versioni latine della maturità 2000

 

Queste, che seguono, sono le versioni assegnate nella maturità 2000, rispettivamente al "Liceo Classico" [Vitruvio] e al "Magistrale" [Cicerone].

La disposizione dei testi segue una linea di difficoltà progressiva decrescente, che ritengo utile dal punto di vista didattico e per la "memorizzazione". Per ogni brano, infatti, sono presenti, nell'ordine: l'originale del testo in latino; ancòra l'originale in latino, ma stavolta arricchito con note morfologico-sintattiche intertestuali (debitamente evidenziate in grassetto); ben tre traduzioni in italiano (tanto per renderci conto di come un brano possa essere reso in modi differenti - con traduzioni più o meno libere o letterali - ma tutti egualmente eleganti ed efficaci); nonché, infine, una breve nota stilistica, da me redatta.

Al di là dell'utilizzo contingente di questo lavoro (il rapporto sullo scritto in sede d'esame), credo che esso vi potrà altresì servire in seguito come materiale d'esercitazione, casomai per formarvi un'idea di cosa significhi comprendere analizzare tradurre e di come sia importante seguire questo criterio sempre, e in particolare in sede d'esame.

Vi consiglio, infine, di salvare immediatamente la pagina, e di consultarla in "modalità non in linea": risparmierete tempo e denaro. Buon lavoro.

 

 

Versione del Liceo Classico

La formazione dell’architetto

Cum ergo tanta haec disciplina sit, condecorata et abundans eruditionibus variis ac pluribus, non puto posse se iuste repente profiteri architectos, nisi qui ab aetate puerili his gradibus disciplinarum scandendo scientia plerarumque litterarum et artium nutriti pervenerint ad summum templum architecturae. At fortasse mirum videbitur imperitis, hominis posse naturam tantum numerum doctrinarum perdiscere et memoria continere. Cum autem animadverterint omnes disciplinas inter se coniunctionem rerum et communicationem habere, fieri posse faciliter credent; encyclios enim disciplina uti corpus unum ex his membris est composita. Itaque qui a teneris aetatibus eruditionibus variis instruuntur, omnibus litteris agnoscunt easdem notas communicationemque omnium disciplinarum, et ea re facilius omnia cognoscunt. Ideoque de veteribus architectis Pytheos, qui Prieni aedem Minervae nobiliter est architectatus, ait in suis commentariis architectum omnibus artibus et doctrinis plus oportere posse facere, quam qui singulas res suis industriis et exercitationibus ad summam claritatem perduxerunt. Id autem re non expeditur. Non enim debet nec potest esse architectus grammaticus, uti fuerat Aristarchus, sed non agrammatus, nec musicus ut Aristoxenus, sed non amusos, nec pictor ut Apelles, sed graphidos non imperitus, nec plastes quemadmodum Myron seu Polyclitus, sed rationis plasticae non ignarus, nec denuo medicus ut Hippocrates, sed non aniatrologetus, nec in ceteris doctrinis singulariter excellens, sed in is non imperitus. [Vitruvio, I lib. "De architectura" (passi 11-13)]

 

Testo originale con note.

Cum [costruzione cum + congiuntivo] ergo tanta haec disciplina sit, condecorata et abundans eruditionibus variis ac pluribus, non puto posse [infinitiva] se [se è complemento oggetto dell'infinito profiteri, con architectos predicativo e il soggetto che si evince dalla relativa successiva] iuste repente profiteri architectos, nisi qui ab aetate puerili his gradibus disciplinarum scandendo [è ablativo strumentale del gerundio (lett. "con il salire"); non è concordato con altri termini] scientia plerarumque litterarum et artium nutriti pervenerint ad summum templum [qui il valore di templum propriamente è metaforico, giocando sul doppio senso della parola con il significato originario di "luogo aperto ed elevato", ma è accettabile anche la traduzione letterale] architecturae. At fortasse mirum videbitur imperitis, hominis posse naturam tantum numerum doctrinarum perdiscere et memoria continere. Cum autem animadverterint omnes disciplinas inter se coniunctionem rerum et communicationem [si può rendere come endiadi, ma non necessariamente] habere, fieri posse faciliter credent [è futuro]; encyclios enim disciplina uti corpus unum ex his membris est composita. Itaque qui a teneris aetatibus eruditionibus variis instruuntur, omnibus litteris agnoscunt easdem notas communicationemque omnium disciplinarum, et ea re facilius omnia cognoscunt. Ideoque de veteribus architectis Pytheos, qui Prieni aedem Minervae nobiliter est architectatus [deponente], ait in suis commentariis architectum omnibus artibus et doctrinis plus oportere posse facere, quam qui [relativa che funge da secondo termine di paragone] singulas res suis industriis et exercitationibus ad summam claritatem perduxerunt. Id autem re [qui re ha il valore quasi avverbiale di "in realtà", "in effetti", e serve ad introdurre la seconda parte della versione, con smentita] non expeditur. Non enim debet nec potest [questi due verbi potrebbero essere resi come 'falsi condizionali', ma ciò rendebbe forse troppo vaga l'affermazione, invece perentoria, dell'autore] esse architectus grammaticus, uti fuerat Aristarchus, sed non agrammatus, nec musicus ut Aristoxenus, sed non amusos, nec pictor ut Apelles, sed graphidos [grecismo, genitivo] non imperitus, nec plastes quemadmodum Myron seu Polyclitus, sed rationis plasticae non ignarus, nec denuo medicus ut Hippocrates, sed non aniatrologetus, nec in ceteris doctrinis singulariter excellens, sed in is [variante grafica per iis] non imperitus.

 

La formazione dell’architetto. [versione I]

Dal momento che questa disciplina è così estesa, adorna e ricca di differenti e molteplici contenuti, non ritengo che possano a buon diritto chiamarsi d’un tratto architetti se non coloro che sin dall’infanzia, salendo per questi livelli di educazione nutriti della conoscenza della maggior parte delle discipline artistiche e letterarie, siano giunti al supremo tempio dell’architettura. Ma forse sembrerà straordinario agli inesperti che la natura umana possa apprendere perfettamente e ricordare un così ampio numero di nozioni. Una volta però che avranno capito che tutte le discipline hanno tra loro una relazione e una connessione, reputeranno che (ciò) si possa facilmente realizzare. Infatti tutto quanto il sapere è costituito da queste parti come un unico organismo. Pertanto coloro che fin dalla tenera età vengono istruiti con differenti nozioni, riconoscono in tutti gli ambiti letterari le medesime caratteristiche e la connessione di tutte le discipline, e per questo motivo conoscono tutto più facilmente. Perciò tra gli antichi architetti Pythius, che progettò magistralmente il tempio di Minerva a Priene, dice nei suoi appunti che è opportuno che l’architetto, in tutte le arti e le discipline, possa fare di più di coloro che portarono al sommo splendore le cose una per una grazie alla loro applicazione e al loro esercizio pratico. Ma ciò in realtà non è utile. Infatti l’architetto non deve né può essere un grammatico, come era stato Aristarco, ma non (deve essere) inesperto di grammatica, né un musico, come Aristosseno, ma non ignorante nella musica, né un pittore, come Apelle, ma non inesperto di disegno, né uno scultore, allo stesso modo di Mirone o Policleto, ma non ignaro dei canoni della scultura, né, ancora, un medico come Ippocrate, ma non a digiuno di medicina, né eccellente in modo particolare nelle altre discipline, ma in queste non sprovveduto.

 

La formazione dell’architetto. [versione II]

Dal momento che dunque questa scienza (dell’architettura) è così importante, adorna e ben fornita di varie e molteplici conoscenze, non penso che possano a buon diritto reputarsi improvvisamente architetti se non coloro che abbiano raggiunto la parte più alta del tempio dell’architettura col salire fin dalla fanciullezza su questi gradini delle discipline, nutriti dalla conoscenza della maggior parte delle lettere e delle arti. E forse sembrerà straordinario agli incompetenti che la natura umana possa apprendere e tenere a memoria un così grande numero di scienze. Ma quando avranno compreso che tutte le discipline sono collegate e comunicanti fra di loro, crederanno facilmente che possa avvenire; perché un’educazione enciclopedica è composta da queste membra come un corpo unico. E così coloro che dalla tenera età si formano con varie conoscenze, ritrovano in tutti gli scritti identici tratti e l’interrelazione fra tutte le scienze e per tale motivo conoscono più facilmente tutto. Perciò tra gli antichi architetti Piteo, che edificò magistralmente il tempio di Minerva a Priene dice nei suoi commentari che un architetto in tutte le arti e discipline deve poter fare più di coloro che hanno portato alla fama più elevata singole attività con la loro operosità e col loro esercizio. Ma ciò non si ricava dalla realtà. Infatti non deve né può essere architetto un grammatico, come fu Aristarco, ma non un illetterato, né un musico come Aristosseno, ma non uno sprovvisto di cultura musicale, né un pittore come Apelle, ma non uno inesperto del disegno né uno scultore come Mirone o Policleto, ma non uno che non conosca l’arte plastica, né ancora un medico come Ippocrate, ma non un ignorante di medicina, né uno singolarmente brillante in tutte le altre discipline, ma in quelle non incompetente.

 

La formazione dell’architetto. [versione III]

Dal momento che dunque questa disciplina è così importante, supportata e arricchita da numerose e svariate forme di cultura, non credo che possano definirsi sin da subito a buon diritto architetti, se non coloro che siano giunti alla vetta suprema dell'architettura dopo esser stati nutriti, sin dall'infanzia, della conoscenza della maggior parte della letteratura e dell'arte, attraverso la salita per questi gradi delle discipline. Ma forse sembrerà sorprendente agli inesperti che una natura umana impari alla perfezione un numero così grande di insegnamenti e li conservi nella memoria. Quando però avranno constatato che tutte le discipline hanno tra loro una sostanziale comunanza di oggetti, si convinceranno che può accadere facilmente; una cultura enciclopedica infatti è come un corpo unico composto da queste membra. Quindi coloro che sin dalla tenera età si formano in diversi campi della cultura, riconoscono in tutta la letteratura le medesime caratteristiche e il fondo comune di ogni disciplina, e grazie a questo conoscono più facilmente ogni cosa. E a questo proposito tra gli architetti antichi Pitheos, che progettò in maniera celebre il tempio di Minerva a Priene, dice nelle sue memorie che è necessario che l'architetto sia in grado di ottenere di più in tutte le attività artistiche e culturali di coloro che con il proprio impegno e la propria esperienza hanno condotto le singole attività al massimo risultato. Ma questo in realtà non occorre. L'architetto non deve né può infatti essere un letterato come era stato Aristarco, ma nemmeno un illetterato, né un musicista come Aristosseno, ma neanche privo di gusto musicale, né un pittore come Apelle, ma nemmeno totalmente incapace di disegnare, né uno scultore del livello di Mirone o Policleto, ma nemmeno ignorante di tecnica scultorea, né infine un medico come Ippocrate, ma neanche del tutto digiuno di medicina, né particolarmente capace nelle altre discipline prese una ad una, ma non inesperto in queste.

 

Nota stilistica. Il "De architectura" (25 a.C. circa) è, praticamente, il primo libro scritto di ingegneria che noi possediamo dell'intera antichità. Una materia tecnica e profana (nella sua teorizzazione), che Vitruvio considerò e fece assurgere, davvero per la prima volta, a rango di "professione" e di degna scienza, affrancandola in tal modo dalla posizione marginale e subalterna cui era destinata nella cultura del tempo e abbisognando - per questo scopo - di un linguaggio parimenti nuovo e specialistico, per gran parte ignoto alla tradizione latina. Nel presente brano, l'autore prosegue nella presentazione/definizione della figura dell'architetto (che occupa praticamente tutto l'inizio del I libro), così come i trattati di retorica s'aprivano col principio che bisognasse definire anzitutto il perfetto oratore. L'architettura ch'egli pratica è ad un tempo scienza (perché comporta l'acquisizione e l'applicazione di competenze tecniche in geometria, ottica…) e arte (l'architetto deve aver gusto, deve saper organizzare i lavori di manovalanza…). L'architetto, dunque, pur essendo uno specialista, non deve disdegnare una certa sensibilità artistica, nonché una preparazione di fondo che abbracci l'intera "enciclopedia" delle scienze.

La sintassi del testo in esame può presentare una certa complessità, per l’intricarsi di varie subordinate di vario tipo, disposte in modo asimmetrico. Le maggiori difficoltà nella sua interpretazione si presentano, poi, nella resa di singoli termini o espressioni, alcune delle quali metaforiche, e soprattutto per quanto riguarda quei termini ("eruditio", "disciplina", "scientia", "doctrina", "ars") apparentemente sinonimi, ma in realtà denotanti passaggi e articolazioni diverse e specifiche del sapere. Può risultare particolarmente difficile, inoltre, l'individuazione del locativo "Prieni".

Mi si passi, infine, un appunto personale: l'assegnazione di un brano simile quale prova d'esame di maturità mi ha lasciato alquanto perplesso: questo passo di Vitruvio non è decisamente, a mio parere, una buona testimonianza della migliore lingua ed espressione latina. Il tutto risulta poi ulteriormente complicato dal fatto che nei nostri licei (anche scientifici) generalmente si dà un taglio - come dire - esclusivamente "umanistico" nella scelta degli autori, delle opere e delle versioni letterarie da studiare ed analizzare. Trovo apprezzabile, di contro, quello che mi pare comunque l'intenzione sottesa a questa scelta: maritare la componente "umanistica" con quella "scientifica", un modo (forse) di attualizzare lo studio della lingua latina adeguandola ad un'epoca architettonica e tecnologica per eccellenza.

 

 

 

Versione del Magistrale.

Soddisfazioni di chi coltiva la terra.

Venio nunc ad voluptates agricolarum, quibus ego incredibiliter delector, quae nec ulla impediuntur senectute et mihi ad sapientis vitam proxime videntur accedere. Habent enim rationem cum terra, quae numquam recusat imperium nec umquam sine usura reddit quod accepit, sed alias minore, plerumque maiore cum faenore; quamquam me quidem non fructus modo, sed etiam ipsius terrae vis ac natura delectat. Quae cum gremio mollito ac subacto sparsum semen excepit, primum id occaecatum cohibet, ex quo occatio quae hoc efficit nominata est; deinde tepefactum vapore et compressu suo diffundit et elicit herbescentem ex eo viriditatem, quae nixa fibris stirpium sensim adolescit culmoque erecta geniculato vaginis iam quasi pubescens includitur; e quibus cum emersit, fundit frugem spici ordine structam et contra avium minorum morsus munitur vallo aristarum. Quid ego vitium ortus satus incrementa commemorem? Satiari delectatione non possum, ut meae senectutis requietem oblectamentumque noscatis. Omitto enim vim ipsam omnium quae generantur e terra, quae ex fici tantulo grano aut ex acini vinaceo aut ex ceterarum frugum aut stirpium minutissimis seminibus tantos truncos ramosque procreet; malleoli plantae sarmenta viviradices propagines nonne efficiunt ut quemvis cum admiratione delectent? [Cicerone, "De senectute" (XV 51-2)].

 

 

 

 

Testo originale con note.

Venio [sogg. sott.: io, Catone] nunc ad voluptates agricolarum, quibus ego incredibiliter delector, quae [= voluptates] nec ulla impediuntur senectute et mihi ad sapientis vitam proxime videntur accedere. Habent [sogg. sott.: agricolae] enim rationem cum terra, quae numquam recusat imperium nec umquam sine usura reddit quod accepit [in italiano può essere reso con il presente, ma in latino la consecutio temporum richiede il perfetto], sed alias minore [minore ... maiore: si possono rendere in italiano con "piccolo" e "grande", ma il latino per marcare l'opposizione non utilizza la risorsa lessicale ma quella morfologica della contrapposizione dei due comparativi], plerumque maiore cum faenore; quamquam me quidem non fructus modo, sed etiam ipsius terrae vis ac natura delectat. Quae cum gremio mollito ac subacto sparsum semen excepit, primum id occaecatum cohibet, ex quo occatio quae hoc efficit nominata est; deinde tepefactum vapore et compressu suo diffundit et elicit herbescentem ex eo viriditatem, quae nixa fibris stirpium sensim adolescit culmoque erecta geniculato vaginis iam quasi pubescens includitur; e quibus cum emersit, fundit frugem spici ordine structam et contra avium minorum morsus munitur vallo aristarum. Quid ego vitium ortus satus incrementa [è una coordinazione copulativa asindetica, con termini in accusativo] commemorem? Satiari delectatione non possum, ut meae senectutis requietem oblectamentumque noscatis. Omitto enim vim ipsam omnium quae generantur e terra, quae ex fici tantulo grano aut ex acini vinaceo aut ex ceterarum frugum aut stirpium minutissimis seminibus tantos truncos ramosque procreet [il congiuntivo indica che la frase non esprime un dato di fatto, quanto evidentemente una possibilità]; malleoli plantae sarmenta viviradices propagines [è un'altra coordinazione copulativa asindetica, con termini stavolta in nominativo] nonne [questa congiunzione introduce un'interrogativa retorica diretta, per la quale è prevista una risposta affermativa] efficiunt ut quemvis cum admiratione delectent?

 

Soddisfazioni di chi lavora la terra. [versione I]

Vengo ora ai piaceri degli agricoltori, di cui mi diletto straordinariamente e che non sono affatto intralciati dalla vecchiaia, anzi mi sembrano molto confacenti alla vita del saggio. Poiché hanno a che fare con la terra, che mai rifiuta il comando né mai rende senza frutto ciò che ha ricevuto, a volte con minore, per lo più con maggiore interesse; per quanto, mi diletta non solo il frutto, ma anche la potenza naturale della terra stessa. Terra che quando ha accolto il seme sparso nel suo grembo smosso e dissodato, dapprima lo trattiene nascosto (da questo si è chiamata erpicatura quella che produce ciò); poi dopo averlo intiepidito con la sua calda pressione lo fa schiudere e fa germogliare erba verdeggiante, che sostenuta dai filamenti delle radici a poco a poco cresce ed eretta sullo stelo nodoso già quasi nello sviluppo è racchiusa in involucri; quando ne esce sviluppa il frutto in forma di spiga e si protegge contro le beccate degli uccelli più piccoli con un baluardo di spighe. Perché dovrei ricordare la nascita, la piantagione, la crescita delle viti? Non posso saziarmi dal piacere, perché conosciate il riposo e il diletto della mia vecchiaia. Tralascio infatti proprio la vigoria di tutto ciò che è generato dalla terra, che è capace di creare da un così piccolo seme di fico o da un vinacciolo d’acino d’uva o da piccolissimi semi di tutte le altre piante e arbusti tronchi e rami così grandi; i magliuoli, le talee, i tralci, i rampolli, le barbatelle non fanno sì che ognuno si diletti con ammirazione?

 

Soddisfazioni di chi lavora la terra. [versione II]

Vengo ora ai piaceri dei contadini, per me fonte di incredibile diletto, piaceri che, per nulla ostacolati dalla vecchiaia, mi sembrano particolarmente conformi alla vita del saggio. I contadini hanno un conto aperto con la terra che mai ricusa il loro dominio e mai restituisce senza interessi il capitale ricevuto, ma lo rende talvolta a un tasso minore, per lo più maggiore. È vero che mi delizia non solo il profitto, ma anche la forza e l’essenza della terra stessa: quando ha accolto nel suo grembo ammorbidito e smosso il seme gettato, prima lo racchiude al buio, come accecato, da cui occatio è detta l’operazione dell’erpicatura, poi, scaldatolo col suo fiato e con il suo abbraccio, lo dilata e fa germogliare da esso un qualcosa di verde, un’erbetta che, salda sulle fibre delle radici, cresce poco a poco e, ergendosi sullo stelo nodoso, è stretta in pellicole come se giungesse a pubertà; quando se ne libera, dischiude un frutto disposto a mo’ di spiga e contro le beccate degli uccelli più piccoli si difende con il baluardo delle reste. E dovrei ricordare come nasce, si pianta e cresce la vite? Non posso saziarmi di questo piacere - ve lo dico perché conosciate la pace e il divertimento della mia vecchiaia -: non parlerò della forza intrinseca di tutti i prodotti della terra, forza capace di generare tronchi e rami così grandi da un così piccolo grano di fico o dal vinacciolo del chicco d’uva o dai minuscoli semi delle altre piante e alberi; magliuoli, talee, tralci, barbatelle, polloni non riempiono chiunque di piacere e di ammirazione?

 

Soddisfazioni di chi lavora la terra. [versione III]

Ora mi accingo a trattare dei piaceri degli agricoltori, dai quali io sono dilettato oltre il credibile, piaceri che la vecchiaia non può impedire e che a me sembrano essere molto consoni alla vita del sapiente. I contadini infatti hanno un conto aperto con la terra che non rifiuta mai il dominio dell'uomo e mai restituisce senza interesse quello che riceve, ma talvolta restituisce con un piccolo interesse, il più delle volte con un grande interesse; tuttavia non soltanto ciò che la terra produce, ma anche la forza e la natura della terra mi dilettano. Questa, una volta ricevuto nel grembo reso morbido e dissodato il seme sparso, dapprima lo racchiude sottratto alla luce, e ne deriva che l'operazione che compie ciò è chiamata erpicatura; in séguito, riscaldatolo con le sue esalazioni e con la sua compressione, lo espande e fa spuntare da esso della vegetazione erbacea che, appoggiandosi sulle fibre delle radici, cresce a poco a poco e, rizzatasi sullo stelo nodoso, quando ormai ha quasi acquisito la capacità di riprodursi, viene chiusa nei gusci. Da questi, quando spunta fuori, fa uscire i frutti strutturati a spiga ed è protetta dalle beccate degli uccelli più piccoli da una barriera di reste. Dovrei ricordare la nascita, il piantare e la crescita delle viti? Non riesco a saziarmi di (questo) diletto, e lo dico affinché conosciate il riposo e il diletto della mia vecchiaia. Tralascio infatti la forza stessa di tutto ciò che è generato dalla terra, la quale da un piccolo grano di fico o dal seme di un acino d'uva o da piccolissimi semi degli altri frutti o arbusti riesce a generare tronchi e rami tanto grandi. I maglioli, le talee, i tralci, le barbatelle, i polloni non riempiono chiunque di piacere e di ammirazione?

 

Nota stilistica. Nel dialogo "De senectute" (44 a.C.), Cicerone fa tessere a Catone l'elogio della vecchiezza di fronte a Scipione Emiliano ed a Lelio, confutando le accuse che le vengono comunemente rivolte e anzi mettendo in evidenza i vantaggi ed i piaceri che essa arreca all'uomo virtuoso. Nel presente brano, in particolare, il vecchio Catone è alle prese con la pratica, laboriosa ma per lui estremamente piacevole e appagante, dell'agricoltura. Risulta evidente, come del resto in tutto il dialogo, come Cicerone attribuisca a Catone la propria cultura letteraria e filosofica ed esprima al tempo stesso la sua nostalgia del buon tempo antico: non si dimentichi, a tal proposito, il ruolo cardine che il lavoro della terra riveste nella formazione e nella tradizione, non soltanto economiche bensì anche morali e politiche, dell'antica Roma: lo stesso Catone, del resto, nel suo "De agri cultura", aveva ritratto quello che doveva essere il modo di vivere e di pensare dei piccoli proprietari terrieri della campagna romana, nei quali egli identificava appunto i Romani per eccellenza, il nerbo produttivo e, come detto, etico-politico della società romana tutta.

La sintassi del testo s'articola in un dettato limpido, ricco di relative (paratassi), esempio tipico - questo - della prosa ciceroniana. Unico possibile neo, la resa dei vari termini tecnici ‘agricoli’, di cui il brano è infarcito.

Dunque, a mio parere, in ultima analisi si tratta di una traduzione francamente di non notevole difficoltà.

 

 

Fonti dei brani originali e relative traduzioni:

Repubblica on line [versioni I]

Pegacity [versioni II]

Tramontana - Maturità 2000 [versioni III e tenuto particolarmente presente nello stilare le note morfologico-sintattiche]

 

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