’autismo normale (25), perché la donna si occupa sostanzialmente di minimizzare il proprio disorientamento e di raggiungere uno stato di benessere senza una grande consapevolezza della sua fonte. Questo periodo, inoltre, è simile anche alla fase simbiotica (26), in cui la madre deve svolgere il difficile compito di accettare il feto come parte di sé (27).
In questo primo trimestre si possono verificare tutta una serie di sintomi somatici, come nausea e diarrea, che la psicoanalisi, ricollega simbolicamente ad un rifiuto della gravidanza. Secondo Helene Deutsch le fantasie che la gravidanza fa riemergere dall’infanzia sono quelle relative all’assorbimento orale e all’espulsione, che possono manifestarsi concretamente nella tendenza fisiologica alla nausea. Non nega, tuttavia, la spiegazione psicoanalitica che fa risalire la nausea a sentimenti d’ostilità inconscia verso la gravidanza o il feto, però pensa che i sentimenti alla base "possono" anche "assumere la forma di una protesta aspra o di un’autopunizione per i sentimenti ostili, di paura e di simili violente manifestazioni affettive" (28).
Soifer pensa che vomito e diarrea rappresentino la paura della donna nei confronti della propria ambivalenza: la neo-mamma cerca di espellere il rifiuto vissuto come parte cattiva di sé, mentre cerca di trattenere ciò che di sé percepisce come buono e che coincide con il figlio.
In più Deutsch ritiene che più questi sentimenti d’ostilità sono diretti verso il feto, più sprofondano nell’inconscio e di conseguenza si manifestano violentemente a livello somatico. Mentre le voglie nei confronti di cibi strani o l’aumento della fame sono comunque collegati al conflitto tra desiderio d’annientamento e desiderio di protezione verso l’embrione: nel caso del vomito prevalgono le tendenze ad eliminare, mentre nelle caso delle voglie le tendenze ad incorporare. Molto spesso le voglie sono associate a particolari cibi come frutta, cetrioli, spezie che sono noti alla psicoanalisi e al folclore come simboli di fecondazione. In questo senso secondo l’autrice rappresentano simbolicamente la ripetizione dell’atto di fecondazione e per ciò una lotta aperta nei confronti dell’impulso a distruggere il bambino. Anche stitichezza o diarrea sono legate allo stesso conflitto, ma semplicemente espresso con altri organi. Quando la lotta tra eliminazione e conservazione interessa gli organi genitali si può verificare un parto prematuro, mentre se prevale la tendenza all’espulsione può verificarsi un aborto (29).
Nausea, vomito e false contrazioni possono anche rappresentare una sorta di richiamo della gestante che, sentendosi sola in un contesto famigliare nucleare, cerca d’attirare l’attenzione su di sé attraverso questi sintomi. Le famiglie odierne, infatti, si allontanano profondamente dalla famiglia del 1400-1500, che Lawrence Stone chiama a "lignaggio aperto", in cui la coppia era attorniata da una grande quantità di persone come i genitori, la parentela in genere, gli amici e i vicini e dove una gran quantità di donne si occupavano della gestante (30).
Spiegazioni più attuali si rifanno, invece, a fenomeni definiti simpatici, poiché riconducibili a modificazioni del sistema nervoso simpatico e parasimpatico. Non va dimenticato, infatti, che nausea e vomito lievi sono comunque di natura fisiologica, essendo dovuti ai cambiamenti ormonali che si verificano durante questo trimestre. "Alla modificazione generale dell’equilibrio ormonale si aggiunge la comparsa di un ormone prodotto dalla placenta, la gonadotropina corioninca (HCG), oltre ad un generale abbassamento del tasso di zuccheri nel sangue" (31).
I vari sintomi si associano ad uno stato di ansia fisiologica scatenata da diversi fattori:
Ansia per l’ignoto. Secondo i teorici cognitivisti ed in particolare McReynolds dipenderebbe da una difficoltà nell’interpretare gli eventi secondo categorie cognitive preesistenti. Il cambiamento di ruolo e gli accadimenti esterni o interni correlati alla gravidanza, infatti, non possono essere ricondotti a schemi cognitivi noti.
Angoscia genetica. Secondo Fornari è la paura di dare alla luce un bambino deformato oppure morto. Questa paura definita anche "angoscia disgenetica" è una costante che accompagna ogni gravidanza, infatti, è un tema spesso presente nei sogni delle gestanti, che ha analizzato. In più ricollega, la sua origine, al senso di colpa per l’incesto, poiché il marito può essere percepito inconsciamente come il proprio padre (32).
Soifer e Vegetti Finzi, invece, sottolineano il timore legato al non essere in grado di accudire un figlio (33).
Concludendo, in questo primo trimestre, avvengono una serie di cambiamenti dovuti a due processi che Racamier chiama: 1) maternità riferendosi solo ai cambiamenti biologici della gravidanza e 2) maternalità volendo indicare (34) lo sviluppo psicologico ed emotivo, che si ottiene quando l’evento si integra con la personalità. Quest’ultima è caratterizzata da cambiamenti ormonali, dal riemergere di conflitti infantili, dalle modificazione di processi identificatori, dagli spostamenti massicci d’investimenti libidici, dalla modificazione delle rappresentazioni del sé, dalle situazioni sociali e relazionali nuove. E’ necessaria, secondo l’autore, un’elaborazione mentale di questi cambiamenti per integrare la gravidanza nei processi evolutivi della propria personalità (35).
In ogni caso, alla fine di questa fase, la donna raggiunge una certa serenità, poiché la prima ecografia ha confermato che il decorso fisiologico della gravidanza procede correttamente e il bambino si fa più presente e percepibile (36).
5.2 Il secondo trimestre e i movimenti fetali.
Il secondo trimestre è un periodo più tranquillo del precedente, infatti, l’ambivalenza affettiva verso il figlio, il padre e la propria madre, è stata sufficientemente elaborata nel trimestre precedente e non c’è più bisogno di agirla a livello psicosomatico (37).
Bestetti sostiene che la donna recupera l’appetito, gode di armonia e benessere anche perché i fastidiosi sintomi del primo trimestre scompaiono. In questo momento delicato il corpo si sta modificando, per creare uno spazio per il bambino che comincia a muoversi, dando testimonianza della sua presenza. Tutto ciò crea il primo legame reale con il figlio, caratterizzato dall’armonia e all’insegna della fusionalità. Le future mamme danno libero sfogo alla loro fantasia immaginando cosa fa e pensa il bambino dentro di loro. Se viene chiesto loro di disegnare il bambino presente nel loro immaginario, lo disegnano insieme a se stesse, si disegnano una dentro l’altro, "… col cordone ombelicale, segno del legame, bene in evidenza" (38).
La pancia, che inizia a vedersi, non è ancora un ingombro, in più i cambiamenti ormonali donano bellezza ai capelli e alla pelle, che diventano particolarmente luminosi. I cambiamenti, che portano all’emergere di un nuovo schema corporeo e che diventano davvero consistenti nel terzo trimestre, vengano vissuti come positivi, se la donna ha un buon rapporto con il proprio corpo. L’accettazione di questa trasformazione non dipende solo dalla storia personale del soggetto, ma anche dalle influenze ambientali e sociali. Sappiamo, infatti, che l’importanza fondamentale data alla linea, alla forma fisica nell’attuale società spesso fatta risalire a dei modelli irraggiungibili, non favorisce un vissuto sereno delle modificazioni corporee in gravidanza.
In una ricerca di Capodieci, Ferraro ed altri, in cui è stato chiesto alla madre come ha vissuto le modificazioni corporee dovute alla gravidanza, è emerso che dieci su quindici donne hanno vissuto la crescita del feto come parte integrante del proprio corpo e della propria identità fisica e psichica, richiamando l’attenzione sulla modalità simbiotica e fusionale del rapporto. I risultati hanno messo in evidenza che a livello inconscio porre in gestazione un figlio significa porre in gestazione la propria rinascita psicologica (39).
Soifer sottolinea come la pancia che s’ingrossa può diventare difficile da accettare per l’intenso timore di sformarsi e rimanere sempre in quello stato (40).
Nel secondo trimestre il vissuto emotivo della gestante si modifica profondamente a causa dei movimenti fetali e dell’ecografia, che rendono reale la presenza del bambino. I movimenti fetali, in maniera quasi impercettibile, sono presenti già alla 14’ settimana (3 mesi e mezzo), ma vengono percepiti maggiormente intorno alla 22’ settimana (5 mesi). Vengono descritti dalla madre come un tocco lieve, delle bollicine, "… un ondeggiamento, uno scivolare come un pesciolino nell’acqua, il bussare timido ad una porta … per tutte è la dimostrazione che il bambino c’è, è vivo, dentro di sé, e che sta crescendo" (41). Il rapporto con il feto nel proprio grembo è un rapporto paradossale, costituito da opposti, in quanto è "… un rapporto con un oggetto/non oggetto, parte di sé e insieme altro da sé" (42).
La futura mamma vive sensazioni d’euforia, di tenerezza e un senso di gratificazione per aver superato il periodo d’ambivalenza senza danneggiare o distruggere il bambino. La donna ora è consapevole che nel conflitto del trimestre precedente sono prevalse le capacità contenitive e materne rispetto al desiderio d’espellere (43). Vegetti Finzi sottolinea come la maternità sia un’esperienza essenzialmente relazionale, che "… comporta un dialogo silenzioso nello spazio condiviso del corpo materno" (44).
In più la donna rimane affascinata e concentrata sui primi movimenti fetali, poiché segnano il fondarsi del primo rapporto e del primo riconoscimento del bambino come altro da sé. "Infatti, alcune donne cominciano a parlare del proprio bambino, investendo di intenzionalità comunicative i primi movimenti" (45).
Il bambino viene percepito come oggetto altro in quanto la percezione dei suoi movimenti rimanda alla presenza fisica del feto e per la quasi totalità delle donne il riconoscimento interno del bambino coincide con la percezione dei movimenti fetali. Hanno, infatti, un’enorme importanza nello strutturarsi della relazione madre-bambino, di un dialogo precoce all’interno della diade e sono, in più, un’occasione di maggiore coinvolgimento del padre all’evento (46).
Riprendendo il parallelismo di Raphael Leff, con la relazione madre-bambino proposto dalla Margharet Mahler, questo trimestre può essere associato alla fase di individuazione del feto nella mente della madre e di differenziazione, poiché la madre avverte l’esistenza di un confine fra sé e il figlio (47). Questo permetterà alla donna di affrontare il parto e la fine della simbiosi organica, in quanto, in effetti, è necessario che il bambino venga prima pensato come distinto perché poi la madre se ne possa separare.
In questa fase riemerge il "bambino della notte" risultato delle fantasie infantili, che continuano a vivere nell’inconscio della donna adulta, ora arricchito dal sogno ad occhi aperti: la reverie cosciente (48).
Il lavoro delle gestante è complesso in quanto deve associare, a quello che Lebovici chiama "bambino fantasmatico" quello formato sulle fantasie infantili, al "bambino immaginario" dei desideri adulti relativi al figlio che nascerà. Di solito quest’ultimo viene percepito come un bambino perfetto, che soddisfa pienamente la madre, andando a costituire il suo Io ideale (49). Concorda con queste idee lo stesso Freud per cui la madre attribuisce al figlio qualità tanto perfette da non avere riscontro nella realtà, in quanto questi ha il compito di compensare i genitori di tutte le carenze che hanno subito nel passato (50).
Soulè parla di "fantasma del bambino" come del desiderio di un figlio che nasce fin dalla prima infanzia, non dal desiderio di avere un bambino reale, bensì dal desiderio di avere la stessa capacità di procreare dei propri genitori. E’ un immagine del figlio che subisce una serie di variazioni nel corso delle diverse fasi della vita (51).
Non tutte le donne però sono in grado di immaginare il proprio bambino e questo potrebbe essere indice di difficoltà nello stabilire un rapporto con lui, anche se non si può dare a questa assenza di rappresentazione una univoca interpretazione (52).
Quando la gestante ha problemi nel figurarsi il feto o lo vive come un oggetto parziale, l’ecografia può permetterle di entrare in contatto con il proprio bambino e percepirlo come unitario. "Le ecografie amplificano la possibilità di oggettivare la presenza del bambino dentro di sé, rassicurano almeno in parte su angosce di malformazione. Anche le immagini e le fantasie sul bambino, così come i sogni, sembrano a questo punto modificarsi, acquistando carattere d’interattività e relazione". Altra funzione utile dell’ecografia è di attivare fantasie in donne che prima non ne possedevano (53).
Secondo alcune donne l’ecografia è intrusiva, poiché la realtà che vedono sullo schermo, è inferiore a ciò che sentono, tanto da definirla fredda. Di conseguenza si può interrompere bruscamente l’attività fantasmatica della donna, producendo ciò che Soulè chiama "aborto di fantasma" o "interruzione volontaria del fantasma". Può causare, inoltre, angosce di frammentazione, poiché, secondo Courvoisier, soprattutto dopo la 20’ settimana, il feto non appare più tutto intero sul video (54).
In sintesi il secondo trimestre è caratterizzato dai movimenti fetali e dell’incontro con l’immagine del bambino permessa dell’esame ecografico, che per la maggior parte delle future mamme sono vissuti estremamente positivi ed emozionanti.
5.3 Il terzo trimestre e la paura del parto.
Nel terzo trimestre l’attesa è una realtà evidente: la sensazione di fusione armoniosa tra madre e feto si affievolisce e diventa sempre più chiaro che il bambino è un individuo separato dalla madre e ben presto avrà una vita autonoma. La pancia inizia ad uscire dal corpo della donna, non è più parte di lei, ma piuttosto è portata da lei. Il processo di differenziazione comincia, in questo trimestre, a prevalere su quello fusionale (55).
I cambiamenti corporei, più evidenti rispetto al precedente trimestre, vengono accompagnati in genere da sentimenti di pienezza e di forza creatrice, in alcune da sentimenti negativi, mentre altre vivono le modificazioni in maniera ambivalente (56).
Le donne che non amano e vivono male il proprio corpo trasformato, secondo la tradizione psicoanalitica, sono quelle in cui vi è un conflitto inconscio, nel quale sentimenti ostili e di rifiuto prevalgono su quelli di desiderio ed accettazione. Tutto ciò troverebbe conferma in una indagine di Rossi, Bassi e Delfino in cui è risultato che le gestanti che avevano un atteggiamento negativo verso la gravidanza avevano una situazione lavorativa più instabile, ma soprattutto incontravano grandi difficoltà nell’accettare i cambiamenti corporei ed adattativi imposti dalla gravidanza. In più gli autori hanno riscontrato che le difficoltà emotive non permettono un atteggiamento positivo nella donna e originano da un conflitto tra ruolo materno, ancora fortemente mitizzato, nella nostra società, come fonte di realizzazione femminile, ed il desiderio di emancipazione ed assunzione di nuovi ruoli sociali (57).
Queste interpretazioni vanno integrate con altri autori come, ad esempio, Denise Jodelet (vedi capitolo 7) che considerano prevalenti le influenze sociali, culturali ed ambientali nel determinare la percezione che la donna ha della gravidanza, di sé stessa e del proprio corpo (58).
In più va considerato come le pressioni della società moderna impongano un modello di donna snella e attivamente inserita nel mondo del lavoro che non va d’accordo con la condizione psichica e fisica di affaticamento e pesantezza della donna in gravidanza. "Non va sottovalutato l’atteggiamento del partner nei confronti del corpo della sua compagna: la sua accettazione o la sua non-accettazione hanno un ruolo decisivo" (59).
Secondo Vegetti Finzi la donna elimina totalmente la sua aggressività nei confronti del feto e ne è prova la diminuzione del rifiuto biologico per cui non lo percepisce come estraneo e non lo aggredisce con antigeni, bloccando il rigetto immunitario. Nonostante i disagi, i malesseri e i sacrifici che accompagnano la gravidanza è in grado di tollerare ciò che non avrebbe mai tollerato.
Gli impulsi ostili, nei primi due trimestri, vengono rivolti verso il bambino immaginario, preservando quello reale da un attacco. Soltanto in questo trimestre, che coincide con il termine della gestazione, una serie di segnali come senso di soffocamento, pesantezza, esaurimento delle risorse nutritive riattivano in lei le cariche aggressive, che vengono convogliate nella fantasie di espulsione (60). Inoltre ha più tempo per sé stessa e per fantasticare sul proprio bambino, in quanto il lavoro viene sospeso, le modificazioni fisiche rallentano i ritmi di vita e la partecipazione ad un corso di preparazione al parto le permette di prendersi cura di sé.
In questa fase la maggior parte dei pensieri si spostano verso il parto, ormai prossimo, creando ansie e preoccupazioni, che spesso s’intensificano durante la notte, provocando la tipica insonnia di questo periodo (61).
Le paure legate al travaglio e al parto possono avere origini e sfumature tra le più diverse. Il parto viene sentito come una minaccia, il cui pericolo maggiore è legato non tanto al dolore e alla fatica, quanto alla perdita del controllo di sé e della situazione, soprattutto perché nella nostra epoca siamo abituati a programmare e prevedere in anticipo la maggior parte degli eventi: l’imprevedibilità è qualcosa che temiamo profondamente.
Alcune donne vivono positivamente il fatto che il parto sia "una delle poche manifestazioni totalmente istintuali rimaste nella specie umana" (62), per cui basta lasciarsi andare alla naturale attività del proprio corpo, mentre per altre, è inconcepibile, mettere da parte la propria razionalità per abbandonarsi alla parte istintuale. Soifer, Miraglia e Fornari sostengono che la principale paura sia quella di morire di parto o che muoia il bambino.
Secondo Fornari, in particolare, queste fantasie attivano la rappresentazione di un lutto coinvolgente sia la madre che il bambino, perché il parto costituisce la minaccia più grave alla simbiosi madre-bambino (63). Tali paure, più o meno razionali, derivano da una profonda difficoltà a separarsi dal bambino, divenuto ormai parte di sé. Questa idea è confermata da uno studio, di Maria Di Giusto e altri autori, sulla valutazione dei fattori che hanno maggiore influenza sul dolore del parto e del travaglio (64). E’ emerso che " … il parto, separando biologicamente madre e figlio, segna la rottura della simbiosi organica, ma anche psichica e sarà tanto meno traumatica quanto più il narcisismo materno era stato elaborato e aveva lasciato spazio ai meccanismi di differenziazione del feto come altro da sé" (65).
Altre preoccupazioni possono essere legate alla paura della perdita della propria integrità fisica e di eventuali lacerazioni che potrebbero compromettere la sessualità nel futuro.
Verso la fine della gestazione, la separazione e l’incontro con il bambino sono imminenti: la donna desidera che il bambino nasca e si separi da lei, in quanto dentro di lei non vi è più spazio. I disegni delle madri, in questo periodo della gravidanza, sono caratterizzati dalla rappresentazione dell’utero al cui interno il bambino tocca le pareti; raramente viene disegnato il cordone ombelicale o il corpo materno nella sua interezza (66).
L’ultimo trimestre non va considerato come un periodo negativo, ma ambivalente in cui le donne alternano momenti di paura a momenti di ottimismo e serenità. Per cui un corso di preparazione al parto sembra il modo migliore per superare ansia, paura e preoccupazione (67).
Grazie ai corsi (vedi cap.9) la gestante non si sente la sola ad avere certe paure e fantasie, ma può condividerle con altre, parlandone scarica la tensione emotiva e l’ansia, acquisisce informazioni di cui ha bisogno che eliminano il senso d’ignoto che la pervade, familiarizza con la struttura sanitaria nella quale partorirà e con il personale medico ed ostetrico. Attraverso la frequenza ai corsi, inoltre, apprenderà tecniche di rilassamento, per apportare benefici all’esperienza del parto e del travaglio (68).
Non vanno neppure sottovalutate, secondo Barletta Reitano e Di Nuovo, le influenze sul modo di percepire il parto, che derivano dalla società e dai condizionamenti che essa esercita. I comportamenti variano da cultura a cultura a seconda dei miti, tabù e stereotipi culturali per cui il parto può essere visto come un evento naturale e semplice oppure pericoloso e doloroso (69).
La nascita sancisce la separazione definitiva tra immagine reale del bambino e fantasie elaborate durante tutto l’arco della gestazione. Nel caso di quelle madri angosciate da fantasie di malformazione relative al feto, il vedere il figlio subito dopo il parto ha carattere di rassicurazione. Per altre il bambino assume subito una conformazione famigliare accompagnata da un senso di ricongiungimento, come se il parto fosse un ponte tra il perdere e il ritrovare e non una rottura. Alcune donne, invece, vivono un senso d’estraneità, forse perché necessitano del tempo per entrare in contatto con il bimbo reale, avendo subito uno shock legato al parto sentito come una perdita di una parte di sé (70).
Secondo Maddalena Roccato la nascita di un figlio è percepita come la nascita di sé e allo stesso tempo può provocare fantasmi di morte, ad esempio, una sua paziente, nell’ultimo trimestre, aveva sognato di buttarsi dalla finestra. Un’altra paziente sogna una vasca piena di delfini, troppo stretti che saltano fuori e muoiono. E’ un sogno interpretato dall’autrice come simbolo del parto, il bambino è troppo stretto nell’utero e deve uscire.
Si comprendere dall’interpretazione dei sogni di queste pazienti come la nascita sia vissuta in modo simile ad un salto nel vuoto, al buttarsi dalla finestra, alla morte (sua e del figlio), anziché l’inizio di una nuova vita. Il feto assume, così, aspetti inquietanti, poiché da un lato assicura l’immortalità, dall’altro è presagio di morte. Il rischio di morire di parto oggi è molto ridotto, ma incombente come fantasia in tutte le donne. Simbolicamente questa paura risale all’idea che nascita e morte sono collegate nell’inconscio e coincidono con la paura che la nascita di una persona richieda la morte di un’altra. Ogni cosa che nasce e segna un inizio decreta la morte e la fine di un’altra. In più l’angoscia contenuta nei sogni di queste pazienti è legata a quella di separazione, vissuta come una morte interna. Connessa a questa paura esiste una forte identificazione della donna con il neonato, tanto che a nascere sembra proprio che sia lei, perché il dare alla luce un figlio è sentito inconsciamente come rinascita (71).
E’ sorprendente come Fornari nella sua analisi di sogni di donne in gravidanza, svolta negli anni ottanta, abbia riscontrato esattamente le stesse ansie che Maddalena Roccato ha riportato nel suo articolo del 2003. Nelle sue pazienti, infatti, si presentarono una serie di sogni in cui il parto veniva rappresentato come la nascita della madre stessa e che indicava una fantasia di rinascita. Questo creava una identificazione molto profonda tra madre e bambino, fondando così una simbiosi. Il collegamento tra parto e nascita nei sogni indica che, a livello inconscio, generare è assimilabile all’autogenerarsi. Le donne sognano spesso di trovarsi in luoghi stretti, umidi ed angusti da cui uscire in cui sanno di essere già state in precedenza. In questo senso la gravidanza viene interpretata dall’autore come la realizzazione onnipotente della propria rinascita, il mettendosi al mondo da soli, tante volte fantasticato e finalmente concretizzato (72).
Kitzinger sottolinea come la gestante sia più che mai ambivalente, in quanto da una parte si sente stanca di essere incinta e desidera partorire per incontrare il bambino reale, dall’altra vive la gravidanza come una parte della sua vita che ormai conosce e le dà sicurezza, mentre il futuro la intimorisce: quanto sarà diverso il bambino da come l’ha immaginato? (73).
Alla fine del periodo di gravidanza Vegetti Finzi ritiene che il desiderio predominante è che il bambino nasca. Se fino a questo momento il compito della donna era quello di trattenere e proteggere, ora la sensazione di pesantezza e soffocamento, che gravano sul suo corpo, inducono desideri d’espulsione, in quanto non c’è più spazio per il bambino.
Il parto che si avvicina si porta dietro un’invisibile conflittualità inconscia, poiché il bimbo che nasce dai sogni e dalle fantasie infantili, chiamato dall’autrice "bambino della notte" si oppone come un rivale al neonato o bambino del giorno, che è destinato a vanificare le ombre del suo alter ego notturno. La separazione dal bambino immaginario fa sentire la donna tanto più svuotata e impoverita quanto più essa vi si è identificata. Il parto è un’esperienza connotata da intensi sentimenti d’amore ed odio, che la nascita esalta, in un vissuto, di felice realizzazione di sé nell’altro (74).
Se negli altri trimestri, la donna si impegna per trovare uno spazio psichico interno per il figlio, in questo trimestre inizia a preparargli uno spazio fisico esterno che lo deve contenere: la cameretta, la carrozzina, la culla, il corredino e la preparazione della borsa per l’ospedale (75).
Soulé, in un interessante articolo dal titolo "La madre che lavora sufficientemente a maglia", descrive come area dell’interazione fantasmatica precoce madre-bambino le fantasie prodotte dalla madre che lavora a maglia per il nascituro. Il lavorare a maglia ha un ruolo centrale nella vita mentale, fantasmatica e immaginativa della futura mamma e prepara all’interazione con il neonato. La donna incinta, che svolge tale attività, sviluppa e sollecita la creazione di un rapporto fantasmatico con il bambino immaginario e nello stesso tempo con il corpo reale del bambino che sta arrivando, tentando di ricostruirlo maglia per maglia. Il maglione rappresenta a livello inconscio un nuovo utero di lana, esterno al corpo, che permetterà di prolungare la gravidanza, fornendo al figlio un luogo di contenimento caldo (76).
L’autore vorrebbe sostituire il concetto di "madre sufficientemente buona" di Winnicott con un’espressione che faccia riferimento ad attività reali e fantasmatiche di una "madre che lavora sufficientemente a maglia" (77). Fare un lavoro a maglia significa per la madre riprendere una posizione attiva, rispetto all’attività silenziosa di un feto che si sviluppa nel suo utero autonomamente. E’ una rivincita nei confronti di un neonato che si presenterà interamente formato senza che lei vi abbia svolto alcun ruolo. Il lavorare a maglia permette alla madre di pensare al corpo del bambino, alla sua crescita, a come potrà essere, al padre del bambino, al passato del neonato, alla vita sessuale della madre, al proprio padre, ai nonni e non ultimo "… al compito transgenerazionale che le hanno affidato. La madre lavora la lana, ma anche tutte queste idee" (78).
Vegetti Finzi sottolinea come il corredino rappresenti un elemento di forte contenuto fantastico ed emotivo che, ci illumina sull'immaginario materno e le aspettative relative al nascituro. E’ buffo, infatti, vedere come i corredini differiscano da mamma a mamma: alcune preparano indumenti piccolissimi, altre abiti adatti a bambini di un anno, camicine di seta e maglie di lana si ritrovano nella medesima stagione in borse di mamme diverse, così come i colori e le fantasie più disparate (79). Sono innanzi tutto gesti simbolici, attraverso i quali si esprimono le modalità particolari del legame madre-bambino (80). "La madre sta organizzando le cose, fuori e dentro di sé, per fare in modo che il bambino nasca e venga accolto" (81). L’ultima parte del viaggio è la più impegnativa, poiché "fonderà due nascite: di sé come madre, del bambino come figlio " (82).
5.4 Cambiamenti della sessualità nei tre trimestri.
Nell’uomo la fecondazione non viene avvertita, mentre negli altri mammiferi viene immediatamente registrata e sospende la disponibilità della femmina al rapporto sessuale. Essa rimarrà, dunque, nell’ignoto lasciando proseguire il processo generativo senza che vi corrisponda un pensiero. Il primo segnale nell’uomo è dato dalla mancanza della mestruazione che il test di gravidanza concorrerà a confermare. Quindi la consapevolezza del proprio stato sembra giungere dal di fuori e investire un pensiero che rimane sconnesso dal corpo che ancora non da segni della presenza del nascituro, tanto che la gestazione psichica e quella fisica procedono separatamente per molti versi (83).
Franco Fornari aveva riscontrato da sogni di donne in gravidanza che emerge un’opposizione molto forte tra maternità e sessualità, vista come pericolosa per il bambino. L’uomo, quindi, viene rifiutato e accettato solo se perde il suo status sessuale di maschio adulto per acquisire quello infantile. Questa trasformazione dell’uomo in bambino neutralizza gli aspetti cattivi e pericolosi del rapporto trasformandoli in protettivi. Interessante è il parallelismo simbolico creato tra l’esclusione dell’uomo e della sessualità dal regno materno e la religione cristiana, che mette in scena con la figura di San Giuseppe "la partenogenesi e il ruolo di cavaliere inesistente" (84).
La funzione maschile viene divisa in due: una componente che dà la vita ed una che dà la morte, la prima viene poi assorbita dal ruolo materno, mentre la seconda viene allontanata dalla madre e attribuita al rapporto sessuale, visto come un’intrusione pericolosa che può danneggiare il feto (85).
Durante la gestazione le accresciute esigenze di tenerezza, di baci, di carezze ed abbracci, manifestate dalla futura mamma possono essere accompagnate da una diminuzione di desiderio sessuale e l’eros può facilmente essere sostituito dall’agape. Con quest’ultimo termine s’intende una serie d’atteggiamenti di accettazione e conforto che sono requisiti indispensabili per lo sviluppo di un progetto di coppia. "L’eros … può facilmente stemperarsi nell’agape, e questo fatto, del tutto normale, può creare un certo disorientamento in una coppia abituata a condurre una vita sessuale soddisfacente"; soprattutto il futuro papà può sentirsi trascurato o rifiutato e considerare erroneamente le necessità fisiologiche indotte dalla gravidanza come prova di minor amore e attrazione della donna (86).
La sessualità può essere fortemente inibita durante tutto il periodo della gestazione e soprattutto nel primo trimestre in cui i fastidiosi disturbi psicosomatici, dovuti all’ambivalenza di cui si è parlato nei paragrafi precedenti, rendono la donna sempre stanca e sofferente (87).
L’astinenza sessuale nel secondo trimestre è giustificata dalla paura irrazionale di danneggiare il bambino e la gravidanza con il rapporto, direttamente o indirettamente. L’immagine dell’aggressione, che viene evocata in associazione al rapporto sessuale, è in contrasto con la fragilità e le modificazioni corporee femminili. Può accadere così una sublimazione delle pulsioni sessuali in desiderio di tenerezza nella donna e in atteggiamento protettivo e accudente da parte dell’uomo (88).
Altre angosce sono legate a fantasie di castrazione che, secondo Soifer, emergono nell’uomo a causa del ruolo di madre, che la gestante ora ricopre. Oltre a ciò alcuni mariti possono essere gelosi del futuro figlio e secondo Miraglia temono che la loro l’aggressività esploda nell’atto sessuale, danneggiando il figlio, mentre secondo Prezza è l’orgasmo che viene evitato in quanto evoca l’immagine dell’espulsione del feto (89).
Alcune gestanti non riescono ad avere rapporti sessuali a causa della fantasia inconscia che il feto vi assista (90).
Quando una donna pone in gestazione il proprio figlio, simbolicamente pone in gestazione la propria rinascita psicologica, che è possibile solo attraverso la regressione e la ricerca nell’entourage familiare di una figura da investire di aspettative materne. Siccome generalmente è il partner a svolgere il ruolo materno, si può chiaramente comprendere la riduzione dell’attività sessuale (91).
Durante questo trimestre, se le modificazioni corporee sono vissute come temporanea trasformazione e non come "metamorfosi negativa del proprio corpo" (92), permettendo il mantenimento della capacità seduttiva verso partner, anche l’attività sessuale può essere continuata. Helene Deutsch ritiene che il destino femminile sia segnato alla lotta fra istinti materni ed erotismo. Se nelle femmine animali il bisogno sessuale è strettamente legato all’istinto riproduttivo e la gravidanza pone termine agli accoppiamenti, nell’essere umano ciò non avviene, poiché la sessualità si è distaccata della sfera biologica riproduttiva ed ha acquisito componenti affettive e culturali (93). In alcune donne, secondo l’autrice, lo spirito materno può dominare al punto tale che gli altri desideri, compreso quello sessuale, sono subordinati a questo, in altre lo spirito materno e la sessualità si armonizzano perfettamente, non generando una scissione (94).
Secondo Miraglia in alcuni casi la gestante non sente il desiderio dei rapporti sessuali, in quanto totalmente appagata dalla presenza del bambino, soprattutto quando investe tutta se stessa nella maternità (95).
Nel terzo trimestre le inibizioni già espresse nei precedenti vengono ulteriormente accentuate provocando, in alcuni casi, parti prematuri.
Altri autori non concordano con queste teorie e ritengono che la libido diminuisca verso il primo e il terzo trimestre, mentre aumenti nel secondo, poiché è caratterizzato dalla scomparsa dei disturbi psicosomatici, da maggiore serenità, ma soprattutto in conseguenza alle modificazioni dell’apparato genitale femminile. Queste ultime favoriscono l’orgasmo e sono caratterizzate da maggiore irrorazione sanguigna nei genitali, aumento del volume dell’utero, aumento degli ormoni ed endorfine in circolo, abbassamento della soglia sensoriale e maggiore reattività uterina (96).
Si verifica anche un aumento delle ore REM (97) durante il sonno che comporta un raddoppiamento delle fantasie sessuali. Kitzinger sostiene, inoltre, che le gestanti che amano il proprio corpo trasformato, si sentono più femminili, più orgogliose e la loro vita sessuale ne risente positivamente (98).
In tutto questo non va sottovalutato l’atteggiamento del compagno nei confronti della donna. Se il maschio non percepisce più la compagna come affascinante e attraente a causa dell’emergere della figura di mamma, può non ritrovare in lei la donna che amava, ma vederci simbolicamente non solo la madre del figlio, ma anche la propria. In altri casi possono insorgere paure d’esclusione e d’abbandono a causa della futura presenza di un terzo, che farà rivivere invidie e gelosie edipiche, per la sua presenza simbolica in posizione genitoriale o di fratello. Può rifiutare, inoltre, la compagna a causa di un’invidia molto forte per ciò che avviene nel corpo e nella mente della donna (99).
In sintesi durante l’attesa il desiderio e l’attività sessuale possono essere presenti, "ma la sessualità può essere agita se autorizzata internamente (dal sentirsi capace d’attrarre) e se la donna si sente accettata e desiderata dal compagno che, a sua volta, è coinvolto dal proprio vissuto psicologico, dai pregiudizi quali il timore di far male al bambino" (100).
In più la condizione psicofisica della donna stimola il partner ad avere un atteggiamento accudente, protettivo e carico di connotazioni materne come risposta alla aumentata fragilità e instabilità psichica della compagna. Tale adattamento porta a privilegiare gli aspetti protettivi della relazione, volti a contenere le angosce materne, che hanno come conseguenza la diminuzione della sessualità, pur mantenendo una relativa stabilità sul piano del vissuto emotivo. Questa modificazione dell’interazione di coppia, secondo Capodieci, Ferraro e altri, non dipende solo dalla situazione fisica della donna, ma dal fatto che l’aumentato bisogno di protezione della futura mamma, abbia come reazione nel partner un minore bisogno di soddisfacimento sessuale (101).
Note
Farasin, Baldaro Verde, 1995.
Winnicott, 1965.
Bestetti, 1994.
Bibring, 1959, Bibring, Dwyer e altri, 1961.
Ferasin, Baldaro Verde, 1995.
Vegetti Finzi, 1990, p.250.
Argomenti trattati in Righetti, Sette, 2000, p.57.
Bydlowski, 1997, p.94.
Bydlowski, 1997.
Deutsch, 1945.
Poggi, Volpe, 1986.
Roccato, 2003, p.191.
Argomenti trattati in Righetti, Sette, 2000.
Deutsch, 1945.
Freud, 1932, p.239.
Pines, 1972.
Deutsch, 1945, p.143.
Deutsch, 1945.
Bibring, Dwyer e altri, 1961.
Lipari e Speranza, Argomenti trattati in Righetti, Sette, 2000.
Winnicott, 1986, p.19.
Badolato e Sagone, Argomenti trattati in Righetti, Sette, 2000.
Capodieci, Ferraro e altri, 1990, p.336.
Ferasin, Baldaro Verde e altri, 1995.
Va da 0-2 mesi e il bambino ha mancanza di percezione delle cure materne e la sua attività è volta a mantenere un equilibrio omeostatico. La sua vita è prevalentemente fisiologica in quanto psicologicamente non è ancora nato.
2 mesi-2 anni in cui il bambino percepisce sé e la madre come un unico sistema onnipotente circondato dalla stessa membrana simbiotica. Tutto ciò sancisce la nascita psicologica del neonato.
Argomenti trattati in RighettiSette, 2000.
Deutsch, 1945, p.127.
Deutsch, 1945.
Stone, 1977.
Righetti, Sette, 2000, p.61.
Fornari, 1981.
Argomenti trattati in Righetti, Sette, 2000
Neologismo dell’autore.
Argomenti trattati in Capodieci, Ferraro e altri, 1990.
Bestetti, 1994.
Badolato e Sagone, argomenti trattati in Righetti, Sette, 2000.
La ricerca è stata portata avanti da Bestetti con gestanti partecipanti ad un corso di psicoprofilassi al parto e alla gravidanza (Bestetti, 1994, p.21).
Solo una donna lo ha percepito come un corpo estraneo, proiettando sul feto fantasie aggressive dirette verso la madre, emergenti dal desiderio di rubarle il posto (Capodieci, Ferraro e altri, 1990).
Argomenti trattati in Righetti, Sette, 2000.
Galardi, 1991, p.277.
Roccato, 2003, p.186.
Bestetti, 1994.
Vegetti Finzi, 1990, p.252.
Galardi, 1991, p.277.
Galardi, 1991.
Argomenti trattati in Righetti, Sette, 2000.
Vegetti Finzi, 1990.
Poggi, Volpe, 1986.
Freud, 1914.
Argomenti trattati in Poggi, Volpe, 1986.
Righetti, Sette, 2000.
Galardi, 1991, p.277.
Argomenti trattati in Benvenuti, Ciatti e altri, 1988.
Bestetti, 1994.
Prezza, argomenti trattati in Righetti, Sette, 2000.
Rossi, Bassi, Delfino, 1993.
Jodelet, 1989.
Righetti, Sette, 2000, p.71.
S. Vegetti Finzi, 1990.
Righetti, Sette, 2000.
Righetti, Sette, 2000, p.72.
Fornari, 1981.
Studio condotto su 60 pazienti che partorirono presso la Clinica Ostetrica e Ginecologica dell’Università La Sapienza di Roma.
Di Giusto, Lambiasi, Cantonetti, Bonessio, 1994, p.246.
Bestetti, 1994.
Prezza, argomenti trattati in Righetti, Sette, 2000.
Righetti, Sette, 2000.
Barletta Reitano, Di Nuovo, 1990.
Galardi, 1991.
Roccato, 2003.
Fornari, 1981.
Kitzinger, Argomenti trattati in Righetti, Sette, 2000.
Vegetti Finzi, 1990.
Galardi, 1991, Bestetti, 1994.
Soulé, 1990.
Soulé, 1990, p.752.
Soulé, 1990, p.751.
Vegetti Finzi, 1990.
Bestetti, 1994.
Righetti, Sette, 2000, p.73.
Galardi, 1991, p.276.
Vegetti Finzi, 1990.
Fornari, 1981, p.269.
Fornari, 1981.
Righetti, Sette, 2000, p.88.
Righetti, Sette, 2000.
Capodieci, Ferraro e altri, 1990.
Argomenti trattati in Righetti, Sette, 2000.
Roccato, 2003.
Capodieci, Ferraro e altri, 1990.
Farasin, Baldaro Verde, 1995, p.259.
Farasin, Baldaro Verde, 1995, Deutsch, 1945.
Deutsch, 1945.
Argomenti trattati in Righetti, Sette, 2000.
Capodieci, Ferraro e altri, 1990.
Rapid Eyes Moviments fase del sonno in cui si verifica l’attività onirica, nelle donne incinta e nei bambini, in una notte, sono quattro su otto, mentre nei soggetti adulti sono circa due su otto.
Argomenti trattati in Righetti, Sette, 2000.
Farasin, Baldaro Verde, 1995.
Farasin, Baldaro Verde, 1995, p.259.
Capodieci, Ferraro, 1990.
Capitolo 6
Da dove nasce il desiderio di maternità?
"Il figlio rappresenta sempre un turbamento nella … vita personale, ma nello stesso tempo una promessa, un’esperienza ottimistica nei riguardi del futuro. Ogni gravidanza, specialmente la prima, è per la donna l’alba di una nuova fase, una nuova svolta del suo destino, se la maternità prossima esprime un suo vero desiderio individuale"
Helene Deutsch, Psicologia della donna
6.1 Maternità come compensazione ad una carenza.
Abraham sosteneva che la decisione di avere un figlio è un segno di un progresso compiuto dalla coppia, che, superate le difficoltà della convivenza e raggiunta la stabilità dell’unione, si accinge ad affrontare un’altra prova: avere un bambino (1).
"La coppia, responsabile, progettuale e aperta all’evoluzione, si trova a realizzare il più importante dei suoi progetti" (2).
I due sessi s’integrano alla perfezione e quest’integrazione fra maschio e femmina non avviene solo sul piano fisico per dare vita al "figlio corporale", ma sommerge anche le loro anime per far nascere un "figlio spirituale". Secondo Jung l’unione fra uomo e donna, nella prima metà della vita, mira ad un unione fisica che avrà come frutto la nascita di un figlio, continuazione dei genitori, ma nella seconda metà ciò che conta è la congiunzione psichica e del proprio mondo interiore, affinché nasca il figlio spirituale che permetta la crescita dell’essenza spirituale dei due compagni (3).
Secondo la concezione classica freudiana il desiderio di gravidanza non nasce all’interno delle coppia, ma affonda le sue radici nel passato dell’uomo e della donna, risalendo a fasi preedipiche ed edipiche (vedi cap.1). Il desiderio di avere un figlio, secondo Freud, nasce proprio nell’infanzia, quando la bambina si accorge della differenza genitale rispetto al maschietto e rimanendo vittima dell’invidia del pene (4) desidera possedere il fallo e essere un maschietto, per compensare le sue carenze fisiologiche. In più bisogna ricordare che il primo oggetto d’amore per entrambi i sessi è la madre, ma con lo sviluppo, la femmina dovrà spostare il suo interesse da un oggetto femminile (la madre) ad uno maschile (il padre), mentre il maschietto cercherà un oggetto simile al materno (5). La bambina che, all’origine desidera un figlio dalla madre, se ne allontana, perché scopre l’imperfezione di quest’ultima (mancanza del pene) e la ritiene responsabile di averla creata imperfetta (6). Così la bambina passerà, dal desiderio inconscio del fallo paterno a quello del figlio dal padre (7), che poi verrà spostato a livello cosciente nell’amore verso il compagno e nel desiderio di avere un figlio da lui.
Due autori come Helene Deutsch e Erik Erikson, appartenenti al filone della psicologia dell’Io, seguendo il pensiero freudiano, hanno dato un grande contributo alla comprensione dell’origine del desiderio di maternità. Helene Deutsch ritiene, che nelle differenze anatomiche, risiede la principale differenza fra uomo e donna. Non nega l’invidia del pene, ma sottolinea come da questo interesse verso l’esterno la femmina passa a rivolgere il suo interesse verso il suo mondo interno, il desiderio di un figlio e il problema della riproduzione, mentre il maschio conserverà per sempre un interesse per i suoi organi genitali. Quindi la trasformazione del desiderio del pene nel desiderio di un bambino avviene grazie ad un cambiamento d’interesse. La bambina, infatti, dopo aver costatato l’assenza del pene rivolge l’interesse verso l’interno del proprio corpo e fantastica di avere il pene all’interno del proprio corpo, giungendo fino ad identificare il pene con il figlio, come entrambi parti del proprio corpo. Se questa idea riemerge, nella vita adulta, durante la gravidanza è possibile che la donna inconsciamente identifichi il feto con l’organo sessuale maschile (8).
Non è comunque d’accordo con Freud che il bisogno di un figlio origini esclusivamente dal desiderio di riparare un’inferiorità fisica, poiché durante la fase riproduttiva il bimbo acquisisce un significato diverso e tutto nuovo.
L’autrice si concentra principalmente su due concetti quello di femminilità e quello di spirito materno. La femminilità scaturisce dall’armonia fra la tendenza narcisistica e la tendenza masochistica (tipica della donna) ad amare e a donare con amore. La tendenza narcisistica nella donna materna subisce però uno spostamento dall’Io al figlio. Lo spirito materno, invece, è costituito da un elemento chimico-biologico che coincide con l’istinto e con l’amore materno che è l’espressione della relazione madre-bambino o il suo sostituto. Lo spirito materno può essere presente in ogni donna indipendentemente dal fatto che abbia un figlio.
Il desiderio di maternità ha origine per l’autrice nell’infanzia, grazie alla presenza nella donna di organi riproduttivi ricettivi, ma soprattutto di caratteristiche psichiche legate alla ricettività. Nella fase dell’infanzia preedipica la bambina sviluppa uno spirito materno attivo fantasticando di avere un figlio con la madre, mentre nella fase edipica desidera avere un figlio passivamente dal padre. In più questo desiderio è collegato ad uno più profondo di sopravvivenza, di protezione della vita e di negazione della morte: la gravidanza permette alla donna di sperimentare un senso d’immortalità.
Concordando con Freud, che ritiene che il desiderio del pene può venir soddisfatto solo con la nascita di un figlio, soprattutto se questo è maschio, Deutsch afferma che la maggior parte delle donne vorrebbe avere come primo figlio un maschio; a cui attribuire le qualità ideali appartenenti al proprio padre nell’infanzia e che rappresenti la virilità stessa della donna (9).
Georg Groddeck, proseguendo sul filo di queste idee, si spinge oltre, ritenendo che la sensazione femminile di vuoto, presente nell’infanzia, può essere eliminata solo grazie alla gravidanza. La donna durante l’attesa, secondo l’autore, spera che dentro di lei si stia sviluppando una creatura, che poi rappresenti una nuova parte di sé, dotata di ciò che le manca (il pene), desiderando che il feto sia maschio (10).
Erik Erikson ritiene fondamentale, per conoscere l’origine del desiderio di maternità, rifarsi alle differenze esistenti nella struttura del corpo umano maschile e femminile. L’identità della donna e la sua femminilità si sviluppa partendo dalle sue caratteristiche fisiologiche: "contiene uno spazio interno destinato a portare in grembo la progenie" (11). Con questo concetto non si riferisce solo alla gravidanza e al parto, ma anche all’allattamento e alle parti convesse del corpo femminile, che indicano pienezza, calore e generosità. Riprende il concetto della teoria freudiana secondo cui prima o poi entrambi i sessi si accorgono della mancanza del pene nella femmina, ma sottolinea come la bambina nella sua differenza dal maschio non si concentri su un organo esterno mancante, ma sul fatto che può osservare il misterioso evento della gravidanza in donne più grandi e in animali femmine.
Secondo Erikson la psicoanalisi non ha dato importanza sufficiente ai "modelli procreativi intrinseci della morfologia fisiologica sessuale" (12) che in realtà pervadono, con intensità, ogni stato d’eccitazione e d’ispirazione, dando forza ad ogni esperienze umana.
La teoria psicoanalitica, nello spiegare l’evoluzione della donna e della femminilità, parte da un trauma legato alla mancanza del pene (invidia del pene), che genera nella bambina il rifiuto della figura materna colpevole di questa mancanza e del fatto di averla generata a sua volta senza il pene. Ciò genera un conseguente interesse verso la figura paterna per la presenza di quest’organo. Da adulta la donna desidererà un figlio che rappresenterà il sostituto del pene mancante e abbandonerà la propria aggressività a favore di un orientamento passivo-masochistico. Queste sono per Erikson solo mezze verità nel quadro di una teoria normativa dello sviluppo della femminilità. Se queste premesse fossero fondanti non si capisce come farebbe la donna a passare da emozioni legate "… alla perdita di un organo esterno al senso di un vitale potenziale interiore" (13); da un odio verso la madre alla solidarietà con lei; da un piacere masochistico della sofferenza alla comprensione del dolore come significativa esperienza umana e in particolare del femminile.
Le angosce di fondo, legate al femminile, come il senso di solitudine, la paura di essere lasciata vuota e senza oggetti preziosi al suo interno, non deve essere interpretata unicamente come conseguenza dell’invidia del pene e del desiderio di essere maschio. Il vuoto in particolare è la maniera femminile di sentirsi sminuita e un’esperienza comune a tutte le donne. L’esperienza femminile di questo spazio interiore è il centro di ogni potenziale adempimento, ma può essere anche fonte di disperazione e di sue angosce (14).
Karen Horney è un’autrice, che più delle altre si discosta dalla teoria freudiana ritenendola, in quanto creata da un uomo, maschilista. In più a causa del fatto che il suo campo d’indagine si è rivolto prevalentemente all’uomo e al bambino, ha trascurato profondamente lo sviluppo femminile. Rifiuta la visione che il desiderio di maternità origini dall’invidia del pene e dal bisogno di compensare una carenza, ma secondo l’autrice deriva dall’istinto di maternità, che al massimo può esserne rafforzato e tuttavia rimane un desiderio primario, fortemente radicato a livello inconscio, alla stregua di un’altra qualsiasi pulsione. Il desiderio di maternità è un istinto naturale ed iscritto nella sfera biologica femminile (15).
L’importanza di quest’autrice è dovuta al superamento della concezione della maternità come un destino ineluttabile della donna o la conseguenza di una sessualità matura. E’ contraria all’idea freudiana, con cui concorda anche Deutsch, che nella bambina, vagina e utero rimangono sconosciuti fino a quando non entrano al servizio della funzione riproduttiva. Horney e la scuola psicoanalitica inglese rappresentata dalla Klein affermano che la bambina sin dall’inizio è femminile, sia nel rapporto con il padre, sia nel suo comportamento in generale. La bimba ha una coscienza precoce, basata su percezioni fisiche, della vagina e delle sue funzioni ricettive.
Karen Horney non ritiene che il complesso edipico sia universale, in quanto studi etologici hanno dimostrato che non esiste in culture diverse da quelle occidentali industrializzate. Trascurare come ha fatto la psicoanalisi freudiana le differenze culturali e sociali genera unilateralità negli studi ed errori nelle conclusioni.
Gli studi antropologici di Margaret Mead, al contrario, danno importanza ai fattori ambientali e culturali e sono contro l’ipotesi freudiana che si rifà rigidamente a fattori biologici per spiegare la genesi della maternità. Le conclusioni dell’autrice, che si ritrovano in "Male e Famale", contengono un’indagine comparata, che mette in evidenza uguaglianze, differenze e caratteri essenziali di sette popolazioni dei mari del Sud. Mead sottolinea come il comportamento riproduttivo, il modo in cui la madre considera e vede il proprio bambino non sia uguale dovunque, ma dipenda dai modelli culturali vigenti. Vi sono tre tipi principali di condotte:
quella simmetrica, in cui la madre considera il figlio come una creatura piccola, ma completa e simile a lei;
quella complementare, in cui la madre tratta il figlio come se fosse un essere diverso da lei, da proteggere e nutrire, perché debole e dipendente;
quella reciproca, il cui tra madre figlio vi è una relazione che implica un reciproco scambio: la madre è quella che dà e il neonato prende, ma poi contraccambierà (16).
Partendo da questi autori, si è potuto constatare come il desiderio di maternità non nasce quando la donna decide di avere un figlio, ma fondi le sue radici nell’infanzia e nelle caratteristiche culturali e ambientali della civiltà in cui vive.
Lebovici ritiene che il desiderio di maternità è proprio della vita umana. Tale sentimento crea un mondo immaginario, che s’identifica nel "bambino fantasmatico": esito dei conflitti inconsci della donna risalenti all’infanzia. Il bambino fantasmatico origina dal desiderio di maternità che fa riemergere i fantasmi edipici della donna. Parla, inoltre, di "bambino immaginario" che è il prodotto dei sogni ad occhi aperti, delle fantasie coscienti e del desiderio di un figlio, nato dal proiettarsi, della donna, nel futuro e dalla relazione con il suo compagno. Questo bambino, dunque, è costituito da molteplici elementi: il desiderio di maternità e i suoi fantasmi, la situazione reale della donna e un lavoro di rappresentazione attivo (17).
Soulé afferma che il bisogno di generare è il fantasma più radicato nell’infanzia, in entrambi i sessi, e sottolinea che questa attesa non è riferita al bambino reale, ma deriva dal desiderio narcisistico di possedere le stesse capacità generative genitoriali. Il "fantasma del bambino" o "bambino immaginario" subisce delle variazioni nel corso delle diverse fasi della vita:
nel periodo pre-edipico la bambina assimila il figlio alle feci, poiché entrambi derivano da ciò che si mangia e stanno dentro la pancia;
nel periodo edipico, dopo che la bambina ha scoperto le differenze sessuali, desidera avere dal padre ciò che la madre ha ottenuto: un bambino. Tale desiderio trova libero sfogo nel gioco delle bambole, descritto anche da Freud e Deutsch, in cui la bambina s’identifica con la madre e con il suo ruolo;
nel periodo di latenza il desiderio di avere un figlio si attenua insieme agli altri desideri istintuali, per lasciare il posto ad altri investimenti;
con la pubertà il corpo della ragazza diviene adulto ed entrambi i sessi hanno la reale possibilità di procreare, anche se l’adolescente, per effetto della rimozione avvenuta nel periodo di latenza, non considera ancora la possibilità concreta di avere un figlio, pur non ricorrendo all’uso di contraccettivi nelle relazioni sessuali;
nell’età adulta la donna, più matura rispetto alla fase precedente, può prendere in considerazione l’idea del concepimento. "… Il bambino immaginario possiede adesso caratteristiche più reali e meno infantili" (18).
Nel corso della gravidanza, secondo Soulé, il bambino riveste per la donna un significato incestuoso, in quanto permette di riprendere la relazione erotica fantasticata con il padre e, attraverso lui, vivere un senso di vittoria sulla madre. Sarà un bambino ideale, in quanto onnipotente, capace di restituire alla madre il suo ideale dell’Io. Il bambino investito narcisisticamente è un oggetto buono e idealizzato, mentre le sue parti cattive sono negate, poiché le parti persecutorie si ritrovano in altri bambini o nel bambino reale partorito dalla donna.
Nella teorizzazione di Soulé il desiderio di maternità risale all’infanzia della bambina, mentre il desiderio di gravidanza si manifesta come bisogno di verifica della normalità, dell’integrità e del buon funzionamento del proprio corpo (19).
6.2 Maternità come orizzonte di vita possibile.
Gli studi recenti sullo sviluppo della sessualità femminile, evidenziano che lo sviluppo psichico non origina, come sosteneva Freud, dal confronto con la diversità del corpo maschile e dall’invidia del pene, quanto piuttosto dalla percezione della bambina di possedere un corpo adatto a generare.
Prima della fase edipica, infatti, la bambina vive una particolare relazione con la madre che la porta ad un confronto e a percepire il suo corpo come cavo e quindi adatto a procreare e contenere. "Vi è quindi all’origine della femminilità e della capacità materna un sapere fondato sul corpo, sintesi tra la percezione di sé e il confronto con il corpo materno" (20).
L’immagine della maternità oggi è fortemente cambiata rispetto all’epoca degli studi freudiani: non è più un logico ed ineluttabile destino della donna, dovuto al raggiungimento della maturità sessuale, né una compensazione di carenze fisiologiche in un essere imperfetto.
"Oggi il rapporto donna-utero è … cambiato: dalla dipendenza si è passati alla gestione (come diceva lo slogan delle femministe post sessantottine)" e la gravidanza è diventato un evento vissuto con maggior consapevolezza, che può rientrare in un orizzonte di vita possibile, ma non è più considerata un destino. "La maternità è stata in questo processo non cancellata o dimenticata, bensì riscoperta come un evento centrale della vita della donna e come un momento importante, ma non come un momento dell’esistenza femminile" (21). Già Helene Deutsch, pur essendo strettamente legata al pensiero freudiano, sottolineava come la donna per essere materna non debba necessariamente avere un figlio (22).
Vegetti Finzi ha introdotto concetti ancora più importanti, evidenziando come la donna, per il solo fatto di essere tale, è madre, ma può creare e generare in un numero infinito di campi come quelli legati all’amore, al desiderio, all’arte, alla società, alla politica, alla religione, ecc... "La maternità, intesa come creatività, è una modalità che la donna può realizzare o meno nel figlio, ma che rimane comunque inscritta nella sua organizzazione pulsionale" (23).
L’origine del desiderio di maternità per l’autrice si ritrova nell’infanzia e nel desiderio, generato dalla percezione del proprio corpo cavo, di procreare un bambino partogenetico all’interno di un corpo materno e filiale indiviso. E’ solo nel successivo sviluppo che la bambina sostituirà l’immagine di questo figlio creato con la madre, con il desiderio di avere un figlio dal padre, e da adulta, dal compagno (24).
Relativamente alle motivazioni consce ed inconsce, il perimetro individuale è un po’ troppo limitato per comprendere l’origine del desiderio di procreare. Freud allarga il nostro orizzonte ricordandoci la nostra appartenenza al ciclo della vita, per cui il corpo individuale è soggetto a morte e caducità, mentre le cellule germinali sono potenzialmente immortali (25). La fecondazione si colloca all’interno di due processi vitali: uno impersonale al servizio della sopravvivenza della specie e l’altro individuale per la realizzazione di desideri personali ed entrambi si oppongono alla morte. "E’ nella estrema vulnerabilità del nostro riconoscerci mortali che si impone la figura del figlio, sul quale convergiamo tutto il nostro inevaso narcisismo infantile" (26). Il tramite tra l’amore per sé e quello del figlio è costituito dal bambino immaginario, quale figura intermedia tra l’Io e l’altro, che rimane sepolto nell’inconscio ed emerge solo tramite i sogni, i giochi, i sintomi e la réverie.
La gravidanza è un evento che si colloca a metà strada tra mondo interno e mondo esterno, è un processo biologico e al tempo stesso sociale ed è soprattutto un tema centrale nella elaborazione della nostra identità.
E’ necessario per comprendere ed affrontare la maternità partire da sé e non dal proprio corpo, "… ma dalle rappresentazioni che ne emergono, dalla materialità delle sue fantasie e dai progetti di vita che contiene. Nell’immaginario, piuttosto che nell’anatomia, si costruisce la nostra identità sessuata" (27).
Un ulteriore passo avanti, nella visione di questo evento, è stato fatto ad opera di Fausta Ferraro e Adele Nunziante Cesaro, che ritengono preferibile riferirsi alla maternità non utilizzando la parola "istinto", come fa Karen Horney in "Psicologia del femminile", ma con l’espressione "sentimento materno", che ne indica la sua complessità. Le autrici, infatti, sottolineano come la gravidanza rappresenti una crisi d’identità femminile vissuta sia con il corpo che fantasmaticamente ed immaginativamente, fino al momento del parto. Nel desiderio della gravidanza ha un ruolo fondamentale, nello spazio fantasmatico della donna, il corpo considerato come organo cavo da riempire e spazio da saturare. La maternità non è più vista come un processo naturale ed istintuale, ma assume la conflittualità, l’ambivalenza, le emozioni e le gioie che fanno parte di ogni esperienza umana.
Ferraro e Nunziante Cesaro, nel loro lavoro più citato "Lo spazio cavo e il corpo saturato", annoverano fra le componenti non biologiche della spinta a procreare la "nostalgia fondamentale", ossia il desiderio-illusione di ripristinare l’unità simbiotica con l’oggetto primario, di "tappare il buco" o sanare la ferita originaria apertasi con la nascita, tornando ad essere due in uno (28).
Queste concezioni innovative conducono ad una separazione tra il concetto di gravidanza e quello di maternità, che non sempre coesistono, in quanto la gravidanza non è garanzia di un sentimento materno o come sostiene Racamier con il suo neologismo di maternalità. La gestazione può essere vista come quello che l’autore chiama maternità, che coincide con i cambiamenti biologici della gravidanza e non porta automaticamente alla maternalità intesa come un’elaborazione mentale che porta ad un cambiamento della propria personalità. Anche Winnicott sottolinea che la "preoccupazione materna primaria" è uno stato che si verifica in una donna sana e le permette di sviluppare un’elevata sensibilità nei confronti del figlio. Non tutte le donne però, sono capaci di sviluppare questa "malattia normale" che permette loro di adattarsi con delicatezza ai bisogni del bambino (29).
Come tutte le crisi della vita, la maternità rappresenta un punto di non ritorno, "la nascita di un sentimento materno comporta un intenso lavoro psichico, da un lato il lavoro di lutto per quanto viene perduto (a cominciare dall’immagine corporea di sé, di quel corpo erotico femminile che è generalmente fortemente investito), dall’altro di apertura al nuovo che viene acquisito" (30).
Il desiderio di un figlio è estremamente complesso in quanto è inserito all’interno del codice genetico, culturale e soggettivo ed appare come il risultato di svariate componenti dell’esperienza, in cui le fantasie infantili relative alla nascita e alla procreazione hanno un ruolo di grande importanza. Questo desiderio ha, dunque, una sua storia ed è influenzato in modo notevole da fattori sociali e culturali, che possono indurre mutamenti nel corso della vita del soggetto, in modo da non renderlo un bisogno istintuale ed elementare che si dispiega secondo un unico modello definitivo (31).
Il livello di maturazione e le modalità di superamento delle tappe critiche dello sviluppo quali infanzia, pubertà ed adolescenza, svolgono un ruolo molto importante, poiché il bambino può essere un mezzo attraverso il quale verificare le proprie capacità generative e poter eguagliare la madre. Riferendosi a queste motivazioni Soulé parlava di desiderio di gravidanza, mentre Vegetti Finzi ritiene che siano tipiche delle adolescenti, che vogliono sfidare le angosce di sterilità e provare a se stesse le proprie capacità generative.
Il desiderio di maternità può essere un modo per acquisire diritti sul partner o legarlo a sé, occupando il ruolo di sposa. In altri casi può nascere dalla necessità di sconfiggere la solitudine, la vecchiaia e negare il sopraggiungere del climaterio, che segna la fine delle proprie potenzialità riproduttive (32). Altre motivazioni sono legate alla riparazione di un lutto o di un aborto.
Giovanna Bestetti sostiene che l’origine del desiderio di gravidanza ci può anche illuminare sul successivo rapporto che la donna ha con il proprio figlio e col suo sentirsi capace di prendersene cura. Alcune donne vivono la maternità come qualcosa di naturale, altre come la conseguenza di un rapporto di coppia riuscito o come frutto di un processo evolutivo che prevede la possibilità di diventare madre. Secondo l’autrice anche quelle donne che dicono di essere rimaste in cinta, senza averlo programmato, riconducono inaspettatamente l’origine ad un periodo difficile della propria esistenza o della vita di coppia. Ciò conferma l’esistenza di un profondo desiderio inespresso dietro ogni gravidanza accidentale, magari legato al bisogno di provare le proprie capacità generative (33).
Accanto a queste spinte perlopiù coscienti, ve ne sono sicuramente di inconsce che si possono considerare più generali: un figlio può essere una fonte di gratificazione emotiva e spesso il "luogo" in cui riporre le speranze e le potenzialità, che i genitori non hanno avuto. Lo stesso Freud sosteneva che il figlio ha il compito di compensare tutte le carenze subite dai genitori nel passato e realizzare i loro sogni e i loro desideri (34). In più è un modo per assicurarsi una continuità di vita, una sorta d’immortalità, come sostenuto da Freud e Deutsch (35).
Monique Bydlowski ritiene che la creazione di un bambino emerge dall’unione di due adulti, sia del loro patrimonio genetico che delle loro rappresentazioni inconsce e singolari. Il desiderio di un figlio, infatti, nella società occidentale ha uno spazio limitato a causa della diffusione della contraccezione, che costringe i futuri genitori a decidere in modo consapevole di procreare. Il desiderio diviene, dunque, un cammino conscio, ragionevole, deliberato e addirittura programmato ed è, prima di tutto, la traduzione naturale di una pulsione universale, volta ad assicurare il prolungamento della specie, che spinge l’uomo a procreare, nonostante le circostanze avverse (guerre, carestie, ecc..). Inoltre il desiderio della coppia di avere un figlio si integra con gli ideali sociali, famigliari e con il bisogno di assomigliare ai genitori che li hanno creati, divenendo essi stessi genitori e fondatori di una nuova famiglia (36).
Secondo l’autrice questo progetto è permeato di significati profondi e l’arrivo di un figlio non programmato è "… la messa in corpo di desideri inconsci" (37), che la moderna diffusione della contraccezione tende a nascondere.
Il desiderio di un figlio si può trovare, prima della sua realizzazione, nel figlio immaginario, che deve riparare tutto, colmare lutti, solitudine e destino. Lo stesso bambino che cresce nel corpo della donna rimane immaginario, non reale, né rappresentabile, sia nel suo sesso che nel suo aspetto.
I genitori che danno la vita sono portatori di rappresentazioni e scenari, più o meno consci, che provengono dalla loro storia personale e in modo transgenerazionale dai loro antenati.
L’origine del desiderio di un figlio si può ritrovare, dunque, in segni riconoscibili legati ad un senso nascosto, ad un significato sepolto nella memoria del soggetto, definito come rappresentazione inconscia. "Questi segni significativi, queste rappresentazioni trasmissibili di cui il neonato sarà dotato, sono di due ordini" (38):
letterali; sono rappresentazioni vicine al conscio e quindi esprimibili tramite parole, lettere e numeri, che compongono il cognome, il nome e la data di nascita del bimbo;
direttamente evocate; si possono qualificare come rappresentazioni di avvenimenti e di scenari, sono dei significati corporei, poiché l’inconscio di ciascun genitore prende corpo nello spazio psicocorporeo del figlio.
Chi nascerà prenderà vita somato-psichica a partire da una rete di rappresentazioni che lo precedono. "Il bambino atteso è portatore in anticipo degli avvenimenti biografici e libidinali dei suoi ascendenti immediati o più lontani" e "… nel suo corpo e nella sua psiche luogo di proiezione del capitale rappresentativo di ognuno dei suoi genitori" (39).
Secondo Bydlowski il periodo della gestazione è il momento privilegiato per individuare il desiderio inconscio dei genitori, e soprattutto dalla madre, poiché per quest’ultima è favorito dallo stato psichico, che le conferisce la gravidanza. La madre durante l’attesa vive uno stato definito dall’autrice "trasparenza psichica femminile" (40) caratterizzata da una grande permeabilità alle rappresentazioni inconsce (fantasmi, reminiscenze, scenari inconsci, ricordi infantili) che superano la soglia abituale della rimozione.
L’autrice ha riscontrato che le rappresentazioni materne sono nostalgiche e centrate sulla bambina che è stata, mentre il discorso sul futuro bambino ha un posto ristretto. Il concetto di trasparenza psichica per l’autrice è legato anche ad uno stato relazionale particolare che definisce "invocazione latente all’aiuto o situazione di ricerca costante di un referente" (41).
Le rappresentazioni alla base del desiderio di un figlio indicate dall’autrice sono svariate e di seguito indicherò le più interessanti.
Prenominazione. Il nome, che i genitori cercano accuratamente prima della nascita, è un’occasione per dare libero sfogo ai propri pensieri, ricordi, associazioni d’idee e alla propria fantasia (nel caso si inventi di sana pianta un nome). Il nome è portatore di significati sconosciuti ed originanti dal desiderio parentale. Prova ne è il fatto che molti bambini sono dotati di un grande nome: di un antenato, di un eroe reale o leggendario (42).
Calcolo inconscio. Molte donne programmano involontariamente la nascita del figlio in date per loro significative. La data a cui si riferisce l’autrice non è tanto quella del parto, soggetta ad imprevisti (prematurità, intervento medico), ma quella prevista per la nascita. Quest’ultima si calcola facilmente a partire dalla data dell’ultimo ciclo mestruale addizionata a 41 settimane. Esiste un calcolo inconscio o preconscio in ogni gestazione, che si esplica in una data significativa, come ad esempio in un anniversario di una perdita di una parte di sé: un bambino perso, un genitore amato o un organo vitale.
Il lutto. Succede che la scomparsa improvvisa di un parente o di una persona cara provoca un concepimento involontario. La morte brusca di un padre o di un fratello o il pericolo di una morte mettono in ebollizione la pulsione sessuale e hanno come conseguenza un concepimento, nonostante la normale contraccezione. Secondo l’autrice è una messa in atto o "messa in figlio" che origina dalla necessità di non affrontare le tappe psichiche, che il lavoro di un lutto impone. La gravidanza può bloccare il processo elaborativo del lutto e il figlio prenderà il posto della persona scomparsa. Inoltre la morte di un genitore apre improvvisamente alla percezione della propria mortalità, che spinge a procreare per ricostruire l’immortalità persa. La presenza del figlio è il supporto ad un fantasma d’immortalità, di tempo senza limite ed aperto all’infinito.
Gravidanza per la gravidanza. Bydlowski sostiene che numerose maternità non hanno come finalità che se stesse. Riporta che molte donne dichiarano di aver desiderato di rimanere incinta per verificare il buon funzionamento del proprio corpo oppure per provare una sensazione di completezza o di pienezza.
Nirvana della gravidanza. Molte donne partoriscono ad una data identica o vicina al proprio compleanno, mentre altre danno vita ad un figlio solo quando hanno la stessa età della loro madre, al momento in cui le ha partorite. La rappresentazione inconscia che si esprime è la speranza di ritrovare la propria infanzia. Questo desiderio si realizza immaginariamente verso gli ultimi giorni della gravidanza quando "… il parto evidenzia" un "… istante fuggitivo di invasione narcisistica e il ritorno ad una beatitudine originaria" (43).
Figlio del padre. L’autrice riprende qui i concetti freudiani di invidia del pene, ricordando che il desiderio di maternità pone le sue radici in quello infantile di una relazione incestuosa col padre e di ottenere, inoltre, l’organo maschile.
L’ombra della madre. Bydlowski sottolinea come l’Edipo sia solo un versante del desiderio di maternità, mentre l’altro lato sia occupato dal rapporto della donna con la propria madre e dal desiderio di divenire essa stessa, simile a chi l’ha generata. "Su questo lato omosessuale della maternità, partorire è riconoscere la propria madre all’interno di sé" (44). L’odio o il desiderio di vendetta bloccano la trasmissione di questa continuità fra madre e figlia. E’ necessario aver avuto il riferimento di una figura materna positiva per poter procreare. Ne è prova la presenza tradizionale di donne, come ostetriche e levatrici, presso le partorienti. L’ombra della propria madre sulla figlia in procinto di diventare madre costituisce uno sfondo reale e virtuale sul quale la futura madre si appoggia, infatti, è l’unica donna che si prenderà cura del figlio, se dovesse venir meno. La madre idealizzata è la sola donna alla quale affiderebbe il proprio figlio senza preoccuparsi. "Questa idealizzazione appoggia sul fantasma di un doppio narcisismo e di una filiazione per partizione di un’altra se stessa" (45).
Bydlowski basa la sua visione della gravidanza sull’idea che la vita non è un regalo gratuito, ma porta in sé l’esigenza di restituire ciò che è stato trasmesso. "… Il dono della vita è anche una promessa di mortalità. Il debito materno prende corpo nel corpo del figlio che sta per nascere" (46). Con la procreazione una donna, a causa del debito simbolico alla Madre Terra, regola il suo conto verso la sua propria madre. All’opposto l’aborto ha il significato inconscio di uccidere la madre all’interno di sé. Queste donne spesso presentano un odio dichiarato verso la propria madre e piuttosto che pagare un debito, che non sentono, preferiscono mutilarsi.
Il desiderio ambivalente che il figlio viva e muoia è presente in ogni donna e corrisponde al conflitto sempre vivo tra desiderio ragionevole di avere un figlio sano e il desiderio insensato di fargli del male o di farlo sparire, tanto è potente la forza delle rappresentazioni che incarna.
Accettare una gravidanza, significa assumere il fatto che l’immagine della giovinezza che lo specchio fino ad oggi rifletteva, si rompe, per fare emergere il riflesso identificatorio con la madre che invecchia. La sterilità permette il mantenimento intatto dell’illusione narcisistica della giovinezza eterna ed il rifiuto di iscriversi nella linea delle donne, con la non riconoscenza del debito materno.
Per la gestante non vi è più scappatoia possibile all’identificazione con il materno: il corpo che s’appesantisce, s’affatica e la pancia che cresce testimoniano la trasformazione che sta avvenendo. Così si integrano due desideri a due livelli: quello d’identificazione materna arcaico e quello di realizzazione edipica, perché contemporaneamente il corpo adolescenziale si accresce del bambino desiderato dal padre e la somiglianza con il corpo materno sciupato si fa pregnante. Il desiderio del figlio viene così ad iscriversi in un registro talvolta edipico e talvolta narcisistico.
La procreazione è però strettamente legata alla morte e al lutto, poiché significa dare la vita ad un bambino che prenderà il proprio posto. Il non concepire o la sterilità sono una difesa contro la morte di se stesso.
In sintesi, il desiderio di un figlio che sembra il più naturale ed universale dei desideri umani, è in realtà un processo complesso dove si ritrovano desideri consci d’immortalità e di identificazione con figure genitoriali mescolati a rappresentazioni inconsce e transgenerazionali di ognuno dei due futuri genitori, ma soprattutto della madre (47).
Il desiderio di paternità è stato preso in considerazione solo recentemente grazie al crescente coinvolgimento dell’uomo, che non si limita più alla cura ed educazione dei figli, ma interviene, oggi, prima ancora della nascita, attraverso la partecipazione ai corsi di preparazione al parto, alle ecografie ostetriche e con la presenza in sala parto (48).
L’uomo può attendere la nascita di un figlio ancora prima del concepimento, può desiderarlo, progettarlo insieme alla compagna e sentirsi pronto per diventare padre (49), può essere entrato in quella disposizione mentale che Erikson ha definito fase generativa dello sviluppo (50).
Può desiderare un figlio per una serie di motivazioni disparate come: legare a sé la compagna, renderla più docile e dolce, costringerla in casa, renderla più responsabile e matura (51). Può desiderare di dimostrare la propria virilità, poiché nel 2000 è ancora vivo il pregiudizio che mette la fertilità in stretta relazione con la potenza sessuale. Anche per l’uomo il figlio può rappresentare una gratificazione emotiva, capace di creare una serie di esperienze uniche, di rivivere le tappe della propria vita e di assicurare l’immortalità, a se stessi ed alla famiglia (52).
Secondo Righetti e Sette questi desideri che associano il bambino ad un elemento strumentale, non sono da giudicare negativamente, ma necessitano di una seria presa di coscienza, nel caso in cui rimangano fine a se stessi e non vengano "… equilibrati dal comune desiderio di un figlio come simbolo d’amore" (53). Gli autori ritengono che il riconoscimento di questo desiderio, che nasce dalla coppia al di là di quelli individuali, è il luogo da cui partire per giungere al concetto di genitorialità.
Acquisire il ruolo di genitore accomuna ed unisce la coppia, in quanto riporta entrambi all’infanzia, in cui bimbo e bimba sognano di avere un figlio e cioè di essere uguali ai genitori. Questa fantasia è stata trattata da molti autori, poiché ha una grande importanza e ritorna nella vita adulta, quando si affronta una gravidanza. Soulè, chiama "bambino immaginario", il desiderio di avere un figlio che si presenta nei bambini e ritiene che sia la fantasia più radicata fin dalla prima infanzia. Lebovici parlando del desiderio di maternità, sottolinea, invece, l’importanza dell’immaginario infantile, che si concretizza nel bambino fantasmatico. Secondo Muscetta è questo bambino interno che permette all’uomo e alla donna di diventare genitori, "… dopo un percorso evolutivo che vede la procreatività fantastica come precorritrice di quella sessuale" (54).
Le fantasie infantili, di possedere narcisisticamente le capacità genitoriali di generare, sono accompagnate da una reale disponibilità protettiva, educativa e nutritiva, che è stata definita con la parola inglese nurturance. Da uno studio di Nelson e Fogel, è emerso che questa disposizione è più sviluppata nella bambina, mentre i maschi presentano inibizioni indotte da aspettative sociali (55).
Secondo Smorti la bambina trova un contesto famigliare che accoglie le sue esigenze di maternità e le permette di svilupparle, poiché fin da piccola si vede definita come futura donna e come potenziale mamma. "Niente di analogo troviamo nel maschio verso il quale la nostra cultura sembra pensare solo in termini di aggressività motoria" (56).
Il concetto di "preoccupazione" inteso da Winnicott come la capacità dell’individuo di prendersi cura e provare apprensione, accettando le responsabilità, non è soltanto un sentimento della madre nei confronti del figlio, ma il fondamento della famiglia, in quanto porta entrambi i partners, ad assumersi le responsabilità dei propri atti sessuali (57). L’uomo oggi, essendo partecipe alla vita famigliare e con un ruolo intercambiabile con quello materno, è lontano dal modello patriarcale di padre autoritario, assente ed impegnato esclusivamente sul fronte lavorativo ed economico. Tuttavia il fatto che esista ancora una bipartizione dei ruoli e un impegno maggiore del maschile sul lavoro rispetto a quello famigliare, facilita il mantenimento una certa ignoranza emotiva maschile. Ciò dipende anche dal fatto che l’uomo è abituato a pensare la mascolinità come il contrario della femminilità e non come ad un modo di relazione con essa (58).
Riassumendo il desiderio di maternità e paternità partono da un terreno comune e si sviluppano in modo diverso e complementare fino a fondersi poi nel concetto di genitorialità. Righetti e Sette sottolineano come sia importante parlare di genitorialità e non di maternità e paternità, perché dà la possibilità di muoversi in un ambito completo e più ampio, che considera le differenze tra uomo e donna come fonte d’arricchimento e sviluppo (59).
La genitorialità presuppone una reale capacità d’amare, caratterizzata dall’apertura verso l’altro e la diversità, che non pone una gerarchia di valore, che vede la funzione materna più importante di quella paterna, poiché entrambi genitori.
La genitorialità e la maternità, per Cramer e Palacio Espasa, costituiscono una nuova topica psicologica e un’entità originale, che pone le sue radici molto prima dell’attesa e si completa nel post partum. Questi autori esplicitano sistematicamente tali concetti integrandoli ai percorsi di genitorialità a rischio, con particolare attenzione alla possibilità di un intervento clinico. Nel lavoro sulle terapie brevi madre-bambino formulano un percorso evolutivo verso lo stabilirsi di una genitorialità a partire dall’infanzia dell’individuo, attraverso il superamento dei conflitti intrapsichici ed interpersonali (60).
Il presupposto fondamentale per sviluppare progetti e desideri riguardo alla genitorialità risiede nella possibilità e capacità dell’adolescente e dell’adulto di effettuare costruzioni preconsce sul comportamento dei propri genitori. Tali costruzioni si fondano su identificazioni profondamente inconsce, che una volta superate, dovrebbero consentire al giovane di accettare l’immagine di sé, che si è costruito come genitore.
Parallelamente deve essere superato lo scoglio del complesso edipico, per ottenere una definizione di sé e delle proprie caratteristiche sessuali. Per Palacio Espasa la genitorialità prevede due compiti psicologici: 1) il rinunciare al piccolo bambino che si è sempre stati per i propri genitori; 2) attivare l’identificazione con i propri genitori per assumersi il ruolo di genitore.
Questi due compiti sono associati ad un processo che l’autore chiama "lutto dello sviluppo", caratterizzato dalla perdita del proprio ruolo di bambino e figlio e di conseguenza dalla minaccia di abbandono da parte dei genitori. Tutto ciò può risvegliare antichi conflitti con i propri genitori, ma in genere il figlio che sta per nascere permettere di risolverli (61).
Lo sviluppo della genitorialità è in stretta relazione con il processo maturativo di coppia, che porta i partner a superare la disillusione dell’innamoramento e permette il riconoscimento del non-me e l’instaurarsi di una dialettica dinamica, che include reciprocità e tolleranza verso gli aspetti diversi dell’altro. Questa maturazione permette di sperimentare la separazione, la reciprocità, la condivisione e la creazione di una "membrana duale", all’interno della quale poter includere un figlio. Tutto questo è possibile se esiste uno spazio per il desiderio condiviso di un figlio come espressione creativa della coppia (62).
Ritorna comunque nella coppia adulta, il figlio della fantasia, il "bambino della notte", che abbiamo visto avere origine nell’infanzia e che rappresenta, per i partner uniti in un rapporto adulto, il prerequisito indispensabile per una gravidanza desiderata da entrambi.
Prima di essere concepito e di nascere, il bambino esiste nell’immaginario dei suoi genitori, come progetto, desiderio e rappresentazione in cui vengono a confluire elementi della storia personale e di quella sociale (63).
La decisione e il desiderio di avere un figlio assume un significato profondo, poiché viene a collocarsi nello spazio della progettualità comune di coppia, rimandando ciascuno dei futuri genitori al senso del proprio limite individuale. Però questo progetto non si connota come semplice riempimento di uno spazio, bensì come evento comune non volto a modificare l’altro, ma il mondo e il senso della vita (64).
Note
Argomenti trattati in Righetti, Sette, 2000.
Righetti, Sette, 2000, p.50.
Jacobi, 1971.
Freud S., 1905.
Freud S., 1931.
Freud S., 1932.
Freud S., 1915, 1924, 1931.
Deutsch, 1945.
Ivi.
Groddeck, 1924.
Erikson, 1968, p.316.
Erikson, 1968, p.331.
Erikson, 1968, p.327.
Erikson, 1968.
Horney, 1976.
Mead, 1949.
Argomenti trattati in Poggi, Volpe, 1986.
Argomenti trattati in Poggi, Volpe, 1986, p.698.
Argomenti trattati in Poggi, Volpe, 1986.
Bestetti, 1994, p.18.
Cambi, 1992, p.61.
Deutsch, 1945.
Vegetti Finzi, 1990, p.239.
Vegetti Finzi, 1990.
Freud S., 1914.
Vegetti Finzi, 1990, p.206.
Vegetti Finzi, 1990, p.210.
Argomenti trattati in Roccato, 2003.
Winnicott, 1958, p.359.
Argomenti trattati in Roccato, 2003, p.185.
Poggi, Volpe, 1986.
Vegetti Finzi, 1990.
Bestetti, 1994.
Freud S., 1914.
Freud S., 1914, Deutsch, 1945.
Bydlowski, 1997.
Bydlowski, 1997, p.64.
Bydlowski, 1997, p.66.
Bydlowski, 1997, p.67.
Bydlowski, 1997, p.66.
Ivi.
Talvolta può rappresentare letteralmente o acusticamente un ricordo d’infanzia o può essere oggetto di distorsione anagrammata che assomiglia ai processi del sogno dallo spostamento o dalla condensazione di lettere o sillabe.
Bydlowski, 1997, p.83.
Bydlowski, 1997, p.74.
Bydlowski, 1997, p.76.
Bydlowski, 1997, p.77.
Bydlowski, 1997.
Di Cagno, Gandione, Lazzarini, Rissone, 1990
Smorti, 1987, b.
Erikson, 1968.
Vegetti Finzi, 1990.
Badolato, Talamoni, Uccello, Argomenti trattati in Righetti, Sette, 2000, Smorti, 1987, b.
Righetti, Sette, 2000, p.53.
Muscetta, Argomenti trattati in Righetti, Sette, 2000, p.53.
Argomenti trattati in Righetti, Sette, 2000.
Smorti, 1987, pp.43, b.
Winnicott, 1958.
Smorti, 1987, b.
Righetti, Sette, 2000.
Palacio Espasa, 1996, p.373.
Ivi.
Righetti, Sette, 2000.
Marcos, Argomenti trattati in Righetti, Sette, 2000.
Ambrosini e Bormida Argomenti trattati in Righetti, Sette, 2000.
Capitolo 7
Rappresentazioni, emozioni e fantasie della futura mamma.
"L’amore di una donna per il figlio è, nei casi normali più grande dell’amore ch’essa ha per se stessa, e l’idea d’eternità, insita nella riproduzione, vince la paura che la donna prova d’essere distrutta. Il futuro trionfa sul presente, ma solo se il passato è stato a ciò armonicamente indirizzato"
Helene Deutsch, Psicologia della donna
7.1 Rappresentazioni materne relative al sé, al bambino, ai propri genitori e al partner.
La genitorialità e la maternità, nei più recenti studi in ambito psicoanalitico e psicodinamico, vengono viste come un compito evolutivo carico di valenze conflittuali per il giovane adulto, ma irrinunciabile per l’accesso alla maturità individuale (1). Questo processo evolutivo del Sé è la base per la ricostruzione del mondo interno e della realtà esterna, ma anche per la realizzazione dell’altro, in termini di capacità di pensare un altro da sé e di procrearlo. Tutto ciò porta alla riflessione sul mondo interno, sul mondo mentale e genitoriale visto come primo luogo di contenimento del bambino reale e di quello (definiti da Lebovici) immaginario e fantasmatico. Tutto ciò pone il concetto di gravidanza all’interno dei fenomeni psicosomatici, la cui interazione fra psiche e soma è più stretta rispetto ad altri momenti evolutivi (2).
In questo paragrafo si approfondiranno i temi della gravidanza da un approccio di studio centrato sulle rappresentazioni e sulla "costellazione materna" di Stern (vedi cap.4). L’autore pone particolare attenzione al piano mentale e rappresentazionale della madre, che costituisce un importante tentativo di congiunzione tra la corrente psicoanalitica di studio della genitorialità e l’osservazione dell’esperienza di relazione.
Il centro d’interesse diviene il mondo delle rappresentazioni della donna, nelle diverse fasi della gravidanza e del post partum, nel tentativo di un suo studio approfondito con strumenti clinici, che diano una possibilità di sistematizzazione (3).
La complessità dei cambiamenti psichici e fisici relativi alla maternità la inscrivono perfettamente nella visione di Bibring, quale periodo di crisi nella vita della donna (4). Il concetto di "crisi" comprende in sé una visione evolutiva della funzione materna, che diviene un processo irreversibile nel ciclo di vita femminile, in cui vengono rivissuti conflitti infantili e identificazioni con la figura materna. Nella stessa direzione, Pines, sostiene che la gravidanza costituisce un momento di elaborazione del processo di separazione-individuazione dalla propria madre.
Il doppio ruolo di madre e figlia, permesso dalla gravidanza, prevede una doppia identificazione, che chiama in causa la relazione reale e fantasmatica con la propria madre. Un’esperienza nel rapporto con la propria mamma sufficientemente buona rende la donna capace d’identificarsi con l’immagine di una figura femminile in grado di dare la vita e contemporaneamente con se stessa da bambina, grazie alla regressione favorita dalla condizione gravidica. A tal proposito l’autrice distingue fra desiderio di maternità, che riguarda l’investimento fatto sul bambino e sulla capacità di prendersi cura di lui e desiderio di gravidanza, che origina dal desiderio narcisistico della donna di provare che il proprio corpo funziona come quello della propria madre (5).
L’evento nascita è un momento che si colloca in una doppia temporalità nel ciclo nascita-vita-morte, ogni bambino si trova inserito in una rete, in cui s’intrecciano il tempo progettuale del desiderio cosciente e quello inconscio. In sintesi, la gravidanza costituisce un momento in cui tre generazioni coesistono nel corpo materno e in cui la temporalità passata, presente e futura si fonde nel bambino, individuo nuovo nel quale si reincarna la storia famigliare (6).
Molto interessante è anche il punto di vista di Palacio Espasa e Cramer che paragonano la genitorialità e la maternità ad una nuova topica psicologica e psicopatologica, considerandola come un’entità originale, che pone le sue radici nel periodo dell’attesa e si realizza totalmente nel periodo del post partum.
Anche per Palacio Espasa la maternità conduce, attraverso un processo evolutivo che ha la sua origine nell’infanzia, all’assunzione della funzione genitoriale. I futuri genitori devono affrontare diversi conflitti dovuti alle identificazioni inconsce con i rispettivi genitori e il conseguente "lutto di sviluppo", relativo al proprio stato di figlio (7).
La gravidanza è, dunque, vista come un momento d’incontro con il bambino, ma anche con altre parti di sé, della propria storia passata e della condizione attuale. "Il costrutto cardine al centro di tale riflessioni è il concetto di rappresentazione mentale" (8).
Stern (vedi cap.4) ha sviluppato una teorizzazione che esplora le "rappresentazioni materne", il loro ruolo nel corso della gravidanza e nella costruzione del primo legame con il piccolo. Sono definite dall’autore come strutture di memoria, che riproducono una versione delle esperienze vissute dall’individuo e quindi come aspetti interni di modelli relazionali, che guidano i comportamenti interattivi esterni (9).
Le rappresentazioni in genere non sono costituite da ricordi di eventi specifici, ma piuttosto da medie astratte di eventi correlate tra loro, ed in particolare, le rappresentazioni interne delle relazioni sono astrazioni contenenti esperienze soggettive interne e comportamenti interattivi ad esse corrispondenti (10).
Le rappresentazioni sono importanti, non solo perché organizzano le esperienze vissute, ma anche perché forniscono previsioni ed interpretazioni di eventi futuri. Tutto ciò è fondamentale all’interno delle relazioni intime e significative, soprattutto per quella che delicatamente si va formando tra gestante e nascituro. Per Stern il mondo rappresentazionale è essenziale nella costruzione della relazione madre-bambino. Le rappresentazioni costituiscono, infatti, la base dell’esperienza interattiva precoce dell’individuo "dell’essere con" un’altra persona, che si compone di momenti interattivi specifici, sperimentati dal soggetto nell’interazione con l’altro significativo. Tutto ciò crea una rete di schemi di "essere con", collegati da un tema o una caratteristica comune. Sono modelli psichici dell’esperienza dell’essere con qualcuno in determinate situazioni della vita quotidiana, come ad esempio il gioco o la nutrizione. A partire da ripetizione di eventi quotidiani di vita fin dall’infanzia, il soggetto è sempre più in grado di costruire rappresentazioni, da utilizzare come eventi generalizzati e prototipici.
Le rappresentazioni non sono entità verbali, poiché non riguardano la conoscenza, ma il fare e l’essere (11). Non comprendono oggetti, persone, immagini o parole, ma sono esperienze d’interazioni vissute con un’altra persona (12).
Questa visione rimanda a un duplice piano della rappresentazione:
viene descritta come processo evolutivo che procede dalla nascita attraverso l’esperienza del bambino con le figure significative del proprio ambiente;
come parte del mondo rappresentazionale della madre, che costituisce una matrice affettiva e mentale, alla base degli atteggiamenti e dei pensieri nel corso dell’attesa e dei comportamenti con il piccolo dopo la nascita (13).
In sintesi le rappresentazioni materne amalgamo la storia passata e le interpretazioni di questa, ponendosi come elementi fondanti l’interazione e le rappresentazioni del nascituro.
A tal proposito Daniel Stern identifica una rete di "schemi dell’essere con" tipici della donna e passibili di modificazioni nel corso della gravidanza e del post partum (riportati nei particolari nel cap.4).
Schemi della madre relativi all’essere con sé stessa come donna: legati ai ruoli personali, sociali e famigliari relativi alla responsabilità della vita e della crescita di un nuovo essere umano, che sta profondamente mutando il corpo e la psiche della donna. Una delle modificazioni principali è anche quella dell’equilibrio tra narcisismo e altruismo, dovuti alla necessità realistica di anteporre i bisogni del bambino ai propri.
Schemi relativi al bambino: che contengono molte rappresentazioni del bambino relative, sia a previsioni e aspettative per il futuro, sia alle valutazioni nel presente ed alle caratteristiche individuali del piccolo. Sono schemi che emergono prevalentemente tra il quarto e il settimo mese di gravidanza.
Schemi relativi al marito: grazie al passaggio dalla diade alla triade, le rappresentazioni che la donna ha del compagno, sia come uomo che come padre, cambiano profondamente.
Schemi relativi alla propria madre e al proprio padre: avviene una rivalutazione delle figure genitoriali, nelle loro funzioni di persone, coniugi, genitori e nonni. Molto spesso emergono reti sconosciute relative al passato della donna, come bambina e figlia, cioè quando era nella condizione di ricevere cure materne.
Schemi relativi ad eventi famigliari mai sperimentati direttamente: che possono essere relativi alla famiglia d’origine, a figure genitoriali sostitutive, a fenomeni famigliari e culturali mai vissuti dalla madre, ma ugualmente rappresentati in termini di narrazione ed conoscenza semantica. Questi ultimi sono costituiti da miti, leggende famigliari, ideali e modelli derivanti dalla cultura, da interazioni personali e sociali (14).
Lo studio delle rappresentazioni materne durante la gravidanza, negli ultimi anni, ha ricevuto un notevole impulso dovuto allo studio di un’intervista clinica chiamata Entretien-R, che ha permesso di creare un modello teorico e descrittivo, grazie all’utilizzo di Stern, Robert-Tissot ed altri nelle psicoterapie brevi madre-bambino. La versione classica è stata modificata, creando un’intervista per le lo studio del cambiamento delle rappresentazioni materne in gravidanza e nel post partum con il nome di Mate-R da Fava Vizziello, Antonioli e altri o sotto forma di Pre Mater (15).
Relativamente alle sue forme tradizionali, questa intervista viene somministrata alla donna in specifici periodi della gestazione (quarto e settimo mese di gravidanza) e nei primi giorni e mesi dopo la nascita del bambino (quarto giorno e quarto mese post partum) per valutare la modificazione delle rappresentazioni materne avvenute in seguito ai processi evolutivi della maternità.
L’intervista è volta ad esplorare come la donna organizza la sua esperienza all’interno di una struttura narrativa comprendente dodici sezioni relative alle rappresentazioni percettive del bambino, alle somiglianze con sé o con il marito, al cambiamento nella relazione con il compagno, alla rappresentazione di sé come madre, del marito come padre, alla propria madre, ai desideri e alle paure per il bambino e per sé (16).
In gravidanza, le aree d’indagine si addensano sulle modalità con cui la donna ricostruisce la propria storia personale in relazione alle figure genitoriali, alla storia della gravidanza, alle aspettative relative al nascituro e alle previsioni circa il ruolo materno, mentre quelle nel post partum sono relative alla ricostruzione del periodo dopo la nascita, alla descrizione, all’allevamento del bambino, ai cambiamenti fisici, psichici e relazionali dovuti all’incontro col piccolo.
Parte dei lavori si focalizzano sulle rappresentazioni del bambino e di sé come genitore nella relazione con il bambino, secondo una serie di parametri, che identificano profili rappresentativi riconducibili a tre categorie generali di rappresentazioni.
Rappresentazioni bilanciate. Sono caratterizzate da interviste che rivelano coerenza, apertura al cambiamento e coinvolgimento della madre con il bambino. Il nascituro viene descritto in modo realistico, con eventuali difficoltà contestualizzate; nell’accettazione dei suoi bisogni di dipendenza ed autonomia; con il riconoscimento dei suoi affetti negativi e delle sue caratteristiche di personalità. La madre nella funzione genitoriale si descrive come: adeguata a svolgere tale ruolo, a far fronte alle richieste del figlio e disposta ad accettare gli affetti negativi verso di lui.
Rappresentazioni distaccate. Vi è uno scarso coinvolgimento della madre nella relazione con il bambino, caratterizzata da freddezza emotiva e rifiuto del piccolo, che viene descritto con molta difficoltà. La madre fatica a riconoscerlo come un essere dotato d’individualità e di bisogni di autonomia e dipendenza. Il comportamento materno, per quanto riguarda la funzione genitoriale, può essere forzato, distaccato e non autentico.
Rappresentazioni distorte. Vi è un marcato distacco dal bambino, poiché la madre è distratta, confusa, ansiosamente sopraffatta dal bambino e insensibile alle sue richieste. Nella descrizione presenta difficoltà a focalizzare le caratteristiche del bambino, evidenziate da immagini contraddittorie. Vi è un senso di delusione legata al bambino che non viene riconosciuto o addirittura frainteso nei suoi bisogni di dipendenza. Riguardo alla funzione genitoriale la madre sembra insicura e preoccupata rispetto al modo di porsi con il figlio e può effettuare un’inversione di ruolo richiedendo cure per sé, invece di dispensarne al bambino (17).
Accanto a questa classificazione alcuni autori propongono uno studio dell’organizzazione tematica delle rappresentazioni materne del bambino e di sé come madre. Il tema è l’espressione di come viene utilizzata e gestita, nella struttura psichica di una determinata gestante, la particolare funzione di essere mamma di un certo bambino. Lo stesso tema costituisce una rappresentazione sottesa ad ogni colloquio con una determinata donna ed è costituito da memorie ed aspettative latenti originarie del passato, che influenzano la relazione madre-bambino (18).
La classificazione dei temi è utile a livello diagnostico, poiché ogni singolo tema rimanda a specifiche modalità di funzionamento sia mentale che relazionale e va valutato rispetto al suo campo di gioco (sé, coppia, bambino, famiglia d’origine), all’intensità dell’investimento e alla sua collocazione temporale (passato o futuro). Sulla base dell’analisi narrativa dell’intervista, Fava Vizziello e Invernizzi, individuano la possibilità di assegnare quattro categorie di organizzazione tematica, i cui temi svolgono almeno tre funzioni.
Funzione di offrire uno schema di conoscenza della realtà sulla base del quale darle forma, struttura e ordine, anche attraverso difese che servono a negare alcune informazioni, specialmente se sono conflittuali.
Funzione pragmatica che attribuisce continuità di pensiero e di azione al soggetto e alla sua rete di relazioni.
Funzione ideologica, ossia una metacognizione che serve a costruire un destino.
Le quattro categorie di organizzazione tematica riscontrate nei colloqui con gestanti da Fava Vizziello e Invernizzi sono:
Organizzazione del desiderio, la cui valenza del tema è riparatore/compensatore. I temi che rientrano in questa categoria indicano la tendenza del genitore ad organizzare le rappresentazioni nel momento di crisi in modo da mantenere un senso di sé stabile. Generalmente questa organizzazione si ritrova in situazioni di equilibrio precario di famiglia o coppia (ragazze madri), di squilibrio interno (bambino vissuto come antidepressivo) o di colpe genitoriali (bambino come dono).
Organizzazione di difesa, la cui valenza del tema è di mantenere l’omeostasi. I temi di questa categoria esprimono una necessità intrapsichica di difesa contro ferite narcisistiche, che vengono preservate da temi con valenza omeostatica rispetto all’autostima (ad esempio, genitore esperto)
Organizzazione di paura, la cui valenza del tema è distruttore/ambivalente. I temi di questa categoria sono da ricondursi alla preoccupazione materna primaria (19) e raggruppano temi che generano, durante i nove mesi d’attesa: paura, tensione per la salute del bambino, fantasie di morte relative al parto, mentre nel post partum: preoccupazioni per lo sviluppo del bambino, il sonno, l’alimentazione, ecc… e per le proprie funzioni genitoriali.
Assenza di organizzazione. Questa categoria non ha una valenza specifica ed è posta in relazione a situazioni conflittuali, traumi o lutti non risolti. E’ un’organizzazione a rischio, poiché il genitore sembra non presentare uno spazio mentale, né per il bambino, né per sé in quanto genitore. Il bambino fantasmatico sembra inesistente e il genitore spesso esprime la necessità, quasi sempre implicita, di un aiuto psicologico (20).
I bambini, che vivono nelle rappresentazioni materne, devono essere visti in una prospettiva storica, poiché hanno una storia prenatale e, mano a mano che il feto cresce e si sviluppa nell’utero, sono soggetti ad un parallelo sviluppo nella mente materna, continuando ad evolversi per tutto il resto della vita della donna. La rete di schemi relativi al feto si sviluppa sotto l’influenza di fattori psichici, sociali e biologici in maniera discontinua e non coincide precisamente con lo sviluppo fetale. Daniel Stern definisce il processo di trasformazione e maturazione delle rappresentazioni della madre "morfogenesi del bambino rappresentato", la cui osservazione premette di evidenziare un importante arricchimento tra il quarto e il settimo mese di gestazione (21).
Una prima fase dello sviluppo delle rappresentazioni materne del bambino si verifica intorno al quarto mese di gravidanza, quando aumentano improvvisamente in ricchezza, quantità e specificità, poiché l’ecografia permette di vedere un’immagine del proprio bambino e i movimenti fetali rendono più reale la presenza del nascituro. Le trasformazioni rappresentazionali non hanno uno sviluppo crescente continuo fino alla nascita, ma raggiungono il loro culmine maturativo intorno al settimo mese di gravidanza (22).
Fra il settimo e il nono mese di gestazione le rappresentazioni presentano una sorta d’annullamento e diventano meno chiare e specifiche, testimoniando il tentativo della madre di proteggere sé e il feto da una possibile discordanza tra il bambino reale e quello rappresentato (23). In questo periodo è come se le madri si distaccassero dalle proprie rappresentazioni positive, in modo da prevenire eventuali delusioni, a favore di quelle negative, come la paura che il piccolo nasca malformato o morto (24).
Si assiste, in gravidanza, ad una prevalenza di temi a organizzazione di paura, sia per il bambino sia per sé come madre, che si disgrega immediatamente dopo il parto (quarto giorno post partum), mentre si ricostituisce solo relativamente al bambino dal quarto mese di vita (25).
La gravidanza, secondo Stern, si inserisce nella coppia come un terzo (il bambino) che disorganizza ed è sempre presente realmente o a livello fantasmatico (26). La gestazione impone alla madre un processo di riorganizzazione della rappresentazione del partner e della relazione di coppia, che Lebovici ha chiamato "triadificazione" e che ha lo scopo di costruire un’unità famigliare, che comprenda anche il figlio (27).
Parallelamente alla trasformazione delle rappresentazioni del bambino, anche quelle del partner hanno un andamento crescente fino al settimo mese di gravidanza, infatti, la madre si rappresenta il bambino più simile al padre che a se stessa. Le rappresentazioni del compagno, dunque, diventano più positive di quelle riferite a sé, per subire un’inversione dopo il parto (28).
Durante i primi tre mesi di vita del neonato, il mondo delle rappresentazioni materne subisce una sorta di negativizzazione che interessa le figure significative (rappresentazione del marito, della propria madre, ecc..), mentre il figlio è percepito come più somigliante a lei rispetto agli altri e "… diviene il centro della sua sfera positiva di influenza" (29).
La nascita comporta nella donna un processo evolutivo, che porta all’abbandono dell’immagine del bambino costruita durante i nove mesi, in favore del bambino reale, non percepito come estraneo, poiché caricato del progetto materno (30). Dopo tutto la nascita è il luogo d’incontro tra il bambino che la madre tiene tra le braccia e quello della sua mente (31).
Fava Vizziello e Antonioli parlano della relazione tra rappresentazioni come di un rapporto tra oggetti interni, caratterizzato da complementarietà tra rappresentazioni di sé in quanto donna e del marito in quanto uomo, al fine di costruire quella del bambino. La relazione tra la rappresentazione della propria madre e quella relativa a se stessa come donna, serve a creare quella di sé come madre (32).
Il movimento delle rappresentazioni, nel post partum, dunque, è funzionale a creare uno spazio per sé come madre e per il bambino, attraverso un’ulteriore separazione dalla propria madre. Si assiste ad un duplice movimento: il marito, in quanto uomo, perde importanza a causa dell’investimento della donna sul bambino e viene effettuata una separazione dalla propria madre, per assumere su di sé il ruolo materno (33).
Il cambiamento delle rappresentazioni di sé come madre e del bambino sembra essere l’espressione di un passaggio necessario dalla relazione fantasmatica col figlio a quella reale (34). Per cui la modificazione del mondo rappresentazionale si pone all’interno dello sviluppo normale della madre relativamente a diversi momenti della gravidanza e della storia relazionale con il feto prima e il neonato poi (35).
All’opposto la difficoltà ad organizzare e a modellare nel tempo le rappresentazioni di sé come madre e del bambino sono indice di problematicità, confermata dal confronto di ricerche condotte fra campioni di donne appartenenti alla popolazione generale (36) e campioni di donne con problemi psichiatrici o di dipendenza da sostanze stupefacenti effettuata da Mazzoni. A tal proposito è interessante una ricerca, condotta da Fava Vizziello, Babando e Simonelli nel 1997, su un campione di gestanti, che vivevano presso servizi sociali o comunità, in seguito al rifiuto della famiglia d’origine di aiutarle.
Questo studio ha rivelato rigidità delle rappresentazioni, a testimonianza della resistenza al cambiamento, nonostante il verificarsi di eventi importanti come ad esempio la nascita del bambino. Le rappresentazioni si sono mantenute simili sia durante la gravidanza che nel post partum e sono caratterizzate dall’idealizzazione, per cui il bambino sembra appagare i desideri e i bisogni di completezza della madre.
La descrizione di sé come donna e come madre mostra due differenti rappresentazioni: Mazzoni ha riscontrato che queste ragazze si percepiscono (come donna) in modo negativo, mostrando una scarsa stima di sé, mentre hanno una rappresentazione idealizzata di sé come madre, legata al desiderio di realizzare, attraverso la maternità, un senso di sé gratificante, che rimanga costante nel tempo. La fissità delle rappresentazioni è anche costituita dall’immagine di sé come madre in totale opposizione rispetto alla propria madre (37).
Vi è inoltre una forte presenza di sentimenti ambivalenti e conflitti irrisolti, che emergono dai racconti di queste donne, tale da poter ipotizzare una difficoltà in quei processi d’identificazione e di separazione-individauzione che servono a costruirsi l’identità materna.
L’organizzazione tematica, di queste future mamme, è relativa al desiderio, i cui temi principali sono quelli a valenza compensatoria, che trovano conferma nel vissuto di queste madri, le quali tendono ad investire il figlio di un progetto di riscatto a causa del loro travagliato passato (38).
7.2 Gravidanza e cambiamento della rappresentazione del corpo.
Denise Jodelet ha portato avanti uno studio diacronico, conducendo due gruppi di interviste ad un intervallo di 15 anni una dall’altra, per individuare come le rappresentazioni del corpo si sono modificate sulla base dei cambiamenti culturali.
In questo studio confronta la percezione che le donne hanno del proprio corpo rispetto all’atteggiamento maschile. Approfondisce e mette in evidenza i cambiamenti prodotti, nella concezione della gravidanza e del parto, dall’evoluzione politica, dalle pratiche mediche, dalle conoscenze e dalla mentalità corrente.
Prima di addentrarsi più in particolare nella ricerca di Jodelet, bisogna tenere presente il significato di rappresentazione sociale, che l’autrice riprende dalla teoria di Serge Moscovici.
Secondo Moscovici alla base di qualsiasi ambiente sociale vi sono le rappresentazioni che rivestono due ruoli fondamentali:
Convenzionalizzano, cioè forniscono ad oggetti, persone ed eventi una forma precisa e li inseriscono in una categoria condivisa da un gruppo di persone.
Le rappresentazioni ci indicano "cosa sta per che cosa: ... un colore indica un movimento o una temperatura, un dato sintomo deriva o meno da una determinata malattia".
Ciascuna esperienza va ad aggiungersi ad una realtà definita precedentemente dalle rappresentazioni e "nessuna mente è libera dagli effetti del condizionamento precedente che viene imposto attraverso le rappresentazioni, il linguaggio e la cultura che le sono proprie. Noi pensiamo per mezzo di una lingua; ... e vediamo solo quello che le convenzioni sottostanti ci permettono di vedere, senza essere consapevoli di tali convenzioni" (39).
Prescrivono, cioè si impongono a noi con una forza cui non possiamo resistere e sono presenti perfino prima che l’individuo cominci a pensare. Un bambino, infatti, nella società occidentale incontra la psicoanalisi alla nascita e perfino durante la gravidanza materna, nel pensiero e nei gesti della madre e del medico.
La psicoanalisi può essere vista come una rappresentazione sociale che proporrà risposte preconfezionate ad ogni domanda del bambino, gli offrirà un’interpretazione per ogni azione compiuta o non compiuta riportandola ai suoi desideri sessuali. L’individuo ritroverà concetti psicoanalitici nelle conversazioni con i compagni di scuola, nei giornali che leggerà, nei discorsi politici e nei film che vedrà.
Il modo di pensare dell’individuo e il suo comportamento, secondo Moscovici, dipendono dalle rappresentazioni sociali, che "ci sono imposte, trasmesse, e sono il prodotto di un’intera sequenza di elaborazioni e cambiamenti che occorrono nel corso del tempo" (40).
Gli stessi sistemi di classificazione derivano da immagini precedenti e da una stratificazione nella memoria collettiva e riflettono una la conoscenza passata.
Le rappresentazioni sono "entità sociali dotate di vita propria, che comunicano tra di loro" (41), si oppongono l’una all’altra, si modificano nel corso del tempo, svaniscono e ne riappaiono di nuove.
Sono considerate come un modo per comunicare e comprendere ciò che ci circonda, esse hanno due: aspetti uno iconico corrispondente ad un’immagine e uno simbolico corrispondente al significato. Per esemplificare, Moscovici evidenzia come l’idea di nevrotico sia associata alla psicoanalisi, a Freud e rimanda quindi ad un concetto, mentre contemporaneamente ricorda un individuo patologico che evoca una fisionomia definita e un’immagine.
La funzione fondamentale svolta dalle rappresentazioni è di rendere qualcosa di inconsueto, d’ignoto, di non famigliare, famigliare. L’uomo si aspetta che eventi, oggetti ed individui siano prevedibili e comprensibili grazie a paradigmi precedenti.
Il cambiamento è accettato solo per evitare la stasi totale e che la conversazione si spenga sotto il peso della ripetizione. Il non famigliare affascina, ma contemporaneamente allarma. Costringe, infatti, ad esplicitare le convenzioni: "l’handicappato mentale, o le persone che appartengono ad altre culture, sono disturbanti, perché essi sono come noi eppure non sono come noi. ...La paura di ciò che è estraneo e degli stranieri è profondamente radicata" (42). Essa si può già osservare nei bambini di nove mesi (43).
Le rappresentazioni sociali sono "storiche", poiché "influenzano lo sviluppo dell’uomo fin dall’infanzia, dal giorno in cui la madre con tutte le sue immagini e i suoi concetti, comincia a preoccuparsi per il bambino" (44).
L’idea che la madre si fa del proprio bambino, il significato che darà al suo pianto o al suo comportamento, derivano dalle rappresentazioni site nell’immaginario femminile, influenzate dai programmi alla tv, dalle conversazioni con il padre, con le altre madri, con i medici ed infine dalle esperienze personali.
Tornando alla studio di Denise Jodelet, va evidenziato come questa ricerca rappresenti una delle maggiori in merito alle rappresentazioni sociali del corpo e alle sue trasformazioni, nel corso dell’ultimo decennio.
Il corpo è un problema che ogni donna, che desidera un figlio, deve affrontare a causa delle modificazioni bio-fisiologiche e sociali implicate, che portano ad alterare l’identità e lo schema corporeo. Il corpo è coinvolto nel movimento delle idee e delle mode; è sotto l’influenza delle istituzioni come quella medica, sessuale, sportiva; è il centro d’interesse per i movimenti innovatori di liberazione sessuale ed ecologici.
La ricerca si propone due scopi: "Da una parte identificare le categorie mentali, i modelli cognitivi e normativi che controllano l’esperienza vissuta, la conoscenza e gli usi del corpo; dall’altra, cogliere i cambiamenti nei sistemi di rappresentazioni in gruppi sociali diversi e in rapporto allo stato di condizioni sociali, culturali ed economiche francesi" (45).
I cambiamenti della rappresentazione sociale del corpo sono valutati tramite un’intervista avvenuta su due gruppi di soggetti a distanza di 15 anni.
Denise Jodelet ha messo in evidenza come, oggi, si parli in modo più aperto del corpo e il linguaggio dei mass media risulta libero da restrizioni, connotazioni morali, ipocrisia e tabù. Per quanto riguarda temi inerenti la sessualità si è notato come nel secondo gruppo, intervistato quindici anni più tardi rispetto al primo, i soggetti discutano del proprio corpo con i genitori e dichiarino di volerlo fare, anche con i propri bambini. Oltre a ciò i soggetti affermano di non vergognarsi di mostrare ai figli il proprio corpo nudo.
Interessante è anche il cambiamento nell’opposizione tra corpo maschile e corpo femminile: le donne, sia del primo che del secondo campione, presentano una relazione più aperta con il proprio vissuto corporeo.
L’autrice con il termine "vissuto corporeo" intende riferirsi alle informazioni sul nostro corpo derivanti dall’esperienza diretta: "messaggi sensoriali od organici, storia somatica e pratiche quotidiane" (46). Impariamo a conoscere il corpo camminando, prendendo il sole, provando dolore, piacere o altre sensazioni ed emozioni. Questo dominio include esperienze reali ed immaginarie, fisiche e psicologiche, attuali e passate.
La posizione degli uomini relativa al vissuto corporeo è cambiata recentemente e si è sempre più avvicinata a quella femminile. Gli uomini infatti danno minor spazio all’astrazione nel descrivere il corpo e sempre maggiore al proprio vissuto emotivo, dimostrando di essere maggiormente liberi nel rapporto con il fisico.
E’ stata introdotta anche una prova di associazione verbale, con la parola corpo, proposta solo al secondo gruppo, da cui è emersa una distinzione tra corpo oggetto percepito dalle donne e corpo macchina percepito dagli uomini. Questi ultimi nei contenuti semantici delle loro associazioni si riferiscono al corpo come un "complesso funzionale" o ad un agglomerato di materiali (massa cellulare).
Il campione maschile fa trasparire una certa preoccupazione riguardo alle sue potenzialità, descrivendolo come fragile ed effimero. Al contrario le donne presentano una "tonalità euforica" nelle loro associazioni con le parole vita, forza, procreazione, energia, ecc...
I contenuti semantici delle "associazioni femminili rivelano un corpo smembrato in pezzi, dove gli elementi anatomici sono giustapposti" (47) e non si riferiscono a parti interne, ma ad elementi del corpo che hanno sia un rapporto con l’esterno nel contatto o nel modo di presentarsi (mani, occhi, viso, ecc..), sia una connotazione erotica (seno, bocca, carne). Sempre a questo riguardo gli uomini evidenziano, invece, gli organi interni e trasformazioni organiche inquietanti: morte, incidenti e sofferenze.
I risultati dell’associazione verbale mostrano gli effetti indiretti e inconsci del cambiamento culturale sulla struttura del discorso relativa alla parola corpo e anche sulla dinamica del cambiamento delle rappresentazioni.
Il movimento di liberazione della donna ha modificato indirettamente il modo di percepire il proprio corpo, nel primo campione erano dominanti la malattia e il dolore, oggi è diventato luogo di "stati e sensazioni piacevoli" e di "apertura nei confronti dell’esterno" (48).
L’importanza per la donna della funzione riprocreativa emerge in vari punti dell’intervista. Il modello maschile corrisponde a quello di corpo-macchina, le cui limitazioni sono di carattere funzionale, legate a rendimento ed efficienza, quello femminile sottolinea la pienezza, la fecondità e la forza che non può trovare limiti dentro se stesso, ma solo esternamente.
Quando i soggetti vengono invitati a dire cosa temono maggiormente, l’angoscia maschile è legata all’attivismo efficiente, quella femminile alla conservazione di potenzialità vitale. Le donne nel tentativo di liberasi dell’immagine del corpo oggetto, socialmente istituita, lo percepiscono in termini di azione e potenza. Diminuiscono l’utilizzo di informazioni sensoriali (tattili, epidermiche) ed abbandonano l’apparenza fisica legata all’aspetto, all’estetica e all’abbigliamento per non rischiare di mostrarsi come oggetti.
Gli uomini rivelano un mutamento di atteggiamento in senso opposto, aumentando le informazioni sensoriali, aggiungendo oltre a quelle tattili ed epidermiche, quelle olfattive, gustative e acustiche. Nei maschi cresce, inoltre, l’interesse per le cure estetiche e per l’aspetto fisico a discapito dei trattamenti medici.
In seguito all’evoluzione delle conoscenze, della mentalità e delle pratiche mediche si è arrivati anche ad una modificazione della concezione della gravidanza e del parto.
L’indagine diacronica, infatti, si è svolta a cavallo fra due cambiamenti chiave nella storia della sessualità femminile: durante il primo studio fu introdotto il parto indolore, mentre durante il secondo si verificò la campagna per l’interruzione volontaria della gravidanza.
Il primo campione di donne viveva la gravidanza come una fondamentale funzione biologica, ma contemporaneamente era qualcosa di cui vergognarsi, perché portava il segno della sessualità e sformava il corpo. Nessuno parlò del parto, ma tutti i soggetti (compresi gli uomini) hanno parlato del parto indolore come conquista scientifica, che permette alla donna di liberarsi dalla "maledizione" religiosa di partorire nel dolore.
Nel secondo campione la prospettiva appare ribaltata, infatti, si parla di parto come "atto rivelatore in cui si esprime un potere specifico" (49) e di aborto quale possibile scelta della donna.
La gravidanza viene vissuta dai soggetti come una condizione felice e desiderabile, connessa ad una sessualità libera che può finalmente essere mostrata.
Il parto e la gravidanza acquistano il ruolo di un potere propriamente femminile, spogliato da ogni senso di colpa, in cui il dolore non va né accettato né evitato, ma attenuato rivendicando l’utilizzo di mezzi esterni grazie allo scemare della moralità cristiana.
In ultima analisi si può affermare che questo studio riveli come il cambiamento di valori e conoscenze diffuse nelle diverse culture, abbia modificato e modifichi l’immagine del parto e della gravidanza sul piano esperienziale e cognitivo.
7.3 Variazioni nell’immagine del feto in seguito all’esame ecografico.
Nell’ultimo trentennio la ricerca ginecologica, ostetrica e relativa alla gravidanza hanno un’impronta multifocale, che prende in considerazione non solo gli aspetti biologici, ma anche quelli psicologici relativi alla maternità. La medicina prenatale (50) si arricchisce delle informazioni ottenute dalle donne, che partecipano ai corsi di psicoprofilassi ostetrica (51).
Si è avuto un progresso importantissimo nello studio della relazione materno-fetale con l’introduzione dell’ecografia ostetrica.
Prima di questo esame la donna non si rappresenta il bambino con caratteristiche reali o ben definite, infatti, Soulé parla di blanc d’enfant (vuoto di bambino), poiché viene percepito come un roseo sogno (52). La madre generalmente costruisce su di lui una serie di fantasie con le quali s’identifica, mentre dopo l’ecografia queste vengono a confrontarsi con l’immagine ecografica, che si presenta sotto due forme: quella visiva, che coincide con l’immagine sullo schermo, con caratteristiche fisiche ben definite e quella verbale e simbolica, data dalle parole dell’ecografista che la descrive.
Nel periodo gravidico il figlio assume connotazioni fantastiche ed immaginarie a cui la madre si può affezionare, creando un modello del bambino irreale, che al momento della nascita può far percepire quello reale come un estraneo. Secondo Francesca Morino Abbele la donna deve necessariamente vivere e percepire il piccolo come reale, per avviare un processo di scissione tra sé e il figlio, che le permetta di creare una comunicazione adeguata alla separazione necessaria al momento della nascita (53).
La donna, attraverso le trasformazioni corporee che si attuano durante il periodo dell’attesa, comincia a comunicare con il feto. La relazione prossemica (54) che si instaura tra madre e figlio, durante la gravidanza, ha delle particolarità che non si verificano in altre circostanze della vita, poiché è duplice: verso l’esterno, in cui prevalgono le influenze culturali e verso l’interno, caratterizzata da emozioni, sentimenti, mondo immaginario, fantasie e desideri (55).
Vegetti Finzi sottolinea come la gestazione comporti un dialogo silenzioso all’interno del corpo materno (56), che crea una sorta di dialogo simbiotico.
Secondo Galimberti, invece, non si può parlare di comunicazione vera e propria, poiché questa implica la percezione della distanza fra i due partecipanti all’interazione e la volontà consapevole di mantenere stabilmente questa separazione per non cadere nell’identificazione (57). Durante i nove mesi d’attesa non sussiste percezione di differenza all’interno della diade madre-feto e la futura mamma, soprattutto prima dell’ecografia, percepisce il figlio a livello immaginario e "la fantasia di una psiche a due può determinare un fenomeno di simbiosi non consapevole" (58).
Dopo l’ecografia la donna sviluppa un rapporto con il feto che si trova a metà tra fantasia e realtà. Il bambino reale è quello che sta crescendo nel ventre materno e all’inizio la sua presenza è impercettibile, giustificata solo dalla mancanza della mestruazione e dalle nausee, poi se ne avvertono i movimenti fetali e lo si può visualizzare sullo schermo ecografico. Il bambino immaginario è quello desiderato, fantasticato, atteso, immaginato con precise caratteristiche fisiche, a cui inconsciamente è già stato dato un ruolo. "La donna, quindi, fin dal primo annunzio di gravidanza, si trova ad affrontare, più o meno consapevolmente un processo di adeguamento dei fantasmi alla realtà: dal bambino immaginario a quello reale" (59).
L’introduzione dell’ecografia e delle tecniche sempre più sofisticate nell’ostetricia, non può non interferire sugli eventi psicologici della gravidanza, sulla percezione del nascituro e sul benessere psichico sperimentato dalla gestante. E’ stato riscontrato da uno studio di Benvenuti, Ciatti ed altri che l’ecografia è un evento estremamente significativo per entrambi i partner della coppia, che lo vivono come un momento carico di aspettative ed emozioni (60).
Sottoponendosi all’esame ecografico (il primo è intorno al terzo mese di gravidanza) possono emergere, dall’incontro dell’immaginario con la realtà, diverse reazioni nella gestante dipendenti da:
fattori obiettivi, come ad esempio lo stato più o meno avanzato della gravidanza, la qualità più o meno buona dell’immagine e le informazioni ricevute dall’ecografista;
fattori di ordine personale come la struttura della personalità della donna, la sua disposizione psicologica verso la maternità, le rappresentazioni fantasmatiche circa il nascituro;
fattori inerenti la relazione instaurata con l’ecografista, sia nei suoi aspetti reali che in quelli simbolici.
Se l’ecografista, infatti, è molto preso dalla routine del lavoro o poco disponibile, le donne vivono delusione e rabbia.
Secondo Benvenuti, Ciatti e altri, quest’ultima è un’esperienza simile a quella definita da Courvoisier il fantasma di rapimento, che si verifica quando l’ecografista riserva per sé le immagini fetali: è come se penetrasse, attraverso lo sguardo, nel ventre materno e ne rubasse il contenuto. Certi fantasmi d’intrusione possono essere generati da atteggiamenti negativi di ecografisti, che vanno a colludere con la tendenza della gestante all’angoscia, amplificandola. "Vedere tramite l’ecografo l’interno del ventre ed in tal modo smascherare il mistero della gravidanza può suscitare infatti angoscia in alcune gestanti (quasi si trattasse di una sorta di profanazione)" (61).
L’ecografista viene spesso investito del ruolo genitoriale ed è per questo che, se ha un comportamento accogliente, soffermandosi sulle immagini che appaiono sullo schermo, spiegandole e rispondendo alle eventuali domande, può liberare la gestante da sensi di colpa, autorizzandola ed incoraggiandola a comprendere l’immagine.
Prima di tutto occorre dire che l’esame ecografico permette la constatazione della presenza, normalità e vitalità del bambino, che può costituire per la donna un’importante rassicurazione, mentre a livello di coppia può favorire la comunicazione precoce con il nascituro e il riconoscimento di una sua soggettività già prima della nascita. Soprattutto se le immagini sono ben visibili e spiegate chiaramente con poche parole, le reazioni delle gestanti sono di commozione, sorpresa, stupore, rassicurazione e conferma. Benvenuti, Ciatti e altri, riportando in un interessante studio, le affermazioni delle gestanti da loro intervistate dopo l’ecografia, evidenziano come l’esame dia la certezza che il bambino c’è, è vivo ed è dentro il ventre materno .
E’ frequente che alcune future mamme, con elevate aspettative, rimangano insoddisfatte per la brevità dell’esame e la qualità dell’immagine, non sempre buona, in più molte donne rifiutano di pensare al proprio bambino in termini di sviluppo fetale, non amano sfogliare riviste con immagini di feti e di fronte all’immagine sullo schermo non vi riconoscono il loro bambino, poiché essa rappresenta una ferita narcisistica rispetto al bambino immaginario (62).
Alcune donne, che hanno fantasie ricche e articolare riferite al proprio bimbo, possono vivere l’ecografia come semplici immagini fredde, intrusive e poco emozionanti, poiché ciò che vedono ha caratteristiche inferiori a ciò che sentono. La sostituzione del registro sensoriale operata dall’ecografia, passando da una percezione viscerale profonda ad una visiva, può generare turbamento a causa di una troppo precoce oggettivazione del feto. Può secondo Soulé interrompere improvvisamente la maturazione delle fantasie e dell’immaginario, causando "un’interruzione volontaria di fantasma" o un "aborto di fantasma".
Il punto di vista di altri autori è diverso, perché Courvoisier lo ritiene "un corto circuito momentaneo", che lascia, comunque, spazio ad una riorganizzazione delle fantasie sul bambino. Al massimo, secondo l’autore, si possono generare angosce di frammentazione dopo la ventesima settimane dal momento che il feto non compare più tutto insieme sul video (63).
Nel caso in cui la madre viva il figlio come un oggetto parziale o abbia problemi nel figurarselo, l’ecografia ha effetti positivi, poiché può dare l’idea di un bambino unitario, può permettere l’attivazione di fantasie prima assenti e tranquillizza sulle angosce di possibili malformazioni. "Anche le immagini e le fantasie sul bambino, così come i sogni, sembrano a questo punto modificarsi, acquistando carattere d’interattività e relazione" (64).
Alcune donne pensano al loro bambino avendo costantemente presente l’immagine ecografica e riguardando spesso la foto scattata dall'ecografista, per immaginare il bambino che nascerà. Vi è poi una tendenza crescente a richiedere la registrazione dell’esame tramite videocassetta, da rivedere a casa come fosse un programma televisivo. Questo atteggiamento viene interpretato da vari autori, non come necessità di rassicurazione, ma piuttosto come una difficoltà a tollerare il proprio mondo e i fantasmi interni, che vanno, quindi, esorcizzati ed arginati (65).
Le madri, in una ricerca di Laura Galardi (66), dichiarano, prima dell’ecografia, di immaginare il loro bambino come un bambino standard, indifferenziato rispetto agli altri, mentre, dopo l’esame ecografico, il bambino nelle fantasie e nei sogni della madre appare come già nato, mentre gioca con la madre o viene allattato e coccolato. Solitamente non viene identificato dai lineamenti, ma dagli occhi immaginati come aperti e vispi (67).
L’esame ecografico viene vissuto positivamente dalla maggior parte delle gestanti in quanto fornisce una rassicurazione sul corretto procedere della gravidanza e sull’acquisizione da parte del feto di un carattere più concreto "pur non eliminando il bambino immaginario, che risulta quasi del tutto sovrapponibile al bambino sullo schermo" (68). L’ecografia presenta un’immagine troppo indefinita, irreale, con pochi particolari e vaga per sconvolge la dinamica del bambino immaginario, perciò vedere il feto sullo schermo non interferisce su pensieri, fantasie ed immaginazioni (69).
I padri riescono a fantasticare sul bambino con più difficoltà rispetto alle madri e quindi per gli uomini l’ecografia, che accettano in maniera critica e visualizzandola meglio, assume un valore importantissimo (70). Quest’ultima evidenzia i movimenti fetali, il battito cardiaco e permette al padre di comprendere l’anatomia del feto. Sono sconvolti ed emozionati, poiché si trovano di fronte ad una fantasia che non sarebbero stati in grado di creare da soli e rafforzano, secondo Pennisi e Pola, il loro senso di paternità, per il fatto che i medici durante l’esame, tendono a rivolgersi a loro (71).
L’ecografia appiana le differenze tra madre e padre, in quanto per quest’ultimo percepire il feto attraverso l’addome materno e vederlo nello schermo, significa immaginare precocemente il bambino, condividendo il bambino immaginario con la compagna (72).
Giovanna Bestetti ed altri autori criticano la cultura corrente che tende a medicalizzare la gravidanza e a considerarla un evento potenzialmente a rischio per ogni donna. I media convincono le donne che solo facendo numerosi esami, controlli e attenendosi a consigli medici potranno avere un bambino perfetto. Così alcune donne si sottopongono a tante ecografie, poiché non riescono ad immaginare e ad entrare in relazione con il proprio bambino senza qualche apparecchiatura (73). Secondo Soulé uomini o donne, che si trovino di fronte alla schermo ecografico, provano in realtà una sensazione d’estraneità, vissuti e sensazioni fantasmatiche simili a quelle che si provano davanti alle macchie di Rorschach (74).
L’immagine ecografica è in ogni caso uno dei momenti fondamentali nel formasi della genitorialità. Ciò che durante questo esame viene notato e suscita sospiri di sollievo è l’immagine della testa del feto e dei suoi movimenti, anche se l’ansia precede e accompagna questo evento. La perplessità dei genitori è data dalla resistenza nel dire che si tratta di un essere vivente, in quanto la ripetizione che è alla base della pulsione di morte è tipica dei movimenti degli arti e della bocca del feto. I genitori non comprendono la motivazione di tali movimenti, che danno l’idea di una ripetizione compulsiva prodotta da un automa. Ci sono, invece, delle immagini dello schermo che sono gradite in quanto "segno d’umanizzazione del feto: ad esempio, il profilo della testa – malgrado i movimenti automatici della bocca – porta le caratteristiche del neonato che sarà" (75). Al contrario appaiono molto inquietanti i movimenti del muscolo cardiaco fetale, che quando l’embrione è molto piccolo non vengono visti, ma solo uditi attraverso i battiti. Questi ultimi generano gioia ed eccitazione, mentre, più tardi, quando il cuore è già formato generano spavento, forse legato all’idea che il feto che sta nella pancia della madre è vivo.
L’ecografia può essere vista come un esame di realtà, che permette una riduzione dell’idealizzazione e della produzione fantasmatica, che la donna ha portato avanti sin qui. In più concorre al processo di trasformazione e maturazione delle rappresentazioni materne riguardo al feto (76).
A proposito della funzione dell’ecografia e del ruolo dell’ecografista è interessante riportare una ricerca condotta da Pier Luigi Righetti, Graziella Fava Vizziello e Francesca Maria Cristiani, che conferma quanto detto finora. I ricercatoti hanno ipotizzato che l’ecografia produca una riorganizzazione dell’immaginario materno, vincolata in qualche modo al bambino immaginario; essa viene interpretata e percepita in linea con le attese e le fantasie che avevano preceduto l’incontro con il feto attraverso il monitor (77). Furono svolte due interviste su un campione costituito da 30 primipare al terzo mese circa di gestazione: la prima ha preceduto di un’ora l’ecografia, la seconda fu fatta quindici giorni dopo (78).
Da una valutazione generale della prima intervista emerge come alcune madri non descrivono le caratteristiche del feto, mentre altre riportino, invece, dettagli raffinati in molti aspetti. Tutte però immaginano e sperano di avere un figlio sano e in alcuni casi esprimono preferenze relative al sesso (79).
In uno studio di Benvenuti, Ciatti ed altri è emerso come di fronte alla possibilità data dall’ecografia di conoscere il sesso del figlio prima della nascita si generino tre reazioni diverse nelle future mamme:
Alcune rifiutano categoricamente di conoscere se il feto sia maschio o femmina, perché questa informazione farebbe svanire il bambino immaginario, senza comunque rimpiazzarlo con quello reale.
C’è chi è incuriosito dalla possibilità di sapere il sesso, ma immancabilmente dimentica di chiederlo o mette in dubbio l’informazione ricevuta, per lasciare ancora uno spazio alla fantasia.
Altre donne desiderano conoscere il sesso del figlio, poiché ciò contribuisce a dare una fisionomia del bambino che non riescono ad immaginare (80).
Il dialogo immaginario con il bambino, prima dell’ecografia, deve ancora realizzarsi, infatti, solo poche donne raccontano al bambino dove si trovano e ciò che fanno, mentre la comunicazione attraverso il dialogo diviene più consistente dopo il terzo mese, quando le risposte del feto si fanno più consistenti. L’interazione madre-feto è sentita più sul piano emotivo, che non su aspetti fisici. Molte informazioni sono reperite a livello sociale, attraverso l’incontro con altre madri o attraverso libri o riviste del settore. Le preoccupazioni e i desideri relativi alla salute del feto sono riferite al presente e all’ecografia e "nei discorsi delle madri è frequente l’immagine <<basta che sia sano e normale>>" (81)
La seconda intervista, svolta dopo l’esame ecografico, mette in evidenza come per le future mamme sia un ottimo strumento per vedere se il feto è sano e ben formato e soprattutto ha valenze emotivo-relazionali permettendo "… di aprire una finestra sul feto e di inserire la coppia nell’ottica di un nuovo sistema di familiare" (82).
Un ruolo importante è ricoperto anche dal medico che è una sorta di "narratore" che permette di capire come sta il bambino e che cosa sta succedendo sullo schermo. L’ecografista si deve alleare all’Io cosciente della madre per permetterle di affrontare il momento critico dell’incontro con il bambino. E’ in questo preciso momento che all’interno della segreta relazione madre-feto s’inserisce il futuro padre e si inizia a costruire un nuovo nucleo famigliare, passando da una relazione diadica ad una triadica (madre-padre-figlio).
Per alcune madri il bambino che si vede nello schermo ecografico non ha fatto nulla di particolare, mentre altre vi associano significati emotivi e comunicativi pensando che: salta di gioia, sgambetta o saluta. Altre madri iniziano il dialogo immaginario con il proprio bambino grazie all’immagine ecografica. E’ interessante e significativo notare come le madri non parlino mai di feto, ma sempre di bambino, poiché questo temine contiene connotazioni affettive, psicologiche e relazionali.
Nella ricerca emerge che il profilo del bambino immaginario (prima dell’ecografia) ha un valore più alto di tutte le altre scale e viene descritto come sano, forte, affettuoso, intelligente, bello, allegro, non invadente, vivace ed indipendente.
Il bambino figurato (dopo l’ecografia) è simile nella descrizione al bambino fantasmatico con un lieve decremento nei valori degli aggettivi, mantenendo inalterati i valori di bello, sano, affettuoso. Nel confronto con il bambino immaginario quello figurato risulta meno indipendente, meno calmo e più invadente.
Confrontando le emozioni e l’autostima, che le donne presentano prima e dopo l’ecografia, vi è una forte dicotomia fra due gruppi d’emozioni che rimangono invariate in entrambe le interviste. Pensando al bambino, infatti, le madri provano gioia, curiosità e orgoglio, ma non provano tristezza, rabbia, senso di colpa, vergogna e disgusto. L’autostima risulta buona e non varia prima e dopo l’ecografia. La paura, invece, prima dell’ecografia è elevata, mentre dopo si abbassa significativamente. Si nota che l’equilibrio tra emozioni positive e negative nei confronti del bambino migliora dopo l’ecografia ed ha la tendenza a spostarsi vero il polo positivo (83)
Concludendo, secondo Graziella Fava Vizziello, Pier Luigi Righetti e Francesca Maria Cristiani, l’ecografia ostetrica s’inserisce in modo positivo nell’esperienza dell’attesa, sia come strumento valido dal punto di vista diagnostico e preventivo, che per quanto riguarda il vissuto psicologico e relazionale durante la gravidanza. Influisce positivamente sulla percezione che la futura mamma ha di sé, sia come donna, che come madre. L’ecografia è un dato reale, che permette alla donna di avvicinarsi alla gravidanza e di percepirla come una situazione reale e concreta.
Il bambino figurato, rispetto a quello immaginario, acquisisce davanti al monitor una collocazione più reale, forte e positiva nel vissuto della donna. L’immagine sullo schermo rafforza e dà consistenza all’immaginario materno, che all’inizio della gravidanza è affollato da fantasie idealizzate relative al bambino. Ora il bambino figurato appaga e conferma molte delle sue aspettative. La gestante descrive sia il bambino immaginato che quello figurato utilizzando il termine "eccitato", impressione data dai movimenti fetali. Questi ultimi, secondo gli autori, sono un indice con valore relazionale, grazie anche al fatto che l’ecografia permette di dare un significato più forte ai movimenti fetali, rendendo ancora più realistiche le percezioni provate dalla donna.
Gli autori da questa ricerca ottengono la conferma del fatto che l’ecografia è una sorta di "corto circuito momentaneo" riprendendo le parole di Courvoisier "… attorno ad alcuni aspetti del bambino-feto che lascia spazio ad una riorganizzazione della fantasmatizzazione sul bambino" (84). Il bambino figurato a partire dall’ecografia è al centro del processo di rielaborazione dell’immaginario materno e grazie all’immagine sullo schermo trasmette una relativa autonomia, che rende l’ecografia un momento cruciale della gravidanza e della maternità.
"In questo senso la <<prima filii imago>> è parallelamente, e forse con maggior forza, la <<prima matris imago>>, in una prova, nella fantasia, dell’interazione con un bambino più vicino perché percepito anche attraverso un diverso canale sensoriale, e più triadico perché condivisibile con il padre nell’esperienza sensoriale" (85).
7.4 Sentimenti ostili e conflittuali verso il nascituro.
L’interazione biologica madre-feto non è da sottovalutare per comprendere le fantasie, i sogni e i sentimenti della futura madre, poiché come sostiene la psicosomatica soma e psiche sono due sistemi interagenti l’uno con l’altro e per questo inseparabili.
L’interazione biologica che s’instaura tra il corpo della madre e quello del feto (86) durante i nove mesi dell’attesa costituisce, secondo Soulè, "un’eccezione paradossale alla regola del rigetto, che vige invece nei trapianti di organi" (87). L’embrione umano, essendo costituito da metà genoma materno e metà paterno, viene percepito dal corpo materno come un innesto da rigettare con ogni mezzo.
L’organismo materno secerne anticorpi anti-embrione, mentre l’embrione secerne, attraverso il trofoblasto (88), l’ormone gonadotropina corionica (HCG, Human Corionic Gonadotropin), che serve a mantenere l’impianto nella mucosa uterina assicurandone la sopravvivenza. L’intero sistema si oppone alla possibilità di rigetto, ma se non funzionasse, l’ovulo fecondato verrebbe espulso e si verificherebbe un aborto molto precoce. Ad esempio si avrebbe un aborto di un embrione indebolito da anomalie o malformazioni genetiche, mentre all’opposto una iper-produzione di HGC può intossicare l’organismo materno (89).
L’aborto è più frequente di quanto si pensi, poiché su cinque ovuli fecondati due o tre vengono persi molto precocemente e neppure riconosciuti in quanto scambiati per mestruazioni abbondanti. Secondo Soulè, solo al nono mese, la continua lotta per la sopravvivenza del feto ha fine e la gravidanza ha il suo epilogo felice.
Non va dimenticato che la gravidanza è un processo implacabile che può avere come esito anche la morte del figlio o della madre stessa, quest’ultima Bergeret la definisce "violenza fondamentale". Leclaire, che ha studiato la presenza di una fantasia primitiva in cui la madre vede il figlio come un essere che la invade, ne conclude che il primo desiderio della madre non è quello di avere un bambino immortale come suo rappresentante narcisistico (90).
Con quanto detto precedentemente si potrebbe pensare che il sistema biologico della madre e quello del feto siano in antagonismo, ma non è così, anzi rappresentano un sistema biologico triadico costituito da madre, placenta e feto. "E’ evidente prima di tutto che sul piano biologico non esiste una differenza tra madre e feto. La madre e il figlio costituiscono un’assoluta unità organica, e le necessità d’entrambi sono regolate dal medesimo processo organico. … Il benessere dell’uno è il benessere dell’altro, e la morte dell’uno spesso significa la morte dell’altro" (91).
Su piano dell’interazione la vera madre del feto è la placenta che nutre, filtra, disintossica e permette la respirazione del feto, mentre il corpo materno può essere visto come il luogo nel quale l’ovulo s’impianta e contro il quale si difende. In più esiste l’interazione madre-placenta in cui quest’ultima si adatta ai segnali dell’ambiente uterino materno e svolge la funzione vitale di mediatrice.
La gravidanza è per i biologi un paradosso immunologico (92): poiché è l’unico innesto che viene rigettato solo dopo nove mesi. Il corpo materno accoglie il feto dentro sé grazie ad un sistema di tolleranza indotto da ormoni immuno-sopressori, quali steroidi e progesterone (93).
Nel caso in cui vi sia un conflitto tra il sistema immunitario materno e quello fetale, come nel caso d’incompatibilità del fattore Rh (madre Rh-, figlio Rh+), la prima gravidanza viene portata a termine normalmente, perché il grado d’immunizzazione madre-feto è sempre molto basso durante la prima gestazione, mentre nella seconda diventa un rischio. Esiste, infatti, una memoria immunologica trasmessa dagli anticorpi, che rimangono nel sangue della madre e sono capaci d’identificare ogni nuova intrusione. Se il secondo bambino è Rh+ i linfociti, riconoscendo l’antigene della superficie dei globuli rossi del feto, rispondono in modo specifico dando inizio all’emolisi e producendo nel feto anemia (processo anche detto eritroblastosi fetale).
Vi sono una serie di eventi che testimoniano la costante interazione biologica madre-feto:
Il parto. Le cellule della placenta necrotizzandosi, inviano dei segnali che producono le contrazioni uterine, che a sua volta danno inizio al travaglio che culmina nel parto.
Il padre biologico. Il rischio d’incompatibilità tra feto e madre è dovuto al patrimonio genetico paterno. Il feto, infatti, eredita dal padre una parte che non viene riconosciuta dal corpo materno e che le fa percepire un organismo estraneo dentro sé, poiché possiede solo metà del cariotipo materno. Se la donna potesse generare per partenogenesi (cioè senza l’apporto del padre) non si verificherebbero mai casi d’incompatibilità, in quanto il feto sarebbe un innesto omologo. D’altro canto, le prime fantasie infantili relative al desiderio di maternità sono di origine partenogenetica. La bambina piccola nel momento il cui inizia a prendere confidenza con il proprio "spirito materno", ricostruisce fantasticamente la famiglia senza la presenza del padre, giocando ad essere genitore insieme alla madre, creando lei stessa un figlio (94).
La mola. Durante la fusione dello spermatozoo con l’ovulo si può verificare un fenomeno molto particolare. Subito dopo la penetrazione dello spermatozoo nell’ovulo ci può essere un rifiuto da parte della cellula femminile al patrimonio genetico maschile, che genera un rigetto immediatamente dopo la fecondazione. La cellula che ne risulta si moltiplica (degenerazione molare), ma si sviluppa non come un ovulo normale, ma come un tumore, che ha un effetto tossico nel corpo materno.
Sclerodermia. Questa malattia si verifica in donne che hanno già partorito e che hanno nel loro sangue qualche cellula fetale circolante, che essendo passata attraverso la membrana palcentare, ha sensibilizzato l’organismo. Le cellule fetali, continuando a stimolare la produzione d’anticorpi, provocano una reazione immunitaria.
5) Ritardo della crescita intrauterino. La gonadotropina, prodotta delle cellule trofoblastiche della placenta, agisce indirettamente sull’embrione, stimolando la madre alla produzione di un ormone della crescita, che non agisce sul corpo materno, ma oltrepassando la placenta regola la crescita del feto. La sindrome da ritardo della crescita si può verificare se la cellula trofoblastica non produce HCG a sufficienza, quando l’organismo della madre non riconosce il messaggio apportato dalla produzione di HCG e nel caso in cui il feto non riconosce questo ormone materno.
Soulè ha approfondito l’argomento relativo all’odio, che una madre sana, può provare per il feto e che, per altro, risulta essere un’emozione normale (95).
Freud sostiene che l’unico sentimento che la madre prova per il figlio sia amore, mentre Winnicott ritiene che la madre odia il piccolo sin dall’inizio (96). Anche Helene Deutsch pensa che sentimenti di disgusto o impulsi ostili, consci o inconsci, possano essere diretti contro il feto, andando ad aggravare la nausea gravidica, che tuttavia ha origine organica. In più sostiene che a livello fisiologico e anatomico, il feto vive come un parassita nell’organismo materno e lo sfrutta a suo vantaggio. Se non vi fosse una tendenza nella donna alla dedizione, al sacrificio masochistico e all’identificazione con il feto, quest’ultimo rimarrebbe, psicologicamente e fisicamente, un elemento perturbante. Dipende della situazione psicofisica della donna se il feto verrà considerato un parassita nemico o invece l’oggetto dello slancio d’amore che lega la madre alla sua creatura: si esprime qui l’effetto finale di quella polarità che, l’autrice, chiama ambivalenza affettiva (97).
Maddalena Roccato ha notato che le sue pazienti incinta provavano un immenso sollievo ad esprimere in terapia la propria ambivalenza. La maternità è talmente idealizzata, che sentimenti ed emozioni negative non sono raccontabili a nessuno e gravate da forti sensi di colpa. Dal suo studio è emerso come molte donne si sentano in ostaggio del feto, della società, del marito e della suocera che vuole un nipote o sentono la gravidanza come un dovere sociale. I cambiamenti fisici e psichici, implicite nella gravidanza, sono causa di una forte ambivalenza vissuta dalla donna come necessaria alle trasformazioni, che permettono all’amore di avere il sopravvento sull’odio (98).
Soulè sostiene che il bambino, che vive nella fantasia materna ed è oggetto di idealizzazione, non è nient’altro che una difesa contro le pulsioni distruttive e i vissuti d’odio.
Abbiamo visto come l’odio della madre abbia origine biologica, cioè derivi dal fatto che l’organismo materno si difende dal feto, percepito come un corpo estraneo. Secondo Soulè, quindi, si può parlare di odio biologico, che porta desideri d’espulsione definiti da Bergeret violenza fondamentale ovvero la legge dell’Io o lui, anche se oggi i rischi a cui va in contro una donna in gravidanza, sono decisamente inferiori rispetto ad un tempo (99).
Questa violenza primaria e i sentimenti di odio si rivelano apertamente nei casi di diagnosi prenatale sfavorevole, che porta all’interruzione di gravidanza autorizzata dai medici, ma decisa dalla madre. Secondo Sirol la scoperta che il bambino presenta delle anomalie porta la madre a reagire disinvestendo il feto e chiedendo l’interruzione di gravidanza, poiché non corrisponde più alle sue aspettative e la priva della possibilità di diventare madre. "E’ questa una chiara espressione dell’odio che nutre verso il feto, odio che era inconsapevole e che la nuova situazione fa emergere in modo dirompente. La pratica clinica evidenzia che, dopo l’interruzione di gravidanza il vissuto prevalente è invece un intenso senso di colpa" (100).
Subito dopo l’interruzione di gravidanza le fantasie di odio vengono proiettate sul personale ostetrico ed hanno la funzione di poter liberare la donna da questa pulsione violenta. Quindi ostetriche ed équipe di maternità diviene oggetto di spostamento, poiché la madre dirige su di loro la pulsione provata per il feto.
L’odio del padre per il feto è spesso più manifesto di quello materno e può essere agito attraverso un’assenza di coinvolgimento nella gravidanza o incapacità di fornire cure alla partner. Le motivazioni possono essere legate al riemergere di conflitti edipici, alla paura di essere trascurato dalla partner o all’invidia verso le sue capacità generative. Queste emozioni possono anche emergere a livello psicosomatico attraverso la sindrome delle couvade (vedi cap. 8).
Note
Palacio Espasa, 1996.
Simonelli, Zancato, Calvo, 2000.
Stern, 1995, Stern-Bruschweiler, Stern, 1989.
Bibring, 1959.
Pines, 1972.
Lebovici, argomenti trattati in Simonelli, Zancato, Calvo, 2000.
Palacio Espasa, 1996, Manzano, Palacio Espasa, Zilkha, 1999.
Simonelli, Zancato, Calvo, 2000, p.262.
Stern, 1995.
Ammaniti, Stern, 1991, Stern-Bruschweiler, Stern, 1989.
Stern, 1995.
Stern, 1989.
Stern-Bruschweiler, Stern, 1989.
Stern, 1995.
Fava Vizziello, Antonioli e altri, argomenti trattati in Simonelli, Zancato, Calvo, 2000.
Ammaniti, argomenti trattati in Simonelli, Zancato, Calvo, 2000.
Fava Vizziello e Invernizzi, argomenti trattati in Simonelli, Zancato, Calvo, 2000.
Fava Vizziello, Antonioli e alri, 1993, Poggi, Volpe, Fava Vizziello, 1986, Stern, 1989.
Winnicott, 1958.
Argomenti trattati in Simonelli, Zancato, Calvo, 2000.
Stern, 1995.
Fave Vizziello, Antonioli e altri, 1993.
Ammaniti, Baumgartner e altri, 1992.
Matarazzo, Tambelli, argomenti trattati in Simonelli, Zancato, Calvo, 2000.
Fava Vizziello, Antonioli, 1993.
Stern, 1995.
Argomenti trattati in Simonelli, Zancato, Calvo, 2000.
Ammaniti, 1991, Ammaniti, Baumgartner e altri, 1992.
Simonelli, Zancato, Calvo, 2000, p.271.
Nunziante Cesaro, argomenti Trattati in Simonelli, Zancato, Calvo, 2000.
Stern, 1995.
Argomenti trattati in Simonelli, Zancato, Calvo, 2000.
Fava Vizziello, argomenti trattati in Simonelli, Zancato, Calvo, 2000.
Stern, 1995.
Poggi, Volpe, Fava Vizziello, 1986.
Fava Vizziello, Antonioli e altri, 1993.
Argomenti trattati in Simonelli, Zancato, Calvo, 2000.
Simonelli, Zancato, Calvo, 2000.
Moscovici, 1984, p.28.
Moscovici, 1984, p.30.
Moscovici, 1984, p.31.
Moscovici, 1984, pp.46-47.
Comprendere i comportamenti, le cognizioni, le motivazioni dell’individuo significa comprenderne l’aspetto simbolico, cioè il loro significato in quanto si fondano su un linguaggio, dei valori e su memorie comuni.
Moscovici, 1984, p.93.
Jodelet, 1984, p. 247.
Jodelet, 1984, p.249.
Jodelet, 1984, p.255.
Jodelet, 1984, p.256.
Jodelet, 1984, p.262.
Scienza che valuta lo sviluppo embrio-fetale dal punto di vista biologico, medico e genetico.
Fava Vizziello, Righetti, Cristiani, 2000.
Argomenti trattati in Righetti, Sette, 2000.
Morino Abbele, 1990.
La prossemica è la scienza che studia e osserva i comportamenti di vicinanza e lontananza umani in relazione alla cultura, alla personalità, alle difese ed alla territorialità.
Morino Abbele, 1990.
Vegetti Finzi, 1990
Argomenti trattati in Morino Abbele, 1990.
Morino Abbele, 1990, p.129.
Ferasin, Baldaro Verde, 1995, p.258.
Benvenuti, Ciatti e altri, 1988.
Benvenuti, Ciatti e altri, 1988, p.221.
Benvenuti, Ciatti e altri, 1988.
Ivi.
Argomenti trattati in Fava Vizziello, Righetti, Cristiani, 2000, p.170, in Benvenuti, Ciatti e altri, 1988.
Benvenuti, Ciatti ed altri, 1988.
Ricerca che utilizza un’intervista non strutturata, in cui esplora la dimensione narrativa che emerge spontaneamente in 20 donne, nella prima intervista al 7° mese di gravidanza e poi nel periodo vicino al parto nella seconda.
Dopo questo esame il bambino viene immaginato come molto vivace o in momenti in cui la mamma gli parla e ci gioca insieme (Galardi, 1991, p.277).
Righetti, Sette, 2000, p.68.
Galardi, 1991.
Benvenuti, Ciatti e altri, 1988.
Argomenti trattati in Righetti, Sette, 2000.
Poggi, Volpe, 1986.
C’è, quindi, da riflettere su quanto la medicalizzazione della gravidanza possa comportare la perdita della conoscenza di sé e del proprio bambino (Bestetti, 1994).
Soulé, 2000.
Soulé, 2000, p.360.
Soulé, 2000.
Fava Vizziello, Righetti, Cristiani, 2000.
L’intervista utilizzata in questa ricerca è Mate-R elaborata da Fava Vizziello e utilizzata per indagare sul "bambino immaginario" che comprende le fantasie materne relative alla gravidanza e alla costruzione di aspettative e fantasie sul bambino e sulla maternità e inoltre per indagare sul "bambino figurato", cioè la rappresentazione che la madre ha del bambino dopo l’ecografia. L’intervista essendo semistrutturata è composta da domande aperte che lasciano alla futura mamma la possibilità di esprimersi liberamente ed altre domande che implicano risposte più puntuali.
Fava Vizziello, Righetti, Cristiani, 2000.
Benvenuti, Ciatti ed altri, 1988.
Il nome del bambino alla prima ecografia è stato quasi sempre già scelto e si tratta sempre di nomi che piacciono e non di nomi di famiglia. (Fava Vizziello, Righetti, Cristiani, 2000, p.172).
Fava Vizziello, Righetti, Cristiani, 2000, p.172.
Le preoccupazioni della madre prima dell’ecografia sono relative alla normalità del figlio, mentre non costituiscono timori il sesso del figlio, la gemellarità e lo sviluppo fetale.
Argomenti trattati in Fava Vizziello, Righetti, Maria Cristiani, 2000, p.180.
Fava Vizziello, Righetti, Maria Cristiani, 2000, pp.180-181.
Vorrei precisare che nella vita intrauterina lo sviluppo si divide in due periodi: quello embrionale che ha inizio alla fecondazione e dura otto settimane in cui la differenziazione cellulare porta all’abbozzo di tutte le strutture del nuovo organismo; quello fetale, il cui periodo si conclude con la nascita e durante il quale si assiste all’accrescimento e alla maturazione dei diversi organi e apparati.
Soulè, 2000, p.350.
Epitelio che riveste l’ovulo fecondato: primo abbozzo di placenta.
Soulè, 2000.
Argomenti trattati in Soulè, 2000.
Deutsch, 1945, pp.129-130.
L’immunologia è quella parte delle scienze biologiche e mediche, che studia i meccanismi attraverso i quali l’organismo elimina microrganismi batterici o virali utilizzando anticorpi.
Soulè, 2000.
Deutsch, 1945, Vegetti Finzi, 1990.
Soulè, 2000.
Winnicott, 1958.
Deutsch, 1945.
Roccato, 2003.
Argomenti trattati in Soulè, 2000.
Argomenti trattati in Soulè, 2000, p.363
Capitolo 8
Padre e paternità.
"Ci sono alcune cose che gli uomini non possono fare perché uomini, e le donne non possono fare perché donne: generare, concepire, partorire ed allattare, sono compiti distribuiti diversamente. Quando i corpi dei due sessi si sviluppano per essere pronti al loro ruolo diverso nella riproduzione, hanno dei bisogni fondamentali, alcuni dei quali nei bambini piccoli sono uguali per ambo i sessi, mentre altri sono diversi fin dall’infanzia"
Margaret Mead, Maschio e femmina
8.1 Uno sguardo al versante paterno.
La storia e l’antropologia della gravidanza e delle nascite ci insegna che l’uomo, sotto qualsiasi veste (padre del bambino o di medico), ne è totalmente escluso. Storicamente la presenza del medico ostetrico è recente e coincide con il XVII secolo e con nascita della medicina (1).
Ancora negli anni ’60 Bowlby sosteneva che: "… è la madre che nutre e lava il bambino, che gli dà calore e benessere. Nel dolore è a lei che il bambino si rivolge. Agli occhi del bambino piccolo, il padre ha una parte secondaria e la sua importanza aumenta solo quando il bambino diventa meno sensibile alle carenze delle cure materne" (2).
Il padre non è una figura secondaria nell’infanzia del bambino, poiché è proprio grazie a lui che la madre si può dedicare a tali e tante cure verso il piccolo. "Con il suo amore e con la sua presenza egli reca alla moglie il sostegno affettivo che le dà la possibilità di offrire al bambino quella serenità e quel umore armonioso che gli sono indispensabili" (3).
Fondamentalmente per questo si da più importanza al rapporto madre figlio rispetto a quello padre figlio, "l’importanza del padre verrà ammessa solo in quanto sostegno economico e affettivo della madre" (4).
Risale agli anni ottanta la concezione di Fornari, ottenuta dall’analisi di sogni di donne incinta, relativa al desiderio di una appropriazione onnipotente del bambino da parte della madre, ottenuta attraverso l’eliminazione del padre, che a livello inconscio, viene incorporato oralmente grazie alla potenza della madre o addirittura fatto morire. Il ruolo del padre è relegato a colui che deve proteggere la madre dalla morte e garantire la sopravvivenza della mamma e del piccolo (5).
L’interesse sistematico verso la figura paterna ha avuto inizio solo negli ultimi vent’anni, sia sulla spinta delle trasformazioni sociali, che hanno sviluppato maggior interesse verso la famiglia e la riproduzione, sia per ragioni culturali, che hanno strappato i sessi, ai ruoli rigidi, che un tempo nella famiglia patriarcale li contraddistinguevano.
Diversamente da quanto avveniva nelle famiglie allargate del passato, dove la cura del figlio e della gestante era affidato ad gran numero di figure femminili (nonne, madri, levatrici, zie, cognate, sorelle più grandi, amiche di famiglia, ecc…), nell’attuale civiltà occidentale è il partner il principale referente della gestante (6). Oggi la nuova famiglia nucleare vede moglie e marito in posizioni sempre più paritarie, perciò anche il progetto di un figlio nasce da una decisione comune maturata e programmata (7).
Il coinvolgimento del padre prima ancora della nascita, attraverso la partecipazione ai corsi di psicoprofilassi, alle ecografie, alle visite di controllo e la sua presenza in sala parto sono elementi innovativi dovuti, anche, alle nuove conoscenze bio-psicologiche sul feto e sulle sue precoci capacità (8).
Negli uomini esiste, rispetto al passato, una maggiore consapevolezza del proprio ruolo, favorita anche dalla divulgazione dei mass-media, che informano ampiamente sulla gravidanza e pertanto incoraggiano i padri ad entrare in campo, sempre più precocemente, nella relazione madre-bambino, per formare una triade (9).
I papà, oggi, sono anche riusciti ad ottenere dalle ostetriche, dai ginecologi e dalle madri il permesso di entrare in un luogo dove sono sempre stati esclusi: la sala parto.
Fattori economici e socio-culturali hanno portato una profonda ridistribuzione del potere all’interno della coppia. Da quando la donna è entrata nel mondo del lavoro, il dovere e la responsabilità di mantenere economicamente la famiglia non ricade più, esclusivamente, sull’uomo. Un nuovo contratto tra i partner ha influenzato la percezione dei ruoli maschile e femminile e, di conseguenza, il padre partecipa all’accudimento precoce del figlio.
Fin dal primo mese le coccole e le carezze non sono esclusivo appannaggio materno, ma i corsi di infant massage sono aperti anche ai padri, così come i corsi di preparazione al parto ed alla maternità.
Codispoti Battacchi e De Aloysio sostengono che, mentre le modificazioni corporee facilitano nella donna la creazione di una nuova identità e la formazione della costellazione materna (vedi cap. 5), il padre non può vivere tali esperienze percettive e sperimenta la gravidanza attraverso l’esperienza psicosensoriale materna. Di conseguenza l’acquisizione di un’identità paterna è un processo molto lungo e complesso, che si costituisce per via indiretta, sulla base del bambino raccontato e percepito, attraverso il ventre materno, durante l’attesa.
Dolto, inoltre, sottolinea come il sistema percettivo del feto sia in grado di registrare i rumori esterni, permettendo di sentire, sia la voce materna, sia quella paterna e quest’ultima avendo toni meno acuti è avvertita in modo più chiaro. Pertanto una relazione con il padre si instaura già attraverso l’utero materno (10).
Benigni, Winnicott ed altri autori hanno sottolineato come il padre sia fondamentale per influenzare la donna nel suo desiderio di maternità e nei suoi atteggiamenti verso i figli. Winnicott, infatti, sostiene che i padri sono importanti come le madri, al punto tale che l’interesse per le cure materne deve comprendere necessariamente quello per il padre, in quanto il suo ruolo è fondamentale nella cura del bambino. Il padre entra a far parte della vita del bambino a livello precoce, secondo Winnicott, come una delle persone che riproducono la figura materna, grazie a cambiamenti recenti, che hanno portato i padri a diventare più reali, per i loro bambini, nel ruolo di "doppio della madre", più di quanto non lo fossero decine di anni fa (11).
L’immagine del ruolo paterno che, per molti autori fra cui Fornari, è quello di separare e di porre una divisione nella diade madre-figlio, per evitare il formarsi di una possessività stagnante (12), non è condiviso da Vegetti Finzi. L’autrice ritiene, invece, che la madre detenga in sé e nel proprio progetto generativo un desiderio di distinzione, che il compagno conferma e sostiene con le proprie richieste di priorità. Le fantasie infantili di una relazione totalizzante, che pur abitano l’inconscio, vengono scongiurate dalla voglia di libertà, dal desiderio di porre a compimento se stessa, oltre al figlio.
Oggi l’immagine terrificante del padre, che impedisce, con la minaccia di castrazione, l’unità madre-figlio, è sostituita da una figura più tollerante, in grado di bloccare con la sua presenza le inconsce fantasie di autosufficienza della coppia originaria madre-bambino. La donna stessa si pone il compito di far conoscere al padre il figlio, renderglielo amabile, per introdurlo nella relazione di coppia. "Il neonato viene alla luce come frutto del corpo materno, ma cresce come figlio di due genitori, perché la donna ha ceduto parte del suo possesso sul generato" (13).
8.2 Il ruolo del padre come contenitore maternalizzato.
Nel periodo della gravidanza, i partner hanno bisogno di trovare sostegno e comprensione reciproca e sono entrambi occupati a metabolizzare i propri cambiamenti, le ansie, i dubbi e le esigenze, ma dei due è sicuramente la futura madre, che apporta le richieste emotive più intense (14).
Il divenire padre, così come il divenire madre, rappresentano una fase evolutiva, spesso con caratteristiche di crisi, a causa del riadattamento necessario dei propri oggetti interni ed esterni. Hergoz, Palcio Espasa e altri autori sostengono che, nel processo della paternità, è fondamentale una rielaborazione del rapporto con la figura paterna, che non deve essere troppo ambivalente o negativa per permettere l’identificazione con un padre buono (15). Secondo Gurwitt il padre non deve solo elaborare la relazione con il genitore dello stesso sesso, ma anche con la madre, i fratelli e la partner. L’autore vede la paternità come una sfida evolutiva, che può sconvolgere l’equilibrio adulto raggiunto dall’uomo, che inizia così la ricerca di una nuova identità (16).
Prendere la decisione di avere un figlio comporta una revisione del proprio mondo interiore dovuta all’abbandono del ruolo di figlio, per assumere quello di padre, identificandosi con una figura potente e creativa, in grado di generare. Il futuro padre dovrà "… affrontare le ambivalenze legate al rapporto con il proprio padre interno e le angosce d’impotenza e d’incapacità insite in ogni progetto creativo" (17).
L’angoscia d’impotenza creativa è speculare a quella femminile di sterilità. Le radici di questa angoscia nella donna si ritrovano nella qualità delle relazioni oggettuali e si accompagnano a fantasie di un proprio interno non ospitale e inadatto a proteggere una nuova vita (18). Nella logica assoluta dell’inconscio il corpo femminile ha due alternative: può essere pieno o vuoto e le angosce relative alla sterilità emergono nell’infanzia con la scoperta di un corpo cavo (19).
Anche Erikson parla di un’angoscia di fondo, comune a tutte le donne, di essere lasciata vuota e senza oggetti preziosi al suo interno (20). Nell’uomo l’impossibilità di procreare si concretizza nell’incapacità di produrre sufficiente seme o spermatozoi vitali per fecondare l’ovulo, che simbolicamente significa non possedere in sé sufficiente spinta vitale da trasformarsi in una nuova vita (21).
Entrambi i partner compiono un lavoro mentale impegnativo per acquisire l’identità di genitore: "entrambi devono fecondarsi, ingravidarsi, e alla fine partorire quel figlio che diventerà il loro prolungamento per il futuro" (22). Questo processo risulta più difficile per l’uomo, che non percepisce il bambino come parte di sé, mentre appare naturale per la sua compagna, che può aiutarlo molto, essendo aperta e disponibile. L’uomo, infatti, può stabilire un primo contatto con il bambino, sentendolo e immaginandolo nel corpo materno. Una serie di eventi, come il parlare alla pancia, l’ascoltare i battiti cardiaci fetali, il toccare il ventre materno per sentire i movimenti fetali, l’ecografia che mostra le immagini del feto, permettono all’uomo di entrare nella diade madre-bambino, creando una triade ed uno spazio d’amore in cui i genitori si sentono vicini (23).
Per diventare padre ogni uomo deve adottare un processo mentale, che gli permetta dei rapidi adattamenti alla realtà interna ed esterna. In più deve trovare un nuovo adeguamento ai cambiamenti fisici e psichici della sua compagna ed essere consapevole che il bimbo è nel ventre della donna e grazie a lei può svilupparsi e crescere. L’uomo, come la donna deve essere in grado di sopportare l’attesa, che dura nove mesi, e la curiosità di conoscere il piccolo e non sentirsi impotente di fronte alle angosce materne e alle proprie, ma sostenendo entrambi nella buona riuscita del processo creativo (24).
L’uomo, infatti, durante la gravidanza viene a contatto, per Smorti, con la misteriosa natura del femminile e ciò può farlo sentire inutile ed emarginato, determinando una sempre maggiore distanza emotiva all’interno della coppia. Sembra necessario che parallelamente allo stato di "preoccupazione materna primaria" (25) vissuto dalla madre, il padre si allinei, sviluppando la "preoccupazione paterna primaria" (26), cioè sia in grado di sintonizzarsi con la partner comprendendone i bisogni, senza che vengano comunicati esplicitamente. Se per la donna i bisogni da comprendere sono quelli del bambino, per l’uomo si tratta di un atteggiamento di cura e devozione nei confronti della diade madre-bambino.
Il futuro padre deve poter esprimere le proprie capacità identificative con la madre e con il bambino, per comprenderne le richieste, ma deve anche rispondervi con un comportamento protettivo. L’uomo deve anche sperimentare una forma di regressione nei confronti del figlio, che però sarà vissuto come un’unità che comprende la madre (27).
Secondo Winnicott la capacità di preoccuparsi è alla base dell’interscambio e della reciprocità, per cui essa fonda la famiglia (28). La "preoccupazione paterna" permette all’uomo di superare le angosce e i sensi di colpa, connessi alle invidie ed alle gelosie relative alla gravidanza della donna, per sviluppare un’attitudine nuova verso l’unità madre-bambino, che gli permetta di proteggerla, senza perdere la sua identità di maschio adulto (29).
Lo sviluppo della "preoccupazione paterna primaria", secondo Smorti, dipende da una serie di fattori, come ad esempio, se era o meno capace di sviluppare questo sentimento di preoccupazione da piccolo, come la donna sviluppa la preoccupazione materna e l’accordo esistente nella coppia. Quanto maggiore è l’unione tra coniugi, tanto più facilmente l’uomo giungerà a riconoscere la paternità come processo di coppia e a sentirsi intimamente coinvolto nelle vicende materne (30).
Il padre dovrebbe reagire ai propri sentimenti d’esclusione dalla relazione intima, che si sviluppa nella diade mamma-feto, in modo evoluto e maturo, facendo da madre alla madre e quindi identificandosi in una figura genitoriale con caratteristiche materne. In questo modo può rimanere vicino alla compagna, offrendole sostegno, accettando la regressione a cui va in contro, senza entrare in competizione con lei e soprattutto può accogliere i bisogni e le angosce della compagna senza doverle negare (31).
La donna, secondo Winnicott, affronta un viaggio nel proprio mondo interno, durante la gravidanza, che risveglia ansie e paure inconsce. E’ un viaggio che, se vissuto in solitudine, può rendere dolorosa la gravidanza, ma offre un’esperienza di crescita, se avviene con sufficiente compagnia e sostegno, grazie ad un partner comprensivo e presente (32).
La stessa ipotesi del ruolo maschile, di contenitore maternalizzato delle angosce femminili, è stata confermata da una ricerca di Capodieci, Ferraro e altri, da cui è emerso che il partner maschile assume su di sé un ruolo centrale di sostegno psicologico, che prima era ricoperto dalla levatrice ed è difficilmente attribuibile al medico, che svolge funzioni eminentemente tecniche e direttive. Secondo gli autori questa situazione è conseguenza della medicalizzazione della gravidanza e del parto, che ha attribuito agli uomini questo ruolo di "contenitori maternalizzati". La soluzione potrebbe essere favorita da una migliore preparazione, sul piano psicologico, dei futuri padri, che devono svolgere una funzione così delicata, attraverso corsi di psicoprofilassi ostetrica. Il parto rappresenta a livello simbolico la conclusione del periodo di assunzione del ruolo materno da parte dell’uomo, periodo, cioè, nel quale il marito si è curato della moglie con modalità protettive ed accudenti (33).
Silvia Vegetti Finzi ritiene che il padre sia una figura esterna nella maternità e che, mentre la donna vive una ridefinizione di sé, in cui è relativamente sola, l’uomo si fa garante dell’accoglimento sociale del nuovo nato. La qualità della relazione, che la gestante intrattiene con il proprio compagno, è fondamentale per permettere il costruirsi della nicchia materna, ma la donna deve, comunque, elaborare da sola i propri fantasmi interiori. La donna, alle persone che si prendono cura di lei come la propria madre e il partner, richiede una vicinanza caratterizzata d’ascolto e disponibilità, ma contemporaneamente respinge ogni intrusione (34).
Sintetizzando il compito svolto dal padre durante l’attesa è molto complesso, impegnativo e coincide con il fare da contenitore per le ansie materne, favorendone la metabolizzazione, senza esternare le proprie paure, né protestare. Il padre è la fonte principale di sicurezza e nutrimento affettivo, che la futura mamma e il bambino ricevono durante la gravidanza (35).
Dopo il parto, infine, la coppia torna a casa ed avviene finalmente una riappropriazione dei ruoli originari primari e dei relativi codici comportamentali. Il compagno non è più vissuto con modalità regressive materne, in quanto la donna ha pienamente assunto il ruolo materno e ciò consente al partner di ridurre il proprio impegno sul piano psicologico (36).
8.3 Evoluzione dei vissuti paterni durante l’attesa.
Diversi autori hanno sottolineato che il diventare padre, in maniera simile al diventare madre, prevede una fase evolutiva, spesso con caratteristiche di crisi. Prevede, secondo Farasin e Baldaro Verde, "una ristrutturazione della propria identità e una ridistribuzione delle proprie funzioni" come quelle di sostegno e complementarietà, che hanno portato alla formazione della coppia. Si verifica, inoltre, una "rivisitazione dei processi di identificazione" con la figura genitoriale e si possono riattualizzare conflitti infantili legati all’identificazione con il ruolo di figlio (37).
Il modo in cui l’uomo affronterà questa fase di transizione è il risultato di una serie di fattori dipendenti dalla sua storia personale (infanzia, relazioni con i genitori, personalità) e dalla realtà attuale (relazione di coppia, motivazioni legate al desiderio di paternità). Il padre si trova di fronte a cambiamenti che non riguardano solo il suo ruolo sociale, cioè essere padre, ma anche e soprattutto, il suo mondo intrapsichico, cioè il sentirsi padre e la sua percezione emotiva legata alla paternità.
La paternità prevede la rielaborazione del rapporto con il proprio padre, con la conseguente risoluzione di conflitti infantili e adolescenziali, per avviare una relazione non troppo conflittuale, che permetta l’identificazione con un padre buono e capace d’amare, in più secondo Gurwit il padre deve rivedere la relazione anche con la madre, con i fratelli e la partner (38).
La paternità mette l’uomo di fronte alla percezione di essere terzo, ed alla prima triangolazione padre-madre-figlio se ne aggiunge un’altra con il figlio in posizione genitoriale; "dunque la paternità è per l’uomo una fase di rielaborazione, come padre, dei vissuti in precedenza sperimentati come figlio" (39).
Smorti identifica una serie di fasi, che attraversa l’uomo nel suo percorso verso la paternità: 1) la fase dell’annuncio, 2) la fase della moratoria, 3) la fase della messa a fuoco, che verranno esposti all’interno dei tre trimestri.
La fase dell’annuncio comincia con i primi sospetti di gravidanza e può durare da ore a poche settimane dopo la conferma. Le reazioni possono essere caratterizzate da gioia ed eccitamento, se la gravidanza è desiderata, mentre nella situazione opposta la notizia genera dolore e shock. Tuttavia in questa fase precoce, l’idea della gravidanza non è stata ancora del tutto riconosciuta ed integrata nella vita di coppia: è un po’ come se i due non ci credessero ancora (40).
Durante il primo trimestre di gravidanza, le accresciute esigenze di tenerezza, di baci, di carezze ed abbracci, manifestate dalla futura mamma, possono essere accompagnate da una diminuzione di desiderio sessuale e l’eros può facilmente decadere (vedi cap. 7). L’agape, sentimento costituito da una serie d’atteggiamenti di accettazione e conforto indispensabili per lo sviluppo di un progetto di coppia, prende piede. "L’eros … può facilmente stemperarsi nell’agape, e questo fatto, del tutto normale, può creare un certo disorientamento in una coppia abituata a condurre una vita sessuale soddisfacente"; soprattutto il futuro papà può sentirsi trascurato o rifiutato e considerare erroneamente le necessità fisiologiche, indotte dalla gravidanza, come prova di minor amore e attrazione nella donna (41).
In questo trimestre l’uomo, infatti, non riesce ancora ad immaginarsi e a percepire la gravidanza della compagna come una realtà, data l’assenza di segni tangibili. Si trova un po’ disorientato di fronte all’introversione, al ripiegamento su se stessa della donna ed ai sintomi psicosomatici, di cui peraltro si sente un po’ responsabile.
Oggi questo disorientamento maschile è attenuato dall’ecografia, che permette di percepire l’evento come qualcosa di più reale, ciò nonostante il bambino sembra una realtà ancora lontana e spesso il futuro padre utilizza come difesa la negazione.
Durante i primi mesi i coniugi continuano a vivere la vita di prima, le loro attività lavorative non mutano e la donna non presenta prove evidenti dello stato di gravidanza. Lo stato d’onnipotenza e maniacalità, che porta l’uomo a negare la presenza del bambino, nasce dal bisogno di difendersi dalla paura delle modificazioni, cui la coppia sta andando incontro. In più l’uomo deve difendersi da sentimenti depressivi suscitati dal crollo delle fantasie onnipotenti infantili di essere uguale alla madre e di poter avere bambini come lei (42).
Soifer, Prezza e Vegetti Finzi, infatti, ritengono che l’uomo può trovarsi a rivivere il senso d’invidia verso le capacità generative della compagna, percepita come madre o provare gelosia verso il bambino che, a causa della sua unità biologica con la donna, lo priva delle attenzioni della sua compagna. Quest’ultima emozione è tanto più evidente, quanto più nel rapporto di coppia la donna svolge un ruolo materno, soddisfacendo i bisogni di dipendenza dell’uomo (43).
In più la sua autosufficienza lo esclude dall’accudimento e l’interiorizzazione, che subiscono le energie materne, lo depriva inevitabilmente di affetto e di cure. L’uomo può percepire una sorta di rivalità con il nuovo nato, che lo fa sentire come un escluso, portandolo a rivivere inconsciamente tematiche edipiche (44).
A tal proposito Karen Horney sottolinea la grande invidia dell’uomo nei confronti della gravidanza, del parto e della maternità, che sono prova della superiorità biologica della donna, che viene sublimata nell’attività creativa, artistica e scientifica (45).
Margaret Mead, dal suo studio delle popolazioni dei mari del Sud, ha potuto constatare come gli uomini fin da piccoli imparano a desiderare figli, invidiando le donne e identificandosi con la capacità generativa materna. Questo è evidente, in molte tribù indiane d’America e tra gli indiani Mohave, dove vi sono cerimonie speciali nelle quali si assiste ad un’inversione di ruolo, in cui gli uomini si vestono da donna e partecipano a rituali nei quali imitano la gravidanza e il parto. In questi riti i maschi della tribù vengono caricati e successivamente sgravati di grandi pietre, a causa del significato simbolico che questa azione riveste (46).
Altre cerimonie, in cui le donne vengono escluse, si svolgono presso gli Arapesh dove gli uomini, imitando la maternità, facendosi dei tagli sulle braccia e creando un nutrimento, mischiano il loro sangue al latte di cocco da far bere ai novizi, che diventano simbolicamente loro figli. L’uomo in qualsiasi attività dall’allevamento di bestiame all’occuparsi di azioni in banca, ha bisogno di riuscire; "… nel caso della donna è necessario soltanto che le sia permesso … di compiere la sua funzione biologica, per provare la sensazione di aver compiuto qualcosa d’irreversibile" (47).
Concludendo il primo trimestre è caratterizzato, sia per l’uomo che per la donna, da un intenso lavoro mentale teso ad accettare e ad adattarsi alla nuova realtà. La crisi, intesa come evento che modifica un equilibrio per poi portare ad un cambiamento positivo, è avvertita da entrambi. Ciò può generare anche desideri di fuga e rifiuto. Ma queste resistenze a diventare genitore non devono spaventare, poiché sono sentimenti ambivalenti, che contengono anche il desiderio opposto, cioè la volontà di essere genitore (48).
Gli eventi, che segnano il secondo trimestre, permettendo al padre di coinvolgersi maggiormente nella gravidanza, sono la percezione dei movimenti fetali e la seconda ecografia, nella quale il bambino si vede ormai bene.
Secondo Livia Di Cagno, Marina Gandione e altri i padri con più difficoltà, rispetto alla madre, riescono ad immaginare il bambino, da un lato per gli elementi oggettivamente mancanti, dall’altro per una minore necessità di attuare una regressione identificatoria con il bambino (49), cosa invece, secondo Winnicott, fondamentale nelle "mamme sufficientemente buone" e base per la formazione della "preoccupazione materna primaria" (50).
L’uomo, che deve attendere la nascita per poter condividere con la sua compagna il bambino, deve anche durante il periodo dell’attesa, desiderarlo, immaginarlo, pensarlo ed avvicinarsi a lui grazie al sostegno della compagna, sia diretto che attraverso le fantasie di lei. Tutto ciò può avvenire, se la gestante riesce a condividere con il compagno anche le più semplici sensazioni psichiche e fisiche provate nei diversi momenti e se riesce a dialogare con lui (51).
Alcuni padri, però, presentano un temporaneo distanziamento mentale caratterizzato dalla ricerca del bambino nei libri, nei racconti di amici e parenti, che può permettergli di costruirsi un bambino fantasmatico. Questo può produrre un’estrema confusione fra sé e l’altro, portando il padre attraverso l’identificazione a sostituirsi a livello fantasmatico alla moglie, nel rapporto con il feto. Sono padri, che sono animati dal desiderio di comprendere cosa accade nella compagna, ma anche portatori di eccessiva invidia, che li conduce a ipertrofizzare la loro sensorialità per diventare uguali alla moglie.
In altri casi l’identificazione proiettiva (52) è animata da sentimenti predatori infantili, che mirano a sottrarre alla madre il bambino contenuto al suo interno e possono essere stimolati dal desiderio della moglie di escludere il marito, relegandolo alla posizione di piccolo bambino escluso e invidioso. In rari casi l’identificazione proiettiva con la gestante origina da un’assenza d’identificazione della moglie nel ruolo materno. Il sostituirsi alla compagna con i propri sensi e le proprie fantasie è un modo per compensare la sua inadeguata funzione materna (53).
Gli uomini mostrano interesse verso l’ecografia e il piacere di vedere sullo schermo il loro bambino, reagendo con emozione e turbamento, come se fosse un’immagine, che la loro fantasia non sarebbe stata in grado di produrre (54).
La presenza più tangibile del bambino in questo periodo genera nel soggetto un certo timore, nei confronti del cambiamento imminente, accompagnato da un senso d’incertezza ed ambivalenza. Esiste, anche, il timore di non essere un buon padre o di non riuscire a gestire la presenza di un terzo elemento all’interno della coppia e possono emergere fantasie sul bambino, visto come possibile rivale, che sta occupando tutto lo spazio della partner, defraudandolo del rapporto privilegiato instaurato con la compagna. Queste fantasie possono derivare da un desiderio infantile rimosso di dividere la coppia madre-feto (55).
Questa fase è definita da Smorti "moratoria" e dura dal quindicesimo giorno fino alla fine del secondo trimestre. Secondo l’autore è segnata dal fatto che la donna inizia ad accettare la gravidanza, mentre l’uomo sembra volerlo rimandare e si mette in disparte a vivere come spettatore esterno i cambiamenti della compagna, spesso animato da invidia e gelosia (56). Quanto meno pronto si sente alla paternità, tanto più a lungo durerà questa fase, che rappresenta la più delicata, poiché "uomo e donna appaiono fortemente desincronizzati rispetto al processo d’attesa" (57).
Soifer, invece, sostiene che, in questo delicato periodo, l’uomo può rifiutare la compagna non percepita più come donna, ma come madre oppure come un essere debole da proteggere. L’uomo potrebbe sottomettersi a lei, perché la vive come dispotica e tirannica o magari può comportarsi duramente, sfogando così la sua invidia nei confronti delle capacità procreative femminili.
In alcuni uomini si possono manifestare sintomi psichici e somatici molto simile a quelli delle donne in gravidanza, come mal di testa, perdita dell’appetito, nausea, colite, aumento di peso. Questo fenomeno viene chiamato "sindrome della couvade", termine preso a prestito dall’antropologia, per indicare un rito di popolazioni pre-industriali, nel quale verso la fine della gravidanza, l’uomo si mette a letto e simula il travaglio. Questo rito in culture primitive serve ad indicare e superare un passaggio importante, cioè quello alla paternità. Un comportamento simile nelle nostre culture è interpretato come reazione ad una gravidanza non voluta, ad un eccessivo coinvolgimento o ad una forte identificazione con la compagna (58).
La difficoltà a vedersi nel ruolo di padre può essere legata alla mancanza di un buon genitore interno con cui identificarsi o alla mancata elaborazione di sensi di colpa legati ai desideri infantili di dare un figlio alla madre o di eliminare il padre (59).
Secondo Smorti il buttarsi a capofitto nel lavoro può rappresentare una fuga, un modo per rimanere estranei all’evento e non elaborare in modo costruttivo i problemi legati all’attesa (60), mentre Miraglia sostiene che l’uomo può anche voler comunicare l’impegno e la responsabilità verso la famiglia e l’avvenuta identificazione nella figura paterna (61).
Nel terzo trimestre l’ansia della donna è condivisa dall’uomo, poiché emerge la tensione dovuta all’avvicinarsi del parto e la curiosità legata al desiderio di conoscere il figlio. Questa fase coincide con quella che Smorti ha definito "messa a fuoco", in quanto l’uomo sperimenta una modificazione dei propri sentimenti dovuto ai cambiamenti ormai evidenti della compagna, che non gli permettono più di far finta, che la paternità non esista. La presenza del feto è ormai quasi tangibile, infatti, può ascoltarne i movimenti attraverso il ventre della mamma (62).
Il futuro padre può reagire con eccessivo senso di responsabilità mescolato al timore per l’incolumità della compagna e del bambino durante il parto. Soifer sostiene che il bisogno della compagna di sentirsi rassicurata, sostenuta e protetta induce l’uomo a farsi carico delle sue ansie, oltre che delle proprie preoccupazioni (63).
Le ansie e le angosce che possono agitarlo sono le più diverse: la paura per il parto, i dubbi sulle proprie capacità di assistere la compagna durante il travaglio, di arrivare in clinica in tempo, le paure relative all’essere in grado di allevare un figlio, le preoccupazioni relative alla salute del bimbo e non ultima la capacità di fare il padre (64).
In alcuni casi si può acutizzare la sindrome della couvade e l’uomo può allontanarsi dalla compagna, anche se nella maggior parte dei casi, cerca di starle il più vicino possibile. Però gli aiuti che la donna riceve, essendo legati principalmente ad aspetti pratici (la salute, le visite mediche), fanno vivere alla donna un senso di solitudine, dovuto all’impossibilità dell’uomo ad entrare nel suo complesso mondo psicologico (65).
I corsi di preparazione al parto, che sono volti ad impartire informazioni sul travaglio e sul parto prevalentemente alla donna, secondo Righetti e Sette, sono meno indicati rispetto a quelli di preparazione alla nascita, che vogliono infondere fiducia nelle capacità di essere padre o madre. In entrambi però permane un certo disinteresse per il padre e i suoi vissuti (66).
In uno studio, Muscetta, presenta due tipi di padri:
quelli rinunciatari, che partecipano ai corsi, ma si sentono comunque estranei a ciò che succede, poiché considerano i diversi eventi della gravidanza cose da donna;
quelli partecipanti, che sono più attivi, intervengono ai corsi facendo domande, preoccupandosi per la salute della donna e del bambino, volendo partecipare al parto, anche se si sentono d’intralcio (67).
Il padre è "… assente nel corpo a corpo della gestazione", ma il suo ruolo s’inscrive in un registro simbolico, poiché nomina il suo bambino, dandogli il suo cognome. Il cognome a sua volta deriva dalla sua discendenza, supera il padre stesso, lo precede e lo seguirà, infatti, nella nostra cultura è un patronimico che non è scelto, in opposizione al nome. "In questo senso il patronimico è la rappresentazione del dovere di gratitudine, verso il debito di vita che lega il padre con i suoi antenati" (68). Il padre è il trasmettitore del nome che porta e può restituire il debito di vita a cui è soggetto, solo essendo l’anello di una catena più grande di lui. Il padre separa, inoltre, il bambino dal desiderio incestuoso della madre. La madre, infatti, nel momento della nominazione, rinuncia al figlio e si separa dal proprio padre (69).
In questo trimestre il padre ridefinisce se stesso e gli altri in funzione del suo status. Costruisce un’immagine di sé come padre e un’immagine del bambino più definita. Il rapporto con la compagna si fa più intimo ed in sintonia, addirittura lo stesso entourage di conoscenze può mutare, stringendo amicizia con adulti che hanno dei figli (70).
La nascita del bambino indica la fine della fase della "messa a fuoco", iniziata nel terzo trimestre, e consente di confrontare la realtà con l’immagine mentale del figlio. "Se il processo d’attesa è stato vissuto dalla coppia in modo sufficientemente sincronizzato, quanto allo sviluppo dei sentimenti di preoccupazione paterna e materna, se il padre ha la possibilità, oltre al desiderio, di partecipare al travaglio e al parto, questo momento può diventare molto importante per il successivo sviluppo della dimensione paterna" (71).
"Il parto non è un’esperienza neutra … solo se la gravidanza è stata vissuta insieme, come progetto d’amore, questo momento segnerà anche la nascita di un padre, e non solo quella di un figlio e di una madre" (72).
8.4 Modalità rappresentativa e narrativa dell’esperienza di genitorialità.
Abbiamo visto, nei precedenti paragrafi, come la figura paterna, negli ultimi vent’anni, abbia acquisito maggior importanza e sia diventata oggetto d’interesse sistematico. Tutto ciò è dovuto sia alla spinta delle trasformazioni sociali, che hanno interessato la famiglia, le pratiche riproduttive e generative, sia a ragioni culturali, che non creano più una netta distinzione tra ruolo materno e paterno, che condannava l’uno all’etica dell’oblatività, della cura e dell’allevamento della prole e l’altro all’etica della responsabilità e delle mansioni richiedenti forza e resistenza fisica (73).
Esiste oggi una maggior consapevolezza del ruolo genitoriale rispetto al passato, Kristeva afferma che l’uomo è chiamato principalmente alla responsabilità del ruolo paterno dalla madre e dall’energia della relazione sentimentale e affettiva di coppia, che rappresentano il luogo della trasformazione del compagno in padre (74).
La genitorialità, nei lavori di Cramer e Palacio Espasa, viene vista come un evento complesso, che porta il soggetto a trovarsi "… di fronte a due compiti psicologici: 1) rinunciare al piccolo bambino che è sempre stato per i suoi genitori; 2) mobilitare le identificazioni con i propri genitori per assumersi il ruolo di genitore riguardo al proprio figlio" (75). Entrambi i compiti sono collegati ad un processo, chiamato dagli autori "lutto dello sviluppo", che prevede l’elaborazione della perdita della condizione di bambino e la conseguente minaccia d’abbandono da parte dei genitori, per assumere su di sé quel ruolo (76).
Con l’attesa di un figlio la situazione che si crea, secondo Palacio Espasa, è carica di conflittualità generata, sia dai nuovi compiti che richiede, sia dai problemi rimasti in sospeso nell’infanzia e nell’adolescenza. Il bambino in alcuni casi può permettere di risolvere conflitti mai elaborati ed è occasione per l’adulto di accedere alla maturità. Ad esempio, quando proietta sul figlio l’immagine di un bambino abbandonato (e quindi la propria immagine da piccolo) e si identifica nel genitore che non abbandona, ricostruisce retrospettivamente la propria storia personale, ripetendo così un passato giudicato inaccettabile può correggerlo nel verso desiderato (77).
Palacio Espasa concorda con Bibring ed Erikson, considerando i processi collegati alla procreatività come una "crisi", il cui elemento centrale, per l’autore, è costituito dal lutto evolutivo, poiché i padri reagiscono in maniera simmetrica alle madri, proiettando sul figlio i loro oggetti interni edipici (78).
Il ruolo del padre, inoltre, per il bambino piccolissimo, è simile a quello della madre, presentando le stesse dinamiche, entrambi giocano il ruolo di terzo e perciò sentimenti d’esclusione, ansie e conflitti sono sperimentati da ciascun membro della triade. Madre e padre, però, tendono a proiettare differenti aspetti del sé e del proprio mondo interno sul nascituro (79).
Daniel Stern, per indicare il processo attraverso cui l’acquisizione della condizione genitoriale, modifica per tutta la vita le relazioni e il profondo di ognuno, usa il termine "rifigurazione" (80).
Il suo modello di sviluppo del senso del Sé è di grande utilità, per poter cogliere il triplice carattere della paternità intrapsichica e interpersonale, che ciascuno ottiene da:
relazione e relativa identificazione con il proprio genitore omologo;
schemi di "essere con" il proprio figlio;
il modo in cui l’uomo si rappresenta la partner nella relazione di coppia (81).
Stern sostiene che fin da piccolo il bambino si costruisce la rappresentazione della relazione che ha con il genitore (82) e ciò serve ad orientare comportamenti e vissuti emozionali nelle varie fasi dello sviluppo.
Nell’età adulta l’uomo è portato a riprodurre, all’interno della coppia, ciò che è accaduto al suo Sé nella narrazione della storia che ha vissuto con suoi genitori. Nel momento in cui entrerà nella fase generativa, sarà in grado di comprendere alcuni aspetti dell’esperienza, che la maternità farà vivere alla sua compagna e di entrare in risonanza con il proprio figlio immaginario e reale. Quest’ultimo processo viene denominato da Stern "sintonizzazione affettiva" e dipenderà dal complesso intreccio di rappresentazioni, che vanno a costituire veri e propri oggetti interni (83).
Le modalità rappresentative e narrative paterne, che originano dalla transizione dal ruolo di partner a quello di genitore, vengono esplorate da un’interessante ricerca (84) di Graziella Fava Vizziello, Giovanni Barbiero e Catia Fiorin, in cui vengono considerati discorsi relativi al divenire genitore:
quello dell’uomo con se stesso, che dà il senso di come si percepisce nella nuova situazione di partner e di padre contemporaneamente;
quello con il bambino immaginario e reale;
quello con il proprio padre;
e infine il discorso di coppia, che riguarda il modo in cui l’uomo percepisce la sua partner.
Il campione è costituito da 40 soggetti (85), autoselezionati nei corsi di preparazione alla nascita, a cui durante il settimo mese di gravidanza "… è stata somministrata un’intervista semistrutturata sulle rappresentazioni mentali materne in gravidanza e nel post partum di Stern (1989) nella versione modificata Mate-R" (86) di Fava Vizziello e altri. Il campione è stato poi seguito in follow-up nella quinta giornata post partum e al quarto mese di vita del bambino, con l’utilizzo della stessa intervista, ottenendo così un percorso della paternità grazie all’analisi dell’intreccio delle rappresentazioni emergenti, che si organizzano in una struttura narrativa.
I tre quarti degli uomini intervistati hanno dichiarato di essersi sentiti realmente padri nel momento in cui hanno visto il loro bambino appena nato. Per alcuni padri questa affermazione corrisponde ad un effettivo cambiamento provocato dal parto; in altri casi è stato interpretato, da Fava Vizziello, Barbiero e Fiorin, come una difesa rispetto al cambiamento segnato dalla nascita, che minaccia l’equilibrio e la costanza della situazione di coppia e quindi appare finalizzato a conservare lo status quo. E’ stata riscontrata, in questi soggetti, un’organizzazione tematica di difesa, per sé come padre (87) (per un approfondimento vedi cap.7), che permette, grazie alla sua valenza omeostatica, di mantenere l’autostima stabile con temi narrativi legati al padre, che si definisce esperto, insegnante, capace, fortunato, ecc… Ciò permette di gestire la nascita, vissuta come un evento misterioso.
La potenzialità innovativa del parto viene neutralizzata mediante una narrazione degli affetti molto controllati, una scarsa immaginazione relativa al bambino durante la gravidanza e l’attaccamento al concreto, che porta a descrivere il rapporto con il bambino in termini di fatti concreti. Ad esempio i padri si riferiscono al bimbo del futuro, cioè a quando parlerà, andrà a scuola ecc.. (88).
Fava Vizziello, Barbiero e Fiorin hanno confrontato i dati con il campione di madri, in cui nei racconti era evidente, l’organizzazione di paura al settimo mese di gravidanza e quella di difesa, al quarto mese post partum. La paura (89) è un fattore essenziale nell’evoluzione della gravidanza normale, mentre la difesa al quarto mese è funzionale ai rapidi cambiamenti evolutivi del bambino e alla verifica delle proprie capacità materne. Entrambe queste organizzazioni tematiche nella donna, dunque, hanno il compito di mantenere sintonizzata la diade e di avvicinare la madre al bambino. L’organizzazione di difesa, al quarto giorno post partum, nell’uomo sembra, invece, avere la funzione di distanziamento ed allontanamento emozionale dalla nuova situazione e dalla diade madre-bambino.
Se si confrontano le rappresentazioni che il neo-padre da di sé, nel quinto giorno post partum, rispetto a quelle del quarto mese, si nota che si sente meno felice, più occupato in altre cose, maggiormente appesantito dal nuovo ruolo e più distaccato.
"Il padre che <<fugge>> dai luoghi della madre e del bambino – ad esempio, mostrandosi tiepido nel coinvolgimento o <<occupandosi di altre cose>> già nel primissimo periodo - non sviluppa di certo quella <<preoccupazione>>, che è primaria per lo sviluppo di sentimenti di disponibilità ed empatia nei confronti della diade madre-bambino" (90).
I tratti, non del tutto positivi riferiti a sé come padre, sono da interpretare, secondo gli autori, in chiave difensiva, nel senso che non c’è un rifiuto nei confronti del figlio, poiché gli aggettivi usati indicano un avvenuto riconoscimento del neonato, sia a livello fisico, descritto come più bello, sia a livello dei bisogni, descritto come più dipendente. Gli stessi ricercatori ipotizzano, inoltre, che il padre esprima un desiderio di avviare una situazione interattiva con il piccolo, poiché lo descrive come più attivo, più socievole e meno difficile.
La modificazione della rappresentazione del bambino subisce il maggior cambiamento nelle narrazioni al quinto giorno post partum, rispetto al settimo mese di gravidanza, grazie agli elementi di realtà, che la nascita regala. Il bambino reale, rispetto a quello immaginario, viene percepito come più passivo, più allego, più chiuso, più dipendente. Il fatto, che sia ritenuto maggiormente bello, è funzionale ad eliminare il bambino del sogno, il cui investimento è più forte nelle future madri, ed evidenzia la sensazione di riuscita del padre. Gli altri aggettivi vengono ricondotti, dagli autori, alla condizione che è propria del neonato, "… al tempo stesso fragile e bisognoso, ma vitale e <<allegro>> nel suo pianto energico" (91).
La rappresentazione del proprio padre rimane invariata in tutti e tre i periodi, anche di sé come uomo risulta stabile e non permeabile ai cambiamenti della vita reale, mentre vi è un accresciuta autostima al quinto giorno post partum, poiché il padre si sente più orgoglioso. Al quarto mese post partum, il padre subisce una riduzione, giudicata fisiologica dagli autori, della soddisfazione personale nei legami con gli altri, in particolar modo verso la partner e infatti si definisce più rifiutante.
Il fatto che il profilo del proprio padre sia sovrapponibile nei tre periodi, fa pensare ad una fissità della rappresentazione, dovuta ad una difficoltà di legami e modelli identificatori positivi, visto che il genitore viene descritto con aggettivi quali: abbastanza nervoso, autoritario, inflessibile, non paziente, distaccato, occupato in altre cose e non del tutto accettante.
Dal confronto delle rappresentazioni di sé come padre e del proprio padre, Fava Vizziello, Barbiero e Fiorin, fanno le seguenti considerazioni relative alla prospettiva intergenerazionale: il profilo del proprio genitore in questo campione risulta essere negativo a livello di relazione e non mitigato da descrittori positivi. Ciò non avviene nella descrizione di sé come padre, poiché vengono utilizzati aggettivi come gioioso, giocoso e giusto. Questi uomini, che si organizzano sulla difesa, si vedono come padri migliori rispetto all’immagine genitoriale interiorizzata, poiché mettono in atto una modalità di difesa per evitare la svalutazione di sé, che originerebbe da un’identificazione con l’immagine prevalentemente negativa e svalutante del proprio padre (92).
E’ interessante sottolineare come, al settimo mese di gravidanza, quanto più il proprio padre è considerato nervoso, tanto più l’uomo si percepisce come paziente e soddisfatto. Al quarto mese post partum il padre cerca di rispondere ai bisogni del neonato in modo meno distaccato, ma non vi riesce ed avverte, a livello istintivo, di seguire le orme del padre.
Gli autori concludono, che l’aver avuto un padre insicuro non permette di essere un padre autorevole; "allo stesso modo, durante l’attesa il soggetto è consapevole che quando più sperimenta il modello <<distaccato>> del proprio genitore, tanto più il ruolo di padre diventerà di certo <<meno gravoso>>, e già nei primi mesi questo modello può essere agito nel comportamento" (93).
Da come vengono descritti nelle narrazioni, è probabile che i padri dei soggetti abbiano condiviso con i figli ben pochi affetti e così questi figli, ora che stanno diventando padri, non sono in grado di condividere i sentimenti che per primi non hanno ricevuto.
La ricerca mette in evidenza come l’integrazione della funzione di padre con quella di uomo, in questi primi mesi, cominci a fatica. I padri non possono aggrapparsi a nessuna esperienza interattiva con il figlio, né nella fase della gravidanza, né nei primi quattro mesi, poiché il piccolo "… è ancora immerso nell’universo materno-femminile, accarezzato dal latte e perduto nel gioco di sguardi con il suo oggetto d’amore … è comprensibile allora che la rappresentazione del proprio ruolo paterno non trovi ancora uno spazio definito e autonomo" (94).
Il ruolo paterno verrà assunto a tutti gli effetti alla fine del primo anno, quando l’uomo potrà prendere parte attiva all’accudimento del figlio e ancora più in là, quando s’impegnerà in attività di gioco con lui. E’ evidente che prima di acquisire il ruolo di padre avrà bisogno di molto tempo e di una relazione con il piccolo basata su aspetti più fisici, reali e concreti. Sarà perciò necessario, che il nuovo nato prenda posto e spazio, sia fisico che mentale, all’interno della coppia genitoriale.
Il confronto tra il profilo della partner, come donna fornito dal compagno e quello dell’uomo, riguardo agli aspetti di personalità fornito dalla compagna, hanno messo in evidenza dati significativi. "La divergenza nell’eteropercezione dei partner", riscontrata nel settimo mese di gravidanza e nella quinta giornata post partum, riguarda "aspetti dell’umore per i quali la partner rappresenta l’uomo sempre in maniera più positiva rispetto al sé" (95) e lo descrive come più pacifico, più fiducioso, più calmo e più socievole. Questo ha l’effetto positivo di consentire al partner di assumere il ruolo di appoggio e di contenimento delle ansie e paure materne, ma anche quello negativo di obbligare l’uomo a non poter esternare emozioni, sentimenti ed affetti legati a tristezza, rabbia e paura per la salute del figlio e della partner.
Quando le donne stanno per terminare il periodo di gravidanza tendono a svalutare la rappresentazione di sé e a immaginare, invece, più positivamente il bambino ed il partner, i cui profili risultano simili.
Dopo il parto si assiste ad un’inversione, che porta la madre a vedere in modo più negativo il partner, mentre ha una rappresentazione del bambino come più somigliante a sé stessa. Nella donna questa modificazione, in gravidanza, è funzionale a riorganizzare le proprie relazioni oggettuali, per prepararsi alla nascita del figlio, nel post partum, a collocare il bambino nella propria area di influenza, per meglio creare un legame d’attaccamento.
Fava Vizziello, Barbiero e Fiorin hanno osservato una certa stabilità nel tempo delle rappresentazioni di sé come uomo e della partner come donna, mentre la distinzione netta nei tre profili di personalità (padre, madre, figlio) si trova solo con gli aggettivi brutto/bello e non intelligente e intelligente, dove il padre percepisce la propria immagine in modo più negativo rispetto al figlio e alla compagna.
Gli autori hanno voluto verificare, confrontando la rappresentazione che l’uomo ha di sé come padre e della partner come madre, come e quanto venga utilizzata l’immagine della compagna per definire le proprie caratteristiche genitoriali. I risultati evidenziano che vi è:
un aumento del numero delle correlazioni nelle due tappe del post partum (quinto giorno, quarto mese);
gli aggettivi che s’incrociano in maniera significativa riguardano l’area interattiva, cioè quella relativa alle cure del figlio (allattamento, riposo, cambio pannolino);
una tendenza dell’uomo a bilanciare le proprie caratteristiche genitoriali con quelle complementari dell’altro genitore. Al settimo mese di gravidanza, infatti, quanto più uno dei due genitori viene rappresentato come inflessibile, autoritario e controllante, tanto più l’altro viene percepito come flessibile e meno autoritario;
una correlazione negativa per la caratteristica di "occupato in altre cose", che indica come alla mancanza di partecipazione alle attività di cura di un genitore, debba necessariamente corrispondere una maggiore disponibilità dell’altro.
Il lavoro si conclude sottolineando come, dall’intervista della neo mamma, sia risultato evidente, che il partner è la persona che la donna desidera di più accanto a se, come sostegno durante il travaglio e il parto, confermando, il nuovo ruolo di contenimento delle ansie materne, che il padre ha oggi acquisito.
Note
Secondo Monique Bydlowski questa assenza indica un divieto che si riferirebbe specificatamente allo sguardo maschile. L’origine di questo divieto è legata al fatto che durante il momento espulsivo, "… la testa del neonato si porta in aventi, scolpendo per qualche minuto un fallo eretto tra le gambe della partoriente" (Bydlowski, 1997, p.67).
Bowlby, 1964, pp.10, 11.
Bowlby, 1964, p.11.
Bowlby, 1964, p.10.
Fornari, 1981.
Fava Vizziello, Barbiero, Fiorin, 2000.
Di Cagno, Gandione, Lazzarini, Rissone, 1990.
Di Cagno, Gandione, Lazzarini, Rissone, 1990.
Fava Vizziello, Barbiero, Fiorin, 2000.
Argomenti trattati in Fava Vizziello, Barbiero , Fiorin , 2000.
Winnicott, 1986, p.135.
Fornari, 1981.
Vegetti Finzi, 1990, p.254.
Bernardi, Argomenti trattati in Righetti, Sette, 2000.
Palacio Espasa, 1996.
Argomenti trattati in Di Cagno, Gandione, Lazzarini, Rissone, 1990.
Di Cagno, Gandione, Lazzarini, Rissone, 1990, p.669.
Di Cagno, Gandione, LazzariniRissone, 1990.
Maternità precoci interrotte da un aborto, secondo Vegetti Finzi, sono provocate proprio dal bisogno della giovane di confermare, che il proprio poter generativo è integro e che l’invidia infantile nei confronti della madre non l’anno deteriorato (Vegetti Finzi, 1990).
Erikson, 1968.
Di Cagno, Gandione, Lazzarini, Rissone, 1990.
Miraglia, Argomenti trattati in Righetti, Sette, 2000, p.84.
Vegetti Finzi, Argomenti trattati in Righetti, Sette, 2000.
Di Cagno, Gandione, Lazzarini, Rissone, 1990.
Winnicott, 1958.
Smorti, 1987, a, b, c.
Smorti, 1987, b.
Winnicott, 1965.
Smorti, 1987, b.
Smorti, 1987, b.
Di Cagno, Gandione, Lazzarini, Rissone, 1990.
Winnicott, 1958.
Capodieci, Ferraro e altri, 1990.
Vegetti Finzi, 1990.
Miraglia, Argomenti trattati in Righetti, Sette, 2000.
Capodieci, Ferraro e altri, 1990.
Farasin, Baldaro Verde, 1995, p.259.
Argomenti trattati in Di Cagno, Gandione, Lazzarini, Rissone, 1990.
Righetti, Sette, 2000, p.63.
Smorti, 1987, b.
Righetti, Sette, 2000, p.88.
Di Cagno, Gandione, Lazzarini, Rissone, 1990.
Argomenti trattati in Righetti, Sette, 2000, Vegetti Finzi, 1990.
Vegetti Finzi, 1990.
Horney, 1976.
Mead, 1949.
Mead, 1949, p.143.
Righetti, Sette, 2000.
Di Cagno, Gandione, Lazzarini, Rissone, 1990.
Winnicott, 1958.
Di Cagno, Gandione, Lazzarini, Rissone, 1990.
Con il termine identificazione proiettiva si intende quel meccanismo di difesa che si basa su un processo inconscio attraverso il quale aspetti propri vengono disconosciuti ed attribuiti a qualcun’altro, poiché inaccettabili per il soggetto. Ciò che si è proiettato non viene disconosciuto, come nella proiezione semplice, ma interpretato erroneamente come reazione giustificata nei confronti dell’altro (Lingiardi, 2001).
Di Cagno, Gandione, Lazzarini, Rissone, 1990.
Del Carlo Giannini, Ceccarelli, Del Papa, Ambrosini e Bormida, Argomenti trattati in Righetti, Sette, 2000.
Il fantasticare sulla possibilità di avere una coppia di gemelli è visto come una difesa dai sentimenti d’esclusione e una necessità di controllare desideri invidiosi di sottrarre il figlio alla madre (Di Cagno, Gandione, Lazzarini, Rissone, 1990).
Smorti, 1987, a, b, c.
Smorti, 1987, p.39, b.
Righetti, Sette, 2000.
Di Cagno, Gandione, Lazzarini, Rissone, 1990.
Smorti, 1987, b.
Argomenti trattati in Righetti, Sette, 2000.
Smorti, 1987, b.
Argomenti trattati in Righetti, Sette, 2000.
Smorti, 1987, b.
Prezza, Argomenti trattati in Righetti, Sette, 2000.
Righetti, Sette, 2000.
Argomenti trattati in Righetti, Sette, 2000.
Bydlowski, 1997, p.103.
Bydlowski, 1997.
Smorti, 1987, b.
Smorti, 1987, p.39, b.
Righetti, Sette, 2000.
Fava Vizziello, Barbiero, Fiorin, 2000.
Argomenti trattati in Fava Vizziello, Barbiero, Fiorin, 2000.
Palacio Espasa, 1996, p.373.
Palacio Espasa, 1996.
Palacio Espasa, 1996, 1999.
Bibring, 1959, Erikson, 1968.
Palacio Espasa, 1999.
Stern, 1995.
Argomenti trattati in Fava Vizziello, Barbiero, Fiorin, 2000.
Argomenti trattati in Fava Vizziello, Barbiero, Fiorin, 2000.
A due mesi di vita la rappresentazione, non formata totalmente, si va costruendo sulla base di scambi interattivi reali legati alla relazione fisiologica ed emozionale dovuta alle cure, mentre a due anni le rappresentazioni entrano a far parte, grazie alla comparsa del Sé verbale, del modello narrativo, ovvero della storia che il bambino comincia ad organizzare e a raccontare a se stesso e agli altri.
Argomenti trattati in Fava Vizziello, Barbiero, Fiorin, 2000, p.286.
Uomini con età media di 35 anni, con livello di scolarità medio-superiore, il cui 85% è al primo figlio.
La ricerca, che è ancora in fase preliminare, è l’inizio di un progetto alla conclusione del quale c’è l’intento di pervenire alla costituzione di un campione normativo di padri, che permetta di creare una costellazione paterna.
Nelle categorie di organizzazioni tematiche, relativamente a come viene utilizzata e gestita, all’interno della struttura psichica, la particolare funzione di essere madre stilata da Fava Vizziello e Invernizzi, l’organizzazione di difesa ha come valenza del tema il mantenere l’omeostasi. I temi esprimono una dimensione intrapsichica di difesa contro ferite narcisistiche, per cui si ricercano temi d’omeostasi rispetto all’autostima (Ad esempio il tema del genitore esperto).
Fava Vizziello, Barbiero, Fiorin, 2000.
L’organizzazione tematica di paura, anch’essa descritta da Fava Vizziello e Invernizzi, è da ricondursi alla preoccupazione materna primaria di Winnicott (Winnicott, 1958) e raggruppa temi che durante la gravidanza si riferiscono a tensioni, paure per la salute del feto, fantasie di morire di parto, mentre nel post partum a timori e preoccupazioni legate allo sviluppo del bambino.
Fava Vizziello, Barbiero, Fiorin, 2000, p.290.
Fava Vizziello, Barbiero, Fiorin, 2000, p.291.
Fava Vizziello, Barbiero, Fiorin, 2000.
Fava Vizziello, Barbiero, Fiorin, 2000, p.296.
Fava Vizziello, Barbiero, Fiorin, 2000, p.297.
Ivi.
Capitolo 9
La psicoprofilassi ostetrica.
"Se è vero che il parto, separando biologicamente madre e figlio, segna la rottura della simbiosi organica ma anche psichica, allora questa rottura sarà tanto meno traumatica quanto più il narcisismo materno era stato elaborato e aveva lasciato spazio a meccanismi di differenziazione del feto come altro da sé"
Maria Di Giusto, Antonella Lambiasi e altri, Valutazione psicometrica del dolore in travaglio
9.1 La nascita dei corsi di preparazione alla gravidanza e al parto.
La psicoprofilassi ha il significato letterale di "misura preventiva mentale" che serve per "preparare una persona ad affrontare qualsiasi prova che impegni il fisico o il carattere o entrambi" (1). Quando si parla di psicoprofilassi ostetrica la prova coincide con il parto e il soggetto, che la deve superare, è la gestante.
La nascita di questa tecnica risale agli anni ’30 e ’40 grazie all’opera innovativa del medico inglese Grantly Dick Read, che volle combattere contro la tradizione, che lasciava la donna in procinto di partorire senza ruolo attivo, né informazioni su quanto andava ad affrontare e quindi in balia di ostetrici e personale medico. Era il periodo in cui l’ostetricia stava compiendo il passaggio fondamentale dalla prassi domiciliare, affidata in gran parte alle levatrici e alla famiglia, a quella ospedaliera prevalentemente medico-specialistica. Questo cambiamento, che fu motivato da una serie di fattori socio-culturali e assistenzialistici, fra cui la riduzione della mortalità materna e della morbilità materna e fetale, rischiava di condurre la donna ad una regressione psicologica ed affettiva.
Read chiamò il suo metodo "parto naturale" (2), ritenendo che determinati fattori sociali e culturali inducono nella donna paura, che a sua volta produce tensione e causa dolore durante il parto. Quindi le basi della psicoprofilassi ostetrica si fondano sul tentativo di arginare la triade paura-tensione-dolore, fornendo alla partoriente informazioni tempestive ed adeguate, che riducono la paura, di conseguenza la tensione e quindi favoriscono il rilassamento muscolare.
I limiti della concezione di Read sono legati alla difficoltà di oggettivare la presenza della triade a causa dell’impossibilità a quantificarne gli elementi costitutivi. Un altro fattore limitante il suo metodo prevedeva uno strettissimo rapporto medico-paziente durante tutta la gravidanza, il travaglio e il parto. Questa assistenza ravvicinata produceva un’influenza psichica e una suggestione sulla gestante simile al transfert esistente tra analista e paziente, per di più la forte personalità del medico rendeva la sua tecnica simile all’ipnosi. Read stesso, infatti, affermava che la suggestione era un arma indispensabile e il miglior anestetico a disposizione dell’ostetrico, che poteva generare nella donna addirittura un’indifferenza nei confronti delle contrazioni uterine (3).
La sua tecnica non ebbe fortuna, in quanto ebbe pochi prosecutori, forse a causa dell’inconsistenza teorica del suo metodo e della mancanza di una tecnica sistematica che potesse essere usata da tutti.
In sintesi il contributo fondamentale di Read è stato quello di aver ribaltato l’idea convenzionale di un’assistenza, che lasciava la donna totalmente passiva e disinformata, evidenziando la necessità di combattere l’ansia e di produrre una collaborazione graduale ed intima tra èquipe e partoriente.
Quando le sue idee cominciavano a diffondersi, negli anni ’50, in Russia nacque il "parto senza dolore", proposto in seguito con il nome di "metodo psicoprofilattico di preparazione delle gestanti al parto" (4), che aveva una duplice origine:
in senso cronologico, rappresentava una continuazione dei metodi "ipno-suggestivi" utilizzati in Unione Sovietica come tecniche analgesiche;
in senso dottrinario si rifaceva alla filosofia pavloviana, che è stata per lungo tempo la base teorica per la biologia e la medicina sovietica.
Dalla vera e propria ipnosi usata sulle partorienti si passò alla suggestione ed in fine alla psicoterapia che già durante gli anni ’30 veniva proposta alle gestanti.
La tecnica psicoprofilattica sul piano metodologico si basava sulla ipnoanalgesia, che bene si adattava alla teoria pavloviana dei riflessi condizionati. Era realizzata con metodi esclusivamente pedagogici e quindi spogliata da qualsiasi pratica "ipno-suggestiva". Si trattava di una dottrina facile, precisa ed accessibile a qualunque donna ed anche praticabile in gruppo. Venne, così resa obbligatoria in Russia fin dal 1951.
Il metodo sovietico ebbe accesso in Europa grazie al medico francese Fernand Lamaze, che ne aveva appreso i principi e la tecnica clinica da Nikolaev a Kièv. Venne applicato, per la prima volta, a Parigi su un gruppo di gestanti impegnate politicamente in organizzazioni di estrema sinistra. Queste donne erano animate da motivi ideologici, partendo da un’estrema fiducia nella scienza, nella tecnica e nell’azione, si fecero sostenitrici della libertà femminile e inclini alla sublimazione della sofferenza fisica. Riuscirono a partorire quasi in silenzio, confermando sia l’effetto positivo dell’ideologia psicosociale, sia validità del metodo, nelle loro manifestazioni comportamentali.
Questa tecnica prese il nome di "metodo di Lamaze" e da Parigi si diffuse in Europa occidentale e in America Latina. I fattori della sua straordinaria espansione e risonanza erano due: l’influenza psicologica dello slogan "parto senza dolore" (5) e il modificarsi della figura dell’ostetrica da eccessivamente tecnica e interventista, ad una più sensibile ed umana.
Confrontando le teorie dell’inglese Read e dei neopavloviani, emergono delle analogie per quanto riguarda la parte informativo-culturale e educativo-morale:
istruzione ed informazione della donna sulla fisiologia del parto e della gravidanza e sull’influenza dello stato psichico sui fenomeni del parto e del travaglio;
esercizi fisici in preparazione al parto, fondati su diversi metodi;
orientamento psicologico della gestante verso la maternità;
importanza di un ambiente silenzioso, sereno e cortese intorno alla gestante durante il parto;
importanza di non lasciare la partoriente da sola durante il travaglio.
Le differenze, nelle due metodologie, sono le seguenti:
l’educazione fisica. Read si concentra esclusivamente sulla ginnastica prenatale generale abbinata al rilassamento muscolare. Lamaze distingue la ginnastica in due parti: quella generale, che serve a migliorare l’efficienza muscolare, l’elasticità articolare, la circolazione e previene dolori lombari, edemi e varici e quella dedicata agli esercizi fisici per il parto, a cui dovrebbero essere dedicate le ultime otto settimane di gravidanza;
il rilassamento. Per Read è generale, progressivo e indotto dal transfert del medico durante il travaglio, mentre per Lamaze è limitato nella sua durata e controllato razionalmente dalla donna (6);
metodo psicoprofilattico. Read ne ha ideato uno generico e un po’ vago, mentre quello di Lamaze è ben articolato e si basa sull’insegnamento di ciò che la donna deve fare in ogni momento del travaglio;
il rapporto. Read creava un rapporto individuale, medico-gestante in cui la personalità del medico domina su quella della donna. Lamaze, invece, inserisce la donna all’interno di un rapporto multiplo e impersonale tra insegnante ed allieve, all’interno di una pedagogia di gruppo. Il carattere innovativo dei corsi consta proprio nella preparazione di gruppi più o meno numerosi di future mamme, assistite da un èquipe di medici e ostetriche che operano in rapporto di collaborazione.
Negli anni ‘60 in Italia si diffuse un metodo denominato RAT (Training Autogeno Respiratorio) elaborato da Piscicelli, che mantiene l’aspetto didattico, umano e suggestivo di altri metodi, ma presenta la caratteristica innovativa di considerare il rilassamento respiratorio come naturale conseguenza del rilassamento generale (7).
La tecnica usata da Piscicelli, come il metodo sovietico, consta di una terapia di gruppo in cui non vi sono limitazioni per il numero di partecipanti ai corsi. Permette un’analisi emozionale della gestante e l’evidenziazione di eventuali problemi, che generano paura, reazioni di difesa e dolore. E’ un procedimento che integra gli aspetti fondanti di altri metodi e propone in più un approccio terapeutico e diagnostico. Presenta interventi tecnici innovativi basati sul rilassamento autogeno che, una volta appreso dalla donna, può essere usato in qualsiasi momento della vita in situazioni di stress. In soggetti con personalità stabile, inoltre, non rende necessaria la presenza del preparatore in sala parto (8).
I risultati di ricerche sulla RAT hanno confermato le speranze e le attese, evidenziando effetti positivi in tre diversi aspetti.
L’ansia. In gravidanza è un fattore fondamentale nel determinare la sensibilità al dolore e tende costantemente ad aumentare per raggiungere il suo apice durante il parto. Con la RAT si osserva una riduzione globale dei livelli di ansia e i casi di grave peggioramento sono solo il 4% rispetto al 20% delle donne non preparate, mentre quelli di lieve peggioramento sono il 17%.
L’urlare. E’ un aspetto comportamentale, che rappresenta una richiesta d’aiuto all’esterno, di fronte all’incapacità individuale di affrontare particolari difficoltà. Si nota che gridano oltre il 50% delle donne non preparate, il 10-15% delle donne preparate con metodo tradizionale e intorno al 10% quelle preparate con RAT.
La perdita di controllo. E’ indice di non accettazione, di non voler partecipare, di fuga, che si è osserva nel 20% delle donne non preparate, mentre nel 10% delle donne preparate con metodo tradizionale. Tale reazione si verifica solo nel 6% di quelle preparate con RAT, evidenziando, inoltre, un aumento sensibile di comportamenti ben controllati.
L’ospedalizzazione della gravidanza impone alla donna una posizione passiva, di attesa impotente di un evento, di cui è solo una portatrice. Il lessico specialistico utilizzato in sala parto, lascia la donna priva d’informazioni relative al proprio corpo, incapace di comunicare con il medico e di comprendere ciò che le sta capitando. Anche se oggi, i corsi di psicoprofilassi ostetrica vogliono rendere la donna più informata e consapevole, l’asimmetria della posizione del medico rispetto alla paziente, lasciano da una parte il sapere e il potere, dall’altra l’ignoranza e la dipendenza (9).
9.2 Origine del dolore durante il parto.
Tutti coloro, che si interessano ai corsi di preparazione al parto, devono necessariamente interessarsi allo studio del dolore in travaglio, in quanto è stato il principale impulso per la nascita di queste tecniche ed è il fattore in grado di decretarne il successo.
Lo studio del dolore ha portato ad evidenziare la presenza di moltissime variabili, tra loro correlate, che ne influenzano la percezione. Ruggero Cerruti e Maria Pia Sichel le hanno elencate, dividendole a seconda delle loro caratteristiche, in quattro variabili.
1) Variabili psicologiche: tipo e qualità di preparazione e informazione della donna; rapporto medico paziente e caratteristiche dell’ambiente (ospedale); paure per sé e per il bambino, gravidanza non voluta, paura e ansia legata al parto; strategie cognitive di controllo (ad esempio le tecniche di rilassamento).
2) Variabili fisiologiche: analgesie ed anestesia; complicazioni durante il travaglio o il parto che possono incrementare l’ansia e di conseguenza il dolore; lunghezza del travaglio che aumenta la fatica, la frustrazione e di conseguenza la valutazione soggettiva del dolore.
3) Variabili caratteriali: ansia (10) che è in grado di aumentare la sensazione soggettiva di dolore; reazione generale al dolore, che dipende da fattori educativi; estroversione/introversione: gli estroversi, rispetti agli introversi, sono più impulsivi ed operano a livelli inferiori di eccitamento corticale, oltre a ciò sono più inclini alla ricerca di nuove esperienze esterne per raggiungere un livello di stimolazione ottimale e pertanto hanno una soglia del dolore più bassa (H. Eysenck, M. Zuckerman). Nello stesso tempo però, il fatto che esprimono maggiormente degli introversi le loro lamentele, potrebbe concorrere ad aumentare la percezione del dolore; modalità di controllo di emozioni o eventi (locus of control), per cui i soggetti che ritengono di controllare il proprio destino, saranno più abili nel controllare il dolore.
4) Variabili demografiche: la condizione socio-economica: risorse economiche superiori ed un livello di istruzione superiore aumentano le probabilità che la donna frequenti un corso di preparazione al parto e che si prepari psicologicamente ed attivamente per questa esperienza. L’ambiente culturale influenza le reazioni dei membri appartenenti ad una determinato gruppo, infatti, in Italia è diversa l’esteriorizzazione comportamentale tra regioni settentrionali e meridionali. L’età anagrafica non ha alcuna rilevanza, in quanto dipende dal livello maturativo e di consapevolezza della donna (11).
Nella ricerca sulla valutazione psicomentrica del dolore in travaglio e nel parto, alcuni psicologi (12) hanno definito il dolore come: "peculiare esperienza che, a partire da una stimolazione sensoriale nocicettiva, nel suo viaggio dalla periferia alle aree associative corticali, si modula secondo molteplici aspetti cognitivo-affettivi, consci e inconsci, fino a divenire percezione del tutto soggettiva e personale" (13).
Il dolore è caratterizzato da tre aspetti fondamentali.
Aspetto sensoriale strettamente legato a fattori organici ed alla percezione dello stimolo da parte di ricettori specifici e al trasporto della sensazione dalla periferia al centro.
Aspetto affettivo-motivazionale dipendente da emozioni quali paura, tensione, ansia, suscitate dall’esperienza dolorifica e dalla tendenza a reagire con l’attacco o con la fuga nel tentativo di cercare il sollievo. La percezione del dolore caricata di valenze affettive viene valutata in riferimento alla situazione totale, alle esperienze precedenti e al valore dato alla circostanza presente.
Aspetto valutativo che coincide con lo spazio multidimensionale di un particolare soggetto in un determinato momento.
Quindi qualsiasi dolore è la risultante del convergere di molti fattori interagenti e ciò risulta particolarmente evidente quando si parla del dolore del parto e del travaglio in cui bisogna considerare:
fattori strettamente organici che dipendono, sia dalla dinamica del travaglio: frequenza, intensità e durata delle contrazioni uterine, sia dalla partoriente: età, condizioni generali della donna, condizione di preparazione della cervice uterina e soglia personale della percezione del dolore (14);
fattori razziali, etnici e culturali che possono influenzare la valutazione del dolore, in quanto è l’aspetto più sensibile all’apprendimento e ai condizionamenti sociali; il parto potrà essere vissuto come un’esperienza semplice e naturale o dolorosa e pericolosa in relazione a miti, tabù e stereotipi culturali (15);
fattori psicologici che consistono in pensieri, atteggiamenti, tono dell’umore, precedenti esperienze, qualità dell’informazione e vanno a costituire i vissuti consci e inconsci relativi a quella gravidanza e a quel parto (16).
Bibring, come Erikson, ha definito la maternità una crisi maturativa, che coinvolge l’intera identità femminile e che si completa con il parto (17). Questo processo evolutivo culminerà con un’esperienza positiva legata all’aver generato, ma potrà anche essere percepita come perdita, mutilazione e separazione, se dalla simbiosi iniziale con il feto non si è passati alla differenziazione.
I risultati di una intervista condotta presso la Clinica Ostetrica e Ginecologica dell’Università La Sapienza di Roma (18) mettono in evidenza che l’atteggiamento psichico è sereno nel 67% delle pazienti, mentre ambivalente e conflittuale nel 21% dei soggetti composto da multipare o da donne che non avevano seguito un corso di preparazione al parto.
Il 47% segue un corso di psicoprofilassi al parto (25% primipare, 22% multipare), mentre il 52% non frequenta corsi per mancanza di servizi (6%), di tempo (15%), ma soprattutto perché non lo riteneva necessario (32%). Il 38% delle pazienti si sente molto sicura (maggiormente le multipare e quelle che hanno seguito un corso), il 57% prova una sicurezza media con qualche incertezza, solo il 5% ha seri dubbi sulle proprie capacità.
Il tempo medio di durata del travaglio è di 4 ore e 53 minuti, più lungo nelle primipare che nelle multipare, mentre nessuna influenza derivava dall’aver seguito un corso.
Il dolore totale risulta dalla somma di vari dolori parziali (sensoriale, affettivo, valutativo).
Dalla valutazione dei coefficenti di correlazione si è osservato che il peso maggiore è costituito dalla componente affettiva, alla quale segue quella sensoriale, mentre minore è il contributo della componente valutativa, risultata maggiore nelle primipare rispetto alle multipare.
Hanno un certo peso nella percezione del dolore, anche, i fattori socioambientali quali età, scolarità, professionalità, mentre l’aver seguito un corso, la programmazione o meno della gravidanza, il grado di fiducia in sé come madre non hanno favorito una percezione più lieve della sofferenza durante il travaglio.
Questa ricerca conferma la caratteristica multifattoriale del dolore da parto, legato per ogni donna, a particolari intrecci di diversi aspetti: organici, psichici, consci, inconsci che personalizzano l’esperienza vissuta.
La stimolazione sensoriale del parto, indubbiamente elevata, evoca reazioni di tensione e paura generalmente proporzionate all’intensità della stimolazione nocicettiva. Il dolore è definito dalle gestanti come lancinante, acuto, come qualcosa che strappa. L’aspetto affettivo lo rende stancante, soffocante e globalmente viene percepito come intenso ed addirittura insopportabile. Ciò che rende un travaglio più doloroso di un altro, fra le variabili sensoriali, è la durata del tempo del travaglio, che a sua volta può dipendere dalle caratteristiche delle connotazioni uterine, ma soprattutto dalle condizioni generali della donna.
Sul piano psicologico il grado di visualizzazione del bambino appare legato ad una minore durata del travaglio e dunque ad una percezione sensoriale del dolore meno intensa.
"Se è vero che il parto, separando biologicamente madre e figlio, segna la rottura della simbiosi organica ma anche psichica, allora questa rottura sarà tanto meno traumatica quanto più il narcisismo materno era stato elaborato e aveva lasciato spazio a meccanismi di differenziazione del feto come altro da sé" (19).
Non meraviglia, dunque, che riuscire a vedere il figlio con caratteristiche definite, prima del parto, significa affrontare un trauma minore al momento della separazione effettiva e una migliore preparazione alla nuova relazione con il figlio.
Avere molta fiducia nelle proprie capacità materne sembra, invece, generare un vissuto di dolore più intenso, poiché secondo Di Giusto, Lambiasi ed altri non indicherebbe una reale sicurezza, ma potrebbe essere una copertura di grandi conflittualità inconsce responsabili della maggiore percezione di dolore durante il parto.
Gli autori concludono la discussione del loro lavoro dichiarando che è molto difficile individuare quali fattori abbiano una sicura influenza sul dolore del travaglio e del parto, in quanto ognuno assume un peso relativo diverso per ogni donna. Risulta più facile valutarne alcuni fattori rispetto ad altri, infatti, si possono misurare con una certa facilità aspetti comportamentali coscienti, mentre ci sono maggiori difficoltà nel valutare gli quelli inconsci (20).
9.3 Modello multifocale d’intervento terapeutico in gravidanza.
Parlare di gravidanza oggi significa parlare di un periodo che la donna attraversa, a cui viene riconosciuto un valore ed un potenziale emotivo, fisiologico, affettivo e psicologico.
Pier Luigi Righetti psicologo e Laura Sette laureata in pedagogia, entrambi specialisti in psicoprofilassi ostetrica, ritengono che il modello teorico e d’intervento terapeutico migliore per le donne che stanno per affrontare una gravidanza sia multifocale. "Con questa terminologia ci si riferisce ad un intervento…" nel quale "…la presa in carico totale della gestante richiede più metodi e non un unico punto di vista teorico: è indispensabile un’analisi globale dei fattori di realtà, dell’ambiente fisico, psicologico, sociale e relazionale in cui si inserisce l’esperienza di una gravidanza" (21).
Secondo i due esperti la gravidanza rappresenta un periodo esperienziale nella vita della donna da trattare momento per momento, nell’hic et nunc della consapevolezza del vissuto presente, per preparare non solo la gestante, ma chi la circonda ad affrontare l’imprevedibilità dei nove mesi. Sarebbe, dunque, sbagliato operare interventi terapeutici rivolti al passato della donna e della coppia. Di conseguenza lavorare in un setting esclusivamente psicologico non è sufficiente e gli autori propongono un setting medico-psicologico allargato (22). Deve comprendere non solo diversi professionisti (ginecologo, neonatologo, ostetrica, pediatra, psicologo, ecc…), "ma tutto l’ambiente emotivo della gestante di questo periodo" come ad esempio i famigliari e soprattutto il futuro padre (23). Il personale ospedaliero deve adottare un ottica multifocale per poter meglio contenere emozioni, preoccupazioni e relazioni della futura mamma.
Di solito un unico soggetto, il medico o il ginecologo, fa da mediatore assicurando la comunicazione e la relazione tra operatori.
Un intervento di questo tipo dovrebbe rispettare tre aspetti:
protezione: la puerpera deve sentirsi protetta per affrontare questa esperienza nel modo più positivo e normale possibile;
sicurezza: la sicurezza, insieme alla protezione, rendono tranquilla la gestante e dipendono dall’atteggiamento del personale medico, ed anche lo psicologo potrebbe essere una figura utile a tale fine;
informazione: deriva dai continui scambi verbali che il personale medico ed ospedaliero possono offrire durante questo periodo di preparazione alla maternità.
Secondo Righetti e Sette per rendere operative le idee proposte è possibile attivare dei corsi di preparazione al parto, superando le vecchie tecniche e seguendo una serie di regole, quali:
fornire informazione sanitaria, ginecologica e ostetrica alla coppia, toccando i temi più disparati riguardanti la fisiologia e l’igiene della gravidanza, del travaglio e del parto; riguardanti la vita psicologica ed emotiva, di coppia durante l’esperienza prenatale e di pediatria durante il primo anno di vita del neonato;
integrare i precedenti aspetti teorici con attività pratiche comprendenti rilassamento verbale e musicale, esercizi di respirazione e attività fisio-motoria per preparare al parto e al travaglio;
comprendere la "formulazione di un profilo di personalità per valutare la situazione psicologica della donna e quindi decidere un’eventuale consulenza psicologica di sostegno" (24);
monitorare a livello medico-ginecologico la gestante con tutti gli esami necessari: visite ostetriche, ginecologiche, esami di laboratorio, consulenze genetiche, ecografie, ecc..;
attivare un servizio di assistenza neonatale, per facilitare il compito della neo-mamma e promuovere un senso di sicurezza verso il suo ruolo. In alcuni ospedali, infatti, viene proposta "l’ora del tè" in cui le mamme dopo il parto si incontrano per parlare dell’esperienza vissuta e scambiarsi consigli insieme allo psicologo e al pediatra.
Lo psicologo, all’interno dell’ospedale, deve svolgere la sua attività non solo per le gestanti, ma deve anche assumersi il compito di organizzare corsi di formazione ed aggiornamento per ostetriche, personale medico e paramedico (25).
9.4 Educazione prenatale e tecniche innovative.
L’educazione prenatale si propone di far conoscere, ai futuri genitori, la vita del bambino prima della nascita e di consentire loro di entrare precocemente in relazione con lui. La vita prenatale è un periodo fondamentale per lo sviluppo fisico e psichico del bambino, perché "ogni esperienza, ogni momento, l’essere rilassato e agitato, ogni attimo della vita intrauterina sono tutti elementi che il feto memorizza" (26).
Il bagaglio esperienziale del feto è costituito da ogni momento della vita intrauterina, che può essere considerato un particolare stadio dell’Io e pone le basi dell’Io prenatale (27). Quest’ultimo si sviluppa durante i nove mesi, infatti, già dopo il quarto-quinto mese di gravidanza il feto sente, si muove, esplora, risponde in modo creativo e partecipa alle esperienze emotive delle madre. Mamma e feto comunicano ed hanno scambi emotivi tramite messaggi neuro-ormonali, poiché ogni esperienza emotiva materna viene trasmessa al feto che ne trae benefici, ovviamente se la stimolazione è piacevole e positiva. Al contrario quando lo stato emotivo materno è negativo e ansiogeno, il feto può ricevere una scarica ormonale e un bombardamento d’ansia.
Pier Luigi Righetti (28), membro dell’Associazione Nazionale di Psicologia ed Educazione Prenatale, presenta dati oggettivamente registrati, che mostrano come il bambino è in grado di dare delle risposte identiche a stimoli identici, sia in condizione intrauterina, che dopo la nascita. A conferma, delle capacità di apprendimento del feto, gli autori riportano dati sperimentali in cui il bambino subito dopo la nascita mostra di riconoscere la voce materna. Infatti se la mamma e un’estranea parlano, una a sinistra e l’altra a destra della culla, il neonato si volterà dalla parte della madre.
Secondo gli autori il feto ha una propria identità biologica, genetica e psicologica, che subisce un modellamento durante tutta la vita intrauterina grazie a più fattori genetici ed ereditari, che interagiscono con stimoli interni ed esterni e con le capacità del feto di selezionare gli input e di fornite output creativi (presentando già una precisa personalità).
Oggi si sta assistendo alla nascita di un nuovo paradigma (Moscovici direbbe di una nuova rappresentazione sociale) per cui, il bambino, nell’immaginario comune non è più considerato come in passato indifferenziato, incapace di vedere e di sentire, privo di intelligenza, sensibilità e capacità relazionali e comunicative. La nuova visione di un feto attivo e vitale è nata nel corso dell’ultimo decennio grazie alla tecnologia, che si avvale di:
sistemi ecografici altamente sofisticati che registrano i movimenti;
fotoscopie che permettono l’osservazione all’interno degli organi e della cavità uterina grazie ad un sottile endoscopio di fibra ottica, che permette la fotografia e videoregistrazione del feto;
cardiotocografia che registra il battito cardiaco fetale e la coincidenza con le contrazioni uterine subito prima della nascita;
elettroencefalogrammi per la registrazione di periodi REM nel sonno fetale;
fonocardiografo che audioregistra l’attività cardiaca della gestante (29).
Numerosi studi hanno messo in luce l’esistenza di una certa sincronizzazione tra la frequenza cardiaca materna e quella fetale, riscontrando come il suono del battito cardiaco materno è quello predominante nell’ambiente uterino. Il feto non trascorre i suoi 9 mesi in un ambiente silenzioso, anzi percepisce oltre al ritmo del cuore materno, il pulsare dei grossi vasi sanguigni che passano dietro l’utero, la voce della madre e i suoni, che provengono dall’esterno, come musiche, rumori, voci, ecc…
Il bambino, fin dal concepimento, è un essere attivo, in continua interazione con la madre e con l’ambiente circostante : "… percepisce, ricorda, apprende e manifesta un proprio comportamento con tratti individualizzati ben precisi" (30).
Il fatto di riconoscere al nascituro le facoltà suddette, grazie all’educazione prenatale, impegna i genitori e tutta la società a tutelare la naturale crescita e lo sviluppo del feto. Tutto ciò inoltre contribuisce ad una revisione dello stile di vita compatibile, non solo con le necessità della gestante, ma soprattutto con il benessere e l’armonia del nuovo membro della famiglia (31).
Il termine educazione trova la sua origine etimologica nell’espressione latina "educo", che ha due significati: tirar fuori da… e aver cura. Come già detto l’educazione prenatale prevede di fornire informazioni sulla vita del feto ai genitori per renderli consapevoli della possibilità e necessità di entrare in relazione con lui fin da prima della nascita.
A partire dagli anni settanta sono state proposte diverse metodologie per migliorare il periodo gravidico derivanti dall’esperienza clinica, fisica e artistica.
Oggi lo studio delle capacità percettive e sensoriali del feto permette di valutare l’influenza dell’ambiente e della stimolazione sensoriale sui processi di crescita e di sviluppo del feto.
Durante i nove mesi di gravidanza nell’utero si intrecciano molteplici stimoli sensoriali e in particolare quelli sonori (32).
In Francia, la musicista Marie-Luise Aucher ha ideato la "maternità cantata" (33), poi diffusasi anche in Italia grazie alla compositrice Damiana Fiscon.
Secondo la musicista francese i suoni non agiscono solo sull’udito, ma sull’intero corpo e le vibrazioni della musica favoriscono uno sviluppo equilibrato del feto. Quest’ultimo percepisce la voce della madre, che arriva come un insieme di vibrazione trasmesse attraverso canali ossei e organi interni materni, sia come suono endogeno che esogeno.
Aucher fece una serie di osservazioni su famiglie di cantanti professionisti, dove la madre aveva una voce da soprano e il padre da baritono, per comprendere quali fossero i distretti corporei del bambino, sollecitati dalla voce.
I bambini le cui madri avevano cantato durante la gravidanza presentavano effetti positivi quali:
maggiore solidità della nuca e della colonna vertebrale;
percezioni visive più sviluppate;
riflessi più attivi;
vigore degli arti superiori;
prensione indice-pollice;
memorie uditive di testi e di voci durante la gravidanza;
maggiore disponibilità alla socializzazione.
Quando era il padre a cantare, durante la gravidanza, il figlio presentava vigore negli arti inferiori, precoce deambulazione e maggiore capacità di regolare la statica con la dinamica del corpo. I risultati mostrano come suoni più gravi provenienti dalla voce paterna stimolano un’area del copro nel feto, che va dalle ginocchia alle spalle risuonando in basso, mentre i suoni più acuti della voce materna vibrano dalla vita all’estremità cefalica risuonando in alto.
Aucher sottolinea come un essere umano posto in condizioni di silenzio subisca necessariamente un deterioramento dello sviluppo.
La pratica del canto prenatale può, quindi, avere effetti positivi nello sviluppo psicofisico del feto e consiste in esercizi psicofisici, vocalizzi, canzoncine, filastrocche e ninnananne da cantare da soli, in coppia, con la famiglia o in gruppo. Anche il comporre liberamente le proprie canzoni viene ad occupare uno spazio privilegiato in questa pratica innovativa.
La maternità cantata favorisce la comunicazione madre-figlio, aiuta la crescita di quest’ultimo e prepara la madre al parto stimolando e tonificando il diaframma, i muscoli intercostali e quelli del bacino.
In America, Renè Van de Carr ha fondato la prima "Università prenatale" con il fine di creare le condizioni migliori per lo sviluppo del feto, del suo cervello e per favorire la comunicazione precoce genitori-figlio. Ai genitori vengono fatti eseguire esercizi che devono favorire un legame precoce madre-figlio e padre-figlio e viene fatta seguire una dieta volta a migliorare l’alimentazione, diminuire il consumo di sigarette ed alcolici ed in fine "destinata a promuovere l’accrescimento del cervello del feto" (34).
A partire dal quinto-sesto mese di gravidanza viene proposta una stimolazione prenatale sistematica rispondente alle caratteristiche del nascituro. Una ricerca su tre gruppi di genitori ha messo in evidenza che, con questo metodo, si ottengono i seguenti effetti:
le madri sono in grado di percepire i tentativi del feto di comunicare;
le madri allattano senza difficoltà e più a lungo i figli;
i padri sviluppano legami più forti con i propri figli;
uno sviluppo più precoce della dentizione.
In Italia i corsi di preparazione sono organizzati dall’ANPEP (Associazione Nazionale di Psicologia ed Educazione Prenatale), durante le prime settimane di gestazione, per indirizzare i futuri genitori verso un percorso di consapevolezza sempre maggiore grazie ad una serie d’informazioni sulla vita prenatale e sulla psicologia del feto. Il programma dell’ANPEP prevede una serie di suggerimenti e raccomandazioni che riguardano:
l’interazione: in quanto è fondamentale che i genitori passino più tempo possibile insieme. La madre ha bisogno di cure ed amore da parte del compagno e quest’ultimo ha bisogno di essere coinvolto precocemente (anche durante l’attesa) dalla compagna, in modo da poter passare più facilmente dal ruolo di marito a quello di padre;
l’alimentazione: che deve comprendere cibi sani e genuini per contribuire ad una adeguata crescita del feto, mentre devono essere evitati il fumo che riduce la quantità di ossigeno nel sangue e può impedire ai tessuti di svilupparsi adeguatamente, gli alcolici che penetrando nella placenta e nel sangue del feto possono produrre squilibri metabolici e ritardi mentali ed in fine le sostanze eccitanti e i farmaci;
la respirazione i cui esercizi vanno svolti per 5 minuti al giorno fino al parto e che a sua volta favoriscono il rilassamento. Quest’ultimo riduce le quantità di adrenalina e di ormoni dello stress generati da ansie, paure, preoccupazioni (reali e fantasticate) e inoltre permette di entrare in contatto con se stessi e con il feto, sentendolo vicino e permettendo scambi affettivi e mentali con lui;
l’immaginazione: attraverso cui si può entrare nel nostro mondo interiore e durante l’attesa fa emergere desideri, bisogni, rafforzando la consapevolezza, l’autocontrollo e la fiducia nelle proprie capacità. Immaginare permette inoltre di liberarsi dalle paure, dai fantasmi e offre la possibilità di accresce l’accettazione e la disponibilità verso il figlio;
la comunicazione: i canali preferibili per entrare in contatto con il feto sono il suono, la voce e le parole di entrambi i genitori. Questi stimoli sensoriali creano un legame d’amore e d’attaccamento precoce tra nascituro e futuri genitori. Favoriscono lo sviluppo nel bambino del linguaggio, dell’udito, delle capacità di socializzare, di apprendere, accrescendo la memoria e le abilità intellettive.
Un altro tipo di comunicazione, a parte quella verbale, è quella psicotattile (35), messa in atto in modo spontaneo dalla madre che, per rassicurare il bambino, lo accarezza ponendosi le mani sul ventre;
la stimolazione positiva dei sensi della madre: tutto ciò che di positivo dona armonia, benessere, serenità e felicità alla madre è ben accetto. Quindi si consigliano letture di libri e poesie, ascolto di musica, visite a musei o la contemplazione di paesaggi, mentre sono da evitare conversazioni, spettacoli e letture che possono deprimere, agitare o impaurire la madre (36).
Ricerche sperimentali, su diversi gruppi di gestanti, hanno dato risultati molto positivi, mostrando che i genitori, grazie a scambi precoci, sviluppano un attaccamento profondo e precoce verso il bambino, il parto viene facilitato e i neonati si presentano normali, vivaci, sicuri e disponibili.
Un altro dato interessante emerso dalla ricerca indica che, grazie a questa tecnica, vengono messe in luce fin da subito le situazioni di disagio e difficoltà per poterle così ridimensionare o superare, permettendo alla gestante e al nascituro di vivere una gravidanza serena e partecipata.
Una madre ansiosa durante la gravidanza può avere un figlio ansioso, aggressivo o irritabili, mentre una madre rilassata, che vive l’attesa con fiducia, amore e serenità crea un legame madre-bambino positivo (37).
9.5 Gravidanza e musicoterapia.
La musicoterapia si occupa dello studio e della ricerca del "complesso suono essere umano" a scopi diagnostici e terapeutici. "Il suo corredo teorico è multidisciplinare: comprende studi recepiti dalla medicina, dalla psicologia, dalla fisica, dalla psicologia della musica, dalla semiologia, per mezzo dei quali accosta il fenomeno del totale coinvolgimento dell’uomo all’opera del suono" (38).
Il suono, indipendentemente dal fatto di essere prodotto naturalmente o artificialmente, oltre a predisporre al canto, crea nell’uomo stati d’attivazione e risposte comportamentali, modificando il battito cardiaco, la respirazione, gli atteggiamenti posturali e cinetici.
"La relazione suono essere umano è circolare": l’uomo è contemporaneamente ricevente ed emittente, e "… attraverso la sua presenza sonora nel mondo concretizza il suo stesso modo di esistere e di comunicare" (39).
L’uomo, secondo Elisa Beneassi (40), utilizza il suono come una manifestazione comunicativa, che lo pone in relazione con gli altri.
L’uso della comunicazione non verbale della musicoterapia operativamente sfrutta l’unità suono-ritmo-movimento. Le tecniche utilizzate possono essere due:
ricettive: sono rappresentate dalle proposte del musicoterapeuta di brani musicali e stimolano nei soggetti facoltà di ascolto verso il mondo esterno e verso sé stessi. La direzione del suono è centripeta e procede dall’esterno verso le risonanze interne.
attive: vengono offerti oggetti e strumenti da utilizzare per creare suoni o si stimola la produzione vocale, per far emergere la creatività in un lavoro a direzione centrifuga, in quanto procede dall’interno verso l’esterno.
La musicoterapia promuove, durante il periodo della gestazione, una relazione circolare tra padre, madre e nascituro, attraverso l’uso della comunicazione non verbale (41).
Ogni soggetto della triade è contemporaneamente emittente e ricevente. Il primo dialogo con il bambino è composto da gesti vocali, silenzi e proposte tattili dei genitori.
La musica, strumento principe di questa tecnica, è in grado di creare coesione affettiva, poiché è il linguaggio delle emozioni, degli stati d’animo e le immagini mentali. Il linguaggio sonoro tramite il paradigma ritmo-suono-movimento, che esalta la creatività e l’originalità, va nel cuore della relazione madre-padre-bambino: "… apre e svela le modalità comunicative più profonde, suggerisce la creazione di un rapporto empatico con il nascituro, unisce la coppia genitoriale mantenendo viva la percezione della singolarità di ogni soggetto" (42).
Svariati sono i percorsi di musicoterapia che possono essere proposti in gravidanza: improvvisazioni musicali che permettono di dare corpo alle emozioni, realizzazioni di testi e melodie in cui i neo-genitori possono far emergere i loro stati d’animo, attività di ascolto e dialoghi sonori rivolti al bambino.
Elisa Benassi propone degli interessanti confronti fra il canto e la gravidanza, che possono essere riassunti nei seguenti punti:
La gravidanza e il canto coinvolgono l’individuo in modo totalizzante, portando ad una attivazione psicocorporea. La gestazione, infatti, modifica non solo lo stato fisiologico e ormonale dell’organismo, ma anche quello psichico, mentre il canto, a differenza della semplice emissione vocale, enfatizza ogni aspetto della fonazione avendo risvolti biochimici e neurologici.
Entrambe le esperienze creano una rappresentazione corporea rinnovata, poiché nella gravidanza vi è una necessaria modificazione dell’immagine corporea e il canto, attraverso l’attivazione somatoestesica e sensomotoria prodotta dalla fonazione, favorisce una ridefinizione dello schema corporeo.
Entrambe le condizioni stimolano un vissuto ambivalente, che permette una duplice percezione degli spazi interni ed esterni al corpo. Nello stato gravidico il ventre si espande verso l’esterno e il feto viene percepito contemporaneamente come oggetto ritenuto e soggetto separato, con una propria autonomia. Il canto crea una doppia percezione: esterna in quanto la produzione vocale si espande nello spazio acustico e interna per le stimolazioni fisiologiche che produce.
Canto e gravidanza stimolano contemporaneamente facoltà ricettive d’ascolto e capacità attive. Nella relazione madre-bambino vi è un’alternanza di proposte e risposte sonore, ritmiche e motorie durante l’ascolto dei movimenti fetali. In generale queste si ripercuotono nel bambino e stimolano le capacità attive di investimento affettivo sul nascituro dei genitori. Nel canto sono contemporaneamente presenti la dimensione attiva dell’atto vocale e quella ricettiva e sensoriale dell’ascolto (43).
Nella pratica i corsi di canto prenatale sono articolati in tre momenti: il lavoro corporeo, i vocalizzi e il canto di brani appartenenti al repertorio di testi conosciuti. In tutti è fondamentale il rilassamento, il ritrovamento della regolarità del respiro e la scoperta della sensorialità.
L’esperienza vocale stimola la consapevolezza di sé e infonde fiducia nelle proprie capacità di affrontare il lavoro fisico e psichico che richiede la gravidanza.
Gli stati emozionali stimolati del canto sono legati a sensazioni di pace, piacevolezza, apertura, liberazione di tensioni accumulate e distensione. Anche il pianto, se compare, ha significato liberatorio e rappacificante senza bisogno di spiegazioni e parole.
Il canto fa emergere parti creative di entrambi i genitori stimolando l’ascolto, l’aspetto ludico, tanto che la gravidanza viene vissuta come una rinascita personale. I padri, che partecipano ai corsi, riferiscono di sentire un maggior desiderio di comunicare con il feto e di canticchiare per lui. La reazione motoria del feto produce grande felicità e instaura una precoce e tacita complicità.
In conclusione Benassi dichiara che la coppia, attraverso la musicoterapia, sviluppa maggior coesione, capacità comunicative e calore affettivo nei confronti del nascituro (44).
Note
Cerrutti, Sichel, 2000, pp.242.
Argomenti trattati in Cerruti, Sichel, 2000, p.243.
Argomenti trattati in Cerruti, Sichel, 2000.
Argomenti trattati in Cerruti, Sichel, 2000, p.244.
Ivi.
In alcune fasi del parto il rilassamento è parziale, perché rivolto ad alcuni gruppi muscolari, mentre altri devono essere messi in azione (ad esempio rilassamento dei muscoli addominali e degli arti e attivazione dei muscoli respiratori per ottenere la respirazione controllata). In altre fasi il rilassamento è generale poiché è necessario il riposo fisico dei muscoli affaticati per risparmiare le forze in vista dell’attività muscolare ulteriore.
La tecnica tradizionale considerava nell’allenamento e nell’attuazione pratica un rilassamento generale ed uno respiratorio e spettava alla donna applicarli contemporaneamente.
Argomenti trattati in Cerruti, Sichel, 2000.
Ivi.
Consiste in una risposta ad un pericolo caratterizzata da alterazioni psicofisiologiche.
Argomenti trattati in Cerruti, Sichel, 2000.
Maria Di Giusto del dipartimento di scienze Psichiatriche e Medicina Psicologica dell’Università La Sapienza (Roma) e Antonella Lambiasi, Gabriella Cantonetti e Lucia Bonessio dell’Istituto di Clinica Ostetrica e Ginecologica.
Di Giusto, Lambiasi, Cantonetti, Bonessio, 1994, p.238.
Particolarmente bassa in alcune donne che a parità di stimolo nocicettivo sperimentano un dolore di minore intensità.
Variano, inoltre, anche la modalità di espressione del dolore: per esempio le culture latine manifestano più apertamente il dolore anche tramite le espressioni verbali, a differenza delle culture anglosassoni.
Di Giusto, Lambiasi, Cantonetti, Bonessio, 1994.
Bibring, 1959, Erikson, 1968.
La ricerca, fu portata avanti su 60 gestanti con un’età media di 30 anni di cui il 48% erano primipare, mentre il 52% aveva già partorito.
Nelle 24 ore successive al parto furono sottoposte ad una intervista guidata (che prevedeva solo risposte SI/NO) per raccogliere dati socio-ambientali ed informazioni sui vissuti relativi alla gravidanza: reazioni al concepimento, gravidanza pianificata o meno, adattamento organico e psichico alla condizione, preparazione al parto, fiducia in sé come madre, valorizzazione del bambino. In più ad esse fu fatto compilare un questionario per la valutazione del dolore (McGill Pain Questionnaire di R. Melzack) mettono in evidenza che l’inizio della gestazione è caratterizzato da sentimenti positivi nel 67% dei casi e soprattutto nelle primipare, mentre solo il 15% delle madri risultano afflitte da ansie e timori per la gravidanza in sé (in questo caso erano più le multipare).
Di Giusto, Lambiasi, Cantonetti, Bonessio, 1994, p.246.
Di Giusto, Lambiasi, Cantonetti, Bonessio, 1994.
Righetti, Sette, 2000, p.277.
Nell’accezione classica il setting indica un’area spazio-temporale vincolata da regole che determinano ruoli e funzioni e permettono di analizzare il significato affettivo dei vissuti del paziente.
Righetti, Sette, 2000, p.278.
Righetti, Sette, 2000, p.277.
Righetti, Sette, 2000.
Soldera, 2000, p.128.
Freud definiva l’Io quella parte della mente in comunicazione con il mondo esterno e come intermediaria tra i bisogni biologici e il mondo esterno.
Psicologo ed esperto di psicoprofilassi ostetrica a Padova.
Argomenti trattati in Soldera, 2000.
Soldera, 2000, p.305.
Soldera, 2000.
Il feto è in grado di riconoscere, già all’interno dell’utero, nuovi suoni e tratti prosodici del linguaggio.
Soldera, 2000, p.307.
Ivi.
La comunicazione psicotattile è una tecnica che può essere effettuala contemporaneamente da entrambi i genitori toccando dolcemente il ventre materno, facendo massaggi, movimenti e pressioni.
Soldera, 2000.
Soldera, 2000, p.305.
Benassi, 2000, pp.310-311.
Benassi, 2000, p.312.
Laureata presso il DAMS di Bologna e specializzata in musicoterapia e polifonia è anche ostetrica e si occupa degli effetti della musica in gravidanza.
La comunicazione con il nascituro avviene in modo spontaneo e immediato.
Benassi, 2000, p.313.
E. Benassi, 2000.
E. Benassi, 2000, pp.313.