LE TEORIE DELLA PERSONALITA’.

Definizione del termine e del problema. Lo schema di riferimento teorico centrato sulla "risposta". Lo schema di riferimento teorico centrato sullo "stimolo". Lo schema di riferimento teorico centrato sull’ "organismo". Orientamenti attuali nello studio della personalità.

 

 

 

Definizione del termine e del problema.

Possiamo definire la "personalità" come l’insieme di caratteristiche psichiche e modalità di comportamento che, nella loro integrazione, costituiscono il nucleo irriducibile di un individuo che rimane tale nella molteplicità e diversità delle situazioni ambientali in cui si esprime e si trova ad operare.

Lo studio della personalità è solo da pochi decenni passato dalle speculazioni filosofiche di vario tipo alla osservazione più prettamente scientifica.

Invero, la personalità costituisce uno degli aspetti più ardui della ricerca psicologica, a causa del suo carattere complesso e difficilmente analizzabile sul piano sperimentale; inoltre, l’analisi deve fronteggiare numerosi quesiti di grande difficoltà, quali ad esempio:

- se la condotta umana debba essere interpretata in senso meccanicistico o finalistico;

- se i determinanti della condotta siano regolati dalla riduzione della tensione dei bisogni (principio del piacere o dell’appagamento) o, al contrario, da una naturale spinta all'autorealizzazione;

- se nella strutturazione della personalità sia fondamentale l’esperienza delle prime fasi dello sviluppo, oppure anche nella vita adulta siano possibili importanti ristrutturazioni;

- se la personalità si sviluppi solamente come risultato di forze biologiche innate, oppure si costituisca come un prodotto della interazione socio-culturale.

Apparirà, dunque, chiaro come sul concetto esistano varie e contrastanti teorie interpretative ed esplicative. Nella fattispecie, secondo R. S. Lazarus (1963), il sistema di analisi S-O-R (stimolo-organismo-risposta) costituisce un ottimo metodo di distinzione fra i numerosi schemi di riferimento delle varie teorie della personalità: infatti, alcuni teorici pongono l’accento sull’analisi della risposta, altri sullo stimolo, altri ancora sulle strutture centrali dell’organismo.

 

Lo schema di riferimento teorico centrato sulla "risposta".

Lo schema di riferimento delle teorie "tipo-tratto" è centrato sull’analisi della "risposta" comportamentale. Questo approccio ha condotto alla fondazione delle "tipologie", con l’intento di classificare le persone sulla base di indizi ritenuti caratteristici. La "tipologia" è, così, appunto la classificazione degli individui in base al loro "tipo", termine con cui si indica da un lato l’insieme delle caratteristiche comuni a un certo numero di individui, dall’altro il modello ideale costruito per astrazione a partire da quelle caratteristiche.

[Il metodo tipologico è indicato quale primo orientamento nello studio di quei settori che ancora non si prestano ad un’analisi quantitativa, con l’avvertenza che i "tipi misti" sono molto più frequenti dei "tipi puri", ottenuti sopravvalutando i caratteri differenziali. L’uso acritico del "tipo" produce lo "stereo-tipo", che nasce dall’uso rigido e cristallizzato del quadro di riferimento].

Abbiamo così:

a tipologie somatiche (qualora si assuma come indizio rilevante la costituzione morfologica):

1 A partire dalla teoria degli umori responsabili delle differenze emotive osservabili, Galeno ha introdotto la classica distinzione in "sanguigni", "flemmatici", "collerici" e "melanconici", a seconda del prevalere nel sangue del flegma, della bile gialla e della bile nera.

2 E. Kretschmer (1925) ha stabilito una correlazione fra indici morfologici del corpo umano ("fenotipo") e determinate caratteristiche della personalità che valgono sia per individui normali, sia per psicotici, con differenze solo quantitative.

I tipi sono 4, di cui 3 fondamentali e 1 accessorio:

- il tipo "picnico", caratterizzato sul piano somatico dalla predominanza delle misure orizzontali (rotondità di contorni, ampiezza delle cavità del corpo, abbondanti depositi di grasso) e sul piano psicologico da una predisposizione ciclotimica con fasi maniacali e depressive;

- il tipo "leptosomico" o "astenico", caratterizzato sul piano somatico dalla predominanza delle misure verticali, e sul piano psicologico da una disposizione schizotimica, che nel caso di psicosi si volge in schizofrenia;

- il tipo "atletico", caratterizzato sul piano somatico da un sistema muscolare ben sviluppato, e sul piano psicologico da una disposizione viscosa con lentezza di pensiero, perseveranza ed irritabilità;

- il tipo "displasico", predisposto all’epilessia e con molte varietà dismorfiche.

Secondo Kretschmer, la suddetta tipologia corrisponde anche a differenze fisiologiche, con riferimento soprattutto alle ghiandole endocrine ed al metabolismo.

3 W. H. Scheldon (1942) inaugura una tipologia che, a differenza di quella di Kretschmer, si basa su soggetti normali ed è costruita a partire da un sistema morfologico a 3 dimensioni, che corrispondono ad altrettanti stadi evolutivi dei tessuti derivati dai 3 foglietti embrionali: ectoderma, mesoderma ed endoderma. Così:

- il tipo "cerebrotonico" corrisponde all’ectomorfismo (delicatezza dell’epidermide, finezza dei capelli, sistema nervoso particolarmente delicato), e vi prevale la razionalità con tratti di ipersensibilità, tendenza alla solitudine e alla vita interiore;

- il tipo "somatotonico" corrisponde al mesomorfismo (preminenza dell’apparato scheletrico e muscolare, nella loro verticalità e saldezza), con tratti di dinamismo, facilità nei rapporti sociali e tendenza all’esercizio fisico;

- il tipo "viscerotonico" corrisponde all’endomorfismo (preminenza degli organi digestivi e sviluppo relativamente scarso delle strutture scheletrico-muscolari), e vi prevale l’affettività, con tratti di passività, socievolezza e tendenza alla vita sedentaria.

b tipologie fisiologiche-funzionali (qualora si assuma come indizio la risposta neurovegetativa o l’equilibrio ormonale):

1 quella che pare più accreditata, descritta da Friedman e Rosenman (1959), distingue:

- un "tipo A", caratterizzato da competitività, impazienza, rapidità e iperattività;

- un "tipo B", caratterizzato da calma, lentezza e cooperazione.

E’ stato visto che disturbi cardiocircolatori si verificano molto più probabilmente nel primo tipo rispetto al secondo.

c tipologie psicologiche (qualora si assuma come indizio la risposta comportamentale):

1 quella più nota, descritta da Jung (1923), assumendo come criterio la direzione con cui si manifestano gli effetti della "libido" o "energia psichica", propone la distinzione fra:

- tipo "introverso", orientato sui fattori soggettivi, e quindi portato alla riflessione e all’isolamento;

- tipo "estroverso", orientato sui fatti esterni, e quindi portato appunto alla partecipazione agli eventi esterni e all’interesse verso gli altri.

d teorie dei "tratti":

Il "tratto" è una caratteristica di una persona o di un animale che varia da un individuo all’altro, e quindi distingue un individuo dall’altro (possiamo, insomma, definirlo come un "elemento distintivo del carattere"). I tratti, che possono essere fisici o psicologici, sono considerati attributi ragionevolmente stabili e duraturi, per distinguerli dagli "stati", che sono disposizioni comportamentali temporanee.

L’utilità dei tratti rispetto ai tipi è quella di fornire un maggior numero di elementi descrittivi senza dover costringere gli individui in categorie troppo rigide. Il problema è, dunque, quello di definire una essenziale lista di tratti comuni che non sia arbitraria, tale da poter giungere a definire la personalità di un individuo secondo la posizione che occupa su un certo numero di scale, ciascuna delle quali rappresenta un tratto diverso. Infatti, la differenza tra un individuo e un altro rispetto ad un tratto non è netta, ma graduale. Generalmente, così, si usa – come detto - una "scala", ovvero una serie ordinata di gradi che si approssimano in una direzione o nell’altra a una coppia bipolare di tratti.

Compito primario dello psicologo è, dunque, quello di ridurre il vasto elenco di "tratti" (ad es., riscontrabili nella lingua inglese) a proporzioni maneggevoli e di identificare quelli veramente importanti. A tal fine, si usa l' "analisi fattoriale", una tecnica matematico-statistica di classificazione che, partendo da una matrice di correlazione tra dati di raffronto, cerca i modelli più semplici che possano spiegarla.

Non di rado ne viene fuori uno schema gerarchico: a quello che viene chiamato "livello fattoriale primario", si riscontrano numerosi raggruppamenti di tratti che, essendo correlati tra loro, possono ridursi ad un numero più limitato di "fattori di ordine elevato" più indipendenti.

Tra le teorie dei "tratti", abbiamo:

1 la concezione di G. W. Allport (1955) – definita "teoria dell’individualità" ("ogni individuo è legge per se stesso"): classifica tratti ("disposizioni personali") in:

- "cardinali": non presenti in tutti, caratterizzano gli individui in modo molto intenso, influenzando continuamente il loro comportamento (Don Chisciotte, Casanova, Narciso…);

- "centrali": anche questi indicano tratti caratterizzanti, ma non sempre evidenti nel comportamento;

- "secondari": si presentano soltanto in particolari situazioni.

2 la concezione di di H. J. Eysenck (1986): ripropone la classificazione di Galeno, articolandola però secondo una "prospettiva dimensionale": l’individuo, cioè, veniva classificato in base alla posizione occupata rispetto alle dimensioni di personalità, nevroticismo, psicoticismo e introversione-estroversione, oscillanti fra stabilità e instabilità seguendo lo schema:

 

Instabile

 

Melanconico

 

Collerico

Introverso

 

Estroverso

Flemmatico

 

Sanguigno

 

Stabile

 

 

3 la concezione di R. Cattell (1956): questo studioso ideò una procedura per identificare tratti di personalità. Mediante l’analisi fattoriale ridusse il numero iniziale di 171 tratti di personalità, come descritte nella lingua inglese, e quindi attraverso un’analisi dei "cluster" trovò dei "tratti di superficie" (intesi come manifestazioni visibili dei comportamenti) con una correlazione statistica significativa. Un’ulteriore analisi fattoriale consentì di selezionare 16 "tratti fondamentali" (corrispondenti ai tratti originari più profondi).

 

Lo schema di riferimento teorico centrato sullo "stimolo".

Lo schema di riferimento teorico centrato sullo "stimolo" cerca non tanto di descrivere la personalità, quanto piuttosto di spiegarne la formazione in base a ciò che si è appreso, a ciò che è avvenuto (ovvero, in base all’influsso delle forze dell’ambiente umano in cui il soggetto vive ed è vissuto: si definiscono, in tal senso, queste teorie come "teorie interpersonali" e "teorie dell’apprendimento").

Questo assunto non vuole negare l’importanza delle potenzialità biologiche e fisiologiche, ma precisa che questo potenziale circoscrive solo i limiti entro i quali la personalità prende forma.

Questo grande gruppo di teorie ha nella psicoanalisi ed in Freud il sistema di orientamento fondamentale (anche se, di per sé, Freud ha rivolto un’attenzione solo secondaria alla definizione dei tipi di personalità: i tipi caratterologici freudiani non sono, infatti, che cristallizzazioni delle fasi di sviluppo da lui descritte [per cui si rimanda al paragrafo sul "metodo psicanalitico", nel capitolo dedicato ai "metodi clinici"].

1 Abbiamo, dunque, le "teorie interpersonali" di:

a Karen Horney (1959): pensò che sessualità e piacere fisico fossero stati troppo enfatizzati come forze motivazionali e ipotizzò che le caratteristiche di personalità rispecchiassero il tentativo di confronto con l’ "ansia di base", un sentimento di isolamento e di disperazione che il bambino prova nei confronti di un mondo potenzialmente ostile. Questa ansia avrebbe un ruolo attivatore di comportamenti difensivi, prima nei confronti della famiglia e poi degli altri.

Sulla base di una lista di 10 "risposte nevrotiche" (veri e propri "bisogni"), la Horney descrisse 3 categorie di personalità:

- "compiacente", in cui si va alla ricerca di gratificazione dagli altri;

- "aggressiva", nella quale si va contro gli altri;

- "distaccata", in cui ci si allontana dagli altri.

b E. Fromm (1971): in una prospettiva ancor più sociale - che valutava l’adattamento dell’uomo alla società come un compromesso fra bisogni profondi (in prima linea, i due antitetici: ricerca di sicurezza e desiderio di libertà) ed esigenze ambientali – distinse dei tipi di risposta, che chiamò "caratteri":

- "ricettivo";

- "sfruttatore";

- "accumulatore";

- "mercantile";

- "produttivo".

c E. H. Erikson (1959): capostipite del movimento dei neofreudiani, riuscì ad inserire la teoria freudiana nello sviluppo psicosociale: l’individuo incontra ed attraversa durante la sua vita delle "crisi psicosociali", il cui superamento è fortemente condizionato dal contesto socioculturale in cui avvengono. All’interno di esse, entrerebbero in lotta tendenze sintoniche e distoniche (corrispondenti rispettivamente ad una adeguata o meno integrazione con l’ambiente), da cui emergerebbero delle definite forze psicosociali.

La risoluzione di una crisi produce una "forza di base", o qualità dell’Io. Le varie combinazioni delle antitesi e delle forze offrono anche una vasta gamma di "forze speciali" come: la religione, che emerge dalla fiducia e dalla speranza; la legge, da autonomia e volontà; le arti, da iniziativa e proposito; la tecnologia, da attività e competenza.

2 Riguardo, invece, le "teorie dell’apprendimento":

a Come abbiamo visto, S. Lazarus (1961) sostituì al sistema stimolo-risposta quello dello stimolo-organismo-risposta (S-O-R). L’individuo agisce spinto non solo dai bisogni, ma anche sulla base dei rinforzi o punizioni che riceve.

b J. Dollar e N. Miller (1950) identificarono come rinforzi le conseguenze che riducono una spinta motivazionale e soddisfano un bisogno, e divisero gli impulsi in "primari" (dolore, fame, sete, fatica, freddo ed eccitamento sessuale) e "secondari" (che quelli seguono e strutturano). Il comportamento così rinforzato verrà più probabilmente emesso e la successione di apprendimenti potrà plasmare la personalità.

L’apprendimento non risulta importante soltanto nello sviluppo, ma anche per la possibilità di indurre un cambiamento stabile. Il risultato di questi processi porterà alla formazione di un "abito", ovvero un legame fra uno stimolo e la risposta preferenziale che suscita, elemento fondamentale nella struttura della personalità.

[Per ulteriori approfondimenti e chiarificazioni sui concetti fondamentali dell’ "apprendimento" e delle sue conseguenze, rimando all’omonimo capitolo].

 

[Un caso particolare: la "personalità autoritaria".

Gli studi più completi sull’autoritarismo sono stati quelli condotti dalla Scuola di Francoforte e in particolare da Th. W. Adorno che, partendo da presupposti psicoanalitici, ha descritto la "personalità autoritaria" come una personalità dall’Es molto forte, dall’Io debole e con un Super-io non interiorizzato.

La formazione di tale personalità viene ricondotta alle esperienze educative subite nell’ambito familiare: una famiglia altamente gerarchizzata e fondata sull’obbedienza acritica ne favorirebbe lo sviluppo.

Le caratteristiche della "personalità autoritaria", descritte da Adorno nella "scala del fascismo" (F) sono, così: rispetto delle convenzioni, sottomissione all’ordine vigente, mancanza di introspezione, diffidenza nei confronti degli altri, superstizione, credenze stereotipate, ammirazione per il potere e la durezza, tendenze distruttive e ciniche, eccessivo interesse e preoccupazione per la sessualità.]

 

 

 

Lo schema di riferimento teorico centrato sull’ "organismo".

Nell’orientamento fenomenologico, cui perviene lo schema di riferimento teorico centrato sull’ "organismo", lo stimolo nella sequenza "S-O-R" ha ancora un significato, ma in relazione al come una persona lo "vive", lo percepisce (ovvero, appunto all’organismo con le sue capacità di organizzare e strutturare l’esperienza) e non come semplice condizione fisica esterna.

Abbiamo:

1 la "teoria del campo" di K Lewin (1935). La "teoria del campo" applica al comportamento interpersonale e al concetto di personalità i principi strutturali evidenziati dai gestaltisti nello studio della percezione. Mutuato dalle scienze fisiche, il concetto di "campo" è inteso da Lewin quale totalità di fenomeni psicologici che agiscono in reciproca interdipendenza di influssi e, per quel che riguarda l’individuo, come la totalità di tutti i possibili eventi che lo influenzano, ossia il suo "spazio vitale".

L’individuo, in cui si distinguono una personalità interiore (regione "internopersonale", che è affettività, percezione, cognizione e motivazione) e una personalità percettivo-motoria, volta verso l’ambiente esterno, si colloca al centro di un campo di forze ambientali e sociali che lo modificano e grazie a lui si modificano. Il comportamento dell’individuo è funzione dello spazio di vita, ossia della sua interazione con l’ambiente psicologico, di cui egli ha un’esperienza soggettiva più o meno cosciente.

Nel campo decisiva è la direzione, individuabile attraverso una geometria "odologica", dove le regioni dello spazio – che hanno diverse valenze: positive se l’oggetto è desiderato, negative se l’intenzione è di evitarlo – si corrispondono attraverso forze di attrazione e repulsione, descrivibili mediante vettori orientati.

All’interno del campo, l’attività si svolge in termini di energia psichica con tendenza all’equilibrio del sistema, per cui quando sorge una tensione, indice di un bisogno, si attiva un processo che consente di giungere ad un nuovo equilibrio attraverso la via più breve tra le varie possibili nell’assetto dinamico del campo. Quando la situazione si fa conflittuale (vedi il paragrafo "modalità di conflitto" nel capitolo sul "conflitto"), si registra la tendenza all’abbandono del campo in modo temporaneo o definitivo, a meno che non intervengano misure dall’esterno che lo impediscano.

2 La "teoria della percezione del Sé". Le teorie fenomenologiche più recenti vedono la personalità come prodotta da una scelta cosciente. Lo studio si è basato molto sul Sé, distinguendo:

- "concetto di Sé": come si pensa di essere, basandosi anche sulle informazioni ricevute dagli altri e sui ruoli sociali;

- "autostima": come ci si valuta: generalmente distorta a proprio favore (ci si confronta con gli altri nei campi dove si è più forti);

- "coscienza di Sé": come si diventa consci di se stessi ("Sé fenomenico"); aumenta nelle situazioni nuove, o nei membri di una minoranza.

*C. Rogers (1951), seguendo appunto una prospettiva fenomenologia, dà importanza proprio alla "percezione del Sé", ovvero la nozione che una persona ha di se stessa e delle sue relazioni con l’ambiente, nozione che spinge l’individuo verso certi comportamenti. Da qui, si può raggiungere un grado di "autorealizzazione" (fattore dinamico) verso cui gli individui si dirigono seguendo la spinta di bisogni biologici, e i comportamenti messi in atto si manifestano in risposta a rinforzi positivi. Le difficoltà vengono spiegate con concetti di sé non realistici.

Insomma, secondo questa teoria, il concetto di personalità si articola in 3 figure principali:

- l’ "organismo", che è l’individuo nella sua totalità;

- il "campo fenomenico", che è la totalità dell’esperienza;

- il "", che si sviluppa grazie all’interazione tra organismo e ambiente, in continua mutazione per effetto dei processi di apprendimento e maturazione. Sua caratteristica è la tendenza alla coerenza, per cui tutte le esperienze che non sono in armonia con il Sé vengono percepite come minacce.

Una personalità è compiuta quando c’è coincidenza tra il campo fenomenico delle esperienze e la struttura concettuale del Sé.

*Snygg e Combs (1959), interpretando tutte le funzioni psichiche in funzione della "percezione del Sé", hanno anche descritto in termini di "vissuto fenomenico" le caratteristiche della:

- "personalità adeguata" (quella in cui la spontaneità della maturazione e l’autorità socializzante si integrano in un atteggiamento personale soddisfacente e produttivo);

- "personalità minacciata" (le psiconevrosi);

- "personalità disperata" (le forme psicotiche).

 

Orientamenti attuali nello studio della personalità.

Nella ricerca attuale, la descrizione dei tipi o dei tratti è superata, mentre suscita sempre maggiore interesse la descrizione diagnostica in termini di "sindrome" o "stile" (vale a dire, schema coerente di comportamenti di fronte a compiti analoghi).

I vantaggi nell’adozione della nozione di "sindrome" o "stile" sono che essa:

- non intende essere esauriente o totalizzante o categorizzante (identità tra modello e persona) nei confronti degli individui e della loro personalità; bensì, di contro, elastica e suscettibile allo sviluppo;

- è uno strumento utile per la ricerca sperimentale, tanto che è stata adottata da studiosi di diversa estrazione teorica:

a Witkin (1954, approccio trasversale): nell’ambito della psicologia della percezione, ha introdotto il concetto di "dipendenza dal campo" (vedi sopra: Lewin), per chi, nell’orientamento spaziale, si affida più al contesto visivo che ai segnali posturali e gravitazionali del proprio corpo. [A mo’ di informazione, c’è da dire che in questa sede si è constatato che le donne sono più dipendenti dal campo degli uomini, che la dipendenza dal campo diminuisce con l’età ed è collegata alle caratteristiche della personalità].

b Gorge Klein (1951, psicoanalista): ha studiato la "tendenza al livellamento" (ovvero, quella modalità del percepire, negli adulti, per cui si tende a mantenere una percezione costante, quando uno stimolo esterno si modifica), e ha realizzato a tal proposito la distinzione – tra soggetti di fronte ad appositi compiti percettivi – in "livellatori di differenze" (molto influenzati dal contesto) e "accentratori di differenze" (indipendenti dal contesto, più capaci di cogliere i particolari, di aderire alle caratteristiche proprie dello stimolo isolato).

c Rotter (1971, psicologo dell’apprendimento): ha studiato situazioni sperimentali in cui è stato possibile evidenziare la condotta di soggetti convinti che la propria abilità (cioè il proprio "controllo interno") fosse determinante alla riuscita di una determinata prestazione, e quella di soggetti convinti che fosse invece il caso (il "controllo esterno") a determinare il rendimento.

Così, già in base a quanto sovraesposto, a mo’ di esempio, si potrebbero costruire delle "sindromi" su dimensioni ancora limitate, ma abbastanza esaurienti:

- "accentuazione-livellamento delle differenze", "dipendenza-indipendenza dal campo" sul piano percettivo;

- "controllo interno – controllo esterno" nel modo di affrontare un evento come risultato di determinate differenze nei processi di apprendimento; e così via.

 

 

 

 

Introduzione: i modelli

L'apprendimento

Il conflitto

Il metodo sperimentale

Il pensiero

Lo sviluppo affettivo

I metodi psicometrici

Il linguaggio

Lo sviluppo cognitivo

I metodi clinici

La personalità

Lo sviluppo sociale

I processi sensoriali

Le motivazioni

Le fasi dello sviluppo

La percezione

La frustrazione

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